Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Di Fabrizio (del 21/09/2009 @ 09:11:54, in Italia, visitato 2733 volte)
Vi giro (col permesso della mittente) una lettera che mi è
arrivata. Il fatto è avvenuto a fine agosto. I soggetti della discriminazione
raccontata hanno acconsentito a far circolare la loro storia, ma non hanno
intenzione di denunciare il fatto, che avviene, lo ricordo, a cavallo di episodi
simili a
Roma e a
Silvi Marina sempre durante l'agosto scorso
Ciao,
ieri ho avuto la conferma di un atteggiamento discriminatorio costantemente
attuato presso il Centro Commerciale Vulcano, adiacente alle aree dismesse
delle ex Falk (Sesto San Giovanni - MI).
Mi chiedevo se potessi darmi una dritta sul come agire in questi frangenti.
Se hai un po' di tempo a disposizione, s'intende (la vicenda è un po' lunga
da raccontare)! Grazie
Mi era già stato raccontato in passato che le guardie giurate del centro
commerciale non consentivano l'accesso alla struttura alle persone di etnia
rom. Siccome però sono a conoscenza del fatto che alcuni membri del nucleo
familiare che mi ha riferito tale fatto sono stati in passato arrestati per
furto, avevo inizialmente pensato che non si trattasse di un divieto d'ingresso
su base etnica: pensavo che forse avessero tentato di rubacchiare qualcosa nel
supermercato e che successivamente fosse stato loro impedito l'ingresso per
questo motivo.
Ieri però mi trovavo a Sesto San Giovanni e prima di partire per il giro di
commissioni che dovevo svolgere con un'amica (rom), dato il caldo, decidiamo di
comperare qualcosa da bere: suggerisco di andare proprio al Vulcano, in quanto
ci trovavamo lì a due passi.
Sembrano non esserci problemi, ma a pochi passi dall' entrata la mia amica si
rifiuta di proseguire perché afferma che ai rom l'ingresso non è consentito:
decido di entrare solo io, ma prima le chiedo di mostrarmi il dente che le fa
male, così se trovo una farmacia all'interno del centro commerciale le compero
qualcosa per il dolore.
Ora succede qualcosa di totalmente imprevisto: non so se la guardia abbia letto
la cosa come gesto talmente "intimo" da significare necessariamente il fatto che
fossi parente della ragazza, oppure il fatto che indossassi una gonna l'ha
confuso, sta di fatto che pensa che anch'io sia una ragazza rom.
Guardia: Non puoi entrare.
Io: Perché?
G: Perché VOI non potete entrare.
I: Noi chi?
G: Voi.
Colta alla sprovvista, sorpresa del fatto che mi avesse scambiato per una
parente della mia amica (in effetti lei ha i capelli piuttosto chiari e mossi
come i miei) mi faccio prendere un po' dal panico e gli mostro il tesserino
dell'università, che è l'unico "documento" di cui dispongo. A quel punto entro.
Ripensandoci con calma, non mi sarei dovuta sentire in dovere di identificarmi,
in quanto la guardia non mi aveva chiesto alcun documento, ma al momento ero
molto indispettita.
Quando esco è ancora lì, mi guarda come se volesse dirmi qualcosa (o se volesse
capirci qualcosa), ma tanto io ho già intenzione di fermarmi per dirgli che c'è
una legge in Italia che vieta di non consentire l'ingresso ad esercizi
commerciali aperti al pubblico facendo discriminazione su base etnica. Perché se
prima di questo episodio potevo avere qualche dubbio, ora ne sono certa: se sei
zingaro lì non entri.
Scambiando qualche parola con la guardia, emerge che si tratta di una "linea
guida" data dalla direzione del centro, dalla quale le guardie non possono
discostarsi: gli è stato ordinato di non consentire l'ingresso ai rom. Boh.
A questo punto mi chiedo: che cosa fare in questi casi? Chiedo di parlare con la
direzione? Mi rivolgo subito alle forze dell'ordine?
E ora? Dovrei lamentarmi con la direzione?
chi volesse contattare la direzione del Centro Commerciale (Gruppo
Caltagirone) può cliccare sull'immagine
Comunque chi mi ha scritto si recherà nuovamente sul
posto con alcune ragazze per verificare se consentiranno o meno l'accesso: nel
caso in cui venisse negato, chiederà di parlare direttamente con la direzione
per conoscere le "motivazioni" di tale divieto (vorrei capire di chi è la
responsabilità di tale comportamento e se si tratta di casi isolati dettati dal
momento o di una prassi operativa delle guardie). Se ci saranno novità vi terrò
aggiornati
Di Fabrizio (del 20/09/2009 @ 09:21:19, in Europa, visitato 1779 volte)
Da British_Roma (la mia traduzione non è sempre letterale, comunque ho trovato molto coinvolgente la storia di questa donna e dei cambiamenti avvenuti nel suo mondo)
The Guardian La mia infanzia zingara by Roxy Freeman - 7 settembre 2009
Roxy Freeman e suo fratello Rollin sperimentano il flamenco nel 1990. Photograph: Tam Carrigan Roxy Freeman non era mai andata a scuola. Ma a 22 anni, ha deciso di ottenere un'istruzione formale, si è forzata ad affrontare i pregiudizi che arrugginiscono la sua comunità zingara - e di incatenare il suo spirito vagabondo
La portiera mi guardava con sdegno mentre camminavo nel Suffolk College per iscrivermi. Non erano richiesti curriculum a noi studenti fuori corso, ma la portiera mi aveva ammonito che era un corso avanzato intensivo, e che sembrava esserci uno spazio vuoto nel mio modulo riguardo "l'istruzione precedente". Quando le ho spiegato che non ero un'emarginata, ma soltanto non ero andata a scuola, mi ha guardato ancora più sdegnosa.
Avevo 22 anni e non avevo mai passato un giorno della mia vita in un'aula scolastica, un concetto alieno per molti ma comune nelle famiglie Zingare e Viaggianti. In GB ci sono oltre 100.000 nomadi Viaggianti e Zingari, e 200.000 che vivono in alloggi permanenti. Molti, come me, non hanno mai frequentato la scuola, mentre altri sono illetterati perché l'istruzione formale non è una priorità nella nostra cultura.
La mia educazione è stata insolita, ma non unica. Sino agli otto anni ho vissuto per strada con la mia famiglia, girando l'Irlanda su di un carro a cavallo. Eravamo sei bambini e bambine, e la nostra famiglia era considerata piccola. Avere 12 o 13 bambini era comune tra Viaggianti e Zingari.
Sposarsi tra cugini è anche comune tra gli Zingari (ed è una potenziale bomba a tempo genetica), i miei genitori vengono da un retroterra davvero differente. Mi madre proviene da una famiglia americana dell'upper-class. Da giovane era letteralmente scappata con uno Zingaro - mio padre, che allevava cavalli. Entrambi sono persone estremamente intelligenti e dalla mente aperta che volevano crescerci in un ambiente stimolante e libero.
Al posto di andare a scuola, con i miei fratelli e sorelle, come molti bambini fummo introdotti alle arti, alla musica e al ballo. La nostra istruzione era imparare sulla vita selvaggia e la natura, come cucinare e sopravvivere. Non conoscevo le tabelline ma sapevo mungere una capra e cavalcare un cavallo. Potevo riconoscere i funghi e sapevo dove trovare il crescione e l'acetosa selvatici. A otto o nove anni sapevo accendere un fuoco, cucinare la cena ad una famiglia di 10 e fare il pane su un fuoco all'aperto.
Non era sempre così idilliaco: la vita sulla strada può essere molto dura. Come bambina con fratelli e sorelle più piccoli, dovevo lavorare duro: la mia routine giornaliera includeva prendere l'acqua, cucinare e cambiare i pannolini. Lottavamo anche per le finanze, la passione di mio padre è sempre stata allevare cavalli zingari. Qualche volta la vendita andava bene, ma il più delle volte eravamo senza un penny. Così la nostra famiglia lavorava alla raccolta della frutta. Un'estate, mi ricordo, praticamente siamo vissuti a funghi, perché lavoravamo in una fattoria di funghi. Raccoglievamo anche giunchiglie, dopo circa cinque stagioni sviluppai un'allergia al liquido dei gambi e al loro contatto la mia pelle si riempiva di bolle. Tutto il denaro andava dritto a mia madre e papà.
La nostra vita scorreva all'aperto; lavorare, giocare e socializzare, tutto avveniva attorno al fuoco, o nei boschi e nei campi. Il tempo piovoso era una maledizione e ci accalcavamo attorno ad una stufa in uno dei carri. Per molti anni non abbiamo avuto elettricità, televisione, radio, niente di elettrico. Avevamo bambole di porcellana e nessun altro giocattolo. E giocavamo a carte - grazie a Dio per le carte! Non fosse stato per loro, non avrei avuto nessuna abilità matematica.
A differenza dei miei fratelli e sorelle, ho imparato a leggere abbastanza giovane. Mia madre ed i nonni mi comprarono dei libri e, con l'aiuto di mamma, col tempo potei leggere. A 12 o 13 anni avevo divorato tutto F Scott Fitzgerald, EM Forster, Louisa May Alcott ed Emily Brontë. Li compravo alle vendite di beneficenza o li chiedevo come regali di compleanno; assieme, libri e carte da gioco, mi diedero una comprensione delle parole e dei numeri in assenza di ogni istruzione formale.
Ero, però completamente ignara del modo oltraggioso con cui i media ritraggono la popolazione zingara. Da bambini, avevamo davvero pochi contatti con la gente che viveva nelle case e dato che non andavamo a scuola o guardavamo la televisione, ne ero ignara. Mia madre non ci portava a fare spese, dato che eravamo in troppi. Mi ricordo una volta che eravamo accampati vicino a dei caseggiati periferici, dei bambini attraversarono il campo dove noi stavamo giocando tra gli alberi gridandoci contro e lanciandoci sassi. Ma quando chiesi a mio fratello perché erano arrabbiati, non mi sembrò troppo seccato, dicendo che forse fosse "perché non avevano capito e pensavano che fossimo pericolosi".
Se non fosse stato per la letteratura, sarei rimasta ignara di come eravamo descritti. Ma l'amore per i libri evolse nell'interesse per le riviste ed i quotidiani, e ciò mi fece scoprire un mondo di pregiudizio ed ignoranza. Da adolescente, capii per la prima volta che c'era un punto di vista comune per cui chiunque vivesse in una carovana o per strada sia uno sporco Zingaro ladro, che mai contribuirà alla società, vivendo gratis sulla terra che non gli appartiene.
Zingari e Viaggianti sono il solo gruppo sociale che è ancora possibile insultare. In parte, penso dipenda dai nostri livelli di analfabetismo e dalla mancanza di coinvolgimento sociale; se la gente non è cosciente di cosa è scritto su di lei, c'è poco da discutere. Se loro non discutono, si continua a farlo.
In Inghilterra, gli Zingari sono iscritti come un gruppo etnico distinto dal Race Relations Act del 1976. I Viaggianti irlandesi hanno questo status garantito dal 2000. Ma questo ha significato poco per l'opinione o l'attitudine pubblica, ed ancor meno per le vite dei Viaggianti stessi. Zingari e Viaggianti hanno tuttora la più bassa aspettativa di vita, il più alto tasso di mortalità infantile e sono il gruppo "a maggior rischio" sanitario in GB, e sono inoltre esclusi da molte delle strutture basiche sociali e legali.
Anche se io non sono andata a scuola, alcuni tra i miei fratelli e sorelle l'hanno fatto. E come molti altri bambini zingari, si sono trovati di fronte al bullismo. Spesso li trovavo in fiumi di lacrime ai cancelli dell'istituto perché gli altri bambini ce l'avevano con loro.
Può essere dura raggiungere il proprio pieno potenziale senza essere andati a scuola, ma a confronto delle altre famiglie tradizionali analfabete di Zingari e Viaggianti, avevamo buone opportunità e non ci si aspettava da noi che ci sposassimo presto, avessimo tanti bambini o seguissimo le impronte dei nostri genitori. Da bambina, la mia passione era stata il flamenco (la musica della comunità zingara in Spagna). Mia madre mi portò ad una scuola di danza dopo che ci stabilimmo a Norfolk quando avevo circa nove anni, e ne fui stregata.
Avevamo affittato un pezzo di terra per i nostri carri e ci erano stati garantiti dal consiglio i diritti speciali di residenza. Ci eravamo spostati nelle case mobili ed alla fine avevamo costruito una struttura in legno per ospitare bagno, cucina ed un'area comune. Tutto ciò significava che potevo avere lezioni regolari e diventare una ballerina professionista di flamenco. Ma a 17 anni, fui sopraffatta dal desiderio di lasciarmi alle spalle il caotico comfort del campo. Dopo aver messo da parte il denaro ottenuto con piccoli lavori, girai il mondo per anni, ballando il flamenco nei bar in Australia, nelle scuole in Spagna e sulle spiagge in India.
Ma anche quando ero in viaggio, non ho mai accennato alla mia istruzione o alla famiglia, per paura di risposte negative o ignoranti. Senza la scuola è difficile fare amicizie durevoli, e so che soltanto la mia famiglia capiva le mie paure, emozioni e retroterra. La mia famiglia era così vasta e vicina che non ho mai sentito di avere bisogno di amici. Ma quando ero lontana, crebbe dentro me un senso di insoddisfazione che sapevo non sarebbe andata via.
In passato avevo accarezzato l'idea di andare al collegio, ma poi non mi sembrava necessario, era difficile e qualcosa di inottenibile. Ora, all'età di 22 anni, ero pronta - ma non sembrava essere facile. Prima di essere ammessa, dovevo scrivere un pezzo di 3.000 parole sul perché volevo entrare così tardi nel sistema educativo - quasi una sfida per chi non aveva mai scritto prima una lettera. Ma ebbi quel posto e, per i novi mesi seguenti del corso, passai le notti nella casa mobile leggendo testi sul livello GCSE (vedi QUI ndr), cercando disperatamente di ottenere la conoscenza di base che ci si aspettava da me. Non sapevo nulla degli atroci crimini di cui Hitler era colpevole, né di quando fosse avvenuta la Battaglia di Hastings. Non avevo idea di cosa fosse il sistema respiratorio e non sapevo punteggiare una frase. Ma avevo un buon vocabolario, molta determinazione ed una famiglia che mi appoggiava in toto. Cercare di studiare con loro era un'altra questione.
Trovare pace e quiete era sempre stato impossibile. Quando ero piccola, sognavo di vivere in una casa con terrazzo in una strada acciottolata, perché nei carri e nelle case mobili non c'è mai pace. Si vive uno sull'altro, la privacy è inesistente e l'unico posto dove trovare la solitudine è nascondersi sotto un albero o camminare per un campo. Da piccola avrei voluto vagabondare da sola se avessi potuto, trovare un pezzo di muschio dove sedermi e passare il pomeriggio a guardare le coccinelle e cercare fiori da far schioccare.
Muoversi da una cultura all'altra è incredibilmente difficile, e rompere le barriere e le concezioni sbagliate è ancora più dura. Forse non avrei dovuto essere sorpresa - c'è stata una lunga storia di persecuzione degli Zingari in Europa: l'Egyptians Act del 1530 li bandiva dall'Inghilterra, mentre regolamenti posteriori li forzava ad abbandonare la loro esistenza nomade pena la morte. I nazisti li consideravano "non-persone", ed alcuni esperti ritengono che circa 600.000 Zingari europei furono sradicati, la maggior parte gassati ad Auschwitz.
Ci sono diversi gruppi differenti nella comunità nomade. I Rom, che hanno origine dal subcontinente indiano circa 1.000 anni fa ed ora diffusi in tutta Europa; i Viaggianti irlandesi, che hanno una lingua comune (Shelta) e si ritiene siano diventati nomadi nel XVI o nel XVII secolo, inoltre i viaggianti new age, gli hippy e i vagabondi. Alcuni hanno scelto una vita nomade perché volevano essere più a contatto con la natura, altri di vivere ai margini della società senza una polizza di assicurazione o un indirizzo fisso.
Tuttora, quando Zingari e Viaggianti vogliono stabilirsi, ci sono complicazioni extra. Oltre il 90% dei permessi di edificazione sottoposti dalle famiglie zingare vengono rifiutati, comparato al 20% di quelli di chi non è nomade. Così, gli Zingari possono comprare appezzamenti di terra sulla green belt ed hanno poca o nessuna conoscenza del sistema amministrativo. Una richiesta di permesso di edificazione di una famiglia zingara incontra sempre un numero estremo di obiezioni dai residenti locali (ne ho esperienza). Ed è un fatto che avere Zingari in un quartiere abbassa il prezzo delle proprietà.
I miei fratelli, le mie sorelle, io, siamo nati in questo stile di vita, ma non ci hanno insegnato a intagliare bambole e vendere erica fortunata. Siamo cresciuti con rigide morali e valori. Non sembriamo o agiamo in modo particolarmente differente da chiunque altro. Abbiamo avuto un percorso differente e non eravamo portati per vivere in una casa.
Dopo aver completato il mio corso d'accesso (grazie ad un tutor magnifico, ho avuto distinto in tutte le materie), ho ottenuto una laurea con l'Open University, che mi ha cambiato completamente la vita. Novembre scorso, a 30 anni compiuti, mi sono spostata a Brighton a vivere in un appartamento col mio uomo, che è completamente diverso da me. La mia famiglia, ormai, non è più nomade da tempo, e i miei genitori hanno appoggiato la mia decisione di trasformare la mia vita, ma non ho mai vissuto prima tra mattoni e cemento, e ora mi sento completamente allontanata dalla natura.
Non posso più vedere o sentire il cambio da una stagione all'altra, desidero il fogliame e lotto costantemente con l'emozione di sentirmi intrappolata. Passo metà del mio tempo ad aprire porte e finestre, tentando di uscire dalla claustrofobica sensazione di essere rinchiusa. Sono svegliata dal gas di scarico dei camion, dal traffico dell'ora di punta, dalle grida dei vicini, invece che dal canto degli uccelli e dal vento tra gli alberi. Non riesco più a sentire quando pioverà perché non annuso più l'aria, e quando piove non la sento cadere sul tetto.
Vivo vicino al mare perché mi da un senso di apertura e libertà, ma non penso che qui - o altrove - mi sentirò mai a casa. Il mio istinto è di viaggiare, e quando sei cresciuta svegliandoti ogni giorno con uno scenario differente, è facile sentirsi in trappola. Ma per raggiungere il mio sogno, devo mettere radici.
Di Fabrizio (del 20/09/2009 @ 09:06:44, in casa, visitato 1568 volte)
Ricevo da Marco Brazzoduro
(cliccare sull'immagine per vedere la galleria fotografica)
Venerdì 11 settembre 2009, si è svolta a Roma una manifestazione per il
diritto alla casa e contro i recenti sgomberi di alcune occupazioni a scopo
abitativo. Abbiamo deciso di prendervi parte perché crediamo nel diritto ad
avere una sistemazione degna e non possiamo accettare di rimanere in silenzio di
fronte le incoerenti e scellerate politiche abitative delle giunte capitoline
che si sono alternate negli ultimi decenni. Crediamo che in una città come Roma,
dove quotidianamente sorgono interi nuovi quartieri per il profitto dei soliti
pochi, non sia più accettabile che decine di migliaia di persone non abbiano un
tetto sotto cui ripararsi. In questo contesto ci è sembrato anche giusto essere
fortemente critici verso quella che è e sarà la politica dei “villaggi della
solidarietà” per noi rom. Non possiamo accettare che si continui sulla strada
dei ghetti etnici che, negli ultimi vent’anni, è stata peculiarità della sola
Italia nell’intero contesto europeo.
Abbiamo diritto alla casa, non a inaccettabili container recintati.
Esprimiamo qui la nostra totale solidarietà a quanti sono stati sgomberati in
questi giorni e ai movimenti di lotta per la casa che oggi sono al centro di
un’odiosa campagna denigratoria. Crediamo che non possano esistere sgomberi di
esseri umani senza una garanzia di alternative degne.
La casa è un diritto di tutti e tutte, anche di noi rom e romnì.
Associazione POPICA ONLUS
Rom e Romnì di via di Centocelle
POPICA ONLUS - www.popica.org
http://www.myspace.com/popicaonlus
Di Fabrizio (del 19/09/2009 @ 08:58:29, in Europa, visitato 1722 volte)
Dell'abbattimento dello storico quartiere di
Sulukule qui se n'è scritto parecchio. La motivazione addotta dalle autorità
turche è il "piano di rinnovamento urbano" di Istanbul. Ma le recenti piogge che
hanno inondato diversi quartieri della città, scoprono luci ed ombre su questo
contestato piano e sugli appetiti immobiliari che sta sollevando
La terra e il cielo
18.09.2009 scrive Fazıla Mat Istanbul si risveglia dall'incubo delle
inondazioni. Le autorità maledicono la pioggia, ma secondo gli esperti il
disastro è stato causato dagli interventi edilizi sui letti dei fiumi
all'interno della città. Sotto accusa il piano di trasformazione urbana voluto
da Erdoğan
Le province di Istanbul e di Tekirdağ faranno fatica a riprendersi dalle
inondazioni causate dalle piogge torrenziali dell’8 e 9 settembre scorsi. Le
precipitazioni, che normalmente si sarebbero distribuite in un periodo di
quattro mesi, hanno sommerso nel giro di due giorni numerose circoscrizioni
delle due città. Il bilancio resta molto pesante. Sono morte 32 persone, diverse
sono ancora disperse, e si stima una perdita in beni di circa 100 milioni di
dollari.
L’alluvione ha avuto i suo effetti più devastanti laddove erano presenti dei
torrenti sui cui letti e nei cui dintorni sorgono costruzioni e autostrade. A
İkitelli, nei pressi del torrente Ayamama, il viale Basın Ekspres, una delle
strade più trafficate e commercialmente attive di Istanbul, è stato
letteralmente inghiottito dalle acque. Mentre molte persone hanno trovato
rifugio sui tetti degli autobus, sette donne sono morte asfissiate dentro un
furgone merci privo di finestre che veniva utilizzato da una nota società
tessile come mezzo di trasporto per portarle al lavoro. Sei autisti di TIR, che
dormivano a bordo dei mezzi nella stazione per TIR Osmanlı, sono morti annegati
dopo essere stati travolti dalle acque. Tutte le fabbriche nei dintorni sono
state allagate. Si sono aperte inoltre le chiuse della diga sull lago
Büyükçekmece, causando l’allagamento della costa e dei centri di ricreazione
sulle sponde.
La Municipalità di Istanbul è stata la prima a esser criticata dalla stampa, per
l’incapacità di prevenire gli effetti dell’inondazione e di gestire la
successiva situazione d’emergenza. Il servizio meteorologico aveva infatti
lanciato, diversi giorni prima, l’allarme per l’alluvione, ma le autorità non
avrebbero ritenuto di dover chiudere al traffico il viale Basın Ekspres, dove si
era verificato un episodio analogo di inondazione anche nel 1995 a causa dello
straripamento dello Ayamama.
Intanto continuano a venire alla luce dei particolari su come la Municipalità
di Istanbul abbia gestito finora le aree circostanti i torrenti. La İSKİ
(Direzione idrica di Istanbul) avrebbe ammesso di aver realizzato l’ultima
bonifica del torrente Ayamama nel maggio scorso e di non aver più ripetuto
l’operazione nonostante le piogge autunnali in arrivo. Inoltre un credito di 322
milioni di dollari preso in prestito dalla Banca mondiale, finalizzato alla
realizzazione di infrastrutture per il risanamento di quindici torrenti, sarebbe
fermo da due anni nelle casse del comune di Istanbul (İBB). Il vicesegretario
generale del comune, Muzaffer Hacımustafaoğlu, ha affermato che l’attuazione dei
progetti di risanamento “procede lentamente perché i torrenti sono delle
proprietà private e i tempi previsti per renderli pubblici sono lunghi”.
Le autorità hanno cercato di spiegare l’inondazione nei termini di una “calamità
naturale”, “inspiegabile” e “incontrastabile”. Una parte di “colpa” è stata però
riservata anche ai “cittadini che costruiscono abitazioni fuori norma”. La prima
reazione del sindaco di Istanbul, Kadir Topbaş, è stata infatti quella di
attribuire la responsabilità dell’accaduto a “l'utilizzo selvaggio della natura
e dell’ambiente”. Il premier Erdoğan ha commentato l’accaduto facendo allusioni
alla forza della natura con un proverbio turco – “arriva il momento in cui il
torrente si vendica” – mentre il presidente della regione Muammer Güler è
arrivato a dare la responsabilità dell’accaduto “a tutta la società” e su una
scala più ampia “al mondo intero” per “i danni causati dalle persone alla
natura”.
Intanto Erdoğan, effettuando un giro d’ispezione aerea sulle località colpite
dall’alluvione, ha affermato che fino a quel momento le autorità avevano
incontrato “impedimenti legali ed alcune opposizioni” per risanare i torrenti,
che “queste opposizioni devono essere superate” e che “i problemi più gravi sono
sorti dal fatto che i letti dei torrenti sono stati modificati [dalle
costruzioni]”. Erdoğan ha concluso dicendo che “dopo aver condotto dei contatti
bilaterali si passerà a demolire le costruzioni qui presenti.”
Eyüp Muhçu, presidente dell’Ordine degli ingegneri e architetti (TMMOB) di
Istanbul, lancia un monito rispetto a quello che ritiene essere il vero senso
delle parole del premier. “La 'opposizione' di cui parla il Primo ministro è
quella dimostrata dai cittadini che si ribellano ai progetti di decentramento
della popolazione e di speculazione affaristica imposti sotto il nome di
‘trasformazione urbana’. Erdoğan vuole utilizzare gli effetti dell’alluvione
proprio per rendere leciti i suoi progetti di trasformazione urbana”.
Il problema delle costruzioni sui letti dei torrenti non riguarda infatti solo
le costruzioni abusive, ma anche quelle “legali”. “Una parte del torrente
Ayamama, importante corridoio ecologico di Istanbul, area verde e di
ricreazione, è stata aperta alla edificazione di palazzi ad alta concentrazione
nel 1997, quando proprio Erdoğan era sindaco della città”, spiega Muhçu.
All’epoca il TMMOB avrebbe presentato a Erdoğan una valutazione sull’impatto
ambientale di questo progetto. Nella sua valutazione, l’Ordine avrebbe
specificato che con il nuovo progetto il torrente Ayamama avrebbe cessato di
essere tale, e che si sarebbe rivolto un aperto invito alle catastrofi naturali.
L’appello rimase però inascoltato, e il TMMOB portò il progetto in tribunale. La
Corte emise una sentenza a favore dell’Ordine, sottolineando anche “che il
progetto non aveva alcuna utilità sociale”. L’amministrazione comunale però non
tenne conto del verdetto e accelerò le costruzioni, dando origine a tutta la
zona adiacente all’aeroporto Atatürk.
“Erdoğan ha fatto ricorso”, continua Muhçu, “ma il tribunale ha nuovamente
confermato la prima sentenza. Le costruzioni però non sono cessate nemmeno dopo
questa seconda decisione. Gli edifici così realizzati contro il verdetto del
tribunale hanno dato man forte alle costruzioni abusive nell’interno della
valle, a nord. E dal 1997 in poi sono stati costruiti numerosi blocchi di
edifici abusivi utilizzati quali officine. Questa zona, nel piano urbanistico
del 1982, risultava invece essere sede di un cimitero cittadino, di un’area
verde, di un’area di ricreazione e letto del torrente. Eppure hanno sempre
chiuso un occhio nei confronti delle costruzioni abusive”.
Solo il mese scorso infatti, il sindaco Topbaş avrebbe presentato al consiglio
comunale un piano per legalizzare nuove costruzioni abusive e per permettere
l’edificazione di altri palazzi nelle ultime aree rimaste a disposizione nel
letto dell’Ayamama. Senza un’alluvione di questa portata, il piano edilizio
portato avanti dal comune di Istanbul probabilmente avrebbe proseguito
indisturbato. E forse non basterà nemmeno l’alluvione a disturbarlo.
Di Fabrizio (del 18/09/2009 @ 20:07:13, in Italia, visitato 1597 volte)
Dopo l'ordinanza di sgombero del Comune di Modugno nella scorsa settimana,
Emiliano e Rana avrebbero trovato un terreno in zona Asi. Questa mattina le
associazioni di volontariato hanno manifestato con un sit-in
Molto probabilmente si è arrivati a una soluzione dignitosa per la
comunità di nomadi residente a Modugno in via dei Gelsomini.
All’ordinanza di sgombero della scorsa settimana, con cui si obbligava i
circa 50 ospiti (27 dei quali bambini) ad abbandonare l’appezzamento di
terreno nella zona Asi, il presidente e vice presidente del consorzio Asi
(rispettivamente Michele Emiliano e Pino Rana) hanno rimediato con una
soluzione alternativa. Il sindaco di Bari e di Modugno hanno infatti
trovato e promesso una nuova sistemazione, sempre in zona Asi, con tanto di
servizi igienici e fognari essenziali, prima mancanti.
Ruolo fondamentale nella vicenda l’hanno svolto le associazioni di
volontariato, uniche a essersi interessate da principio alla sorte della più
antica comunità Rom in territorio barese. Dalle 9.00 di questa mattina
molti dei volontari avevano cominciato una protesta organizzando un sit-in,
interrotto dopo mezz’ora grazie all’arrivo di Emiliano e Rana. I due hanno
infatti dato l'annuncio che ha evitato il protrarsi della manifestazione e,
soprattutto, della condizione di incertezza circa il futuro degli abitanti del
campo provenienti dalla Bosnia-Erzegovina.
Arrivarono in Puglia dopo un lungo peregrinare. E dopo che la loro gente era
stata martoriata a causa della guerra nei Balcani. Mai davvero assistiti
dalle istituzioni, si erano sistemati in via dei Gelsomini. Gli adulti, eccetto
qualche piccolo episodio di criminalità, hanno sempre provveduto al
sostentamento delle famiglie arrangiandosi come potevano. Il risultato più
grande, ottenuto grazie all’impegno delle stesse associazioni di
volontariato che si sono mobilitate dopo l’ordinanza di sgombero, è stata la
scolarizzazione dei 27 bambini. Senza dubbio sarebbero stati proprio loro a
subire le conseguenze più gravi se il campo fosse stato smantellato senza una
soluzione alternativa.
Da questa mattina, però, sembra che le cose stiano viaggiando sui giusti binari.
Di Fabrizio (del 17/09/2009 @ 09:45:53, in Italia, visitato 2116 volte)
Ricevo da Marco Brazzoduro
Venerdì 18 settembre 2009 ore 16:30
"Casilino 900", via Casilina 900 - Roma
Presentazione del numero 19 di "Zapruder. Rivista di storia della
conflittualità sociale":
Stranieri ovunque
(a cura di Andrea Brazzoduro e Gino Candreva)
Gitanos, gypsies, kalé, manouches, rom, romanichels, sinti; ma anche caminanti,
travellers e viaggiatori: popolazioni, gruppi e persone diverse che in
Italia (a differenza della maggioranza degli altri paesi europei) sono
comunemente designate come "nomadi", anche dalla stampa progressista che lo
ritiene un gesto di particolare sensibilità umana e politica rispetto al più
connotato "zingari" (che invece rivela solo quello che "nomadi" cerca
maldestramente di nascondere).
A partire dalla questione del nome "Storie in movimento" ha aperto un cantiere
di ricerca secondo le modalità di lavoro che lo contraddistinguono come
laboratorio storiografico atipico. Tenendo insieme alto e basso, analisi delle
fonti e registro divulgativo, attraversando entrambe i territori (spesso
reciprocamente ostili) della storiografia universitaria e di pratiche di ricerca
meno distanti dalla storia nel suo farsi, questo numero di "Zapruder" si propone
come un’indagine – parziale, frammentaria e non sempre consensuale – di una
realtà complessa quanto misconosciuta.
A fronte delle grida scomposte contro il "pericolo zingaro" e allarmati dal
conseguente manifestarsi di una gamma di fenomeni che va dal micro-fascismo al
pogrom (pensato, declamato, desiderato e in qualche caso agito), "Storie in
movimento" si è sforzata di capire, di adoperare gli strumenti che le sono
propri, quelli della critica storica, per cercare di vedere le cose più da
vicino (ma anche più da lontano).
Discuteremo di questo percorso con gli abitanti di uno dei più grandi “campi
rom” d’Europa, "Casilino 900", con lo scrittore Najo Adzovic, insieme al
collettivo Stalker/Osservatorio nomade e agli autori.
A seguire musica e cucina romanì
Con la speciale partecipazione di Bianca Giovannini alla voce, Ludovica Valori
alla fisarmonica.
Organizzano:
Storie in movimento
Zapruder. Rivista di storia della conflittualità sociale
Najo Adzovic (“Casilino 900”)
Stalker/Osservatorio nomade
www.storieinmovimento.org
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Di Fabrizio (del 17/09/2009 @ 09:34:56, in blog, visitato 1585 volte)
La seconda e ultima parte della
storia delle famiglie di Rom
kosovari del campo Casilino 900, sempre dal
blog di Raffaele Coniglio
Nella soleggiata giornata di fine agosto, all'interno del Casilino 900 vengo
accolto da Feta. Così dice di chiamarsi un giovane poco più che ventenne che mi
fa conoscere i suoi parenti e alcuni connazionali. Erano le cinque in punto del
pomeriggio. Lo ricordo perfettamente perché guardai l'orologio nel momento
esatto in cui mi disse che aveva degli impegni a partire dalle sei: doveva
rendersi disponibile per aiutare i suoi a preparare la cena del Ramadan, il mese
di digiuno iniziato da poco.
I rom kosovari che vivono nel campo sono, a quanto sembra, di fede musulmana,
anche se è altrettanto frequente trovare in Kosovo rom di fede ortodossa. In
quella che era una regione serba i rom, infatti, erano abituati a vivere tra due
fuochi -in mezzo all'aspro conflitto tra serbi ed albanesi- e, per la loro
stessa sopravvivenza, avevano sempre cercato di adattarsi pur di non scontentare
nessuno. E' anche per questa ragione che parlano sia serbo che albanese, e sono
di fede musulmana o ortodossa.
Tutto ciò però non è bastato a risparmiarli dal conflitto degli anni '90.
Rimanevano sempre rom schierati, consapevolmente o meno, con il nemico, albanese
o serbo che fosse. E, per evitare l'odio nei loro confronti, molti di essi, come
i parenti di Feta, sono dovuti scappare dal Kosovo, lasciare tutto ciò che
avevano -casa, amici, famiglia, lavoro, progetti- nella speranza di trovare un
posto in cui poter vivere in pace. Devo ringraziare proprio lui, Feta, o Farum,
como poco prima mi aveva detto di chiamarsi, se riesco a superare i loro timori
in questa mia giornata nel Campo, la paura e la diffidenza dei suoi abitanti
verso tutto quello che viene dall'esterno. Feta era appena un bambino quando è
giunto in Italia per la prima volta. A 11 anni è partito da Pristina con i
genitori e i fratelli più grandi alla volta di Belgrado. Ricorda però poco di
quel viaggio e cerca di ricostruirlo, tappa dopo tappa, con l'aiuto dei suoi
genitori. Da Belgrado, dopo una breve sosta da alcuni conoscenti, prendono un
altro autobus per una nuova meta. "Non sapevamo quale sarebbe stato il nostro
viaggio intermedio" interviene la mamma di Feta nel racconto del figlio,
"sapevamo soltanto che volevamo venire in Italia". Così, dopo due settimane di
pellegrinaggio "quasi clandestino" riescono a superare la frontiera italiana e a
lasciarsi alle spalle la città di Trieste ed il Kosovo, che in quei mesi stava
letteralmente bruciando di odio. Sono proprio i genitori di Feta che, rivivendo
tutta la fatica del viaggio, doloroso dal punto di vista economico ma anche, e
soprattutto psicologico, ricordano date e luoghi, giorni e vie del loro lungo
viaggio. Credo che quando un uomo si scontra con "l'assurdo" non può fare a meno
di ricordare per filo e per segno ogni cosa di quella circostanza, persino
l'odore del posto. E' proprio quello che fanno con me i coniugi Hamdi nel
ricostruire la loro fuga.
Mi parlano di una Pristina a me sconosciuta, dove ogni
cosa sembra diversa dalla città che ricordo io. Le vie solo con il nome serbo
non mi dicono nulla. Riesco a capire il luogo dove vivevano prendendo come
riferimento luoghi generali e piazze. Anche la Pristina che io presento è
irriconoscibile ai loro occhi. In quel momento, mentre parlo dell'attuale
capitale kosovara, la madre di Feta con rapido gesto tira fuori dal suo
borsellino il biglietto dell'autobus che l'ha portata qui in Italia. Il
biglietto integro e gelosamente custodito riporta, scritto in lingua serba: ore
11, 20 maggio 1999, Pristina. Come un fiume in piena, la signora Hamdi parla
allora dei momenti impietosi vissuti alla Questura di via Genova a Roma. "Si,
quella di via Genova, numero..." non lo ricorda la moglie di Ismail, ma tiene a
precisare che proprio lì ha chiesto asilo politico per lei e i suoi figlioletti.
E' da giugno del '99 che tutta la famiglia è rinchiusa, questo credo sia il
verbo adatto, all'interno del Casilino 900.
A detta della famiglia Hamdi poco o nulla è cambiato da allora. E' aumentato
sicuramente il numero dei rom kosovari. Non sono cambiate per nulla invece le
promesse di miglioramento che di volta in volta si sono rinnovate negli anni, e
che puntualmente sono state disattese. Le paure e le incertezze, sebbene oggi
più di ieri si parli di clima razzista e xenofobo, sono sempre le stesse. Il
freddo rapporto con i vicini italiani, idem. I circa 40 rom arrivati al Casilino
900 alla fine degli anni novanta sono diventati oggi oltre 110. Parliamo quindi
di almeno 50 bambini nati sul territorio italiano, e quindi, cittadini italiani
a tutti gli effetti. Il numero dei bambini è, in effetti, impressionante e balza
subito agli occhi.
Tra loro anche qualche adolescente che, pulito e ordinato, mi saluta con
pieno accento romano di Roma. Riesco a scambiare qualche parola con i cugini di
Feta che frequentano le scuole medie; uno di loro, il figlio di Resat Prekuplja,
frequenta invece il secondo anno dell'istituto alberghiero. Sono giovani
rispettosi e istruiti che frequentano regolarmente le scuole ed hanno amici
italiani. Guardano lontano loro, ma sembrano ancora poche eccezioni, non
sufficienti a colmare il gap venutosi a creare con la società italiana al tempo
dei loro genitori. Sicuramente, però, sono una testimonianza da considerarsi
significativa, che andrebbe sostenuta e rafforzata, perché questi ragazzi
dimostrano chiaramente che con l'istruzione le loro condizioni possono
migliorare. Forse, quello che dicevo nella prima parte, quando mi riferivo alla
pulizia degli spazi in comune per poter vivere bene loro stessi ed i loro
bambini, ha radici che iniziano proprio da lì, l'istruzione.
Solo frequentando le scuole italiane i giovani rom hanno l'opportunità di
imparare e confrontarsi con i loro coetanei, di superare finalmente quelle
odiose barriere alzate dall'ottuso pregiudizio umano. Mentre rifletto su tutto
ciò, Feta mi riporta con i piedi per terra, nella realtà che vive ogni giorno
lui. Ventuno anni, sposato e con due figli, ha studiato con i salesiani e dopo
la terza media ha deciso di trovare un lavoro. Si trova oggi impiegato con
un'associazione italiana come intermediario della comunità rom. Ogni mattina,
sul pulmino del comune, accompagna i bambini a scuola, si relaziona con gli
insegnanti e informa i genitori di conseguenza. Ascolta, assorbe e riferisce. E'
lui il primo a credere nell'importanza dell'istruzione, ma è altrettanto
consapevole del difficile cammino che bisogna percorrere. I bambini rom
frequentano la scuola abbastanza regolarmente, si trovano bene, ma la loro
motivazione deve fare a pugni con tanti problemi. "Come puoi vedere", mi dice
con fermezza e tristezza negli occhi, "nel campo non c'è elettricità, i servizi
igienici e l'acqua non potabile si trovano solo fuori dalle case". Questo
significa che "d'inverno, quando fa buio presto, i bambini, pur volendo, non
possono studiare né leggere come si deve". In quel periodo dell'anno, "quando fa
molto freddo i nostri bambini non riescono a lavarsi giornalmente e quando vado
a scuola a volte le maestre sottolineano che i bambini puzzano".
Non fa giri di parole Feta, e con due frasi arriva al nocciolo del problema,
che non può certo illustrare con facilità alle insegnanti, senza dubbio ignare,
almeno in parte, delle condizioni di vita nel Casilino 900; lo presenta a me,
che mi trovo, seppur momentaneamente, insieme a lui a condividere il suo inferno
quotidiano. La questione sta qui. Solo se c'è un'intenzione reale da parte delle
istituzioni locali e nazionali ad affrontare, seriamente, la questione
immigrazione e non in maniera grossolana per pura strumentalizzazione politica,
l'integrazione delle varie comunità potrà alla fine essere percepita come carta
vincente che arricchisce il panorama italiano, linfa vitale di una società
invecchiata. Solo con politiche serie, dove al rigore e alla determinazione
seguono i diritti e le opportunità, le varie comunità, siano esse di etnia rom,
curda, marocchina, peruviana o cinese che si voglia, potranno acquisire lo
spessore e il ruolo che giustamente si meritano dentro una società democratica
ed aperta al mondo, che pretende di essere competitiva per avanzare nel terzo
millennio.
Di Daniele (del 16/09/2009 @ 09:31:47, in scuola, visitato 1909 volte)
Da
Corriere.it
Vuoi un computer (usato) gratis? Chiedilo all'Agenzia delle Entrate
Inizia la dismissione di Pc non più idonei alla loro funzione ma ancora
«in forma»
Volete un computer (usato) gratis? Rivolgetevi all'Agenzia delle Entrate. Non
è uno scherzo. Un bando, pubblicato sul sito internet
www.agenziaentrate.gov.it (Agenzia/Bandi di gara), (Procedura
per la cessione a titolo gratuito di personal computer portatili dismessi)
mette gratuitamente a disposizione un primo lotto di pc e spiega tempi e
modalità per fare richiesta. Si tratta di «apparecchiature informatiche non più
idonee per il proprio utilizzo istituzionale, ma che possono essere ancora
utili a scuole ed enti di volontariato». La richiesta può essere al massimo di
10 PC portatili per ogni ente richiedente. Le richieste dovranno essere inviate
alla casella di posta elettronica
ufficiotlc@pce.agenziaentrate.it dell'Agenzia delle Entrate a partire dalle
ore 11:00 del giorno 5 ottobre 2009 e non oltre le ore 11:00 del giorno 16
ottobre 2009 esclusivamente a mezzo Posta Elettronica Certificata, l'equivalente
telematico della raccomandata con ricevuta di ritorno. Oltre al nome e al codice
fiscale (o partita Iva) dell’ente, nella richiesta dovranno essere specificati
anche l’indirizzo Pec per la comunicazione dell’esito da parte dell’Agenzia e il
numero e il tipo di computer desiderati, sulla base dell’elenco dettagliato
riportato sul bando.
CRITERI PER L'ASSEGNAZIONE - L’assegnazione dei pc avverrà dando priorità
agli organismi di volontariato di protezione civile iscritti negli appositi
registri, che operano in Italia e all’estero a fini umanitari, nonché agli
istituti scolastici pubblici. A seguire avranno spazio gli altri enti pubblici,
come ad esempio le strutture sanitarie o le forze dell’ordine. Infine, gli enti
non-profit che rientrano nelle categorie delle associazioni, delle fondazioni e
delle altre istituzioni pubbliche o private con personalità giuridica, senza
scopo di lucro, delle associazioni non riconosciute dotate di un proprio statuto
da cui emerga chiaramente l’assenza di finalità lucrative, degli altri enti e
organismi che svolgono attività di pubblica utilità. A parità di condizioni, i
pc verranno assegnati seguendo l’ordine cronologico di ricezione delle
richieste. Ins0mma anche la rapidità ha la sua importanza, grazie al sistema
Pec, che permette di certificare, oltre al mittente, anche l’ora dell’invio via
e-mail della domanda.
Di Sucar Drom (del 16/09/2009 @ 09:11:01, in blog, visitato 1585 volte)
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L'Altro Festival, il programma
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Pristina (Kosovo), fermare gli attacchi contro i Rom
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fratelli Settegrani: Mauro alla chitarra, Fabrizio: voce, tastiere e chitarra e
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Cracovia, Sant'Egidio: urge un Registro europeo sugli episodi di razzismo, anche
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Un registro europeo sugli episodi di razzismo: lo ha chiesto la Comunità di
Sant’Egidio nel corso del Meeting internazionale interreligioso di Cracovia. La
proposta è nata all’interno del workshop sul "Convivere in un mondo al plurale"
dove sono emersi i dati sui 6...
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Si terrà domani a Roma, presso il Polo Formativo Caritas (Via Aurelia 773, ore
9.00 - 17.00), il convegno “Salute senza Esclusione” organizzato dalla Caritas
diocesana di Roma in collaborazione con la Società italiana di medicina delle
migrazioni (SIMM)...
Napoli, la Gelmini a Nisida per aprire l'anno scolastico
Camicia a righe blu, pantaloni e occhiali in tinta. Per inaugurare il nuovo anno
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scelto una mise più casual del solito. Lo ha fatto per entrare in punta di
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e...loro ritornano. Gente tosta questi siciliani, è storia. Ostinati.
Orgogliosi. E anche un po' “zingari”. «Questi nomadi italiani non hanno proprio
nessuna intenzione di rispettare le ...
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Roma, Caritas: basta assistenzialismo e controllo
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“Salute senza Esclusione” che racconta l'esperienza vent...
Di Fabrizio (del 15/09/2009 @ 09:18:38, in Regole, visitato 1618 volte)
Da
Roma_Italia, leggi anche la
notizia di
riferimento
Egregio sig. Prefetto,
Nel settembre 2008 sono stato tra i 7 membri di una delegazione del
Parlamento Europeo in visita in Italia per una missione investigativa. La
ragione della nostra visita erano gli eventi nei "campi Nomadi", il censimento e
i decreti d'emergenza.
L'idea dell'indagine nasceva a giugno 2008, quando il Parlamento Europeo
accettava una Risoluzione contro la profilazione etnica dei Rom tramite raccolta
di impronte digitali e di informazioni sulla religione.
L'interesse nella missione era alto: circa 30 Membri del Parlamento Europeo (MEPs)
avevano visitato l'Italia, assieme al Presidente del comitato LIBE per la
Giustizia. In Italia ci furono incontri col Senato, il Garante, il Ministro
Maroni e altri. La nostra delegazione visitò anche campi come il Casilino 900 e
Campo Salone.
Nella conferenza stampa della delegazione del Parlamento Europeo, le
condizioni dei campi furono descritte come degradanti, dove i "Rom" sembravano
essere nomadi che non si muovevano. Ma ad alcuni membri della delegazione era
anche sembrato che l'Italia volesse tentare di rendere le proprie leggi
nuovamente compatibili con la Legislazione Europea.
La preparazione delle autorità cittadine di Milano a sgomberare di forza
circa 200 Rom che vivono nell'area Rubattino ad est della città, sembra la prova
del contrario. Gli sgomberi forzati sono illegali. Ogni stato membro della UE e
- come uno degli stati fondatori - l'Italia dovrebbe essere d'esempio agli
altri, e notificare singole ingiunzioni ai futuri sgomberati, che così possono
fare ricorso.
Mi appello urgentemente a lei per il rispetto del diritto dei nostri
co-cittadini di opporsi in tribunale alle decisioni su basi individuali, come in
ogni stato costituzionale.
In fede,
Els de Groen
MEP from 2004-2009
els.degroen@europarl.europa.eu
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