Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
Napoli e Romania, la musica partenopea e l'etnia rom si incontrano in uno
splendido debutto: l'ensemble fonde musiche tradizionali campane, rom e sinti,
in un manifesto di convivenza pacifica e inediti intrecci musicali Vacanze
Romanes: il disco d'esordio degli 'o Rom!
VACANZE ROMANES ...il debutto degli 'o Rom...
Terre in Moto 2012 11 brani, 38 minuti
Tre musicisti napoletani. Tre musicisti rumeni di etnia rom. Un incontro
all'insegna dello scambio musicale e umano, della reciproca conoscenza di
melodie, armonie e ritmi diversi. Questa la filosofia dell'ensemble 'o Rom, il
primo e più longevo esperimento di fusione e sintesi tra musiche tradizionali
dell'Italia Meridionale e musiche balcaniche di area rom e sinti. Un progetto
nato a Napoli tra vicoli e piazze, tra concerti improvvisati in strada e
battaglie civili, con l'obiettivo di divulgare con passione e vivacità
l'incontro tra culture diverse, apparentemente inconciliabili. Nati nel 2008,
subito apprezzati dal vivo per le trascinanti performance, gli 'o Rom mostrano
il loro "sincretismo" a partire dal nome: "o rom" in lingua romanes (o romanì)
significa l'uomo "zingaro", in napoletano la "o" con l'aggiunta di un apostrofo
diventa un articolo, per cui 'o rom si traduce "lo zingaro".
Dopo quattro anni di incessante attività live, gli 'o Rom pubblicano con Terre
in Moto Vacanze Romanes, prodotto da Carmine D'Aniello e Carlo Licenziato.
"Abbiamo parafrasato il titolo del film Vacanze romane - dichiara D'Aniello -
dove romanesindica la lingua parlata da rom e sinti, e abbiamo affrontato in
modo sarcastico il tema degli stereotipi e dei luoghi comuni legati ai rom...
Alcuni di essi vivono nei campi da oltre 20 anni non per scelta o perché amanti
della vita da campeggio ma nella speranza di avere un'abitazione e una vita
dignitose". Il cd è dedicato a Adnan Hozic, considerato "il promotore della
musica Balcanica in Italia ancor prima di Bregovic negli anni '90, da lui il
gruppo trae ispirazione e raccoglie la sua esperienza. Quello che la parte
napoletana del gruppo sa della musica balcanica e zingara lo deve a lui".
Carmine D'Aniello (voce, bouzuki, tamburi a cornice), Carmine Guarracino
(chitarre), Ilie Pipica (violino), Ion Tiţa e Doru Zamfir (fisarmonica), Ilie
Zbanghiu (contrabbasso) e Amedeo Della Rocca (percussioni) sono un concreto
esempio diconvivenza, simbolo della fusione di diverse esperienze personali e
professionali tra Romania e Italia, tra strada e studi. Vacanze Romanes è
concepito come un vero e proprio live in studio, senza soluzioni di continuità
tra un brano e l'altro, per restituire all'ascoltatore la freschezza e la
visceralità delle inconfondibili performance dei sei. Un'avventura tra Campania,
Est europeo e Mediterraneo: 11 pezzi vorticosi e raffinati, con reminiscenze
swing, gipsy e manouche.
Venerdì 8 giugno gli 'o Rom presenteranno in anteprima nazionale Vacanze
Romanes alla FNAC di Napoli: un appuntamento imperdibile con numerose
sorprese, patrocinato dall'Assessorato alle Politiche Sociali del Comune di
Napoli. Il disco è in vendita anche nei principali stores digitali.
articolo pubblicato il: 28/05/2012
Assaman Martedì 08 Maggio 2012 13:27 - Scritto da Alessandra Montesanto
In Razzisti a parole (per tacer dei fatti) - un saggio edito da Laterza
nella collana Il nocciolo - Federico Faloppa prende in considerazione
parole, modi dire e frasi ricorrenti nella comunicazione degli italiani che
suggeriscono una mentalità ancora molto, troppo chiusa nei confronti degli
stranieri. Ma il linguaggio è anche un pretesto per analizzare le politiche in
atto, il mondo dell'informazione e la società stessa in relazione ai temi
dell'intercultura e delle nuove forme di polis e di cittadinanza.
Perché ha sentito l'urgenza di scrivere questo saggio? Si può
parlare, oggi, ancora di "razzismo"?
Lavoro sui temi del libro da una quindicina d'anni, ormai. E proprio
dall'osservazione del linguaggio, e dei suoi usi, ho avuto l'impressione che in
questi ultimi quindici anni - malgrado nel frattempo la società italiana sia
diventata più complessa, si sia arricchita di presenze, sia diventata, per usare
un termine chiaro ancorché discusso, molto più "multiculturale" - il nostro modo
di rappresentare questa ricchezza, questa "diversità" (in particolare quella
apportata dai migranti), e di parlarne, sia diventato paradossalmente più
approssimativo, più stereotipico, e poco rispondente alla realtà. Anzi, mi pare
che - per una serie di fattori precisi e concomitanti - atti non sporadici di
xenofobia, un evidente "razzismo istituzionale" (a questo proposito, invito a
leggere il recente libro di Clelia Bartoli Razzisti per legge), un disarmante
conformismo dell'informazione - si sia anche creato, in particolare nel decennio
2001-2011, un discorso razzista diffuso, direi egemonico: talmente egemonico da
apparire spesso normale, da non fare più scandalo, da non poter essere quasi
messo in discussione. Da passare paradossalmente per "realista" (malgrado gli
stessi dati lo sconfessino), in opposizione a quel presunto "buonismo" cui si
attribuiscono - artatamente - tutti i mali... Da queste constatazioni è nata
l'urgenza di scrivere un pamphlet che tentasse di decostruire questo discorso
egemonico, proponendo al lettore alcuni semplici esercizi di smontaggio dei
"testi" e quindi dei messaggi, più o meno celati, che questi veicolano.
Nel libro ha preso in considerazione alcune parole ed espressioni di uso comune:
"negro", "clandestino", "vu' cumprà": soffermiamoci sulla loro accezione
negativa - specie nel caso dei "clandestini" e cerchiamo di capire cosa nasconde
questa terminologia...
Provo a essere sintetico, anche se certi argomenti - in termini linguistici -
andrebbero sceverati con scrupolo. La lingua di per sé non è né buona né
cattiva. Dipende dai contesti, dagli usi, da fattori para-linguistici ed
extra-linguistici (come, rispettivamente, l'intonazione e le convenzioni
sociali, ad esempio). È altrettanto vero, però, che sul piano del significato
alcune parole hanno connotazioni negative, valutative, offensive più marcate
rispetto ad altre. Ed il significato è legato certo al momento
dell'enunciazione, ma anche alla storia, al "peso" che una certa parola porta
con sé. Ebbene, gli esempi che lei ha fatto, da questo punto di vista, sono
diversi. Negro, seppur etimologicamente "corretto", ha assunto nel tempo
connotazioni estremamente negative, ed oggi viene utilizzato soprattutto con
intento ingiurioso (in binomi lessicali o espressioni fisse come "sporco negro",
"negro di merda"). Clandestino ha conosciuto uno slittamento semantico
importante, ed e diventato, soprattutto nell'ultimo decennio, una sorta di iperonimo per migrante, immigrato irregolare, richiedente asilo, rifugiato,
ecc.; anzi - questa e la tesi che sostengo - è diventato un termine per indicare
non uno statuto temporaneo, ma quasi permanente: si è clandestini
ontologicamente, per natura, prima ancora di esserlo di fronte alla legge. Vu'
cumprà, neologismo degli anni Ottanta che sembrava scomparso, riaffiora non di
rado nel linguaggio giornalistico, ed anzi - in ragione della sua stabilità
nella lingua - è diventato anche morfologicamente produttivo (avendo originato i
vari vu' lavà, vu' parcheggià, vu' stuprà, ecc.). Queste e altre etichette hanno
usi e storie diverse, dicevo. Ma hanno una drammatica affinità: possono essere
pericolosamente ambigue, insinuanti, offensive. E sono ormai parte di un lessico
xenofobo riconoscibile, strutturato, diffuso. E di cui si fa sicuramente abuso,
sia nel linguaggio politico, sia in quello quotidiano e - mi si perdoni il
bisticcio - dei quotidiani e dei mezzi di informazione.
Molto interessante il capitolo che riguarda la cosiddetta "Discriminazione
transitoria positiva": di cosa si tratta ? E quali sono le conseguenze nei
confronti degli alunni stranieri?
Con quel capitolo ho tentato di criticare non solo l'impianto della cosiddetta
"mozione Cota" (quella, tanto per capirci, che nel 2008 proponeva l'introduzione
di "classi separate" nelle scuole italiane, indirizzate agli "immigrati" o ai
"figli di immigrati" che non padroneggiassero l'italiano) - un impianto fondato
su pochi triti luoghi comuni, privo di qualsiasi base glottodidattica - ma anche
il linguaggio, approssimativo, sciatto, fumoso, con cui essa venne scritta e
presentata, dentro e fuori il parlamento. Se si legge con attenzione quel testo,
è facile trovarvi lacune, contraddizioni, falsi presupposti che non dovrebbero
essere presenti in un documento del genere: un documento che tratta un argomento
cosi importante come l'educazione delle nuove generazioni e l'idea di società
che, a partire dalla scuola, si vuole costruire. Ma lo stesso esercizio di
smontaggio si potrebbe fare su molti altri testi proposti e discussi negli anni
scorsi, non solo dalle maggioranze di centro-destra. Perché il punto non è
(soltanto) quello di accusare di incompetenza gli estensori di quella
particolare mozione. È anche quello di puntare il dito contro i molti, troppi
discorsi privi di argomentazioni solide, in tema di immigrazione: redatti per
fini elettorali, o sull'onda dell'emozione suscitata da fatti di cronaca più o
meno gravi. Tornando alla scuola, non dimentichiamo che questa istituzione ha un
ruolo - e una responsabilità - fondamentale. Sia perché - nei fatti - è già da
anni un formidabile laboratorio di convivenza, dialogo, "intercultura". Sia
perché ha il ruolo, preziosissimo, di trasmettere un pensiero critico e di
raccontare la complessità agli italiani e ai "nuovi italiani". Non a caso si è
cercato, e si cerca di depotenziarla ad ogni occasione: sottraendole risorse,
competenze, autorevolezza.
È ancora in atto, a suo parere, una "politica della paura" che porta a
considerare gli immigrati come una minaccia per la sicurezza sociale?
Il governo in carica, per fortuna, ha smesso di calcare la mano sul tema. E
anzi, mi pare aver derubricato la voce "paura percepita" dalla lista dei
problemi e delle priorità della sua agenda politica. Tuttavia, se a livello
politico nazionale la tensione si è (forse) affievolita, ed i toni sembrano meno
allarmistici, non bisogna dimenticare che quei veri e propri carceri che sono i
CIE (Centri di Identificazione ed Espulsione), sono ancora in piedi, e lavorano
a pieno regime. E obbligano alla detenzione coatta centinaia di persone (molte
delle quali - tra l'altro - avrebbero diritto a protezione internazionale senza
se e senza ma) per le quali è stato di fatto abolito l'habeas corpus. Inoltre, a
livello locale (sui media, nelle ordinanze comunali, ecc.), spesso i discorsi
paiono essere sempre quelli: "attenzione, elettori, immigrati e rom sono sempre,
per definizione, una minaccia!"
Perché la paura e la diffidenza sono rivolte, in particolare, nei confronti dei
cittadini rom?
La paura nei confronti degli "zingari" ha origini lontane, e oggi vive
-
soprattutto - di "sentito dire", quando non di vere e proprie "leggende urbane",
bufale (come quella sulle zingare rapitrici di neonati). Per questo è difficile
da sradicare, o almeno da ridimensionare, da contestualizzare. Diciamo, in
breve, che gli "zingari" hanno storicamente rappresentato (non soltanto in
Italia) l'anomalia, l'altro che incombe - a milioni, ma in Italia sono circa
160.000 - sulle nostre certezze e sul nostro benessere, il mostruoso e
repellente. Li abbiamo spesso visti, e usati, come capro espiatorio per
eccellenza. E li descriviamo - si pensi a certa stampa locale, non solo di
destra - come la principale causa di degrado urbano e di tensione sociale.
Ebbene, questa "caccia alle streghe" (alimentata spesso ad arte a fini
elettorali) dovrebbe finire. E dovremmo smettere di esprimerci per iperboli,
senza sapere bene di che cosa stiamo parlando (rom, zingari, slavi, nomadi:
siamo sicuri che queste parole siano sinonimi?), e cominciare invece ad
affrontare razionalmente le questioni, qualora e quando queste si presentino,
evitando ad esempio di "etnicizzare" ogni singolo comportamento, ogni singola
devianza.
I mass-media (la stampa e la televisione, in particolare) contribuiscono a
veicolare un certo "razzismo democratico"?
A ragione Giuseppe Faso ha coniato, alcuni anni fa, l'espressione "razzismo
democratico" (si veda il suo - giustamente fortunato - libro Lessico del
razzismo democratico, del 2008), mettendo alla berlina non soltanto gli usi più
scopertamente "razzisti" del linguaggio (ad esempio gli insulti cosiddetti
"razziali", le espressioni chiaramente offensive) ma anche le formule che
sembrano più neutre, e che neutre - a ben guardare - non sono affatto: penso al
tanto diffuso «non sono razzista, ma...», penso - come già accennato - all'abuso
di clandestino, penso alla stessa parola etnico (ed "etnici" guarda caso sono
sempre gli altri), o a giovani immigrati per parlare delle "seconde
generazioni", e di persone nate qui, che quindi non sono mai "migrate". Ma non
si tratta solo del lessico, che è poi l'aspetto più superficiale. Si tratta
anche di argomentazioni fallaci, di errate implicazioni (in presenza di un
crimine, il sospetto cade prima sullo straniero), di cliché infondati, di
strategie discorsive che riducono i fenomeni migratori - e le rivendicazioni dei
migranti - a "problema", o il concetto di sicurezza a una questione di ordine
pubblico legata alla presenza di stranieri, ecc. Ebbene, i media (ad eccezione
di rari casi) hanno troppo spesso veicolato, più o meno deliberatamente,
quest'insieme di pratiche discorsive. O meglio: troppo spesso non hanno fatto
nulla per contrastarlo. E non bastano delle scuse una tantum (vedi l'ormai
celebre caso de "La Stampa", l'11 dicembre scorso) per fermare la tendenza, per
dissimulare l'abitudine. Lo sanno bene i colleghi dell'associazione "Carta di
Roma", o dell'associazione "Giornalisti contro il razzismo", o di COSPE, o di "Occhioaimedia",
che tentano con attività di monitoraggio e formazione a vari livelli di chiedere
ai giornali, e ai giornalisti, di riflettere criticamente su usi e abusi, e di
dimostrare maggiore responsabilità e professionalità nel dare notizie
riguardanti i migranti, gli "zingari", le minoranze.
Quale soluzione suggerisce per una vera "integrazione" degli stranieri?
Non sono né un politico né un "tecnico". E quindi non ho una "soluzione". Anche
perché le soluzioni non possono essere "una" soltanto, né unilaterali. Vanno
tentate e negoziate, sempre: tra tutti gli attori sociali (anche, quindi,
ascoltando e coinvolgendo gli "altri"). Senza contare che, in termini di
"integrazione" milioni di stranieri sono (e si sentono) già parte della comunità
nazionale, sono italiani a tutti gli effetti: continuare a non riconoscerlo non
solo è profondamente ingiusto nei loro confronti, ma stupidamente errato sul
piano della conoscenza dei fatti. L'"integrazione" già c'è, e già
- malgrado la
complessità dei processi - funziona piuttosto bene: basta guardarsi intorno.
Enoteca 70' café LIGERA
via Padova 133 - MILANO
Domenica 29 aprile 2012
presentazione di:
VICINI DISTANTI cronache da via Idro
a cura di Fabrizio Casavola
LIGERA edizioni - collana Idee
128 pagine - 14 euro
Programma:
- h. 19.30: l'autore intervista alcuni abitanti di via Idro sulle storie presenti
nel libro
- h. 20:45: aperitivo offerto dall'enoteca Ligera
- h. 21.30: concerto di
George Moldoveanu, già direttore d'orchestra in Romania
(5
euro, ingresso gratuito a chi presenta una copia del libro)
Alcune cose da sapere:
Prosegue la V edizione di StranItalia con una serata che va "Oltre i luoghi
comuni".
Recuperare la curiosità e l'apertura verso l'altro, ribaltare i luoghi comuni, i
pregiudizi per costruire e proporre luoghi in comune...
SABATO 14 APRILE
19:30 TESTIMONIANZE di Bianca Stancanelli
Rebecca Covaciu
Roberto Malini
20:30 APERITIVO preparato da Operazione Mato Grosso
e CONCERTO Roberto Durkovic e i fantasisti del metrò
c/o SALA RIUNIONI PARROCCHIA SANTA TERESA (FRATI)
Piazza Montegrappa, 1 - LEGNANO
settembre 2011 - LE MEMORIE SI ABBRACCIANO: Paul Polansky con Cveto - via
Idro 62
Continuano le tappe lombarde, organizzate dalla rivista FAREPOESIA,
l'associazione LA CONTA e MAHALLA
Tocca a Milano, lunedì 2 aprile alle ore 21.00
CAM Ponte delle Gabelle, via san Marco 45
I lettori della Mahalla lo conoscono bene e qualcuno ha già potuto
incontrarlo negli anni scorsi. Per i nuovi lettori, ecco un rapido ripasso.
Inoltre, Paul Polansky visiterà gli insediamenti rom di via Sacile
(domenica 1 aprile) e di via Idro 62 (lunedì 2 aprile). Si ringrazia il
Gruppo Sostegno Forlanini per la
collaborazione. Ulteriori informazioni
info@sivola.net
Da
Aussie_Kiwi_Roma
I Rom greci: gli emarginati sociali e le star By Stella Tsolakidou,
19 marzo 2012, (storia originale di Iriri Papafilippaki)
Secondo informazioni del vicedirettore del dipartimento della polizia e
dell'ufficio cause penali di Kalamata, si sono registrate recentemente 34 rapine
o tentate rapine in appartamenti della più estesa regione di Messinia,
effettuate da persone di etnia rom.
Le agenzie di stampa newsbomb.gr e eleftheriaonline.gr segnalano anche
casi di furti nelle regioni di Corfu e Kalamata sin dal gennaio 2012.
La questione greca dei Rom, chiamati anche Tsigkanoi, rimane tuttora
controversa ed il governo deve prestare loro ulteriore attenzione, a causa della
difficile situazione economica che il paese sta attraversando. Ciò che manca ai
Rom sono gli incentivi. L'ultima iniziativa statale per migliorare la loro
qualità di vita è del 2010, con l'emissione bancaria di capitale che avrebbe
dovuto aiutare i Rom a combattere l'alienazione sociale. Tuttavia, gli ultimi
due anni sono stati un ostacolo allo sforzo generale.
Oggi vivono in Grecia circa 250.000 Rom, la metà dei quali sono membri attivi
della società greca. Difatti, alcuni di loro hanno posizioni di lavoro
permanente, ma la maggioranza non frequentano la scuola primaria. I Rom in
Grecia vivono sparsi su tutto il territorio in circa 70 insediamenti,
soprattutto nelle operazioni. Centri di rilievo in Grecia sono Agia Varvara,
Atene, con una importante comunità rom, e Ano Liosia, dove le condizioni non
sono buone.
I Rom sono comunemente conosciuti come "zingari" in molti altri paesi. Questo
termine abbastanza dispregiativo venne dato loro inizialmente dai Greci, che li
ritenevano originari dell'Egitto. Il termine "Rom" è universalmente da loro
adoperato, e nella loro lingua significa "uomo" o "uomo sposato". La storia dei
Rom in Grecia data dal XV secolo.
Famosi artisti rom greci
Anche se molti Rom vengono accusati di attività illegali, come contrabbando
d'armi e traffico di droga, ci sono diversi esempi di Rom che hanno eccelso o
eccellono attualmente nello scenario greco. Ecco alcuni dei più importanti
artisti rom:
Manolis Angelopoulos - (1939-1989) Leggendario cantante greco,
che ha guadagnato l'amore ed il rispetto dei suoi colleghi. Nato a Kavala da
genitori rom, Angelopoulos incise la sua prima canzone nel 1957. Sempre fiero
delle sue origini, ottenne popolarità negli anni '60 cantando canzoni d'amore,
ma anche su temi come i rifugiati greci ed i luoghi esotici.
Kostas Hatzis, famoso cantante e chitarrista, riconosciuto come
uno dei principali artisti ed innovativo creatore della canzone "sociale".
Lanciò in Grecia il modello "guitar-voice", come le ballate che portavano
messaggi sociali.
Makis Christodoulopoulos, famoso cantante di laika. Nato nel
1948 ad Amaliada da una povera famiglia rom, Christodoulopoulos ha percorso la
sua strada sino a diventare un cantante ed interprete di successo.
Vassilis Paiteris, musicista e cantante di Drapetsona.
Nato nel 1950, Paiteris iniziò la sua carriera professionale di cantante alla
giovane età di 13 anni.
Helen (Lavida) Vitali, considerata una delle voci femminili
più importanti degli ultimi 20 anni. E' nata ad Atene, in una famiglia dalla
vocazione musicale, ed è cresciuta girovagando con i suoi genitori.
Irene Merkouri,
cantante pop, la madre è di origine rom. Nata ad Atene nel 1981, Merkouri ha
perseguito una carriera professionale dal 2002.
Circolo ARCI Via D'Acqua - viale Bligny 83, PAVIA
sabato 31 marzo, ore 21.00
Reading con Paul Polansky, poeta e attivista americano. Tra i pochi eredi
della stagione della "protesta", ha fatto della strada e delle situazioni di
sofferenza l’oggetto centrale della sua arte poetica.
Nel corso della serata video e dibattito sui campi rom in Italia e in Europa
(con lo stesso Paul Polansky, Giovanni Giovannetti e rappresentanti delle
comunità rom e sinti). Finalino con dj-set folk-gipsy.
Programma della serata:
1) Enzo Giarmoleo e Fabrizio Casavola presentano Paul Polansky;
2) Reading - Paul Polansky con traduzione;
3) Proiezione video e intervento di Paul Polansky sulla situazione dei Rom in Europa;
4) Intervento di Giovanni Giovannetti sulla realtà dei Rom e dei Sinti a Pavia e in
Italia;
5) Reading - Paul Polansky con traduzione;
6) Finale di serata con dj set folk-gipsy-balkan-pop-unza-unza;
7) Saluti
Nel pomeriggio, prima del reading, Paul Polansky è invitato in visita
all'insediamento della comunità sinti pavese.
L'iniziativa è organizzata dalla rivista FAREPOESIA,
associazione LA CONTA e MAHALLA, in collaborazione con le locali
comunità rom e sinte.
Osservatorio Balcani e Caucaso di Svetlana Slapšak1 13 marzo 2012
Foto di Camilla de Maffei
Alla scoperta dei multiformi significati della parola čarda, alla scoperta della
"cultura della complessità" che caratterizza il sud est Europa. Un
approfondimento in vista di
Sapori del Danubio, l'iniziativa promossa da
www.viaggiareibalcani.it e Slow Food
Tratto da www.viaggiareibalcani.it
Attraverso incredibili traiettorie linguistiche tipicamente balcaniche la parola
turca Çardak è penetrata nell'ungherese, nel serbo-croato-bosniaco, bulgaro,
macedone e greco.
Può significare torre, piano superiore o soffitta, magazzino o seccatoio
(soprattutto per il mais), locanda di bassa qualità, situata di solito lungo una
trafficata via di comunicazione o vicino a un fiume; ma dal termine Çarda deriva
anche la musica che i rom ungheresi suonavano in queste locande (le csardas)
diventata col tempo una danza eponima ungherese... e si potrebbero trovare altri
significati.
Non c'è indicatore migliore per descrivere "l'unicità plurima" di cui è
impregnata la cultura balcanica, non c'è prova più lampante dell'inconsistenza
di tutti i discorsi identitari nazionalistici che hanno fatto breccia tra ampi
strati delle società di questa regione. In tutti i suoi significati la parola
čarda, csardas, cardak, čardaklija - un tipo di casa in Bosnia -, cognome o
toponimo in Macedonia, si associa con l'inferiore e il più felice, declinato in
chiave sia musicale che sessuale.
Čarda-Çardak-csardas, la cui radice etimologica deriva forse dalla lingua Avara
(črtog, čertog), quindi più alta e nobile di quella turca, denota un posto
dedicato al riposo, al piacere e alla contemplazione del mondo - il miglior
punto panoramico della casa: fondamentalmente il piacere provato da un voyeur
nascosto.
Altri significati accordati a questo termine: balcone, terrazza, stanza
delimitata da ampie vetrate, camera del padrone e anche casa di campagna, come
le vikendice sparse attorno alle città dei Balcani. Il segno più importante del
godimento insito in questa parola è la musica: nelle melodie del rebetiko greco
l'uomo invita la donna nella sua čarda per godere insieme i piaceri dell'amore.
In Vojvodina e Ungheria le čarde sono soprattutto i luoghi dove si può sentire
la musica Rom. In modo estensivo Čarda potrebbe forse indicare un luogo del
peccato? Sicuramente sì, perché il nascosto è la parte integrante di tutti
questi multiformi significati. Oltre alle sue declinazioni erotico-dionisiache
la parola čarda, nel suo senso culturale e sociale, è un posto dove ci si
diverte al riparo dagli sguardi indiscreti delle masse, proprio perché si tratta
di un diletto contrario a forme di divertimento caste, approvate dai codici
sociali del tempo.
Le čarde e la cultura delle čarde sono frequentate anche dalle classi superiori,
come luoghi e tempi dell'illegale. Cornice naturale della produzione di
sottoculture, čarda è simbolo di conflitti e accordi - o più precisamente di
negoziazioni sociali su cosa sceglieranno per sé gli strati sociali più alti
della società nel loro diritto esclusivo ai piaceri della carne e dello spirito.
Per usare una metafora, lo stesso poliziotto che di notte paga musicisti e
danzatrici rom affinché animino la sua terevenka (sbornia collettiva) con gli
amici, il giorno seguente rimane impassibile vedendo i colleghi chiudere una
csarda, arrestare e picchiare i musicisti, o in tempi più bui mandarli nei campi
di concentramento. L'intera storia dei Balcani è caratterizzata da esplosioni di
violenza contro vari tipi di sottoculture. Parallelamente però sono queste
ultime ad aver sempre prodotto le forme comportamentali dominanti legate alla
sfera del desiderio e del piacere.
In assenza di quei codici sociali e di quelle istituzioni che nell'Occidente
europeo assicurano trasferimenti più complessi tra gli strati culturali
superiori e inferiori, questa specificità dei Balcani è potuta sfumare negli
stereotipi semplificatori che ricoprono la regione: "balcanofili" che credono di
poter trovare nei Balcani emozioni e comportamenti autentici come pure "balcanoclasti"
terrorizzati da essi, sono entrambi vittime di una percezione edulcorata delle
culture sincretiche di queste terre.
Esiste allora una formula per comprendere i Balcani? Si, ma non è semplice.
Innanzitutto bisogna conoscere almeno una della lingue parlate in questa parte
d'Europa; in secondo luogo, aggiungo, almeno due generi musicali dei Balcani. Le
correlazioni tra le musiche balcaniche, in termini culturali, sono
straordinarie. Quella che forse è la più famosa, il rebetiko greco, conserva
tanti elementi della musica rom. Jovan Tsaus, un popolare musicista di rebetiko
degli anni venti e trenta del secolo scorso, era un immigrato proveniente dai
Balcani centrali. All'altro estremo di questo spazio semantico, nella musica
ungherese, è difficile trovare elementi che non siano di origine rom.
Tutti questi tipi di musica tradizionale, dal rebetiko a quella ungherese,
includendo la tamburaska di Vojvodina e Slavonia, la musica di Costantinopoli,
lo stile anatolico o di Smirne, la sevdalinka bosniaca, le kantade adriatiche o
i canti a cappella, sono tutte forme di musica dove l'improvvisazione è un
elemento centrale, anche se in realtà tale peculiarità fuoriesce dai Balcani e
si diffonde in tutta l'area mediterranea. Un paragone azzeccato che coinvolge la
sfera delle sottoculture urbane è la musica americana jazz/blues o il tango. È
la musica che dà il meglio di sé quando viene suonata per la propria anima.
Nel momento in cui alcuni esperti dell'Unesco vollero registrare il rebetiko
originale, andarono a cercare il leggendario Vasilis Tsitsanis, scovandolo una
sera nella cucina del suo locale, al termine dell'abituale concerto settimanale.
Queste registrazioni di Tsitsanis, con una strumentazione ridotta al minimo e la
sigaretta all'angolo della bocca contratta in un canto destinato solo a coloro
che davvero amavano la sua musica, sono le migliori registrazioni esistenti.
Nelle čarde che conosco lungo il Danubio e la Drava, quando è notte inoltrata e
la maggior parte degli avventori è già rincasata, questo è il momento dei
repertori musicali ebbri di passione che si custodiscono solo per momenti
speciali. Una di queste čarde è rimasta incisa nella mia memoria: è la Čarda "Čingi-lingi",
frequentata da bambina negli anni sessanta. Ci andavo con mia mamma e i suoi
amici che già a quel tempo dicevano "non è più come una volta". Di loro però non
ci si poteva fidare: erano tutti ancora piccoli negli anni antecedenti la
Seconda guerra mondiale, e sicuramente si ricordavano più dell'esperienza dei
loro genitori che della propria.
Quando in seguito mi capitava di tornare con la memoria al "Čingi-lingi", o
quando sentivo raccontare altre storie su di essa, il mio ricordo infantile
trovava conferma: tutti parlavano di questa čarda da un punto di vista
mitologico, senza un vero legame esperienziale. Perciò ritengo che sia giusto
obbedire a questa usanza, e invece di raccontare un'esperienza personale, che a
causa della mia giovanissima età e dunque dell'assenza di codici culturali non
può essere elaborata sino in fondo, racconto un'esperienza altrui. Riguarda mio
nonno, che purtroppo non ho mai conosciuto essendo morto molto tempo prima che
io nascessi. "Il nonno Vlado non poteva essere altro che un rom", penso spesso
guardando le sue foto. La sua professione - in vita fu un commerciante di
successo - deve avergli permesso l'acquisto di un'altra, più "rispettabile"
identità. Neanche quella comunque gli è stata d'aiuto a mantenere il senno della
ragione, anche se questo è un dettaglio di secondo piano nella storia che sto
per raccontare.
Il nonno Vlado era un grande edonista, conosceva tutte le migliori locande con
annessi musicisti da Budapest a Zagabria, Novi Sad e Niš giù sino a Skopje. Più
a sud purtroppo non arrivò mai. Con tutti i musicisti parlava nella loro lingua
madre.
I suoi tour notturni nella città natale, a Osijek, iniziavano sempre al Royal,
che oggi è un triste residuo di un locale K&K di un tempo, e finivano alla già
citata čarda "Čingi-lingi", oggi solo una rovina, un triste monumento
dell'ultima guerra degli anni novanta.
Nelle critiche al suo stile di vita che sentivo dalla nonna, era la frequenza di
questi tour a essere rimproverata: la necessità di intraprenderli non si metteva
mai in discussione. Amico di ebrei e rom, colpevole di possedere un'identità
"sbagliata", il nonno fu tra i primi ad essere ucciso dopo la fondazione del NDH
- lo Stato Indipendente Croato. Gettato nella Drava, il suo corpo emerse nel
Danubio a Bela Crkva - fatalmente un altro posto famoso per le sue čarde e la
sua musica.
Se quindi dovessi definire la mia identità culturale e legarla ad un luogo, la
čarda "Čingi-lingi" lungo la riva della Drava potrebbe rappresentare un sicuro
rifugio contro ogni identità chiusa, refrattaria alla contaminazione. La čarda
non c'è più, le acque della Drava sono passate sulle sue fondamenta. Tuttavia,
la musica un tempo suonata tra queste mura aleggia ancora nell'aria, immune a
qualsiasi cambiamento politico o sociale. Musica fatta di un continuo dare e
ricevere dai propri vicini, con la quale si ama facilmente e si uccide a stento;
musica di infelici e perdenti i cui brevi momenti di gioia nessuno potrà mai
cancellare.
Chi è?
Nata a Belgrado il 18 gennaio 1948, tra gli anni sessanta e settanta partecipa
ai movimenti studenteschi nati attorno al sessantotto jugoslavo. Dopo aver
conseguito laurea e dottorato di ricerca in linguistica, inizia a pubblicare
articoli e saggi in difesa della libertà di espressione e dei diritti umani.
Dagli anni ottanta dedica la sua attività intellettuale al contrasto delle
spirali nazionalistiche che stavano crescendo in Jugoslavia. A causa di alcuni
articoli critici verso Slobodan Milošević e sua moglie Mirjana
Marković, nel 1988 Svetlana Slapšak fu portata a processo: sebbene assolta,
perse il lavoro, fu isolata dal resto del mondo accademico serbo, espulsa
dall'Accademia delle scienze e delle arti in quanto unica membra a non aver
firmato un documento con il quale si rompevano tutti i rapporti culturali tra la
repubblica serba e quella slovena.
Tra il 1988 e il 1989 viaggiò instancabilmente attraverso i territori jugoslavi
tenendo conferenze contro i venti di guerra che soffiavano sulla Jugoslavia.
Quando nel 1991
iniziarono i primi scontri a fuoco in Slovenia, Slapšak si trasferì a Lubiana,
dove tuttora vive assieme al marito (l'archeologo Božidar Slapšak), bollata in
patria come "traditrice" e "minaccia nazionale". Dagli anni novanta inizia anche
il suo impegno a difesa dei diritti delle donne. Dal 1996 insegna presso il
Ljubljana Graduate School in Humanities, prestigiosa scuola di dottorato dove
insegna studi di genere e antropologia dei mondi antichi. Collaboratrice del
settimanale belgradese Danas a partire dalla caduta di Miloševic e del
quotidiano sloveno Većer, nel 2005 è stata inserita tra le mille donne candidate
al Nobel per la pace.
(Note al testo ed Appuntamenti)
FAREPOESIA - RIVISTA DI POESIA E ARTE SOCIALE Anno 3 - N. 6
Marzo 2012
IN QUESTO NUMERO: PAUL POLANSKY POETA LEGGENDARIO a cura di Enzo
Giarmoleo
Alcuni affermavano: "La poesia non è democratica, non fa sconti!"
Altri parlavano dell'importanza solenne della metrica. Altri dissertavano sulla
lunghezza del verso misurandolo. Altri dicevano che i "Veri" poeti in Italia
sono circa dieci. Altri li rintuzzavano dicendo che quella era una visione
elitaria. Altri parlavano di minimalismo, qualunquismo, epigonismo, di poesia
come atto di fede nel futuro…
Mentre la disputa infinita infuriava è apparso a Milano Paul Polansky, poeta
leggendario, uno degli scrittori più impegnati nella lotta per i diritti umani
nell'Europa dell'Est, erede di una stirpe di guerrieri di un "antico villaggio
vichingo", una stirpe di "belve combattenti"1. La sua
presenza è riuscita a neutralizzare la controversia. Polansky non è approdato
nella Milano dei "Veri" poeti, non ha sventolato bandiere per farsi notare.
Avevo letto il suo nome nelle locandine "resistenti" di realtà culturali come
"La Casa della Poesia" di Baronissi e l'associazione "Angoli Corsari" di Reggio
Calabria. Una sera di novembre, all'Arci di Turro, nel cuore del quartiere più
multietnico di Milano, Polansky si è rivelato e ha rubato l'attenzione del
pubblico con le sue poesie e i suoi racconti.
Le sue opere spaziano dalla narrativa alla poesia, inizia a scrivere romanzi
per poi approdare, a 50 anni, alla poesia impegnata. Polansky è sicuramente il
poeta più coinvolto, a livello globale, nella difesa dei diritti umani delle
popolazioni Rom, vittime dell'olocausto. La parola nei suoi scritti ha sempre a
che fare con l'azione e, come dice il poeta e attivista americano Jack
Hirschman: "Non v'è alcuna fuga artificiosa attraverso lo stile". Polansky non
si pone il problema di verseggiare per rispettare certe regole dell'accademia,
né d'altra parte potrebbe farlo, tanto impellente è la necessità di raccontare.
Per una volta la liricità non ha bisogno di lacci e lacciuoli. La poesia di
Polansky è la prova che fuori dal carcere delle strutture linguistiche esistono
mille altri modi di fare poesia. Il risultato è che riesce a trasmettere
emozioni
fortissime; in ogni parola, in ogni immagine, si sente l'odore dell'indigenza,
della violenza, della guerra.
Nel 1963 Polansky lascia l'America per sfuggire all'arruolamento per la
guerra in Vietnam e si trasferisce in Spagna, un paese dove ancora l'ombra del
Caudillo si allunga minacciosa oscurando i cuori e le menti. La Guardia Civil
è onnipresente sul territorio. Si sposta anche nella Spagna rurale, spesso
girovagando sul dorso di un mulo per le sendas (mulattiere) in paesaggi
selvaggi, per ricostruire il filo di sentieri persi e dimenticati, quasi
anticipando
la sua passione e la sua sete per la ricerca antropologica. Più di mille
discorsi,
la poesia "Caccia Grossa"2 svela un modo di sentire, quasi una concezione del
mondo, con un tocco di ironia.
Nel 1991 parte per la Repubblica Ceca con l'intento di svolgere ricerche
sulle origini della propria famiglia di linea paterna. Scopre negli archivi 40
mila documenti riguardanti il famoso campo di lavoro di Lety costruito durante
la II guerra
mondiale per gli ebrei e successivamente impiegato solo per gli
zingari. Polansky non può rassegnarsi quando viene a sapere che il campo era
gestito da guardie ceche e non da tedeschi. Contrastato nel suo intento dalle
autorità egli cerca eventuali sopravvissuti al campo di lavoro. Le voci
strazianti dei sopravvissuti sono contenute nella sua prima raccolta di
testimonianze orali "Black Silence" e nel suo primo libro di poesie "Living
Thru It Twice" (1998) che, come dice il poeta, gli ha cambiato la vita.
C'è una poesia che rispecchia la dedizione del poeta nei confronti dei Rom,
scritta basandosi sulla testimonianza di una donna sopravvissuta al campo di
sterminio di Lety, la poesia s'intitola "Pensavo di essere una sopravvissuta",
una delle parole chiave del testo è il termine "barcollare" e ci
suggerisce nettamente la sensazione di perdita d'identità che hanno provato
migliaia di persone. La poesia è talmente densa di emozioni che ogni suo
verso potrebbe dare il titolo a questo straordinario componimento.
Durante la fine degli anni '90, Polansky, dotato di grande empatia,
combatterà a fianco delle popolazioni rom ceche per ottenere i risarcimenti per
i
torti subiti nei campi boemi durante la II guerra mondiale e fa propria la
storia
dolorosa degli zingari kossovari nella guerra Serbo-Albanese. La sua scrittura
e la sua poesia saranno le sue armi per raccontare l'esperienza storica del
popolo Rom ma anche per dare visibilità ad un popolo che appare soltanto
negli "hate speech" diffusi nei discorsi pubblici e nelle rappresentazioni
mediatiche negative.
La sua protesta comincia a preoccupare le autorità ceche, un suo romanzo
"The Storm"del 1999, in nuce la descrizione di una sopraffazione storica,
viene requisito dalle librerie3.
In questi anni la poesia serve ad esprimere questo dolore. È sempre una
poesia che non segue i canoni classici della poesia tradizionale, la rima, la
misura del verso; al di là del tema trattato, la drammaticità serpeggia nelle
sue
poesie. La poetica di Polansky è al di fuori dell'assolutezza di un principio
che
valga per tutti; c'è solo spazio per le allitterazioni e l'eufonia, tipiche
della
antica poesia vichinga, che per il poeta sono naturali4.
Dalla storia inquietante di "Sacchi per Cadaveri" (1999) emergono i mali
nascosti dell'America, un esempio di umorismo nero per una vicenda tragica
come la strage per mano di due adolescenti5.
Gli anni seguenti vedono la ripresa dei temi dei Rom in Kossovo e nella
Repubblica Ceca dove le autorità locali e civili auspicano l'eliminazione o la
deportazione di queste comunità prendendo alla lettera la lezione swiftiana6.
Nella poesia "The Well" lontano da atmosfere ovattate, c'è il racconto, crudo
dettagliato, di uno zingaro vittima di una violenza estrema - uno dei tanti
costretti a fuggire "da un paese in cui hanno vissuto per quasi settecento
anni".
Come sempre avviene nei migliori esempi alla "Guantanamo", la violenza
psicologica perpetrata nei confronti degli zingari cechi è paralizzante quanto
quella fisica. Un esempio calzante lo troviamo nella poesie "Un Vestito
Nuovo" e "Una scuola speciale". Ironia e sarcasmo del poeta, se da un lato
attenuano la drammaticità e la crudezza di alcune poesie-racconto, dall'altro
fanno emergere con più forza l'ingiustizia perpetrata nei confronti dei
rifugiati
come in "Fermata d'Autobus", "Il Presidente del Kossovo" e in molte altre.
I temi dei suoi scritti si alternano, dalle raccolte di poesie sui rom kossovari
a quelle con connotazioni antropologiche sulle comunità di zingari, per
ritrovare ancora la Spagna dove è iniziata la sua incredibile avventura.
Un suo libro in lingua ceca del 2001, "Homeless in the Heartland" venduto
per le strade di Praga dai barboni, ricorda in parte l'epoca dei libri samiždat
che venivano scambiati clandestinamente nella Praga degli anni '80. La
discriminazione è ricorrente nella poetica di Polansky anche quando racconta
la realtà dei senzatetto americani del midwest.
C'è anche una poesia più personale ed intima che ha per oggetto gli anni
duri dell'adolescenza quando praticava sport come il football americano e la
boxe. La boxe diventa protagonista di uno dei suoi libri più famosi, "Stray
Dog" (Cane Randagio, 1999), in cui dagli aspetti violenti emerge la profonda
sensibilità umana del poeta7. Nella poesia "Gli imbattuti", pervasa da un
grande senso della realtà, alle immagini crude si associa un senso di fragilità
e
di sofferenza dell'io narrante consapevole che non si vince mai del tutto anche
se abbatti l'avversario. Solo chi si distrae durante il "combattimento" non
sente la poesia.
Un virus partito da un antico villaggio vichingo, diffusosi poi in America e
ritornato in Europa, si aggira ora per Milano; è il virus "Polansky", pericoloso
virus dell'empatia che potrebbe insediarsi nelle nostre menti per amplificare la
nostra comprensione, per capire ad esempio le ragioni per cui i bambini
zingari di Mitrovica (Kossovo) sono morti a seguito di complicazioni dovute
ad avvelenamento da piombo nei tre campi ONU costruiti su una discarica
tossica.
Dall'azione alla narrazione. Quella di Polansky è una metanarrazione mai
consolatoria, che non si sofferma soltanto sulle discriminazione nei confronti
dei rom e l'orrore da essi subito. Polansky racconta con molta serenità e in
veste di antropologo anche l'origine, i rituali della cultura rom, le abitudini,
le
credenze, le abilità di questo popolo. Racconta in modo disarmante gli
espedienti usati dai rom per sopravvivere, si sofferma su alcuni aspetti non
accettati dalle comunità "civili" occidentali: usanze millenarie come la
compravendita delle giovani spose o l'atteggiamento fortemente maschilista
all'interno delle comunità zingare.
È grazie a questo approccio, alla serietà delle sue ricerche che la narrazione
coinvolge l'ascoltatore e lo fa avvicinare allo scottante problema degli
zingari8.
La conoscenza di Polansky è frutto di una attenta osservazione sul campo e di
pazienti ricerche antropologiche in India, Pakistan, Kashimir, ex Cina. Si
scoprono cosi le similarità linguistiche tra gli zingari nostrani e le tribù
sansis del Punjab, certa musica zingara del Rajestan in tutto simile al flamenco
spagnolo o più in generale i debiti della musica colta nei confronti dei Rom.
Polansky trova nei luoghi originari degli zingari corrispondenze con
moltissimi aspetti e dettagli della cultura rom di cui si era impadronito vivendo con i rom sia in Spagna che nel Kossovo.
Si sfaldano nei suoi racconti anche i luoghi comuni che vogliono gli zingari
nomadi costantemente in viaggio. Gli zingari, dai musicisti ai maniscalchi,
viaggiavano di mercato in mercato per vendere cesti, ferri di cavallo, briglie,
setacci ecc, o si spostavano per i lavori stagionali ma solo dalla primavera
fino
all'autunno. Anche certe leggende, come quella del serpente domestico
protettore della casa, suggeriscono che gli zingari non erano nomadi ma
vivevano in abitazioni fisse.
La simbologia del serpente, comune agli zingari in Albania, Grecia, Turchia
e nelle montagne della Bulgaria, le pietre fluviali messe nelle tombe per
garantire l'acqua ai defunti nell'aldilà allo scopo di non mendicare l'acqua
nell'altro mondo, certe cure sciamaniche comuni sia agli zingari della Bulgaria
che a quelli del Kossovo o l'appartenenza alle caste sono prove del legame
degli zingari con l'India.
Polansky sa che gli zingari sulle montagne della Bulgaria credono nel Dio
Sole e ritrova questo legame, in particolare a Multan, l'antica capitale del
Punjab, dove intorno all'anno mille c'era il famoso tempio del sole e dove
arrivavano gruppi consistenti di esiliati dall'Egitto. Da qui anche l'etimo di
zingaro: Egyptian come Gypsies.
Un capitolo molto interessante riguarda il ruolo vitale che gli zingari
assumono nell'economia di altri paesi. Con l'inizio della diaspora del XV
secolo, si spostano dalle regioni balcaniche in Calabria, Sardegna, Spagna
diventando spesso manodopera indispensabile a basso costo, specie
nell'agricoltura nelle fasi della semina e del raccolto. Questo ruolo vitale
restituisce dignità storica, se pure ce ne fosse bisogno, alle comunità zingare
ed è un buon punto di partenza per ricostruire una storia che non sia solo il
frutto di mistificazioni o di analisi faziose sulla loro cultura.
Intervista
a
Paul
Polansky
a
cura
di
Enzo
Giarmoleo
Ho l'impressione che sei molto attento a non farti coinvolgere dal
successo facile, dalla notorietà, insomma che ti difendi dal circolo
mediatico. È un'impressione corretta?
Giusto il contrario. Inseguo i media, non per me stesso ma per la mia causa,
la mia missione, per aiutare la gente a capire gli zingari, la cultura rom. Ho
avuto successo nel coinvolgere BBC (British Broadcasting Corporation), ZDF
(Zweites Deutsches Fernsehen, la seconda televisione tedesca), TV Australiana,
Arte TV, Al Jazeera, ecc. ma non sono riuscito a fare molti progressi né
con i media italiani né con quelli americani. Sia gli uni che gli altri non
danno
tendenzialmente spazio agli zingari a meno che non si tratti di una storia
negativa. Sebbene abbia partecipato a reading in più di 50 città italiane, solo
raramente sono stato intervistato dalla stampa italiana poiché agli editori non
interessa chi parla in modo positivo degli zingari.
Alcuni episodi della tua vita on the road mi hanno fatto venire in mente
"Il Vagabondo" di Jack London, anche se è difficile inquadrarti in una
corrente letteraria. Quali sono i tuoi punti di riferimento artistici?
Jack London, Hemingway e la prima poesia di Bukowsky hanno avuto su di
me una grande influenza. Suppongo che verrò sempre considerato un poeta
americano fuori patria, completamente fuori dal mainstream, con poco o
nessun riconoscimento in America. Credo di trattare temi sociali che non sono
popolari per la maggior parte degli americani e che la mia poesia sia più
accettata in Europa. D'altra parte ho vissuto in America solo 21 anni e in
Europa per ben 49 anni. Credo nel socialismo, termine che in America è
considerato una parolaccia. Gran parte della mia poesia è molto di sinistra che
significa che molti degli editori americani, se non tutti, ignorerebbero i miei
scritti. Lo stesso vale per il pubblico americano.
Polansky spiazza il lettore tradizionale abituato a romanticherie tutte
occidentali, con tematiche e soggetti fuori dagli schemi: rom, zingari,
barboni, pugili…
Si, perché sono temi rari. I lettori sono più interessati ad ascoltarli. Oggi
buona parte della poesia almeno in America, tratta della tragica vita amorosa
del poeta. I lettori si annoiano a leggere queste storie senza fine, che sono
fondamentalmente identiche. Zingari, pugili, vagabondi hanno ancora storie
universali da raccontare, in grado di colpire il lettore. Ogni volta che leggo
le
mie poesie a studenti della scuola superiore in Italia, succede che gli
insegnanti vengono da me e dicono che questa è la poesia che dovrebbero
insegnare. Dicono questo perché i loro studenti restano entusiasti e coinvolti
mentre trovano noiosa la poesia classica insegnata a scuola. Per quanto grandi
siano i poeti classici come Dante, gli studenti oggi non riescono a stabilire un
rapporto con essi.
Hai avuto mai problemi con i poeti o i critici dell'establishment che ti
hanno fatto critiche riguardo alla metrica, al ritmo, alla lunghezza del
verso e cose simili?
Si, certamente. Alcuni poeti e critici non considerano la mia poesia, poesia,
neanche antipoesia. Questo non mi disturba. Scrivo per raccontare una storia.
Tutte le mie poesie potrebbero prendere la forma di racconti, persino novelle.
Faccio molta attenzione alle allitterazioni e all'eufonia perché queste mi
arrivano naturalmente, proprio come le mie storie. Il poeta francese Frances
Combes dice della mia poesia: "È il tipo di poesia che amo. Efficiente, saggia
e talvolta ironica. Soprattutto testimonianza umana. Questa è la poesia di cui
abbiamo bisogno in questi tempi di divertimento massmediale e di
brutalizzazione della mente. Poesia fatta non solo di parole ma di vita. Ora
penso che le poesie debbano essere vissute prima di essere scritte."
A cosa serve l'ironia? Mi pare che essa non manchi nei tuoi scritti.
La mia poesia deriva da esperienze vere. E ne ho avute parecchie. Sebbene i
miei temi siano centrati sull'ingiustizia e sull'ipocrisia, spesso vedo queste
cose attraverso il filtro dell'ironia piuttosto che con la rabbia. Ho visto
persone
morire nelle mie braccia. Ho visto centinaia di persone cacciate dalle loro case
saccheggiate e distrutte. Mi succede di descrivere le storie così come le
persone le hanno vissute; altre volte uso la lente dell'ironia o dell'umorismo
nero. L'ironia è una forma più sofisticata della rabbia. I lettori sono stanchi
di
poeti e attivisti che battono semplicemente sulla grancassa della politica.
L'ironia fa arrivare lo stesso messaggio ma in un modo più interessante, serve
anche ad erodere l'ipocrisia.
Come mai non sono stati ancora pubblicati in Italia: Living through it
twice (scritto nel 1998), libro che ha segnato una tappa importante nella
tua vita, e la raccolta di testimonianze orali Black Silence scritto
nell'autunno del 1998?
Innanzitutto questi libri dovrebbero essere tradotti in italiano e questa
operazione costa denaro che oggi manca a molti editori. Un'altra ragione è che
gli editori non vogliono investire molti soldi in un sentimento di solidarietà
per gli zingari. Le case editrici temono che il pubblico non comprerebbe libri
che parlano di zingari. Cosi l'ignoranza sugli zingari è alimentata proprio da
quelle stesse persone (gli editori) che dovrebbero educare il pubblico.
Vivere nell'epoca della globalizzazione ti reca qualche disagio? Come ti
contrapponi ai mali della globalizzazione? Come ti poni nei confronti dei
movimenti antiglobalizzazione, contro la guerra?
Ho lasciato l'America nel 1963 a causa della Guerra del Vietnam; credo che
da allora non sia cambiato nulla. L'America ancora crede nell'impero, nella
guerra, nell'essere il poliziotto del mondo. Oggi il complesso militare-industriale insieme alle lobby israeliane regna sulla politica estera americana.
La globalizzazione ha solo contribuito a rendere le imprese americane più
ricche e il mondo più povero. I problemi che ne derivano sono difficili da
descrivere con la poesia a meno che non si racconti la tragedia attraverso la
storia di un individuo piuttosto che attraverso una diatriba politica. La poesia
può raggiungere la gente, e in modo speciale i giovani, più velocemente di
qualsiasi altra forma di comunicazione, fatta eccezione forse per il video.
Persino il video è troppo lungo qualche volta. La poesia breve può svegliare le
persone più di qualsiasi altra cosa.
Leggendo le tue poesie mi sono accorto della ricchezza e della varietà
dei temi trattati. Non c'è il rischio che tu venga conosciuto solo come il
poeta che difende i diritti umani, in particolare dei Rom?
Ho più di 3000 pagine di poesia non pubblicate che non parlano di diritti
umani o di zingari. Una delle mie collezioni non pubblicate parla dei miei
giorni passati a fare trekking sul dorso di un mulo in Spagna alla ricerca di
sentieri perduti e dimenticati. Un'altra collezione tratta della mia gioventù
nella vecchia Madrid. Spero che un giorno la mia "Altra" poesia venga
pubblicata.
Puoi dirci brevemente perché hai dichiarato guerra all'ONU nel periodo
in cui ti sei occupato dei bambini di Mitrovica.
La missione ufficiale dell'ONU e delle sue agenzie è soprattutto quella di
difendere i diritti umani e in modo particolare i diritti dei bambini. Eppure in
Kossovo ho visto che l'ONU era presente solo per difendere i diritti degli
albanesi. Nei campi ONU dove ho vissuto con gli zingari, i diritti umani non
solo non erano rispettati ma erano invece violati da personale ONU,
specialmente dagli appartenenti ai livelli più alti. Nella mia esperienza la
maggior parte degli ufficiali dell'ONU è interessata esclusivamente a
conservare il proprio posto di lavoro, la propria sicurezza, la carriera e la
pensione, piuttosto che al benessere delle persone che proprio loro dovrebbero
aiutare. Come si può rispettare una organizzazione come l'ONU che ha
lasciato vivere bambini in campi ONU costruiti su discariche tossiche per 12
anni? Sin dal primo anno i loro stessi dottori e in special modo l'OMS
(Organizzazione Mondiale della Sanità) e la Croce Rossa avevano avvertito
l'ONU che ogni bambino nato in questi campi avrebbe accusato danni
irreversibili al cervello e non sarebbe vissuto abbastanza per dar vita ad
un'altra generazione. L'ONU è gestita da politici disoccupati. Il cinismo, il
nepotismo e la corruzione finanziaria permeano i ranghi dell'organizzazione
rendendola in molti casi inutile.
Sette poesie
GLI IMBATTUTI
Esistono solo nei fumetti
Persino Marciano non restò imbattuto
Rocky perse fuori dal ring
Perché evitò Kid Rivera
Nella vita reale non puoi evitare gli avversari
specie i peggiori: la famiglia e gli amici
La vita non è un incontro dilettantistico di tre round
ma un campo di sterminio dove fai cose cattive
per sopravvivere
Una lotta a mani nude in un porcile
Senza un gong o un arbitro a salvarti
Ho più cicatrici sull'anima che attorno alle sopracciglia
……………………………………….
………………………………………
Puoi vincere sul ring,
ma non vincerai mai
più di un round
nella vita
…………..
CACCIA GROSSA
Una domenica del 1967
ci allontanammo dalla spiaggia alla ricerca
di una senda sopra Sierra Cabrera
Molti sentieri portavano a
fattorie abbandonate e
a due villaggi semideserti
Eppure ci vollero quattro ore
per trovare un sentiero
e superare lo spartiacque
Nessuna capra di montagna in vista
né bighorn
neanche un cinghiale selvatico
Solo una pernice dalle zampe rosse
che planava giù
per i pendii spogli.
…………………………….
…………………………….
Dopo aver abbeverato i cavalli
stavamo per tornare indietro
quando arrivò la Guardia Civil
Un ufficiale si sporgeva
con un binocolo
dal finestrino della jeep verde
Dietro c'erano quattro guardie
e ciascuna aveva un fucile
con il mirino
L'ufficiale chiese
se avevamo visto
qualcuno sulla vetta
Non mi piacevano i suoi
baffetti ben curati
quindi dissi di no
In seguito venni a sapere che alcuni fuggitivi
repubblicani ancora erano
nascosti nelle sierras dal 1939.
Un cacciatore del posto mi disse:
"questa è l'unica caccia grossa
che ci è rimasta.
PENSAVO DI ESSERE UNA SOPRAVVISSUTA
Sono sopravvissuta alle bande della gioventù hitleriana
scappando a Praga
Dopo che mi hanno portato a Lety
sono sopravvissuta
fame
fucilazioni
iniezioni letali
squadre di lavoro
pestaggi
stupri
tifo
e annegamenti
nel fusto di acqua piovana
Dopo la guerra
volevo una vita migliore
ed ho sposato un uomo bianco
Solo uno dei miei otto figli
ha ereditato la mia pelle scura di zingara.
Ora lui è in ospedale
a riprendersi da due operazioni
dopo che gli skinheads
lo hanno impalato su un palo metallico
Non so se sto vivendo
nel 1936 o nel 1995.
Pensavo di essere sopravvissuta,
ma credo di aver solo
barcollato senza arrivare da nessuna parte
SACCHI PER CADAVERI
I sacchi per cadaveri
che la polizia ha usato
per portare fuori
gli studenti morti
sembravano
gli stessi sacchi di plastica nera
che l'esercito usava
per riportare dal Vietnam
i corpi dei miei
compagni di scuola
un anno dopo
il nostro
diploma
Sfortunatamente
non credo
che i sacchi per cadaveri
andranno mai
fuori moda
in America
per gli studenti
delle scuole superiori.
IL POZZO
Mi presero al mercato
dove la mia gente una volta vendeva i vestiti
e dove ora gli albanesi praticano il contrabbando
Quattro uomini mi gettarono sul sedile posteriore
di una lada blu urlando "Lo abbiamo detto
niente zingari a Pristina"
Mentre mi spingevano sul fondo
sentivo la canna della pistola sull'orecchio sinistro
Era così fredda che sussultai proprio mentre qualcuno premette il grilletto
Il sangue mi schizzò su un lato della faccia
dalla ferita sulla spalla
Caddi fingendomi morto
Pregai la mia amata madre morta tutti i
Mulos9 affinché questi uomini non si accorgessero da dove
fuoriusciva il sangue
Quando arrivammo
mi tirarono fuori per i piedi
La testa si schiantò sul terreno
rimbalzando sulle pietre
Mi gettarono a testa giu in un pozzo
Non raggiunsi mai l'acqua
C'erano troppi corpi
Giacevo rannicchiato quasi incosciente
finchè la puzza e il bruciore della calce viva
non mi fecero rinvenire
………………………..
………………………….
A mezzogiorno stavo camminando
attraverso un bosco seguendo un sentiero per carri
che nessuno usa più
Tranne gli zingari
che fuggono da un paese
in cui hanno vissuto
per quasi
settecento anni
UNA SCUOLA SPECIALE
Ho sempre saputo che mia figlia era brillante
Faceva disegni pieni di dettagli
memorizzava tutte le canzoni dei nostri antenati
suonava il piano prima di avere cinque anni
Per cui fui sorpreso quando l'insegnante venne
a casa nostra e ci disse
che nostra figlia non era pronta per la scuola
Il suo ceco non era abbastanza buono
aveva bisogno di aiuto con la grammatica
Mia moglie disse che tutti a sei anni
hanno bisogno di aiuto con la grammatica
Il preside accettò di incontrarci
disse che nostra figlia era una bella bambina
ma sarebbe stata l'unica zingara nella sua classe
Alla fine acconsentimmo
Firmammo il foglio
Non volevamo che la nostra bambina fosse maltrattata
Ma ora quando la porto a piedi a scuola
e vedo la targa sull'edificio
mi si spezza il cuore
Perché non ci hanno detto
che la sua scuola speciale
era un centro per
ritardati mentali
FERMATA D'AUTOBUS
Io e mio marito
avevamo finito di fare le compere
ed eravamo alla fermata dell'autobus
quando arrivò questa macchina.
mio marito era andato presto in pensione
perché non riusciva a vedere bene
A me non va molto meglio ma vidi che gli uomini
che scendevano erano gadzos10
Quando mi svegliai in ospedale
avevo un braccio rotto
il naso rotto e
avevo perso tutti denti anteriori
Eppure ce l'ho fatta ad andare
al funerale
di mio marito
NOTE
Da metà marzo a tutto aprile, Paul Polansky è in tournee in Italia. A
fine marzo sarà in Lombardia.
Contattatemi per
organizzare un reading nella vostra città. Calendario provvisorio:
- In Una figlia parla, Boxing Poems, Volo Press,
Lonato (BS).
- Le poesie "Caccia Grossa"(1999),"The Well", "Pensavo di Essere una
Sopravvissuta", "Sacchi per Cadaveri",
"Il Pozzo", "Una Scuola Speciale", "Paradiso e Inferno", "Il Presidente del
Kossovo", "Gli
Imbattuti", sono incluse in Undefeated, P. Polansky, trad. e cura di Valentina
Confido, Multimedia Edizioni,
Baronissi (SA) 2009.
- Polansky: "il governo ceco avvertì il mio editore di Praga, un ebreo slovacco,
che sarebbe stato espulso
dal paese se avesse pubblicato un altro mio libro. Tutte le copie furono
comprate da Prince Karel Schwarzenberg,
il cui padre aveva fondato il campo di Lety. Quest'ultimo usava gli ebrei e gli
zingari come schiavi
durante la guerra e i cechi-tedeschi come schiavi dopo la guerra fino a quando
le sue proprietà non furono
confiscate dal governo comunista nel 1948. Prince Karel Schwarzenberg oggi è il
ministro degli esteri della
Repubblica Ceca e il candidato favorito alle prossime elezioni presidenziali."
(da un messaggio elettronico
del poeta).
- Polansky: "The only poetry techniques I have in my poetry are alliteration and
euphony (like the old Viking
poetry), both of which come naturally to me … like many other themes." (ibid.).
- Il riferimento è alla strage di Columbine nel Colorado (inverno 1999).
- Jonathan Swift, Una modesta Proposta.
- Estratti di Stray Dog si possono trovare in
Undefeated, P. Polansky,
Multimedia Edizioni Baronissi (SA), a cura di Valentina Confido
- Polansky definisce gli zingari con il nome che loro stessi si danno. Se sono
rom, kale, sinti… li identifica
con questi nomi, quando parla in generale usa la parola "zingaro" che è quella
compresa da tutti. Si può approfondire
il tema consultando il libro La mia vita con gli zingari, P. Polansky Ed.
datanews.
- Mulos: spiriti di zingari defunti a cui non è stato ancora concesso di entrare
nel regno dei morti.
- Gadzos: in lingua Romani, il termine indica i non Rom.
- 23 marzo: Libreria delle Moline a Bologna (sera,
orario da definire)
- 31 marzo: Circolo ARCI
via d'Acqua a Pavia, alle 21.00
- 2 aprile: CAM delle Gabelle a Milano, alle 21.00 (gli
eventi di Pavia e Milano sono organizzati da FAREPOESIA, LA
CONTA e MAHALLA, a breve il programma completo)
- 13 aprile: Università di Cagliari alle 18.00, evento
sponsorizzato dall'Unicef
-
17 marzo: ore 21:00 Pane e Bacco – Osteria Fuori Porta via
IV Novembre, 69 – Rezzato (BS) info:
magadellaspezie@osteriapanebacco.com
-
18 marzo: ore 21:00 Caffè Galetér via Guerzoni, 92h –
Montichiari (BS) info:
info@galeter.it
- 27 aprile:
Vicenza alle 18.00 a
Palazzo Trissino (Sala degli Stucchi), nell'ambito di
Dire Poesia
SABATO 10 MARZO ORE 19,30
REBEL STORE in VIA DEI VOLSCI 41 - SAN LORENZO, ROMA
"Tristezza ironica, gioia di vivere e speranza sono i fili conduttori che
accompagneranno il lettore in questo viaggio. Racconti e poesie si alterneranno
con vivace ritmicità e sono lì a testimoniare la quotidianità di questo popolo,
i Rom, che può insegnare ciò che nel nostro mondo di è dimenticato: la verità
semplice di chi non ha niente, la cui unica ricchezza sono le proprie tradizioni
e la propria cultura."
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