06/06/2010 - Il Primo Ministro finlandese Matti Vanhanen ha chiesto alla
gente di partecipare ad uno sciopero bianco nel dare soldi per strada ai
mendicanti rom.
Vanhanen ha detto che questo sarebbe la maniera più semplice ed efficace per
affrontare la questione della recente ondata di mendicanti arrivati in
Finlandia, soprattutto da Bulgaria e Romania.
"Non ci vorrebbero molte settimane, e questo fenomeno finirebbe.
Richiederebbe una decisione da parte di tutti nel non dare denaro," ha detto il
Primo Ministro, che parlava con i giornalisti politici durante un pranzo
dedicato a quel tema. L'accattonaggio molesto iniziò ad apparire in Finlandia
circa due anni fa, riporta l'Helsingin Sanomat.
Juha Hakola del Partito Coalizione Nazionale ha già proposto una legge
parlamentare per vietare le elemosine. Sinora il documento è stato firmato da 51
dei 200 membri del parlamento. Vanhanen, d'altra parte, non fa promesse di
cambiare la legge, dicendo che la definizione stessa di accattonaggio è
difficile.
"In Finlandia, migliaia e migliaia di associazioni chiedono denaro; comitati
di genitori chiedono denaro, e partiti politici chiedono denaro. L'intera
società civile è basata sul chiedere denaro," ha affermato Vanhanen. "Dove passa
la linea di demarcazione? Quando qualcuno che indossa un abito gessato chiede
donazioni per una squadra di hockey, o quando qualcuno vestito da mendicante
chiede denaro alla gente ordinaria?"
Vanhanen, che ha dichiarato che l'accattonaggio per strada potrebbe essere
influenzato dal crimine, cosa che rende il reato ancora più ripugnante, ha detto
che la soluzione migliore sarebbe migliorare le condizioni abitative dei Rom.
Di Fabrizio (del 14/06/2010 @ 09:46:09, in casa, visitato 1649 volte)
Dopo tante parole al vento, sotterfugi e promesse non mantenute ora, il
Sindaco di Rho vorrebbe dare il ben servito alle persone che con pieno diritto e
contratto alla mano abitano nella struttura di via Sesia, per far posto ad una
discarica o a qualcosa di simile.
In questi giorni ci siamo imbattuti nel Sindaco di Trezzo che, come il Nostro,
non ha trovato di meglio che annunciare alle famiglie sinte che abitano in quel
comune, come residenti, da oltre vent'anni, che al loro posto sarà previsto
l'allargamento della ricicleria limitrofa. Sloggiandoli.
Un caso o un cattivo esempio di come si amministrano le città di questi tempi?
I bambini di via Sesia li ho visti nascere e crescere a Rho, non altrove,
insieme ai tanti loro coetanei che frequentano le scuole.
Qualcuno nel frattempo è diventato più grandicello e ora frequenta un istituto
superiore, una specie di "miracolo" tra gli zingari..
Ho anche assistito a molti degli accordi sottoscritti con le famiglie rom dagli
ultimi 3 sindaci che hanno governato la città. Patti sempre osservati con
rispetto e solennità dagli zingari ma spesso travisati dai funzionari pubblici
con la menzogna, l'arroganza, il menefreghismo.
Il Comune di Rho ha incassato una bella somma, oltre un milione di euro, dal
Ministro degli Interni, Maroni, Lega Nord, per promuovere l'integrazione sociale
di persone che hanno un nome e cognome, una storia di lunga permanenza a Rho,
non degli ultimi arrivati che nessuno conosce, attraverso interventi precisi di
sostegno abitativo, lavorativo, scolastico e sociale.
Che cosa è stato fatto? Nulla di quanto scritto e dichiarato e nulla o poco
verrà fatto in futuro, al di là delle chiacchiere di circostanza, perché senza
un ruolo di mediazione sociale delle istituzioni (ma capiscono cos'è?), ogni
altro intervento è destinato al fallimento.
Come (e in che misura) verranno spesi i soldi pubblici assegnati? Un progetto è
un po' come un "contratto", definisce cosa devi fare, come, in quanto tempo
ecc., per evitare che i soldi di tutti noi vengano inutilmente dispersi, o siano
trattati come merce di scambio clientelare.
Ma se invece del televisore che hai acquistato in occasione dei prossimi
mondiali di calcio, ti consegnassero a casa solo un disco dvd "vergine"
dicendoti: "adesso puoi registrartele se vuoi… le partite, s'intende", voi cosa
rispondereste al negoziante che vi sta "raggirando" mettendovi tra le mani una
"scatola vuota"?
Me Sem Rom: il documentario di tre giovani registi arriva in studio. Ne
parliamo con Davide Falcioni che ci spiegherà perché questo lavoro è stato
realizzato all'interno del Casilino 900. Ci occupiamo anche della mostra "Campus
Rom, c'era una volta Savorengo Ker" il lavoro organizzato all'interno della
festa dell'architettura.
"Essere rom è anche cercare di vivere serenamente la propria quotidianità"
Gli scatti in esposizione sono stati scelti tra le fotografie scattate da Pino
Ninfa, fotografo di fama internazionale di cui è andato recentemente in scena al
Teatro Studio di Via Rivoli un reportage sul Sudafrica dal titolo
"Dall’apartheid ai mondiali di calcio". Il suo lavoro, durato tre mesi
all'interno di alcuni campi nomadi milanesi, racconta, attraverso immagini della
quotidianità, l'essere Rom. Svela un modo di essere, un senso del vivere e un
mondo che non sono molto lontani dai nostri, anzi, viaggiano accanto,
parallelamente, e come succede tra le parallele, rischiano di non incontrarsi
mai.
Aperitivo con cibi, prodotti e musiche tzigane.
Le fotografie saranno esposte dal 16 al 18 giugno 2010
Domenica 20 Giugno 2010 a "Il Pentolone", via Pomeria 90, Prato.
Questa edizione si svolge nell'ambito della Campagna DOSTA (Basta!), promossa a
livello nazionale da UNAR e dall'Unione Europea. L'evento sarà preceduta da due
giorni di iniziative di comunicazione nel centro di Prato attraverso
iniziative mirate alla sensibilizzazione e all'informazione sulla cultura Rom e
Sinti.
Programma:
ore 16:00 Accoglienza
ore 17:00 Assemblea aperta : Comunità Rom e Sinti di Prato
Tra bisogno di conoscenze e nuovi pregiudizi
ore 19:00 Incontro con l'autore – presentazione del libro di Luca Bravi: "Tra
inclusione ed esclusione. Una storia sociale dei Rom e dei Sinti in Italia"
Inoltre: presentazione di documenti informativi e di due mostre fotografiche
sulla cultura e l'infanzia del popolo Rom e Sinti
Ore 20:00 Cena Buffet (cucina tradizionale sinti)
A seguire musica: CONCERTO di ATHOS (musica della tradizione sinti)
Nel pomeriggio - oggi 10 giugno 2010, alle ore 15,30 - ci troviamo a Gambolò,
sotto casa di Irene Zappalà per impedire l'esecuzione dello sfratto (la signora
abita a due passi dalla piazza, dietro la confraternita di san Paolo, in via
Magenta 5). Oltre alla comunità Sinti di Gambolò, hanno già confermato la loro
presenza i consiglieri provinciali e il segretario provinciale di Rifondazione
Comunista; i rappresentanti della CGIL, del sindacato inquilini SUNIA e della
lista civica Insieme Per Pavia.
Devastante. Nella provincia di Pavia oltre duemila famiglie sono a rischio di
sfratto. Per la precisione, tra sfratti pendenti (844) e richieste di esecuzione
(1.172) si sommano 2.016 casi. Aumentano del 27 per cento gli sfratti per
morosità (nel 2009 se ne sono avuti 790, di cui 127 a Pavia); calano del 10 per
cento quelli per finita locazione. Da una parte il legittimo diritto dei
proprietari; dall'altra le ragioni di molte famiglie, soprattutto quelle
monoreddito o improvvisamente senza lavoro.
Prendiamo il caso della signora Irene Zappalà di Gambolò. Quarant'anni, due
figli, lavorava come addetta alla cucina presso la casa di riposo "Fratelli
Carnevale" di Marcianò. Dopo una vertenza sindacale nel 2006 nonostante l'asma,
si ritrova relegata alle pulizie degli scantinati («per rappresaglia»), e infine
licenziata nel 2008. Da quel momento per lei solo attività lavorative saltuarie,
pagate in nero (ad esempio, lavora come inserviente di cucina al ristorante
"Quattro stagioni" di Remondò. Venti ore mensili per 360 euro quando, per il
solo affitto, ne dovrebbe esborsare 330) e il progressivo scivolare giù,
nell'indifferenza generale, fino allo sfratto ormai esecutivo.
Soluzioni abitative ce ne sarebbero: in attesa di un alloggio popolare (era
dodicesima; un anno dopo si è ritrovata diciottesima...) la signora potrebbe
trovare provvisoria dimora alla stazione ferroviaria di Remondò, che il Comune
detiene in comodato d'uso; Irene si è offerta di curarne apertura e pulizia. C'è
poi un alloggio presso la Fondazione Fratelli Carnevale, in ristrutturazione.
Irene Zappalà chiede pane e lavoro; in Comune allargano le braccia. Così l'unico
aiuto concreto le è oggi offerto dai Sinti. Sì, gli zingari residenti a Gambolò,
che ogni tanto le portano alimenti. Come racconta Franco Ovara Bianchi, «quando
vado a comprare il pane per le famiglie che vivono nel campo lo prendo anche per
Irene». Il portavoce della comunità Sinti gambolese si è anche offerto di
ospitarla in una delle roulottes del campo lungo il torrente Terdoppio.
Insomma, una inedita solidarietà tra marginali "storici" – come appunto gli
zingari – e questi nuovi marginalizzati, la cui interazione supera finalmente le
categorie peraltro mobili di "etnia", "cultura", "identità". Interazione che
smentisce l'artificio dei presunti "conflitti culturali", branditi come clave da
élite politiche che soffiano sul fuoco dell'intolleranza e del pregiudizio,
istigando all'odio "razziale" nei confronti degli zingari e degli stranieri.
In Lomellina e in particolare in paesi come Tromello e Gambolò troviamo "gagi"
che sembrano Sinti (ovvero gli zingari lombardo-piemontesi) e Sinti che sembrano
"gagi". Il processo di assimilazione è favorito anche dai numerosi matrimoni tra
zingari e gambolesi. Per chi non lo sapesse, nel gergo degli scarpinanti i gagé
(«contadini») sono coloro che non appartengono al popolo dei Rom (gli «uomini»
per antonomasia); dunque gagé sono tutti gli «altri».
La storia dei primi insediamenti viene raccontata da Nevina Andreta in un saggio
("Nel paese dei dritti", ne L'albero del canto) di cui sono stato editore nel
lontano 1985. Andreta li colloca al 1879, «quando vennero in territorio
gambolese gli appartenenti alle famiglie Allegranza e Vinotti, che
s'imparentarono con altri ceppi di nomadi, famiglie che in seguito richiesero la
residenza a Gambolò». Erano giostrai, artisti da circo, suonatori ambulanti,
sensali di cavalli, maniscalchi... Insomma, il mondo dei marginali – Sinti o
gagi – contiguo a quello della piazza, modo frequentato dai cantastorie di
Tromello Giacinto Cavallini e Vincenzina Mellini, o Adriano Callegari di Pavia,
o Antonio Ferrari di Belgioioso; quel microcosmo della "leggera" magistralmente
raccontato dall'imbonitore mantovano Arturo Frizzi nell'autobiografico Il
ciarlatano (1902). Un mondo altrettanto contiguo ad altre figure di marginali:ad
esempio i cercatori d'oro, i ghiaiaroli e i navaroli di Po e Ticino; ad esempio
i cordai di Calvatone nel cremonese e Castelponzone nel mantovano. Insieme a
Gambolò, Castelponzone viene ricordata da Glauco Sanga come il «paese dei
dritti». L'elenco comprende anche Sant'Angelo Lodigiano, Pozzolo Formigaro in
provincia di Alessandria e Vescovato presso Cremona. Sono paesi popolati da
marginali borderline, «quelli che nel periodo di passaggio dall'età medievale
all'età moderna non vivevano del lavoro della terra, ma si dedicavano ad altre
svariate attività che si potrebbero definire "di servizio"» (Sanga), attività
alternative alle consolidate forme di reddito o agricolo o industriale. Gli
abitanti di questi paesi erano considerati «"ladri e furfanti" […] Né
Castelponzone né gli altri "paesi di ladri" sono paesi di contadini; le attività
economiche erano altre»: ad esempio, lo spettacolo; come a Gambolò, il paese dei
giostrai.
Il Paese dei giostrai e – sia pure tra molte contraddizioni – il paese della
convivenza e della solidarietà. Lo sottolinea Nevina: il Comune aveva «la fama
di grande lungimiranza nel concedere l'iscrizione all'interno delle proprie
liste anagrafiche a nomadi di ogni categoria» tanto che ne arrivavano persino
dall'estero: ai nuclei storici delle famiglie ormai sedentarie degli Allegranza,
Vinotti, Picci, Bianchi, Sambiase, Ruffini, Sabino, Costantini, Delli, Vacchina
si sono poi aggiunti gli Hudorovich e gli Offman, originari di San Pietro del
Carso (la slovena Pivka) e Budapest; persone che, prima di trovare dimora a
Gambolò, erano apolidi.
Da 84 anni la comunità Sinti di Gambolò dimora in riva al Terdoppio, poco fuori
il paese. Lungo il torrente incontriamo cinque delle numerose famiglie qui
residenti, ma ancora pochi anni fa tra queste roulottes c'erano più di venti
casati: sono giostrai, venditori ambulanti di scope centrini fiori e piante;
alcuni vanno per ferro; altri stagionalmente lavorano nell'allestimento
invernale delle luminarie natalizie o, in agricoltura, nella raccolta di
pomodori uva e ortaggi; qualcuno ha trovato impiego nell'edilizia.
Se questo è il retroterra, allora non deve stupire la solidarietà fra compaesani
in sostituzione della pubblica amministrazione di centrodestra, che oggi non
prevede welfare locale, arrivando persino a minacciare la chiusura della fontana
a cui vanno i Sinti del campo.
Del resto viviamo in Italia, Paese che, nell'Europa a 15, è penultima nella
classifica delle spese sociali per il contenimento del rischio di povertà e
l'unica – insieme alla Grecia – a non prevedere un assegno minimo per chi versa
nel disagio: l'aiuto arriva solo al 4 per cento della popolazione, mentre in
Svezia, Danimarca, Finlandia, Paesi Bassi, Germania e Irlanda la percentuale
sale al 50 per cento. In Italia, una famiglia su cinque è oggi in seria
difficoltà. L'indebitamento totale dei 23 milioni e mezzo di famiglie italiane
ammonta a 490 miliardi di euro (dal 2002 al 2007 è quasi raddoppiato), per una
media di 15.764 euro a famiglia.
In Europa e negli Stati Uniti la perdita della casa – per l'impossibilità di
pagare il mutuo – sta spingendo milioni di famiglie nell'indigenza. In Italia va
anche peggio. Anche in provincia di Pavia molti anziani con la pensione sociale
«non si possono più permettere di mangiare due volte al giorno e altri in
estremo tentativo di risparmio la sera diluiscono la scodella del latte con un
po' d'acqua», come ha rilevato Fabrizio Merli (La Provincia Pavese, 3 maggio
2008). E Maria Grazia Piccaluga così scrive: «Alla mensa dei poveri si è
presentato solo una volta a mezzogiorno. Quando il bisogno ha superato la
vergogna. Ha mangiato a testa bassa, guardando solo il suo piatto. E non è più
tornato [...] Il pensionato timido e imbarazzato non si è più fatto vedere.
"Sono in tanti gli anziani che hanno bisogno, ma in genere non chiedono.
Piuttosto vanno a rovistare tra gli scarti del mercato" spiega una volontaria
corrucciando la fronte. Un dato però è significativo: gli italiani che siedono
alla mensa dei poveri sono ormai diventati numerosi quanto gli stranieri.
Anziani soli, ma anche giovani senza lavoro, uomini (e qualche donna) con un
vissuto travagliato alle spalle che non riescono più a reinserirsi nel mondo del
lavoro» (20 agosto 2008).
La precarizzazione dei lavoratori imporrebbe alle amministrazioni locali
politiche volte a contenere la disoccupazione, e la ricerca di una via che porti
al reinserimento nel mondo del lavoro. Quanto meno servirebbe il tampone di un
fondo sociale di solidarietà.
Invece piove sul bagnato. Nei primi mesi di quest'anno in provincia di Pavia
sono andati in cassa integrazione altri 1.600 lavoratori. In crisi sono 75
aziende edili e meccaniche, che vanno a sommarsi alle 237 dei mesi scorsi, 160
delle quali appartenenti al settore artigianato. Si salvano i settori
lattiero-caseario, risiero e viti-vinicolo; sono in sofferenza le imprese con
meno di 50 dipendenti, il 90 per cento delle fabbriche della provincia.
In Italia, in un anno la cassa integrazione è cresciuta del 443 per cento! Ma è
più inquietante il destino dei 4.121.000 lavoratori precari – il 15 per cento
della forza lavoro – 300.000 dei quali rischiano la disoccupazione. Analogamente
ai dati nazionali, sono precari il 15 per cento di quanti lavorano in provincia;
sono altresì precari buona parte dei 12.000 pendolari che lavorano a Milano.
Il già sterile tessuto produttivo pavese si deve così misurare con la crisi
globale e patisce un calo degli ordini tra il 20 e il 25 per cento. Meno soldi
in busta paga significa meno consumi durevoli (auto -16 per cento;
elettrodomestici -6,9) e non poche difficoltà ad affrontare gli aumenti delle
tariffe di alcuni servizi: a Pavia si sono avuti rincari per trasporti,
refezione scolastica, centri estivi delle materne e delle elementari, scuole
materne a tempo pieno, parcheggi, ecc.
Se a Pavia si piange, a Roma c'è poco da ridere. Le retribuzioni italiane sono
oggi inferiori di 8 punti rispetto alla media europea, ma il calo complessivo è
del 13 per cento (nel 2000 erano di oltre 4 punti sopra) e, come lamenta
Guglielmo Epifani, «cresce sempre di più il senso di insicurezza della
popolazione, la precarietà del lavoro, la sfiducia nel futuro e la paura di
perdere il benessere e la qualità delle proprie condizioni di vita».
Tuttavia qualcosa non quadra: negli ultimi vent'anni 120 miliardi di euro – l'8
per cento del Pil – sono passati dai salari ai profitti, 5.200 euro in media
all'anno a lavoratore, 7.000 euro se escludiamo i lavoratori autonomi. La crisi
finanziaria era da tempo in incubazione. La casta politico-economica ha pensato
di spalmarla sui lavoratori e sulla piccola e media borghesia al collasso, e
sposta su comodi capri espiatori l'«eccesso di paura» di chi si sente scivolare
lungo la china della povertà. La frammentazione sociale, la politica del
rattoppo, della finta "sicurezza", delle "ordinanze creative" e la pressione
mediatica sono strumenti per nascondere la portata ideologica e politica della
crisi a cui siamo di fronte: una crisi di civiltà che, allargando lo sguardo,
porta a muovere gli eserciti per il controllo delle fonti energetiche,
dell'acqua e del cibo.
La mendicità con un bambino, può essere scioccante o commovente. Eppure,
secondo la corte d'appello di Bruxelles, questa pratica non è illegale. La legge
autorizza i mendicanti a prendersi cura dei loro piccoli. E' lo sfruttamento dei
bambini ad essere illegale.
Tendere la mano per chiedere una moneta è autorizzato dalla legge.
L'accattonaggio per strada e negli spazi pubblici quindi non è illegale. E
mendicare con un bambino? Anche se questa pratica può scioccare o commuovere, è
lo stesso autorizzata. Secondo una decisione della corte d'appello di Bruxelles,
in effetti è permesso mendicare con dei bambini, sopratutto con i propri.
Secondo il giornale Le Soir, questo dovrebbe costituire un precedente
giudiziario.
Verbalizzata un giovane rumena
Il caso riguardava una giovane rumena di 20 anni, che chiedeva l'elemosina a
Bruxelles accompagnata dai suoi figli di 3 anni e 7 mesi. Loredana non
beneficiava di alcun reddito fisso e le era stato rifiutato l'aiuto del CPAS.
Come spiegato dai suoi avvocati al giornale "Le madri rom non possono
concepire di separarsi dai loro figli prima che siano scolarizzati". E'
stata sanzionata dalla polizia in varie riprese tra il gennaio 2007 e marzo
2008. Se il delitto di mendicità è stato abrogato nel 1993, nel 2005 è stata
votata una nuova legge per rafforzare la lotta contro la tratta ed il traffico
di esseri umani.
Condannata in prima istanza, assolta in appello
Nella prima istanza, il tribunale l'aveva condannata a 18 mesi di prigione ed
una multa di € 4.125. Giudizio ribaltato in appello. "E' una comprovata
nullatenente che mendicava con uno dei suoi bambini nelle Stazioni du Nord e du
Midi, l'accusata non ha 'assunto', 'esercitato', 'deviato' o 'scelto' nessuno
per 'consegnarlo alla mendicità' o 'incitarlo a mendicare'," indica la
sentenza.
"La circostanza che una giovane mendicante avesse dei bambini di età molto
giovane a cui accudire, ancorché sollecitare la generosità dei passanti, ed
approfittare dei benefici della loro presenza per suscitare pietà, di certo non
è una scusante, ma non costituisce infrazione penale", ha aggiunto la camera
costituzionale, che ha assolto la giovane donna.
Poco meno di due mesi fa, sono tornato da una visita in Kosovo.
Intendevo scrivere sulle mie esperienze ed impressioni nella provincia, ma
ogni volta che mettevo la penna sulla carta, non ne seguivano le parole.
Come in ogni zona di conflitto - soprattutto conflitti etnici del tipo visti
in Kosovo - i punti di vista che si sentono dai locali sono troppo polarizzati,
le emozioni espresse troppo forte ed i simboli molto umani delle distruzioni
illustrate dalle case bruciate; e cumuli di macerie che ancora delimitano le
strade nel nord del paese sono ancora troppo evidenti per trarre una conclusione
equa riguardo i "diritti" e "torti" di ogni situazione.
Non mi dilungherò sulle politiche in corso riguardo il futuro del Kosovo come
nazione, né discuterò sulle continue intimidazioni e le misere condizioni delle
minoranze della provincia. Invece, intendo sottolineare una significativa lacuna
della comunità internazionale: il trattamento e le condizioni di vita dei
rifugiati rom nel paese.
Questo problema risale al conflitto nel Kosovo tra il 1998 e il 1999, quando
l'Armata di Liberazione del Kosovo espulse dalle loro case 90.000 cittadini di
etnia rom sulle basi delle paure nazionaliste albanesi che la comunità fosse al
servizio di Slobodan Milosevic.
Tra questi c'era la comunità rom di Mitrovica, una città nel settentrione
della provincia etnicamente divisa tra la maggioranza serba a nord del fiume
Ibar e la più vasta città albanese a sud. In precedenza casa di una delle più
vaste comunità rom nei Balcani, 8.000 Rom, Ascali ed Egizi, la "Mahalla"
(comunità) sulle rive dell'Ibar fu rasa al suolo dalle forze ALK nel giugno
1999, a seguito della ritirata dell'esercito serbo.
Temendo per le proprie vite, i cittadini rom di Mitrovica sono stati numerosi
tra le centinaia di migliaia di rifugiati - Albanesi, Serbi, Gorani, Turchi e
Bosniaci - scappati dal Kosovo [...].
Dal 1999, la maggioranza dei 90.000 Rom espulsi sono tornati in Kosovo, anche
se oltre 30.000 non son mai tornati nelle loro case. La maggior parte di questa
diaspora, non vedendo alcun futuro sotto il ruolo dell'amministrazione quasi
monopolizzata dai nazionalisti albanesi, sceglie piuttosto di rimanere nella
Repubblica Serba o di restare vicino alle proprie ex case nei grotteschi campi
per rifugiati nella zona controllata dai Serbi a Mitrovica Nord.
Benvenuti nel complesso minerario di Trepça, dove 650 uomini, donne e bambini
vivono in condizioni che non accetterebbe neanche un maiale.
Ho visitato uno dei campi, Cesmin Lug, una nuvolosa domenica pomeriggio.
In un accatastarsi di cemento ricoperto di ruggine, macchinari abbandonati e
pozze di acqua stagnante grandi come piscine, a fatica si può credere che una
volta le miniere rappresentavano il 70% della produzione di minerali della
Jugoslavia ed occupavano circa 25.000 persone del posto in quattro differenti
pozzi. Sono passati oltre venti anni da quando Trepça era pienamente operativa,
ma rimane ancora nell'aria un leggero odore di zolfo. Graffiti coprono
ogni centimetro di edifici abbandonati e colonne di fumo si alzano contro
l'orizzonte. Arbusti occasionali a parte, le cui radici si attaccano tenacemente
al suolo, la vegetazione è sparsa stranamente.
Secondo la mia guida, una donna serba di mezza età chiamata Jasna, vengono
fatti sforzi occasionali per riattivare parti del complesso, sforzi che
invariabilmente si arenano al primo ostacolo. L'elettricità scarseggia (l'intera
provincia del Kosovo ottiene la sua energia da stazione appena fuori da
Pristina) ed oltre un decennio di abbandono significa che gran parte del
complesso minerario è ora irreversibilmente sott'acqua.
Mentre i macabri ricordi del passato industriale di Trepça si possono vedere
tutt'attorno, oggi l'unico segno di vita sono le case dei residenti rom.
Entrando a Cesmin Lug, sono stato immediatamente colpito dal numero di case
rom attaccate l'una all'altra, i loro vibranti muri colorati quasi interamente
camuffati da una misto di fango e pile d'immondizia.
Prima della mia visita avevo sentito dei gravi problemi di salute sofferti da
molti dei residenti, ma sono rimasto scioccato nel vedere bambini di non più di
quattro o cinque anni, sguazzare in pozze di acqua scura ed arrampicarsi su
attrezzature minerarie abbandonate come fossero un parco giochi locale.
Non oltre qualche centinaio di metri da Cesmin Lug c'è un piccolo pozzo
che sembra una specie di imbocco per una miniera. Qui si dice che questi
ingressi servivano a smaltire i gas tossici delle miniere da anni considerate
insalubri per l'esplorazione umana.
Non ho parlato con nessuno nel campo ed ho lasciato Cesmin Lug in fretta come
ero arrivato, scomodo alla mia macabra osservazione della reale sofferenza
umana.
Tornando a Pristina, anche la più rapida delle conversazioni coi locali
rivelava una conoscenza diffusa dei problemi di salute patiti dai Rom. Le
più comunemente citate sono state le relazioni e le voci di avvelenamento da
piombo, insufficienza renale e deformazioni tra quanti vivono nei campi. Mentre
lo scandalo delle miniere di Trepça può essere praticamente sconosciuto fuori
dal Kosovo, tristemente è linguaggio comune nella provincia.
Il gruppo ambientale Miniere e Comunità, che ha fatto campagne mondiali per far
crescere la consapevolezza del danno ambientale costituito dal settore
minerario, ha offerto le seguenti osservazioni sul tipo di rischi alla salute
posti a quanti vivono nelle immediate vicinanze di miniere come Trepça:
"Il piombo può entrare nel corpo attraverso: inalazione,
ingestione del suolo stesso o di cibo contaminato dal suolo, ed attraverso
la placenta per il feto nel grembo materno. Nutrizione, igiene, rapporto di
grasso corporeo, l'assunzione di fibre, età e in generale la condizione
fisiologica, tutto può influire sulla velocità con la quale il corpo assorbe
il piombo. I bambini sino a sei anni sono i più vulnerabili, in quanto sono
nei primi stadi della crescita e dello sviluppo. L'avvelenamento da piombo
colpisce tutto il corpo con conseguenze sulla salute gravi e permanenti.
Potenziali sintomi dell'esposizione al piombo, anche a bassi livelli,
includono la perdita dell'appetito, letargia, alta pressione sanguigna,
problemi di fertilità per uomini e donne, parti prematuri, difficoltà nella
crescita, danni all'udito e neurologici, convulsioni, dolori e/o paralisi
alle gambe, perdita di coscienza, anemia, aggressività, crampi allo stomaco,
vomito. Gli effetti più significativi ed irreversibili sono al livello di QI.
Un aumento dei livelli del piombo nel sangue da 10 a 20 microgrammi per
decilitro, è stato associato con la decrescita di 2,6 punti di QI, ma
qualsiasi aumento oltre i 20 riduce i livelli di QI"
In misura diversa, ognuno se non tutti questi sintomi sono stati osservati
nei campi dei rifugiati rom nel Kosovo settentrionale.
Nessuno potrebbe ritenere che un posto simile sia desiderabile o appropriato
per ospitare gente a lungo termine. A dire il vero, l'Ufficio dell'Alto
Commissario ONU per i Rifugiati (UNHCR) ha giudicato che questi campi per
rifugiati dovevano essere semplicemente una misura temporanea per garantire a
breve termine la sicurezza dei residenti rom a Mitrovica sud.
Nonostante i pochi sforzi della comunità internazionale per rialloggiare i
rifugiati rom, i campi sono rimasti operativi per oltre un decennio. I
Rom, che hanno ancora terrore dopo la loro esperienza nel conflitto del 1999,
hanno ripetutamente declinato l'opportunità di tornare a Mitrovica sud
controllata dagli Albanesi.
Dovrebbe essere una ragione di vergogna per l'Unione Europea e la più ampia
comunità internazionale che i campi rom di Trepça rimanga operativo ad appena
300 miglia da Budapest e a 75 da Skopje - la capitale di un aspirante stato
membro UE.
I campi per i rifugiati rom adiacenti al complesso minerario di Trepça devono
essere chiuse alla prima opportunità possibile, dopo aver identificato un sito
appropriato dove alloggiare la comunità rom. Purtroppo la lodevole volontà della
comunità internazionale di realizzare comunità etnicamente miste nel settore
albanese a sud del fiume Ibar rimarrà impraticabile per decenni. Le
emozioni sono troppo forti e la memoria troppo viva.
Tale sito dovrebbe essere trovato nelle aree sotto il controllo della Serbia
nella provincia settentrionale della Kosovska Mitrovica. Mentre diversi governi
- incluso quello del Regno Unito - riconoscono solo la sovranità della
Repubblica del Kosovo, anche sulle aree controllate dai Serbi, l'acquisizione di
questo sito richiederebbe la costruttiva cooperazione della Repubblica di Serbia
e e dell'Assemblea della Comunità Serba di Kosovo e Metohija. In pratica,
richiederà l'offerta di un importante incentivo finanziario alle autorità serbe.
La comunità internazionale deve anche riconoscere che, a causa della sua
mancanza di un'azione affermativa, centinaia di persone stanno ora soffrendo
seri problemi di salute che potranno avere conseguenze mortali nei prossimi
anni. Devono essere fornite cure mediche immediate a quanto hanno vissuto nei
campi di Trepça. Attualmente trattamenti specialisti simili non sono disponibili
né in Serbia o in Kosovo e dovranno quindi avvenire in un appropriato paese
terzo, i candidati più prossimi potrebbero essere Romania o Bulgaria.
La storia è piena di esempi tragici sui maltrattamenti della comunità rom;
dall'abbattimento del 25% del loro popolo nelle camere a gas naziste durante la
II guerra mondiale all'onda crescente di attacchi razzisti in Europa centrale.
Non contribuiamo ulteriormente ad un altro tragico capitolo della loro storia
ed agiamo oggi per risolvere questa crisi umanitaria.
Di Fabrizio (del 11/06/2010 @ 09:04:17, in Italia, visitato 1833 volte)
Stefania Cammarata, con la
Svoboda Orchestra,
tra poco suonerà al DADO di Torino, un'esperienza di cui si era scritto in
passato anche qui.
Il DADO è una comunità nella quale vige una regola fondamentale “dare
diritti e pretendere doveri”.
Da un anno a Settimo Torinese accanto alle comunità Rom.
Un anno fa si è realizzato un sogno. Un sogno iniziato nel novembre del 2009
quando una notte è andato a fuoco un campo ROM alle porte di Torino dove
vivevano molte famiglie di origine romena scappate in seguito ad una delle tante
alluvioni che ha martoriato la Romania. In quella notte l’unico contatto che le
famiglie avevano eravamo noi, che in quel campo svolgevamo piccole attività di
mediazione culturale, accompagnavamo i bambini a scuola, mediazione sanitaria e
poco più. Quando il campo ha preso fuoco noi abbiamo accolto le famiglie, che si
sono trovate a perdere i loro pochissimi averi, nei nostri uffici allestiti
insieme alla Croce Rossa con brandine nei corridoi e al posto dei pc. Da quel
momento è iniziato un lungo percorso che ha visto le famiglie prima ospiti di un
campo di emergenza con le tende, poi roulotte. La nostra proposta però fu subito
quella di non gestire solo l’emergenza come spesso accade in Italia, ma provando
a dimostrare che la tematica rom può essere governata in modo diverso,
portandola a sistema. Da questa esigenza è nato il DADO. Una comunità nata
grazie ad una struttura messa a disposizione dal comune di Settimo Torinese,
alle porte di Torino. La struttura è stata ristrutturata completamente dalle
famiglie che oggi ci vivono, questo ha permesso loro di sentire la struttura
come casa loro a tutti gli effetti. Le famiglie hanno vissuto il cantiere, sotto
la guida esperta di professionisti, durante i mesi nel cantiere si sono creati
una professionalità che gli ha permesso di essere inseriti in contesti
lavorativi. Il DADO è una comunità nella quale vige una regola fondamentale
“dare diritti e pretendere doveri”. Le famiglie che stanno al DADO hanno la
possibilità di essere inseriti in contesti lavorativi, i bambini vanno tutti a
scuola, ma vi sono delle regole alle quali non è possibile declinare. Il
quartiere nel quale è inserito il DADO era certamente spaventato dal trovarsi
vicino a casa un gruppo di “zingari” come spesso vengono definiti con aria
dispregiativa. Molte le proteste nelle prime settimane. Dopo i mesi di cantieri,
grazie anche al lavoro svolto dalla parrocchia dalla scuola e da tutto il
territorio, all’inaugurazione un anno fa avevamo più di trecento persone che ne
hanno festeggiato l’apertura. Oggi i bambini giocano nell’oratorio insieme ai
bambini originari di Settimo, vanno nella stessa scuola e sono diventati
compagni di classe e non “zingari”. Al DADO si è bucata la bolla mediatica del
razzismo, siamo riusciti con gesti semplici e concreti a dimostrare che stando
con le persone è possibile uscire dal pregiudizio.
Di Fabrizio (del 10/06/2010 @ 09:52:20, in Italia, visitato 1885 volte)
Triennale - sala teatro Agorà, viale Alemagna 6 Milano Giovedì 17 giugno ore 10.00
Introduce: Riccardo Bonacina, direttore editoriale di "Vita non profit"
Partecipano: Susanna Camusso, segretaria nazionale CGIL
Aldo Bonomi, sociologo, direttore di AASTER
Gianni Tognoni, Fondazione Basso, segretario generale del Tribunale Permanente
dei Popoli
Giovanni Negri, presidente del Circolo della Stampa di Milano
Sergio Segio, curatore del Rapporto, direttore di Associazione
SocietàINformazione
Interviene in video: Moni Ovadia, artista e scrittore
Gli interventi saranno accompagnati dallo spettacolo: Via Padova, Rosarno, Italia
Performance artistiche e musicali di: L'Orchestra di via Padova
Modou Gueye, attore
Dijana Pavlovic, attrice, con i Muzikanti
Immagini e filmati a cura di: Chiara Bellosi, Rosario Cinque e Luca Guarneri
Un progetto promosso da CGIL, ARCI, ActionAid, Antigone, Associazione SocietàINformazione, CNCA,
Fondazione Basso - Sezione Internazionale, Forum Ambientalista, Gruppo Abele,
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