Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
Da Roma_und_Sinti
Alexandre Baurov proveniva da una famosa famiglia di artisti Rom russi. I suoi antenati erano noti per cantare nei cori di Mosca e San Pietroburgo.
Alexandre nacque il 23 marzo 1906. Il ragazzo ricevette le prime lezioni di chitarra da maestri del calibro di Alexei e Michael Shishkin. Ad undici anni iniziò a cantare nei cori rom. Ballava e suonava la chitarra. Ma la Rivoluzione d'Ottobre deprivò i cori del pubblico, ed il giovane Rom dovette trovarsi un nuovo lavoro.
Attorno al 1920 iniziò a lavorare come apprendista presso impianti Putilov. Dal 1925 al 1933 Alexandre studiò al Collegio di Comunicazioni Elettromeccaniche e dopo il diploma iniziò a lavorare come assistente di laboratorio all'Accademia delle Comunicazioni. Ma non lasciò la musica. Di sera si esibiva con un gruppo rom al Tatro di Varietà dello Stato di Leningrado.
Nel 1941, quando l'URSS entrò in guerra, Alexandre fu spedito al fronte. Con sé portò la chitarra. Nei pochi momenti liberi Baurov suonava per gli amici.
Grazie alle sue conoscenze tecniche, fu nominato ufficiale. Iniziò come comandante dei supporti di comunicazione del 44° battaglione. Prese parte ai combattimenti sulle alture di Pulkovo. Durante un attacco vicino Krasnoye Selo fu ferito gravemente al braccio e venne salvato dai medici.
Dopo il ricovero ritornò al fronte con la 189^ divisione di fanteria. Più avanti fu comandante della 1^ divisione aeronautica, che forniva all'artiglieria sovietica le immagini delle linee nemiche.
Sull'istmo di Karelia fu ferito al fianco.
Il suo coraggio fu riconosciuto da premi e promozioni. Alexandre ottenne nel 1944 il grado di capitano. Fu decorato con l'Ordine della Stella Rossa e con l'Ordine del Nastro Rosso di Battaglia. Ricevette anche l'Ordine Alexandre Nevsky (molto raro e onorato) per la battaglia sull'Oder, e una Croce Polacca al Valore.
La vittoria arrivò a Lipsia, ma non lasciò il servizio militare. Dopo la vittoria andò in Germania. Dal 1949 al 1955, già luogotenente colonnello del Corpo d'Ingegneria, prese parte nel creare e lanciare i primi razzi sovietici.
Alexandre Baurov morì il 18 febbraio 1972. Testimonianze sul servizio militare di Baurov e fotografie del periodo di guerra sono ora conservate nel Museo Memoriale dell'Assedio e Difesa di Leningrado. Fu uno delle migliaia di soldati, ufficiali e partigiani Rom che presero parte alla guerra contro il nazismo. Thanks to Nickolay Bessonov for the information
Da
Roma_Daily_News
Parlando di intellettuali rom in Russia, dobbiamo senza dubbio menzionare le
sorelle Pankov, Natalia e Lubov. Natalia era chimica e Lubov biologa. Entrambe
le sorelle avevano un'alta coscienza nazionale e spesso affermavano che non
potevano permettersi di fare alcunché di sbagliato perché rappresentavano il
loro popolo.
Durante la II guerra mondiale le due sorelle si dimostrarono vere patriote.
Luba e Natasha erano sorelle di Nickolay Pankov (anche lui eminente Rom,
famoso, per esempio, per la sua traduzione del poema di Pushkin "Zingari" in
lingua romani). Il loro padre volle che ricevessero educazione superiore. Ma
quando la Germania di Hitler dichiarò la guerra all'URSS, le ragazze dovettero
lasciare gli studi e iniziarono a lavorare a Mosca nell'industria bellica. "Non
è tempo per studiare" dissero al padre. Lavorando sino all'esaurimento, le due
ragazze costruivano contenitori per razzi.
Dopo la guerra si laurearono. Di seguito una piccola biografia.
Natalia Pankova (1924-1991). Assistente Ricercatrice dell'Istituto
Sottoprodotti Organici e Tinture, dove lavorò per 35 anni. Ebbe una carriera
professionale di successo. Per esempio, registrò 30 sviluppi avanzati della
tintura di cianuro (ricevendo per questi il certificato di invenzione). Natalia
aveva anche talento: cantava e ballava molto bene, dipingeva con matite e colori
naturali.
Lubov Pankova nacque nel 1925 Ottenne un dottorato in Biologia nel
campo della fisiologia umana ed animale. Ha lavorato principalmente nell'area
della fisiologia clinica. E' Assistente Senior di Ricerca di un laboratorio
fisiologico dell'Istituto Centrale di Esame Avanzato della Capacità ed
Organizzazione Lavorale per Disabili. Le sue ricerche furono su un macchinario
per le relazioni intercentrali con le loro anomalie e compensazioni. Lubov
lavorò anche per l'Accademia delle Scienze dell'URSS ed istituti pedagogici,
dove insegnò fisiologia umana ed animale, attività nervosa e peculiarità
anatomica e fisiologica dei bambini e dei teenagers. Inoltre, è autrice e
co-autrice di diversi libri di studio e di oltre 50 lavori scientifici,
pubblicati principalmente nella stampa. Lubov ha anche fatto molto per
preservare e registrare la storia nazionale. Ha scritto le propriememorie, che
sono in attesa di pubblicazione.
[...]
Thanks to Nickolay Bessonov for the information
Da
British_Roma
The Times 1 June 2007
Jan Kochanowski
Un Rom sfuggito dalle strette maglie naziste e divenuto studioso emerito della
cultura romani
Jan Kochanowski ha lasciato una solida eredità di libri in francese ed
inglese, di studi zingari, di cui aveva una conoscenza diretta.
Non sembrava destinato alla vita di studioso. Nato in una tribù dei clan Gila,
Stanga e Frundze, che vivevano in tende nelle foreste alla periferia di
Cracovia, Polonia, nel 1920, vagabondando senza meta con la sua famiglia estesa
attraverso gli stati sovietici del nord est Europa, e divenne esperto nelle
tecniche zigane di sopravvivenza. Così a circa 20 anni si ritrovò in Lettonia
nel mezzo dell'invasione tedesca, e parecchie volte riuscì ad evitare i campi di
lavoro e di sterminio.
Molti della sua famiglia morirono gassati in un sinagoga dove erano
ammassati, altri morirono quando i tedeschi diedero fuoco all'hangar dove
avevano cercato rifugio. Quando altri Rom vennero schierati in un bosco per
essere fucilati, il comandante tedesco prese Kochanowski da parte, dicendo: "Non
il ragazzo."
I suoi fratelli e sorelle non furono tanto fortunati. Caddero vittime del
genocidio che sopraffece tanto gli Zingari che gli Ebrei. Suo padre raggiunse le
forze sovietiche e morì come comandante dell'Armata Rossa durante i
combattimenti a Smolensk nel 1942.
Diversi anni prima, Kochanowski si era iscritto su un corso di studio a Riga.
Un pomeriggio gli arrivò un messaggio da parte si sua madre di lasciare
immediatamente la scuola perché i nazisti lo aspettavano per arrestarlo. Lei
aveva trovato un posto per nascondersi, a lui sconosciuto, ma seppe che doveva
lasciare la Lettonia.
Kochanowski andè in Francia dove, aveva imparato, l'autorità tedesca stava
vacillando. A Parigi nel 1944, d'altra parte, fu preso dai tedeschi e messo con
altri 100 lettoni nel campo periferico di Beauregard. Nuovamente, scappò e nel
gennaio 1945 raggiunse le Forze Polacche sotto il comando britannico.
La sua familiarità col polacco, le lingue baltiche ed il russo lo portarono
all'attenzione dell'intelligence britannico, ma declinò l'offerta di lavorare
come spia nell'Europa del dopoguerra. Era comunque orgoglioso di aver ricevuto
una medaglia per meriti di servizio e volle stabilirsi in Francia. Era un povero
rifugiato senza alcuna prospettiva, quando si innamorò di Elisabeth Morel,
figlia di un industriale. Dopo il loro matrimonio a Parigi nel 1950, si
trasferirono in una grande casa, anche se il matrimonio di un'alta borghese con
uno Zingaro era stato considerato uno scandalo.
Ci furono pressioni contro questo matrimonio. Kochanowski non era in grado di
trovare un impiego regolare, passando invece molto del suo tempo studiando
all'Università di Parigi. Un po' di denaro gli arrivava dal teatro. Già da
bambino era un buon ballerino e cantante, così la Troupe Bohémien fu lieta di
averlo assieme - ma non di pagarlo quanto era la sua popolarità presso il
pubblico.
Sua moglie notava, anche, che lui si sentiva colpevole di essere uno dei due
membri della sua famiglia scampati al terrore nazista. Nel 1960, erano nati nel
frattempo due bambini e una bambina, lasciò la famiglia. Aveva un PhD in
linguistica dalla Sorbona, e la determinazione a fare propaganda per i Rom e
scrivere di loro.
Non fu facile. Altri studiosi contestavano le sue credenziali. Sua madre
dovette arrivare a Parigi da Riga per conversare con lui, nel loro dialetto
romani, sui loro costumi, in fronte ad una giuria accademica. Sperando di aver
taciuto i rumori sulla sua persona, Kochanowski fondò la propria associazione,
Romani Yekhipe (Romani Assieme).
Nonostante il budget risicato, divenne influente. In Francia giocò un ruolo
fondamentale nell'abolire i documenti speciali richiesti ai Rom con i loro
personali dettagli fisici.
Kochanowski partecipò regolarmente alle conferenze romani internazionali,
dove promosse una controversa teoria linguistica sulla ragione della migrazione
verso ovest del suo popolo dall'India del nord. Con il suo nome polacco, e
talvolta sotto il patronimo romani di Gila, pubblicò parecchio sui Rom e i oro
dialetti, incluso uno dei primi libri di istruzione, Parlons Romani. Il suo
lavoro fu sempre stimato ma, con suo gran rammarico, non lo portò mai a
posizioni accademiche.
Kochanowski vedeva l'assimilazione come la morte culturale dei Rom e
richiedeva loro di essere orgogliosi della propria etnicità. Sempre diceva a
Saster, il suo primogenito, di "amare la natura e rispettare ognuno, ballare,
cantare... e fare l'amore con amore".
Per paradosso, i suoi figli finirono completamente assimilati nel mondo
non-Rom. Parte di ciò avvenne perché durante la loro crescita non ebbero modo di
imparare le loro tradizioni ancestrali e la madre lingua.
Sua figlia morì a 25 anni, dei figli sopravissuti uno diventò direttore del
balletto nazionale del Gabon e l'altro generale dell'aviazione militare
francese. Anche sua moglie gli è sopravissuta. Al suo funerale a Beauvais, la
bara è stata avvolta nella bandiera rom.
Jan Kochanowski (Vania de Gila), studioso romani, nacque il 6 agosto 1920.
Morì di cancro al pancreas il 18 maggio 2007, ad 86 anni.
Da
Repubblica.it
Quelli che sono riusciti a trovare un lavoro e a mandare i figli a scuola
Da Milano a Roma passando per Fano. Ma solo il dieci per cento degli zingari
ce la fa
Le danze di Belykize e i camion di Arif
Storie di ordinaria integrazione
La storia di Vintila, rom romeno titolare di impresa edile e judicator nel suo
campo
Il paradosso di Walter, sinti, italiano, quattro figli, paga le tasse ma non
riesce ad avere una casa
di CLAUDIA FUSANI
ROMA - "Mi chiamo Belykize, nella mia lingua era il nome della regina di
Saba. Ho 19 anni, sono zingara e ne sono fiera. E questa, l'Italia, è la mia
terra". Belykize è una rom kosovara nata in Italia, a Napoli, dove la sua
famiglia è arrivata nel 1985 da Mitrovica, città ora sotto il controllo
delle Nazioni Unite, uno di quei distretti simbolo dei furori etnici scoppiati
nei Balcani. Belykise è sempre andata a scuola, fin dall'asilo, e ora frequenta
l'ultimo anno dell'istituto tecnico "Adriano Olivetti" di Fano. "So cucire,
modifico i vestiti, so ballare, mi porto dietro tutti i colori e i suoni della
cultura della mia gente e il mio sogno è aprire un negozio oppure lavorare come
commessa".
Poi le voci di Arif Thairi, il padre di Belykise; di Costantin Marin Vintila,
rom romeno, un judicator a capo del cris, il tribunale della sua
comunità che è il campo nomadi vicino al Cimitero Maggiore a Milano. E di Walter
Tanoni, un sinti italiano, giostraio figlio di una famiglia di giostrai da
quattro generazioni e ora preoccupato di segnare le differenze: "I sinti
italiani sono zingari ma più nomadi: siamo cittadini italiani in tutti i sensi e
paghiamo le tasse. Il problema sono gli altri zingari, gli slavi e adesso i
romeni, che rischiano di avere più diritti di noi". Sono quelli che ce l'hanno
fatta. Che si sono integrati senza omologarsi, senza rinunciare a ciò per cui i
popoli e le culture zigane sono riuscite nel tempo - ma sempre meno - ad
affascinare: quel misto di anarchia mescolato alla capacità di fare festa, di
gioire e di convivere con le tragedie quotidiane. Secondo il presidente
dell'Opera Nomadi Massimo Converso "in Italia solo il 10 per cento dei 160 mila
rom ufficiali si sono integrati". Forse una percentuale ottimista. Di sicuro
minima. Ognuno di loro ce l'ha fatta in un modo diverso.
Belykize, 19 anni, fiera di essere zingara - La voce di Belykize arriva
squillante via cellulare. E' domenica sera ed è appena tornata dal mare con gli
amici "...e col mio fidanzato". Italiano? "No, rom kosovaro come me, della mia
stessa città...". E le scappa da ridere. La prima cosa che impressiona è la
qualità dell'italiano. "Per forza, sono nata qui, sono andata a scuola da
sempre, fin dall'asilo. Comunque, oltre all'italiano, so parlare cinque lingue:
romanì (l'idioma dei rom ndr), inglese, serbo, croato, bosniaco. Con i
miei cugini però parliamo sempre italiano". Belykize abita a Fano, nella Marche.
"Io e la mia famiglia viviamo in una casa, ho appena finito di cucire delle
tende che a me piacciono molto, piene di colori, mi sono fatta dare degli
scampoli nei negozi, li buttavano via e me li hanno regalati. Essere sempre
vissuta in una casa è stata, forse, la cosa più importante, non mi sarebbe
piaciuto vivere in una roulotte. Quando andavo a trovare mio nonno a Napoli, al
campo, non mi piaceva. Ora vive in Francia, in un casa, anche lui" .
Belikyze trasmette normalità e leggerezza. "Non mi sono mai vergognata di essere
una rom. Anche a scuola, non ho mai avuto problemi. Io parlo, sono una aperta,
se qualche volta qualcuno mi ha detto "tu sei una zingara" non l'ho mai
rinnegato, anzi, me ne vanto. Lo so cosa vuoi sapere, te lo dico subito: mi
vesto come una qualsiasi ragazza italiana, sono pulita e in casa mia nessuno è
mai andato a rubare. Quindi nulla di cui vergognarmi. Quest'anno mi diplomo, ho
già fatto degli stage di due settimane in un supermercato e in un
negozio. Il preside è stato molto contento".
La giornata tipo di Belykize è la mattina a scuola, "il pomeriggio aiuto un po'
mia mamma in casa dove viviamo in otto e faccio i compiti" Le piace ballare,
anzi è una apprezzata ballerina di cocek, tipo danza del ventre, e di
oro, un ballo di gruppo gitano. "Appena posso guardo la tv, soprattutto i
telefilm che mi piacciono tanto. Seguo molto anche i telegiornali per capire in
che mondo mi trovo". La questione nomadi nelle ultime settimane è spesso nei tg.
"Io non posso dare la mia mente e il mio cuore agli altri - dice
Belykize - se questi rom trovano normale uccidere, rubare, bere, vivere con i
soldi degli altri e non fare nulla, restare sporchi e incivili, io posso dire
che sbagliano, che stanno sbagliando tutto. Lo dico, sempre, anche a scuola. Ma
poi loro sono loro e io sono io. Voglio dire che noi zingari non siamo tutti
uguali, non andiamo tutti a rubare e non siamo dei mostri".
Zingaro deriva dal nome del monte Athinganos con cui i greci indicavano
una setta eretica di intoccabili. Gitano e zigano deriva da egiziano. Rom vuol
dire fango. Ma uno dei primi nomi degli zingari è stato anche bohèmien,
chi vive in miseria della propria arte e delle proprie passioni, glielo aveva
dato il re di Bohemia. La condanna, ma anche le contraddizioni, delle gente rom
comincia dall'inizio, dal nome. E si nutre di secoli di ruberie, furti,
violenze, maltrattamenti. Cervantes nel '500 così raccontava la vita con gli
zingari in Spagna: "Sembra che gitani e gitane non siano sulla terra che per
essere ladri; nascono da padri ladri, sono educati al furto, s'istruiscono nel
furto e finiscono ladri belli e buoni al centro per cento". E l'inventore di Don
Quixote era certamente un sognatore democratico.
Belykize ne è consapevole. "Quasi comprendo il disprezzo per la mia gente. Molti
rubano, sono sporchi. Ma qualcuno ce la può fare, se il padre lavora il figlio
andrà a scuola, se la donna è rispettata anche la figlia lo sarà, se avranno un
lavoro potranno avere una casa, pagare affitto e bollette e tenerla pulita. Da
qualche parte bisogna cominciare". La prima cosa che farebbe Belykize è
"riscattare le donne, toglierle dalla rassegnazione che devono subìre". "Nella
nostra società - ammette - il capofamiglia è e sarà sempre un uomo ma questo non
vuol dire che le donne debbano accettare un marito ubriaco che le picchia o fa
altro".
Arif, tre nazioni in una sola casa - Belykize non è un "miracolo". E
quindi può non essere un'eccezione. Se lei ce l'ha fatta - e senza nemmeno
troppo faticare - dietro di lei ci sono un padre e una madre che invece di
fatica ne hanno fatta molta. Arif Thairi, il padre, oggi ha la sua partita Iva e
una ditta di autotrasporti e facchinaggio a Fano. Prima, per 14 anni, ha
lavorato nei cantieri navali. Prima ancora ha lottato con le unghie e con i
denti nei campi rom di Napoli e Messina. E' originario di Mitrovica ed è
arrivato in Italia nel 1985. Ha 45 anni ma se lo ascolti sembra che abbia già
fatto sette vite. "Da Mitrovica negli anni è scappato un intero quartiere, 180
mila persone, prima per le persecuzioni poi per la guerre. La mia famiglia è di
origine rom, zigana, ma noi a Mitrovica avevamo la nostra casa e quando ci
passavano davanti quelli con le roulotte dicevamo che non avremmo mai voluto
fare quella fine. Poi siamo dovuti scappare e adesso non abbiamo più documenti
di nulla, nè della casa, nè del casellario giudiziario, nè del comune perchè
Mitrovica non si sa più di chi è. Così, io che potrei avere la carta di
soggiorno e chiedere la cittadinanza, non posso avere nulla perchè l'Italia non
sa se sono serbo, kosovaro o croato".
Non avendo un paese di origine, Arif e tanti altri come lui non possono neppure
avere un paese che li accoglie. Un po' come Tom Hanks nel film di Spielberg
The Terminal . Come Tom Hanks, Harif si è arrangiato. "Quando con mia moglie
e due figli vivevo nel campo nomadi di Napoli, ho trovato lavoro nei cantieri
navali di Fano. Ero abbastanza disperato, mi sono fatto coraggio, sono andato
dal sindaco e gli ho detto che volevo trasformare la mia famiglia in persone
tranquille e normali. Mi ha ascoltato e ha avuto fiducia". Nel 1987 Arif ha
avuto il primo permesso di soggiorno. Dal 1990 ha vissuto per undici anni in una
casa comunale. Ora in una casa popolare di cui paga affitto, bollette e tutto il
resto. "Siamo in otto e tre paesi diversi: io e mia moglie kosovari, due figli
croati, due figli e una nipotina di otto mesi italiani". Arif non ha dubbi su
quella che può essere la via dell'integrazione: "La prima cosa che l'Italia deve
fare è un censimento vero, reale, di tutti i rom dividendoli però per etnia. Poi
ci deve essere una verifica altrettanto reale di chi ha la volontà di cambiare,
di faticare e di inserirsi. A quel punto dare i documenti e la possibilità di un
lavoro qualsiasi per responsabilizzare le persone. Vivere nel campo può andare
bene all'inizio, appena arrivi, ma poi te ne devi andare perchè, se non ci sono
controlli molto severi, il campo serve solo a moltiplicare chi ruba e chi si
ubriaca. Chi sbaglia, chi delinque, deve essere fuori per sempre, dall'Italia e
dalla comunità rom. Come quello di Napoli, quello che ha rubato la macchina e ha
ucciso la donna: quello faceva meglio a buttarsi già da un ponte quel giorno".
Arif mette in guardia da un rischio che si chiama rom romeni: "Loro adesso
stanno arrivando in massa, senza controlli perchè sono cittadini europei e
avranno molti più diritti di me che invece sono qui da più di vent'anni.
L'Italia deve stare attenta perchè rischia di fare molti errori con questi nuovi
arrivi".
Vintila, il rom romeno - Una barbona bianca folta, 54 anni, venti nipoti,
capo-famiglia di un clan di 50-60 persone: Costantin Marin Vintila è proprio lo
zingaro dell'immaginario romantico, per quel poco che può sopravvivere in
qualcuno di noi. "Sono anche judicator - racconta - sono l'anziano che
giudica le liti interne e familiari, convoco il cris e decido chi ha
torto e chi no". Una giustizia parallela a quella italiana? "No per carità, sto
parlando di questioni interne, liti di famiglia. Per il resto posso dire che
siamo l'occhio della polizia dentro il campo". Vintila è in Italia dal 1991,
vive a Milano nel campo vicino al cimitero Maggiore che ospita 7-800 persone.
Non è certo uno dell'ultimo flusso dalla Romania. Però si dichiara con grande
orgoglio "cittadino europeo, sono come un francese e un tedesco". Non ha una
casa, ("e come potrei se non ce l'hanno neppure gli italiani") ma ha una ditta
edile e la sua partita Iva. "I miei figli lavorano con me, uno fa il benzinaio,
qualcuno ha trovato casa, in affitto, ma non ha detto di essere rom". Vintila è
per la tolleranza zero:"Servono più controlli e pene rigorose per i genitori che
non mandano i bambini a scuola e li mandano a chiedere l'elemosina. Pene ancora
più dure per gli adulti che rubano. Deve restare qui solo chi rispetta le
regole. Gli altri fuori, altrimenti danneggiano tutti noi che siamo venuti per
lavorare".
Walter, il giostraio - In questo viaggio tra i rom che ce l'hanno fatta,
la storia di Walter Tanoni è forse la anomala - è un sinti italiano, quindi
cittadino italiano - e la più incredibile. E anche la più simile a un vecchio
film. "Ho 38 anni, sono figlio e nipote di giostrai, veniamo dal nord Italia ma
ho sempre vissuto nel Lazio. Mio nonno, per dirne una, lavorava con Moira Orfei
che abitava nella roulotte davanti a noi. Quando ero ragazzino eravano ancora
nomadi, giravamo di paese in paese e la gente ci veniva incontro felice perchè
portavamo la festa, la musica e l'allegria. Avevo una ragazzina in ogni paese e
mia moglie, che è italiana di borgata, è diventata la mamma dei miei quattro
figli anche perché è stata l'unica che ha voluto seguirmi sulla roulotte". Da
quando, nel 1998, è stato abolito il Dipartimento dello Spettacolo viaggiante e
i giostrai hanno perso un interlocutore istituzionale vero e unico: "La nostra
attività sta scomparendo. I giostrai sono sempre meno, restiamo sulle roulotte e
non abbiamo una casa. Sono molto preoccupato". Il problema sono quelli che
ottengono, per mille altri motivi, le licenze per i parchi giochi e simili. "Ci
levano il lavoro e partono troppo avvantaggiati perchè hanno il terreno e i
mezzi" spiega Walter. La sua è una battaglia per la sopravvivenza. Di un favola
e di un sogno, come le giostre. "I giostrai hanno la fama di rapire i bambini?
Guai a generalizzare. Anche i pastori sardi hanno questa fama...". Walter si è
arrangiato così: "Grazie al comitato di quartiere mi hanno affidato un'area
verde in zona Torraccia. Qui ho montato le giostre fisse, tengo pulito e sono un
po' il custode del giardino pubblico della zona. Sono anche l'unico punto di
aggregazione sociale in questa zona". Walter è amico di tutti nel rione. Ma
preferisce non dire che è zingaro di etnia sinti e che vive con la famiglia in
una roulotte a Casal Bertone, un piccolo campo di circa sessanta persone, tutte
italiane. "Dico che sto in una casa popolare. Ho quattro figli dai quindici ai
tre anni che vanno tutti a scuola, perfettamente integrati, bravi, pago le tasse
ma quando chiedo la casa mi dicono che ho solo otto punti. E restiamo nella
roulotte. Non capisco e non so più a chi chiedere". Far vivere il mondo delle
giostre e dei giostrai. La via dell'integrazione dei popoli rom passa anche da
qui.
Da
Roma_Daily_News
http://www.geocitie s.com/romani_ life_society/
Una società per l'avanzamento del popolo Rom in Australia: eventi culturali,
scambio di informazioni con le organizzazioni rom in Europa, USA e Canada,
interazione con i Rom di tutto il mondo, integrazione per i Rom immigrati,
presentazioni del popolo Rom in Australia, newsletter ed incontri sociali.
Info: Yvonne Slee
Da
British_Roma (riassunto)
Le comunità Domari nella Turchia Orientale, sono tra le meno conosciute delle
comunità zingare nel mondo. Largamente assenti dalle ricerche, sono rimaste
"nascoste" alla vista di studenti ed accademici occidentali, sino a ché una
lettera di missionari americani alla fine del XIX secolo descrisse con pochi
dettagli la loro presenza in queste terre. Da allora poco altro è stato
redatto, nei tempi recenti uno studio di Ana Oprisan del 2006, ed ancora la
comunità non solo persiste, ma esibisce una forte auto-identità, mantenendo il
proprio linguaggio e cultura, come pure la propria identità confessionale.
Questa comunità rimane per l'esterno un'entità confusa, oggetto dei medesimi
pregiudizi che circolano sugli Zingari. Etichettati come bugiardi, venali,
ignoranti, i loro quartieri sono visti come posti pericolosi dove avventurarsi,
e questi pregiudizi persistono nell'isolare, marginalizzare ed escludere la gran
maggioranza dei Dom, che rimangono limitati economicamente e socialmente in una
maniera simile a quella delle fasce povere della popolazione o dei migranti. I
Dom nella Turchia Orientale sono il gruppo più marginalizzato ed escluso, quello
verso cui si può agire con impunità. E' frequente la mancanza dei servizi
basici, come l'accesso alla scolarizzazione, sanità ed impiego, e sono comuni
casi di trattamento arbitrario da parte delle autorità statali. Le autorità
locali semplicemente negano la loro esistenza nella diffusa convinzione che i
Dom più che un gruppo etnico siano una sottoclasse criminale nella società turca
nella regione.
La posizione marginalizzata che occupano i Dom è anche quella che inibisce i
rapporti con la crescente consapevolezza Romani, atomizzando i diversi elementi
della società Domari in gruppi disparati, spesso in competizione tra loro per le
risorse limitate o le opportunità di lavoro (nel campo dell'agricoltura, o
fornendo musica per le altre comunità come i Kurdi). Non esistono festival
musicali o versioni audio delle loro musiche e canti e si può dire che i Dom
della Turchia Orientale siano tra i gruppi più invisibili.
Nella città vecchia di Diyarbakir ce ne sono almeno 14.000, molti dei quali
parlano ancora la loro lingua originale. Ci sono altre comunità più piccole in
altre città e villaggi, la maggior parte vive in cattive condizioni. Nella
regione c'è un significativo livello di persecuzioni, abusi e perfino omicidi;
come nel caso dei bambini pastori uccisi nei giorni precedenti a quando i
villici dovevano pagarli, o alle donne Dom sposate a Kurdi, uccise quando è
stata scoperta la loro identità. Particolarmente virulenti i pregiudizi della
comunità kurda nella regione ed inoltre i cambiamenti nelle occupazioni
tradizionali significano che molti dei Dom musicisti non hanno più lavoro di
fronte al rinforzamento della cultura kurda. La zurna (un oboe orientale) e il
davut (il tamburo usato dagli Zingari in Turchia) nelle cerimonie matrimoniali
vengono sostituiti dal sax e dalle canzoni di Ahmed
Kaya, i musicisti Dom ai matrimoni diventano così una memoria del passato.
Impoveriti e senza educazione scolastica, i Dom hanno appena iniziato ad avere
contatti con le altre comunità zingare in Turchia. Molti Rom neanche sanno
dell'esistenza dei Dom, della loro vita di paura e miseria, della loro lingua
che mantiene molti imprestiti con l'tigine Hindu e del loro arrivo in Turchia
200 anni prima dei Rom.
Adrian Marsh, MA -
Researcher in Romani Studies -
University of Greenwich
Originally published in Swedish in 'É Romani Glinda', February 2007.
More information from domaristudies@mac.com.
sui
Dom in Medio Oriente
In allegato Messaggio di Etem Dzevat per la giornata Internazionale Rom e
Sinti 2007.
Saluti e abbracci di Buona Pasqua a tutti.
Agostino Rota Martir
L’8 Aprile 1971 a Londra si è formata la “Romani Union International”,
conosciuta dall’ONU come Organizzazione non Governativa (ONG) attivata per i
diritti dei Rom.
Ora partecipa attivamente al Parlamento Europeo e alla Corte d’Europa.
Ma parliamo per Pisa.
A Pisa l’8Aprile è festeggiata la prima volta il 1998, gli iniziatori è il
Comitato del campo Nomadi di Coltano…in tale occasione esisteva la Cooperativa
con “esperti Rom” che prendeva le “risorse per cultura e Feste Rom” e nemmeno
sapevano che cosa è l’8 Aprile e non sono venuti alla festa, magari invitati…
Sono tre anni 2005-’06-’07 come 8 Aprile passa senza festeggiarlo con musica,
teatro e cibo ma solo con una lettera mandata alle Istituzioni, al
Tirreno…magari a Canale 50 e Granducato si manda la stessa lettera, ma loro non
hanno informato mai.
Il 2005 muore il “nostro Papa Wojtila” e per il lutto noi Rom piangendo
festeggiamo l’8 Aprile.
Il 2006 gli Italiani vanno alle urne, non era il momento per festa.
Comunque abbiamo festeggiato l’arrivo del governo Prodi, da cui noi Rom
aspettiamo grandi cambiamenti.
Uno di questi è il riconoscimento come minoranza linguistica-culturale dei Sinti
(cittadini Italiani) e Rom e possibilità per gli stranieri dopo cinque anni in
regola con il Permesso di Soggiorno di avere cittadinanza Italiana.
2007, l’8 Aprile è Pasqua: già ci sono Rom cattolici e ortodossi che festeggiano
la Pasqua e per questo motivo si rimanda a Maggio, Giugno quando si farà (con
l’aiuto di Dio e il patrocinio del Comune di Pisa) un giorno della
“Presentazione Cultura Romanì”.
Sottolineando che noi Rom non abbiamo terra-madre, essendo assoluti pacifisti,
mai accusatori, sempre accusati, sterminati.
Seconda Guerra Mondiale, la Guerra Balcanica…sempre mandati in esodo dalle
nostre case (Kosovo, Bosnia, Macedonia), non avendo nessuna accoglienza al
nostro arrivo, un popolo sul quale esiste il più grande pregiudizio,
discriminazione.
Tutti gli sbagli degli “esperti Rom” si paga noi “zingari e nomadi” sulla nostra
pelle.
Sempre sulle nostre spalle cade su portamento delle difficoltà ad arrivare alle
“pari opportunità” e sognata “dignità”.
Da cittadini che abitavano a case, andavano al lavoro, a scuola, benissimo
convivevano prima della guerra, arrivando in Italia siamo persi nostra identità
di persone, esseri umani e siamo diventati pericolosi, furbi, ladri, nomadi,
zingari.
Sono uno dei pochi Rom intelectuali presenti in Pisa e Toscana e partecipo come
legale presentante di A.C.E.R. al programma “Le città sottili”, finanziata dal
Comune di Pisa e Regione Toscana.
Anno 2001-2002 si è svolto il “censimento” dei Rom a Pisa per il progetto…alcuni
Rom sono andati a cercare futuro in altri paesi, sentendo delle possibilità
ritornano e gli esperti Rom parte di loro li fanno entrare e alcuni no.
In seguito negli anni passati, sapendo di possibilità i Rom facevano venire al
“banchetto” dei suoi famigliari.
E ora? Mandarli via in Macedonia dove li aspetta condanna per non partecipazione
alla “ guerra civile” tra Macedoni e Albanesi.
Macedonia è circondata. Grecia serve visto, Bulgaria serve il visto. La Serbia
non da ingresso per i “Cigani” senza corruzione, almeno 1.000 Euro per persona.
Albania, Kosovo non puoi, nemmeno in sogno.
Per i “Magupi” niente ingresso, solo uscita! E’ un collasso economico e i
territori ancora sotto controllo di U.C.K.
Macedonia, “Oasi di Pace”, in Kosovo le case dei Rom rimaste non bombardate da
aerei NATO partiti da Aviano (Italia), bruciate da U.C.K., come il quartier Rom
Mitrovica. Dove spedirli? Gli Albanesi vogliono Kosovo etnicamente pulito.
80% di Rom Bosniaci presenti a Pisa sono nati qui in Italia, nemmeno sanno
parlare Bosniaco e in quale enclave si mandano? Croata, non li riconosce,
Mussulmana non sono praticanti di Islam, Serbi? Non li vogliono.
Con tutte queste situazioni tante volte volevo dimissionarmi da Presidente dell’A.C.E.R.
Ma grazie a Dio che abbiamo l’assessore Sanità sociale, come Carlo Macaluso.
Tanti erano “d’accordissimo” per progetto, ma dopo gli stessi mettevano il
bastone tra le ruote, lui è rimasto dell’idea di fare il possibile e meglio per
risolvere il nostro problema. Lavoravo come accompagnatore bimbi a scuola-bus e
da 10 mesi ho lasciato per protesta. La legge dice che ogni bimbo che va a
scuola, l’ACER si è impegnata e tanti bimbi ora regolarmente frequentano la
scuola, lasciando il semaforo dove chiedevano l’elemosina ed erano meta di
“affidamento” degli assistenti sociali.
Magari si dice: “Attento bimbo mio, stai buono italiano, se no ti lascio rubare
dagli zingari”.
Ma sono gli Italiani che rubano i bimbi Rom con legge “affidamento”, per
arrivare alla donazione.
Non c’era posto per i “fuori progetto bimbi Rom” nel pulmino comunale.
Non c’è altri soldi comprare altri pulmini, e alcuni bimbi sono rimasti fuori
scuola ed io “fuori lavoro”.
Ma io devo rimanere lì dentro il progetto, magari mi buttano dalla porta,
entrerò dalla finestra, cercando che il progetto va avanti.
Si prevede villaggio Rom al posto di Campo nomadi, regolarizzazione con il
Permesso Soggiorno, lavoro, possibilità di fare “extra censimento” con aiuto
della Regione e dello Stato Italiano.
Noi Rom presenti a Pisa vogliamo integrarci in società italiana, riprendere la
nostra identità di gente normale.
Ma siete voi, Istituzioni, cittadini che dovete darci la possibilità di
integrarci.
Il cattivo gesto è quello che tantissimi sono approfittato e buttata la sua
spazzatura alla strada in via Idrovora, alcuni lasciando il segno di imprese e
ora tutta la colpa si vuole buttare su nostre spalle.
Spero nei vostri gesti umani e nella possibilità di convivere davvero in pace,
con dignità e pari opportunità, rispettando la legge, portando nostra cultura,
lingua madre, tradizioni alla vostra conoscenza.
Auguri il 8 Aprile 2007
BASTALO 8 April 2007
Per questo scritto prendo ogni responsabilità legale e morale.
Etem Dzevat
Presidente A.C.E.R. Pisa
Karaula Mir - Migrazioni Resistenze
5 aprile 2007
Milka ha 85 anni. Ieri, al campo nomadi di Testaccio, il Campo Boario,
davanti al balletto dei vigili urbani, davanti ai gipponi e alle volanti della
polizia venuti per sgomberare novanta famiglie, per ripulire dal disordine e
dare spazio al decoro urbano, si è sentita male. L'hanno portata in ospedale
per consolarla di aver perso l'ultima casa, per rincuorarla di non avere più un
posto dove andare. Anche Bogdan è vecchio, vecchio di tutti gli anni
attraversati al margine, lasciati al confino insieme alla sua gente, i
Kaldarascia, Rom italiani, zingari se preferite; ma Bogdan è anche vecchio di
persecuzioni e genocidi ormai ben riposti al caldo della nostra coscienza,
perché Noi non siamo nazisti e sopra ogni cosa Noi non siamo razzisti.
continua
Da Roma_Daily_News
Percezioni di identità - I Luli a Samarcanda - Posted by Ben | in Human Rights, Religion, Culture | on March 29th, 2007
Nafisa Hasanova (22 anni, Uzbeka) ama sfidare i tabù: lei visita i Luli, Rrom dell'Asia Centrale, la cui comunità è stata marginalizzata nella sua città di Samarcanda. D'altra parte, per tragica ironia, gli stessi Luli hanno una percezione distorta della loro identità e sono sull'orlo della perdita di una tradizione di secoli. Se la comunicazione all'interno della loro comunità e con la più vasta società attorno non migliora, dice Nafisa, il futuro è squallido.
I Luli in Uzbekistan: Una comunità poco conosciuta
Il popolo Rrom è meglio conosciuto in Occidente come Zingari, un termine che i Rrom non userebbero mai per descrivere loro stessi, ma che è stato imposto dall'esterno. Il termine ha molte connotazioni: persecuzione, marginalizzazione e discriminazione. La gente associa Zingaro con uno stile di vita itinerante di furti, piuttosto che con l'etnicità. Per esempio, in inglese esiste un verbo derivato dal sostantivo Gypsy, to gyp, che significa imbrogliare. Così la persona imbrogliata è gypped e chi imbroglia è Gypsy - interessante dimostrazione di come il linguaggio stesso può raccontarci il ruolo sociale e gli stigma dei Rrom nella cultura occidentale.
Nell'Asia Centrale, i Rrom sono conosciuti come Jughi, Multani o Luli. Loro si autodefiniscono Mugat (Mughat), che significa adoratori del fuoco, e Ghurbat, che significa soli o poveri. Tutte queste parole sono derivate dall'arabo. "Parte dei Rrom arrivarono nell'Asia Centrale dalla città di Multan, che oggi è nel Pakistan. E' per questo che a volte sono chiamati Multani: quelli che vennero da Multan," mi spiega il Dr. Khol Nazarov, un professore Luli. Gli antenati dei Rrom dell'Asia Centrale appartenevano ad una casta di cantanti, musicisti e ballerini. Di fronte alle fatiche nella loro patria, furono forzati a partire e dispersi in tutto il mondo. Una piccola comunità di Rrom si stabilì in Uzbekistan, dove vivono tuttora, conosciuti come Luli, nella città di Samarcanda.
A causa del loro stile di nomadico, i Rrom hanno sempre incontrato la diffidenza dei loro vicini meno mobili. Come in Occidente, sono largamente ritenuti mendicanti, ladri e criminali, incapaci di fermarsi. D'altra parte, la situazione in Uzbekistan è lievemente diversa dalle comunità Rrom nei paesi occidentali. Durante l'era Sovietica, la situazione materiale della maggior parte dei Rrom era relativamente buona. Grazie al lavoro garantito, alla casa e ad altri servizi sociali, i Rrom erano meno svantaggiati di quanto lo siano oggi. Allo stesso tempo, d'altra parte, le autorità sovietiche esercitavano una grande pressione perché i Rrom si assimilassero. L'uso in pubblico della lingua rrom era proibito. Poi venne il collasso dell'Unione Sovietica. Il susseguente malfunzionamento dell'economia non poté più fornire lavoro per i Rrom; lievitarono, soprattutto tra i Rrom i tassi di disoccupazione. La marginalizzazione crebbe peggio: deprivati dei mezzi di sussistenza, i Rrom ricominciarono a mendicare per sopravvivere - e a casa delle politiche culturali sovietiche, il loro senso di identità era stato severamente scosso.
Le durezze sperimentate dai Rrom Uzbeki hanno attirato l'attenzione degli attivisti dei diritti umani di Samarcanda, che dicono che le autorità dovrebbero fare di più per la comunità Luli. "Al momento, non hanno neppure un centro culturale nazionale," dice Komil Ashurov, del Centro Diritti Umani di Samarcanda. Mentre le altre minoranze hanno propri centri culturali nazionali, "Сохнут" per gli Ebrei o "Русь" per i Russi, i Luli mancano di un forum ufficiale per preservare il loro patrimonio culturale.
Rompendo il silenzio: una visita alla comunità Luli
L'idea di fare una ricerca sui Luli apparve strana a molti, incluso la mia famiglia e amici, in particolare a mia madre. Erano preoccupati perché la consideravano un'impresa pericolosa. Le cose poterono solo peggiorare quando divenne chiaro che intendevo visitare la loro comunità per parlare con loro e vedere dove e come vivevano.
Non ci si può immaginare quali ostacoli ho dovuto superare per raggiungere la "terra dei Luli."
Erano completamente sfiduciati sui non-Luli, che avevano assorbito stereotipi secolari sulla loro comunità. Non aiutava il fatto che i Luli vivessero in comunità separate chiamate jughihona, cosa che li rende apparire estremamente pericolosi e segregati. E' per questo che nessuno poteva immaginare che io andassi lì da sola. La prima volta mi recai lì accompagnata da Maite Ojeda, il mio supervisore, avevo concordato con uno dei Luli intervistati di incontrarci prima e poi girare per la jughihona. All'ultimo momento l'intervistato rifiutò di accompagnarci, dicendo che aveva paura che potesse succederci qualcosa perché, "Gli uomini Luli sono pericolosi." Ero scioccata: qui era un componente della comunità che assumeva il punto di vista maggioritario sui Luli.
Due altre donne tentarono di convincerci a non andare. Nonostante tutto, salimmo sul minibus e guidammo verso la jughihona. L'ostacolo seguente fu il guidatore, che rifiutò di portarci là perché "non era sicuro." Promise si aspettarci.
Tutte le trepidazioni ci facevano temere il peggio, ma la nostra esperienza fu esattamente all'opposto: la gente della comunità Luli era estremamente amichevole! Così, si ruppe il primo stereotipo. Non mi sembravano più pericolosi o aggressivi. Così potei passare al lavoro che volevo compiere, trovare cosa i Luli sapevano di loro stessi.
L'auto-percezione dei Luli
Intervistai sedici Luli, sette dei quali, tutte donne tra i 13 e 35 anni, confessarono di ignorare la storia del loro popolo. Gli altri, tra i 30 e 55 anni, affermarono che i Luli erano originari dell'India. Quanti furono in grado di darmi più dettagli furono maschi scolarizzati di oltre 40 anni. Come si può vedere, quasi la metà degli intervistati non aveva niente da raccontare ai propri figli sulle loro origini. Ciò che mette più paura è che questa ignoranza è prevalente tra i più giovani. Quando chiesi come le informazioni sulle peculiarità culturali passavano di generazione in generazione, un uomo, un macchinista, disse, "Non passano. I nostri nonni ci raccontavano le storie, che ora sono solo nella nostra memoria. E noi non ne parliamo ai nostri figli. Non ne sanno nulla. Sparite."
Quando ho chiesto sulla loro occupazione, la maggior parte dei Luli ha risposto "quidirish" o "talbidan". La parola quidirish, che ha origine dalla lingua uzbeka, significa "cercare", "viaggiare" o "visitare" (relativamente agli amici), mentre la parola talbidan (o talabidan) significa "invitare", "cercare" o "chiedere" ed è originaria del persiano. Così, i Luli non dicono di mendicare, ma di chiedere - ricordo una risposta, "Noi chiediamo, ma la gente ci chiama mendicanti, e questo è insultante. Perché noi ci limitiamo a chiedere."
I Tagichi e gli Uzbechi chiamano "gadoy" i Luli, mentre i Russi li chiamano "poproshayka." La parola gadoy significa "povero" o "mendicante," che implica un modo di vita parassitario. Anche la parola poproshayka significa povero, ma anche "mendicante", in tono dispregiativo. E' naturale, da fuori il punto di vista è molto negativo sull'occupazione dei Luli, sono visti come semplici mendicanti, sanguisughe della società. Tutto ciò è in linea con l'attitudine mondiale verso i Rrom. D'altra parte, la domanda rimane senza risposta se questo stile di vita dei Luli di Samarcanda deriva dalla tradizione o dalla necessità.
Mendicare: Tradizione o Bisogno?
Perché mendicano? Per rispondere, mi sono rivolta prima alla società maggioritaria chiedendo di scegliere un nome che potesse descrivere chi/cosa sono i Luli. Nove su 35 hanno risposto su cosa sono; il resto li ha paragonati a "creature selvagge", "bestie", "la vera peste della popolazione." La maggioranza ritiene che il mendicare sia un'abitudine, una tradizione per i Luli. Inoltre, la maggioranza della popolazione intende la parola Luli come sinonimo di mendicare, molti non sanno che i Luli formano un gruppo etnico, [...] Gli intervistati non vedono connessione tra i Luli ed i Rrom europei e russi. Di conseguenza, si fanno delle correlazioni con i Luli che sono molto differenti da come le associazioni occidentali fanno con gli "Zingari." Per esempio: "Un Luli è un mendicante, mentre Tzigano è una nazionalità," mi ha detto un giovane di 23 anni. "Tzigano è una nazionalità, danzano, cantano e guadagnano soldi. Sono più civilizzati; li rispetto. Ma i Luli sono mendicanti, che non lavorano, tutto quello che fanno è mendicare". Il termine tzigano è attualmente il nome comune dell'Est Europa per i Rrom (identico all'ungherese czigany, al russo zigan, il tedesco zigeneur sino all'italiano zingari) che si infiltrarono nella regione dell'Asia Centrale nell'era sovietica.
Soltanto due dei 23 intervistati credono che il mendicare dei Luli sia il risultato dello sviluppo socioeconomico: "Sono cresciuti vedendolo ed assorbendolo. Ci sono abituati," dice una giovane Uzbeca di 20 anni. Altre due persone pensano che il mendicare sia una necessità. Così, la maggioranza degli intervistati credono che per i Luli mendicare sia un modo di vita.
Cosa dicono i Luli sulle ragioni del loro mendicare? Sette dei 17 intervistati ritengono sia una tradizione, e gli altri 10 una necessità.
Intervistando i Luli si scontrano due contraddizioni percettive:
Prima, quando si intervistano uomini scolarizzati l'immagine è chiara: mendicare non è affatto una tradizione. Ho forti argomenti su questo. Per esempio: "I nostri antenati erano cantanti e danzatori. Questa è la nostra tradizione," spiega un uomo Luli di 50 anni. Sua moglie, invece, dice che il mendicare è una tradizione abbandonata dagli antenati, e che la gente lo fa senza riguardo all'età o allo stato finanziario. Questa contraddizione in prospettiva di una famiglia Luli è scioccante, ma ho trovato questa divisione estesa a tutta la comunità.
Ora, viene la seconda contraddizione: quando si chiede esattamente cosa vorrebbero per il loro popolo se avessero il potere di cambiare le cose, i Luli che pensano che il mendicare sia un'occupazione tradizionale, rispondono che darebbero lavoro a tutti, per non essere costretti all'accattonaggio per strada. La stessa donna che affermava che il suo popolo ha una tradizione nel mendicare, dice, "Se ci fosse il lavoro, nessuno mendicherebbe, questo è sicuro. Noi mendichiamo perché dobbiamo mangiare. Mi piacerebbe lavorare e non mendicare per le strade." La storia sembra darle ragione: durante il periodo sovietico c'era meno gente, Luli e no, a mendicare per strada, molti di loro lavoravano nelle fabbriche e nelle fattorie.
Quindi, l'accattonaggio non è una tradizione Luli. ...Alla fine non nel senso della tradizione come psicologia culturale, ho trovato che i Luli hanno il proprio metodo tradizionale per risolvere i problemi finanziari. Quando tra i non-Luli ci sono difficoltà finanziarie, prima vendono le loro proprietà, poi chiedono denaro in prestito, e solo di fronte a privazioni senza via d'uscita si decidono a mendicare. Nel caso dei Luli è comune vedere chi soffre delle difficoltà mendicando, mentre nel contempo mantengono il televisore o la macchina che altri avrebbero già venduti.
Stereotipando i Luli
C'è un altro stereotipo che riguarda i riti matrimoniali. Da fuori si crede che la futura sposa giuri di provvedere alla famiglia, nutrire il marito, e che le si dia un bastone ed un sacco, che sono il simbolo del matrimonio. Quando ho chiesto ai Luli su questa tradizione, mi hanno detto che è un assurdo pettegolezzo. Poi ho visto un video delle loro cerimonie matrimoniali, mi sono sorpresa vedendo che i loro matrimoni sono in tutto simili a quelli degli Uzbechi e dei Tagichi, eccetto l'assenza delle cerimonie di registrazione. Ho controllato con il locale Mullah per essere certa - se esistesse davvero una tradizione matrimoniale come comunemente si creda - e lui mi ha risposto, "Sono già 15 anni che lavoro in questo posto, ma non ho mai potuto testimoniare niente del genere."
Da fuori si pensa anche che i Luli abbiano un'altra religione, come il buddismo o non abbiano del tutto una religione. In realtà tutti i Luli sono musulmani. Durante i loro matrimoni, la sposa e lo sposo sono portati due volte alla moschea locale, invece che all'ufficio addetto alle registrazioni. Ci sono regole rigide su come la donna dev'essere vestita, come il foulard, i vestiti lunghi, ecc. e sono tutte regole strettamente islamiche. Uno degli stereotipi prevalenti sui Luli è che abbiano un loro specifico punto di vista che influenza il loro stile di vita. Una nozione comune è che siano misteriosi e amanti della libertà, al punto di resistere a tutte le autorità, siano benigne o meno. A me sono apparsi estremamente realistici ed amanti della libertà come qualsiasi altra persona. Quando ho chiesto loro di cosa avrebbero avuto bisogno per essere felici, nessuno mi ha risposto di volere maggior libertà o di voler viaggiare. Al contrario, i loro bisogni erano molto terreni: avere una casa, un lavoro, una sposa da amare e bambini felici.
C'è bisogno di miglior comprensione da ambo le parti.
Quando partii con la mia ricerca sui Luli di Samarcanda, avevo la mia schiera di pareri sulla loro comunità. Questi pareri sono stati messi in discussione, e questo è bene. L'unica cosa che posso sicuramente aggiungere è che la situazione dei Luli è un tema molto vasto che necessità di ulteriori ricerche e testimonianze. Posso aggiungere che la mancanza di informazione sulla società Luli si risolve in stereotipi senza base e alimenta un'intolleranza distruttrice. Questo rende impossibile l'integrazione tra le due comunità, Luli e no.
La mancanza di un'accurata autopercezione tra gli stessi Luli li rende incapaci di difendersi contro le discriminazioni, [...] Per di più, li mantiene in povertà, esclusi dalla società e contribuisce alla loro sparizione come minoranza nazionale.
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