Di Fabrizio (del 25/12/2009 @ 09:36:28, in Europa, visitato 2041 volte)
Visto la giornata, auguri a tutti i lettori, mentre riprendo
questo appello da
Roma_Francais
Che il 2010 sia un anno pieno di salute, di felicità e di prosperità per
tutti, Rrom et Gadjé assieme!
Babbo Natale, se esisti, manifestati!
donando forza e coraggio a tutti quanti si battono ogni giorno per un
avvenire migliore;
donando forza e coraggio a tutti i Rrom e tutti i Gadjé, a cui si rende
dura la vita tramite un arsenale di leggi, decreti, circolari, pratiche
amministrative e poliziesche;
donando forza e coraggio soprattutto a chi non ha documenti e diritti,
come i Rrom accampati nei "villaggi d'inserimento" o nelle "aree di
accoglienza";
donando forza e coraggio ai politici perché facciano vera politica e non
populismo a buon mercato;
bloccando gli sforzi di tutti quanti cercano di mantenere in uno stato
d'oggetto e di materia prima degli esseri umani, che si tratti di dittatori,
di cacicchi, di trafficanti di persone, o di "anime buone" in male di
conversazione dopo la decolonizzazione formale.
Ecco un rapido giro di regali che tutti hanno diritto a ricevere da Babbo
Natale!
Association "La voix des Rroms" 50, rue des Tournelles
75003 PARIS
tél. & fax: 01.80.60.06. 58
http://www.lavoixdesrroms.org
Giovedì 17 dicembre alle 8.30 all’Osservatorio riceviamo una chiamata da
parte di una donna: “Un’ora fa sono venuti i vigili a casa mia, hanno detto che
devo dare le mie generalità perché stanno facendo un censimento per i rom e
per i sinti. Cosa devo fare? Perché ci stanno facendo questo? Siamo tutti
cittadini italiani, se vogliono fare un censimento possono andare in Comune e
chiedere lì tutte le informazioni”.
La signora vive nel Veneto da sempre, in un terreno privato di sua
proprietà, in una casa mobile, con suo marito e i suoi tre bambini, sono sinti,
cittadini italiani. Nel terreno privato ci sono altri cinque nuclei famigliari,
anche loro sinti, anche loro cittadini, anche loro proprietari della loro terra.
La signora ci dice di non aver valuto fornire le sue generalità perché i
vigili sono entrati nella sua proprietà privata senza autorizzazione e che vuole
sentire il suo legale. Mentre erano lì, la figlia più grande si stava
preparando. I vigili stupiti hanno chiesto alla madre se la bambina andasse a
scuola; lei meravigliata della domanda ha risposto ovviamente di sì e,
raccontandocelo, aggiunge: “Per chi ci hanno presi?”.
I vigili a quel punto se ne sono andati dicendo che sarebbero tornati con
un’ordinanza e che a quel punto lei si sarebbe dovuta recare in comando per
fornire i propri dati.
Era molto scossa: “Oggi mi sono sentita violata, umiliata, sono indignata nel
profondo, mi sono sentita in un lager, ho detto loro che mi stavano mettendo un
marchio, ho chiesto se a loro avrebbe fatto piacere camminare con una lettera
scarlatta. Volevano i dati dei miei bambini. Non riesco a capire il perché,
visto che siamo cittadini italiani”.
Non è nemmeno passata un’ora e i vigili si sono ripresentati per chiedere
nuovamente documenti e informazioni sue, di suo marito e dei sui figli, senza
presentare alcun provvedimento; lei inizialmente si è opposta poi, temendo di
peggiorare la situazione, ha ceduto. Non si sono limitati a chiedere le
generalità, hanno preso il numero di targa delle autovetture parcheggiate e di
fronte alla sua richiesta di motivazioni i vigili hanno risposto che stavano
conducendo l’operazione per contrastare eventuali casi di tratta dei minori. A
quel punto la signora ha alzato il braccio, suggerendo di fare un esame del DNA,
aggiungendo che in questo modo sarebbero stati certi della sua maternità. Loro
l’hanno rassicurata sottolineando che poteva stare tranquilla e serena perché
non avevano l’intenzione di fotografarli.
Questa operazione di censimento non è un fatto nuovo; a tal proposito vorremmo
riproporre un’intervista rilasciata al quotidiano di Verona (l’Arena) il 6 marzo
scorso da Don Francesco Cipriani che da anni vive con la comunità rom del
cosiddetto “campo” di Strada La Rizza a Verona. Il titolo è: «Mi pare di
tornare ai campi di internamento».
«Siamo tutti cittadini italiani, siamo residenti a Verona, siamo da vent’anni in
questo posto e non capisco perché devono controllare in questo modo».
Suona indignata la voce di don Francesco Cipriani, dal 1972 incaricato diocesano
per l’assistenza e la pastorale tra i rom e i sinti. «Mi sembra che siamo
tornati agli inizi dei campi di concentramento. Mi pare purtroppo che sia
così...». Anche don Cipriani, assieme a un’altra esponente della comunità che da
anni vive dentro il campo di strada La Rizza 65, Forte Azzano a Verona, è stato
fotografato di fronte e di profilo, con nome, cognome e dati anagrafici. «Io
avevo il numero 40 ed Elisabetta Adami il 41», riferisce. «Faccio una
riflessione da cittadino, quale sono e quali siamo tutti qui al campo: questo
non succederebbe in un quartiere normale, non succederebbe in un condominio o in
un’area di casette a schiera. Mi pare quindi che ci sia discriminazione. Bastava
che andassero in Circoscrizione per avere tutti i nostri nomi. Qui nessuno è
abusivo. Questa operazione ci ha sorpresi», conclude, «e preoccupati perché si
avvicinano tempi brutti. Alcuni dei più anziani sono stati internati a Tossicia,
nei campi di concentramento fascisti, e temono di rivivere quelle esperienze».
L’ARENA Venerdì 06 Marzo 2009
Le operazioni di censimento, o meglio di schedatura su base etnica, dei
cittadini rom e sinti in Veneto sono iniziate già il 5 marzo 2009. Le
testimonianze raccolte da diverse associazioni per la tutela dei diritti di rom
e sinti hanno dimostrato che le modalità operative si sono diversificate da
città e città.
Le testimonianze di quello che è avvenuto a Verona sono veramente
inquietanti.
Si pensava che il possesso di carta di identità, e quindi il riconoscimento
della cittadinanza italiana tramite l’iscrizione nei registri anagrafici locali,
preservasse chiunque dal subire metodi di identificazione così lesivi della
dignità personale. Evidentemente ci si sbagliava.
Il 21 maggio 2008 con un decreto legge del Presidente del Consiglio dei
Ministri, che non ha precedenti nel secondo dopoguerra e il cui titolo recita:
Dichiarazione dello stato di emergenza in relazione agli insediamenti delle
comunità nomadi nelle regioni di Campania, Lazio e Lombardia. (estesa al
territorio delle regioni Piemonte e Veneto, fino al 31 dicembre 2010.) indica la
presenza di rom e sinti in queste zone come causa del grande allarme sociale
dovuto alla concreta possibilità di gravi ripercussioni in termini di ordine
pubblico e di sicurezza: il Governo italiano ha proclamato lo stato di emergenza
adottando nelle regioni indicate delle ordinanze applicative.
Per affrontare il “problema” sono stati conferiti a funzionari dello stato e
degli organi locali poteri straordinari, concepibili solo in casi di gravi
calamità naturali. In teoria il censimento dovrebbe riguardare solo i cosiddetti “campi nomadi”
autorizzati e non; in realtà di recente ci è giunta un’altra segnalazione da
parte di altri appartenenti alla comunità sinta che vivono in Veneto, i quali ci
hanno comunicato di essere stati censiti pur vivendo in una casa in muratura
in un terreno privato edificabile. I testimoni di tali violazioni
istituzionali ci hanno chiamato sabato 19 dicembre dicendoci che i vigili
volevano effettuare il censimento la domenica mattina, senza considerare il
giorno festivo comune a tutti i cittadini.
Le persone non hanno accettato e il censimento è stato effettuato il lunedì;
sono state chieste le generalità, informazioni sui minori e numero di targa
delle autovetture presenti nel terreno privato.
Sembra assurdo: il 16 dicembre a Montecitorio si celebrava il 71° anniversario
della promulgazione delle leggi razziali ed antiebraiche, “L’internamento dei
rom e dei sinti in Italia dal 1940 al 1943”, le testimonianze che ci sono
pervenute sollevano in noi interrogativi forti sulla discrepanza tra questa
importante iniziativa e la realtà.
Di fronte all’esistenza di queste politiche istituzionali discriminanti che
portano all’adozione di metodi di identificazione lesivi della dignità umana
proviamo un senso di impotenza e la paura che tutto questo sia visto e vissuto
dagli altri, e dalle stesse minoranze, come qualcosa di normale; dispiace dirlo,
ma riteniamo a questo punto che la memoria non sia sufficiente. Abbiamo un
desiderio e speriamo si avveri: che un giorno in Italia si possa avvertire un
sentimento di vergogna e di indignazione, come quello che ancora ci assale al
ricordo delle schedature e delle testimonianze di tanti anni fa!
Sarajevo, 22/12/2009 - Martedì la Corte Europea per i Diritti Umani dice che la
costituzione della Bosnia discrimina gli Ebrei e i Rom, perché non permette loro
di essere eletti in parlamento o come presidente.
Il tribunale ha detto che la Bosnia ha discriminato due persone, dato che
permette solo a Bosniaci, Serbi e Croati di concorrere per quelle cariche.
La decisione vincolante è stata emessa dalla corte a Strasburgo, Francia,
dopo che l'attivista ebreo Jakob Finci e Dervo Sejdic, che è di etnia rom,
avevano fatto ricorso a giugno. La corte ha detto che Finci ha presentato una
lettera della commissione elettorale bosniaca, che asseriva che lui era
ineleggibile alla presidenza o al parlamento perché era Ebreo.
La costituzione della Bosnia è stata scritta dai negoziatori di pace a Dayton,
Ohio, in fretta e furia per terminare la guerra del 1992-95 e contiene molte
irregolarità come questa.
Sono in corso trattative mediate internazionalmente per cambiare la
costituzione e dare al paese una possibilità di unirsi all'Unione Europea, ma i
progressi si sono fermati.
Ad ottobre, i funzionari USA ed UE avevano proposto una nuova bozza ai leader
bosniaci, che affrontava questo tema assieme ad altri, ma i cambi proposti sono
stati visti come troppo drastici dai Serbi Bosniaci e di minore importanza dai
Bosniaci musulmani e dai Croati cattolici.
Il Partito per la Bosnia-Erzegovina, uno dei principali partiti che perora
l'abolizione della divisione etnica nel paese e l'adozione di parametri UE, ha
bene accolto il pronunciamento. "Finalmente è stata confermata la natura
discriminatoria delle soluzioni di Dayton," dice, richiedendo il cambio della
Costituzione.
Finci ha detto di essere "lieto che la Corte Europea ha riconosciuto il torto
compiuto nella Costituzione 14 anni fa," e preme anche i politici "perché
raddrizzino rapidamente i torti nella Costituzione."
Una dichiarazione dei due co-consiglieri sul caso dichiara che la decisione
rappresenta un passo avanti della lotta europea contro la discriminazione ed i
conflitti etnici.
"Questa decisione afferma che la dominazione etnica non ha nessun ruolo in
una democrazia," ha detto il co-consigliere Sheri P. Rosenberg.
Clive Baldwin, assistente legale anziano presso Human Rights Watch ed anche
co-consigliere, ha detto "USA, UE e gli altri stati che tuttora giocano un ruolo
importante nella Bosnia, devono assicurare che la decisione abbia effetto
immediato con un cambio nella costituzione."
Di Fabrizio (del 23/12/2009 @ 13:46:29, in Kumpanija, visitato 2222 volte)
Due messaggi, il primo da:
ChiAmaMilano.it BUON NATALE… Ad un mese di distanza dallo sgombero del campo rom di via Rubattino
Buon Natale a chi ama questa città e a chi potrebbe amarla di più. Buon Natale a
tutti quelli che si impegnano per renderla migliore e a coloro che dovrebbero
impegnarsi un po’ di più.
Buon Natale a coloro che pensano che Milano non sia una somma di spazi privati
da difendere attraverso le politiche del panico ma anche a quelli che, magari,
con il nuovo anno smetteranno di pensarlo.
Buon Natale soprattutto ai bimbi rom che fino a poco più di un mese fa erano
accampati con le proprie famiglie in via Rubattino. Andavano a scuola e, grazie
ai tanti sforzi di insegnanti, delle associazioni di volontariato, delle
famiglie dei loro compagni italiani, avevano iniziato un percorso di inserimento
che stava dando frutti positivi.
Ai primi di novembre, quando si attendeva lo sgombero a giorni, una delle
maestre della scuola di via Feltre, Flaviana Robbiati, aveva scritto al Sindaco,
al Prefetto e all’Assessore alle politiche sociali e alla famiglia descrivendo
come grazie alla “collaborazione tra istituto, volontari della comunità di S.
Egidio, Padri Somaschi e parrocchie, sono stati avviati percorsi di
integrazione, primo fra tutti quello di scolarizzazione dei bambini”. La maestra
chiedeva alle Istituzioni un impegno per evitare la “cessazione della
possibilità di frequentare i nostri istituti e evitare di andare in altre
scuole, ove tutto il percorso didattico e di integrazione andrebbe ricostruito”.
Lo sgombero, privo di soluzione organizzative, non avrebbe consentito la
prosecuzione delle iniziative di integrazione, quei primi passi necessari che
possono spezzare il circolo vizioso che costringe i rom a quella marginalità
sempre sul crinale tra condizioni di degrado e violazione della legge.
Alle 7.40 del 19 novembre 2009 Polizia, Carabinieri e Vigili urbani hanno
provveduto allo sgombero di circa 300 persone, tra le quali almeno 80 bambini.
Ironia della sorte, mentre si distruggeva la baraccopoli l’Assessore alla
politiche sociali, Mariolina Moioli, festeggiava nell’Aula Consiliare di Palazzo
Marino la XX Giornata internazionale dei diritti dell’infanzia.
Incurante della mobilitazione dei volontari, degli insegnanti e dei compagni di
scuola dei piccoli rom (questi sono alcuni temi scritti dai compagni italiani
dei bimbi sgomberati) il Comune ancora una volta procedeva manu militari senza
proporre soluzioni che preservassero un percorso di integrazione che occupandosi
dei bambini coinvolgeva le famiglie.
A sgombero avvenuto solo a cinque donne con figli è stata data l’opportunità di
andare in una comunità (tre a Monza, due a Milano). Ad altre quaranta donne che
hanno fatto richiesta, per iscritto, al Comune è stato detto che potevano essere
accolti solo bimbi fino a sette anni; dagli otto in su i figli sarebbero stati
allontanati dalla madre e messi in comunità da soli.
Naturalmente, si fa per dire, uomini e donne sono stati separati. 67 adulti
maschi hanno fatto richiesta per usufruire delle strutture dell’accoglienza
freddo. è stato detto loro di andare in stazione centrale, fare richiesta e
mettersi in lista di attesa.
Moltissime coppie di genitori non hanno accettato di separarsi e nessuna mamma,
anche di quelle che avrebbero acconsentito a separarsi dal marito ha accettato,
però, di separarsi dai bimbi con più di sette anni.
Alla fine della giornata: sette madri sono andate in viale Ortles nel dormitorio
comunale, quattordici in altre strutture religiose.
Per altre sedici donne che il Comune non prendeva in considerazione si trovano
sei posti presso la Parrocchia di S. Elena in zona San Siro, le altre dieci
vengono ospitate alla Casa della Carità di Don Colmegna.
La gran parte delle famiglie, tranne le poche tornate in Romania, sono tutt’oggi
per strada: i nuclei familiari più consistenti che non si sono voluti separare
si sono accampati nelle vicinanze di viale Forlanini, di Segrate, di Corsico e
della Bovisa.
Ad un mese di distanza, solo dodici bambini rom continuano a frequentare, con
grande fatica a causa della distanza, gli istituti scolastici di via Cima, via
Feltre e via Pini.
Buon Natale soprattutto a loro, alle loro famiglie e a tutti quei piccoli rom
che da un mese non possono più frequentare le lezioni.
Chi vuole mandi una cartolina di Buon Natale e Felice Anno Nuovo a:
Angelica V.
Istituto Penale per i Minorenni di Nisida
Viale Brindisi n. 2
80143 NISIDA (NA)
Nota di Elisabetta Vivaldi: Come giustamente discusso con [...], è consentito
mandare cartoline ai minori, tutti i minori (pure quelli Rom). A meno che non ci
siano scritti messaggi "specifici" pare di capire, almeno da quanto la persona
contattata abbia affermato, che altrimenti spetta al Direttore decidere se
recapitarle o no. Io ricordo che è bisogna pure scrivere il proprio indirizzo
sulla cartolina altrimenti non viene consegnata ma di questo non ne sono
totalmente sicura. Non mi sembra che sul sito del "Carcere" Minorile ci siano
spiegazioni...mi sembra strano e ingiusto...C'è qualcuno che vuole aggiungere
qualcosa? Politici ed avvocati per favore fatevi avanti!
Di Fabrizio (del 22/12/2009 @ 12:47:57, in Italia, visitato 2589 volte)
Bologna 22 dicembre 2009 | 11:14. Una cerimonia di dialogo e preghiera in
ricordo dei nomadi assassinati nel campo di via Gobetti, dove la mattina del 23
novembre 1990 furono uccisi, dalla banda della "Uno bianca", Patrizia Della
Santina e Rodolfo Bellinati. L’iniziativa, che si terrà mercoledì 23 dicembre,
ore 15, in via della Beverara 123, nella sala Auditorium del Museo della Civiltà
industriale, è promossa dall’Anpi e dal Comitato antifascista del Navile con il
patrocinio del quartiere Navile, in collaborazione con le parrocchie cattoliche
della Beverara, dell’Arcoveggio e della chiesa Evangelica Mez (Missione
evangelica zigana) di Bologna.
Al ricordo interverrà la comunità nomade di Bologna, i Sinti italiani del campo
di via Erbosa (parenti delle vittime), alcune associazioni di rappresentanza
nomade e la cittadinanza che non vuole dimenticare l’orrore provocato dalle
stragi della "Uno bianca".
La cerimonia verrà introdotta da Leonardo Barcelò, consigliere comunale di
Bologna. Ad un momento di raccoglimento e preghiera con monsignor Giovanni Catti,
don Nildo Pirani, don Luciano Galliani, il ministro di culto Luigi Chiesi della
chiesa evangelica Mez di Bologna; seguiranno dei brevi interventi di dialogo per
agevolare la conoscenza fra i presenti. Al termine della cerimonia verrà deposta
una corona di alloro al cippo che ricorda le due vittime.
ROM: DISGUSTOSO ATTEGGIAMENTO ISTITUZIONI. ANNUNCIANO SEQUESTRO ROULOTTE
PER I ROM, MA SI DIMENTICANO DELL'EMERGENZA FREDDO C’è qualcosa di profondamente sbagliato e malsano in una società, quando le
istituzioni si riuniscono in Prefettura per annunciare sequestri di roulotte per
i rom, proprio nei giorni in cui l’emergenza freddo imporrebbe invece un urgente
intervento umanitario rispetto a chi vive nelle baraccopoli o per strada.
Invece niente, non abbiamo sentito nemmeno una parola, neanche un attimo di
pietà, almeno per i minori. E tutto questo, mentre la neve continua a cadere
e le associazioni del volontariato sono attive 24 ore su 24.
È francamente disgustoso che tutte e tre le istituzioni che insistono sul
territorio, Comune, Provincia e Regione, per bocca dei suoi rappresentanti De
Corato, Bolognini e Boni, non si rendano nemmeno più conto del significato delle
loro parole.
Chiediamo ancora una volta che non si scarichi tutta la situazione sul
volontariato e che le istituzioni si mobilitino per l'emergenza freddo, anche
rispetto alle famiglie rom.
Budapest, 16/12/2009 - Il Tribunale Supremo ha preso la decisione di
smantellare la Guardia Ungherese (Magyar Garda), l'esercito privato dello Jobbik,
partito di estrema destra.
La decisione di mercoledì è stato il terzo pronunciamento giudiziario in un
anno che rende illegale l'organizzazione paramilitare apertamente razzista, e
chiudendo ogni strada ad ulteriori ricorsi in appello.
Il segretario di Jobbik, Gabor Vona, ha detto che comunque la Magyar Garda
continuerà le sue attività, in seguito ad un appello presentato alla Corte
Europea dei Diritti Umani.
La decisione di smantellamento si applica tanto alla Guardia Ungherese che
alla Società Guardia a cui formalmente appartiene. Il Tribunale Supremo ha detto
che le due organizzazioni hanno fatto abuso del loro regolamento, come pure del
diritto democratico di riunirsi, bersagliando e generando deliberatamente paura
nei cosiddetti gruppi razziali minoritari ungheresi.
La Guardia è stata modellata sulle bande delle Croci Frecciate Ungheresi che
uccisero migliaia di Ebrei durante l'Olocausto. Le sue uniformi ricordano quelle
della "Gendarmeria" che assisteva i nazisti tedeschi nella deportazione di
centinaia di migliaia di Ebrei, e di Rom, verso Auschwitz.
Jobbik ha ottenuto i più grandi successi elettorali durante l'attuale
recessione, e ci si aspetta che diventi una delle principali forze parlamentari
nelle prossime elezioni nazionali del 2010.
Per la prima volta nel nostro paese una istituzione riconosce il Porraimos,
l'olocausto dei rom e sinti durante la seconda guerra mondiale. Alla Camera dei
Deputati, nella sala del mappamondo, rom, sinti, gagè e parlamentari hanno
ricordato questa terribile pagina della storia.
Oltre ad ascoltare le impressioni dei partecipanti in questa puntata andiamo
nei Balcani: le presidenziali in Romania e le amministrative in Kossovo.
Di Fabrizio (del 20/12/2009 @ 09:23:03, in Italia, visitato 1686 volte)
Corriere del VenetoE tra i sinti torna la paura «Ora cosa ci succederà?»
Nel villaggio di Mestre. «Non dovevano cacciarlo»
MESTRE – Due giorni fa, appresa la notizia in tempo reale, erano troppo
indaffarati a compilare l'ennesimo modulo per l'allacciamento Enel e non hanno
subito realizzato. Venerdì, però, quando si sono visti – di nuovo – sulle
locandine di tutti i giornali, hanno capito. E l'incubo è ricominciato: «Hanno
voluto mandare a casa il prefetto? Ma che c'entra lui con tutta questa storia,
se è stato il Tar in più occasioni a stabilire che la costruzione del nostro
villaggio era perfettamente in regola?». A chiederselo, mentre in questo momento
la sua priorità e quella degli altri sinti è di resistere al freddo gelido in
attesa che venga loro allacciata la corrente elettrica, è Paolo Hudorovich, uno
degli abitanti di via Vallenari. Fra loro è tornata la paura, la preoccupazione
che dietro il trasferimento del Prefetto Michele Lepri Gallerano per volere del
Ministro Roberto Maroni vi sia ben altro che una promozione. Furiose reazioni,
fra il Carroccio veneziano, aveva scatenato infatti la decisione di trasferire i
sinti di notte, dalla vecchia alla nuova struttura, senza che lo stesso Ministro
Maroni - aveva evidenziato indignata la presidente della Provincia Francesca
Zaccariotto - venisse avvertito di ciò dal Prefetto. Così, per tutto il giorno,
i sinti di via Vallenari hanno chiesto e richiesto all'amministrazione comunale
cosa vuol dire tutto ciò, quali saranno – se ci saranno – le conseguenze.
«Questa storia non ha più fine – dicono – ma cosa vogliono da noi? Siamo di
nuovo finiti in Tv, sui giornali, non fanno che parlare di noi. Vogliamo solo un
po' di pace, adesso». Parenti e amici li chiamano, li vedono in televisione,
sono preoccupati, non sanno che significato dare a tutto questo. «Ma la paura
più grande, il vero timore - aggiunge Gaetano Reinard, sinto del villaggio – è
l'ignoranza. Mi auguro soltanto che arrivi a Venezia una persona competente».
Intanto, in via Vallenari, nelle nuove casette prefabbricate, manca ancora
l'allacciamento alla corrente elettrica, dopo che la presidente della Provincia
Francesca Zaccariotto ne aveva chiesto lo stop con la richiesta di eseguire
ulteriori accertamenti sull'iter di realizzazione del villaggio. Secondo quanto
gli è stato detto, l'allacciamento dovrebbe essere operativo.
17 dicembre 2009 Una circolare del DAP motiva la scelta affermando che
“l'accesso per il colloquio con i familiari in carcere non si configura come la
fruizione di un servizio pubblico ma come esercizio di un diritto, tanto da
parte dei ristretti quanto da parte dei congiunti”. Il sindacato di polizia:
“siamo allibiti”.
Allo straniero che si presenta in carcere per far visita a un familiare detenuto
non dovrà esser richiesto alcun documento che dimostri la sua regolare
presenza in Italia. È quanto stabilito da una circolare del Dipartimento
Amministrazione Penitenziaria che per spiegare agli agenti come agire alla luce
delle nuove norme previste dal pacchetto sicurezza che hanno introdotto il reato
di immigrazione clandestina.
I detenuti stranieri nelle sovraffollate carceri italiane sono oltre 25mila
(circa il 27% del totale) e molti di essi sono clandestini. La probabilità che
siano irregolari anche alcuni dei familiari che fanno loro visita in carcere è
assai alta. Dal momento che gli agenti penitenziari sono pubblici ufficiali,
come dovranno comportarsi ora che l'immigrazione clandestina è un reato?
“Il personale del Corpo di polizia penitenziaria non dovrà richiedere allo
straniero che accede alla struttura penitenziaria l'esibizione di alcuna
documentazione attestante la sussistenza dei requisiti legittimanti la presenza
sul territorio italiano, né lo straniero sarà tenuto a dimostrare in alcun modo
la regolarità della sua posizione”, scrive Sebastiano Ardita, magistrato a capo
della direzione generale detenuti del Dap. E questo vale a maggior ragione “nel
caso in cui a richiedere il colloquio siano i figli minori di persone prive di
permesso di soggiorno”. Ma la circolare, diramata a tutti i provveditori
regionali e diffusa dall’agenzia Ansa, precisa anche che il mancato obbligo di
verifica sulla regolarità dello straniero all'ingresso del carcere “non esclude
che il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio, in qualsiasi modo
venga a conoscenza della sussistenza del reato” di immigrazione clandestina “non
sia tenuto, in via generale, a denunciare tempestivamente il reato all'autorità
giudiziaria o ad altra che abbia a sua volta obbligo di riferire a quella”. La
decisione di non chiedere allo straniero in visita un documento che ne attesti
la regolare presenza è stata presa - scrive Ardita - sulla base della
considerazione che l'accesso per il colloquio con i familiari in carcere “non si
configura come la fruizione di un servizio pubblico ma come esercizio di un
diritto, tanto da parte dei ristretti quanto da parte dei congiunti”.
“Siamo allibiti” è stato il commento di Leo Beneduci, segretario generale
dell'Osapp il sindacato degli agenti penitenziari. Secondo Beneduci “come agenti
e ufficiali di polizia giudiziaria abbiamo l'obbligo di far rispettare le leggi
e reprimere i reati, non certo di chiudere un occhio. Su questa vicenda ci
rivolgeremo al ministro dell'Interno Maroni per avere giustizia”.
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