31/03/2012 - Mercoledì 7 marzo, l'attivista rom bosniaco e fotografo
Dervo Sejdic ha posato per una foto durante l'intervista con l'Associated Press
di Sarajevo.
Dervo Sejdic non ha mai voluto essere presidente. Ma irritato perché gli era
impedito di concorrervi in quanto zingaro, ha deciso di battersi per i propri
diritti "per una questione di principio". Sejdic ha chiesto di correre per la
presidenza durante le elezioni del 2005, ma è stato seccamente respinto dalla
commissione elettorale, in quanto non è "Bosniaco, Croato o Serbo". Appellatosi
alla corte costituzionale, ricevette un rifiuto simile. (AP Photo/Amel Emric)
[...] Jakob Finci è ambasciatore bosniaco in Finlandia e ha detenuto diversi
incarichi per il governo. Ma non può partecipare perché Ebreo.
Tutti e due hanno citato la Bosnia di fronte alla Corte Europea per i Diritti
Umani, per obbligare la nazione a cambiare la sua costituzione, che permette
solo ai Bosniaci musulmani, ai Serbi ortodossi ed ai Croati cattolici di correre
per la presidenza o per la camera alta del Parlamento.
La Carta venne redatta a Dayton, Ohio, dai negoziatori di pace nella corsa
per fermare la guerra di Bosnia 1992-95 che opponeva i tre principali gruppi
etnici uno contro l'altro. Per cercare di fermare i combattimenti, i negoziatori
dovettero elaborare un complicato accordo che escludeva le minoranze.
La costituzione cristallizzò la nazione in due ministati - uno per i Serbi e
l'altro condiviso da Bosgnacchi e Croati - uniti da un governo centrale. Vennero
stabiliti tre presidenti, uno per ognuno dei maggiori gruppi etnici.
Nessuno prestò molta attenzione quando nel 2009 Sejdic e Finci vinsero il
processo. Ma quando l'anno scorso la UE ha dichiarato che applicare quella
sentenza era "una delle precondizioni per richiedere l'adesione alla UE" i
leader di Bosnia sono stati obbligati a tenerne conto e da allora la notizia è
al centro del dibattito nazionale.
Nonostante gli sforzi frenetici per trovare una soluzione e salvare l'offerta
di unire la nazione alla UE, è scaduto il mese scorso un altro termine fissato
dalla corte per i diritti umani, senza che il verdetto fosse attuato. Le
controparti, dice Sejdic, rimangono "a chilometri di distanza le une dalle
altre."
I Serbi si oppongono con veemenza ad una significativa modifica della
costituzione, perché temono che diluisca l'autonomia del loro ministato.
I Bosniaci intendono cambiare la costituzione per consentire alle minoranze
di concorrere alle alte cariche, sperando che così si producano riforme che
rimpiazzino il sistema condiviso con una democrazia unificata.
Anche i Croati chiedono cambiamenti, ma nella direzione opposta: un sistema
condiviso più forte che dia loro più poteri, anche se tra i tre i Croati sono il
gruppo più piccolo.
[... Ricorda Sejdic:] "Mi è stato letteralmente risposto che prima dovevo
cambiare la costituzione e poi riprovare. Sino allora, i Rom non saranno una
-categoria costituzionale-".
Questo è ciò che nel 2009 innestò la causa alla Corte Europea per i Diritti
Umani. Ben presto venne informato che un altro bosniaco, Finci, aveva intentato
una causa simile. Il tribunale di Strasburgo, in Francia, combinò le due cause
passandolo in giudizio l'anno stesso.
Sejdic e Finci divennero eroi per i componenti delle 17 minoranze di Bosnia,
come pure dei figli di matrimoni misti, che lamentavano di essere stati
discriminati per due decenni, nel prendere parte all'elezione per la presidenza
o la camera alta.
Per i politici, sono un mal di testa che non passa.
Non solo devono pensare agli interessi dei rispettivi gruppi etnici, ma anche
alla complessa logica che sta dietro alla sentenza del tribunale di Strasburgo.
Si dovrebbe aggiungere un ulteriore presidente di minoranza ai tre inefficaci
e costosi già esistenti? O dovrebbe esserci un solo presidente, eletto
direttamente dai votanti di entrambe i ministati, un passo verso l'unificazione
tanto temuta dai Serbi?
"Vedi, il diavolo è nei dettagli," dice Krstan Simic, il membro serbo della
commissione parlamentare incaricata di trovare una soluzione.
Se la Bosnia non troverà il modo di risolvere il problema entro le prossime
elezioni nel 2014, potrebbe essere espulsa da Consiglio d'Europa, un ulteriore
battuta d'arresto delle sue prospettive UE.
Nel frattempo, Sejdic continua a spingere. "Amo la Bosnia," dice. "Per questo
l'ho citata in giudizio."
Nel 2010 ha fatto un'altra causa, perché la sentenza del 2009 non era
stata raccolta. Ma questa volta ha chiesto un risarcimento: "Quattro anni di
mancati introiti presidenziali", circa 125.000 euro (160.000 dinari).
Se non gli fosse permesso di concorrere alle elezioni del 2014, chiederà un
ulteriore risarcimento pewr altri quattro anni di mandato presidenziale.
Questa [ieri ndr] mattina alle 6.30 un vasto incendio ha distrutto metà
campo Rom tra via Bonfadini e via Sacile a Milano. Al momento pare non ci siano
né feriti, né dispersi, ma l'intera area di circa mille metri quadri è stata
invasa dalle fiamme. I vigili del fuoco sono ancora sul posto per domare
definitivamente l'incendio.
Il campo, abitato da centinaia di persone, di cui almeno una settantina sono
minori che frequentano le scuole della zona, era già stato minacciato da una
serie di tentati sgomberi negli scorsi mesi.
Nel primo pomeriggio gli assessori Majorino e Granelli si sono recati in visita
al campo per verificare la situazione.
Foto: Agenzia Fotogramma
Video dal campo di Pellizzone, Karma Mara, Monopoli
Altre foto e notizie raccolte sul posto (le foto
verranno caricate in seguito)
[mercole 001.jpg]
Sentite diverse testimonianze, sembra si possa escludere la causa dolosa.
L'incendio è scoppiato probabilmente per una candela lasciata accesa.
I vigili hanno operato tutta la mattina, inizialmente con una sola autopompa,
poi diventate due ed infine sette quando l'incendio ha minacciato di raggiungere
la sede ferroviaria. Il fuoco ha distrutto circa metà del campo, ma buona parte
delle baracche superstiti sono inagibili perché inondate dal getto degli
idranti, affinché il fuoco non si propagasse. L'area bruciata è stata messa in
sicurezza, perché al suolo ci sono diverse sostanze tossiche. Anche a sera
l'aria era pesante dei fumi tossici.
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Qualche ferito, in particolare una madre rimasta ustionata alle braccia nel
tentativo di salvare figli e nipoti dal fuoco. Si è rifiutata di andare al
pronto soccorso ed è stata medicata sul posto in un'ambulanza.
Molti degli abitanti del campo erano già tornati in Romania per le feste
pasquali, sul posto ne rimangono un centinaio circa, che per stanotte si
ammasseranno nella parte superstite del campo. Diversi di loro hanno perso anche
i documenti personali. Oggi in giornata dovrebbe esserci un nuovo incontro tra
gli abitanti e gli assessori per valutare il destino di chi è rimasto e dei
bambini che nel frattempo avevano iniziato a frequentare le scuole.
[mercole 003.jpg]
Dato che il comune non ha fornito alcun tipo di aiuto materiale, durante
tutto il pomeriggio e la sera sono arrivati materassi, coperte, indumenti
raccolti dai volontari del Gruppo sostegno Forlanini ed altri, almeno per
provvedere all'emergenza immediata.
Data la persistente situazione di urgenza (ed anche di tensione) si chiede a
chi voglia contribuire di farlo in modo coordinato con chi sta già provvedendo,
e quindi di mettersi d'accordo con STEFANO NUTINI (333-44.51.206) prima
di portare materiale o generi di conforto.
Di Fabrizio (del 05/04/2012 @ 09:50:09, in media, visitato 1405 volte)
Sempre di (piccola) cronaca nera si parla, su
"L'esame di guida? Tu paghi e noi lo facciamo al posto tuo", ma per una
volta tanto il giornalista mette la provenienza di tutti gli arrestati, in un
bel quadretto etnico: un tecnico di Foggia già pregiudicato, un fattorino
torinese e due giovani sinti.
Mi resta un dubbio: senza gli ultimi due, sarebbe stata lo stesso una notizia
di cronaca? Ma visto che non so rispondere, mi limito a registrare la cosa.
Di Fabrizio (del 06/04/2012 @ 09:00:09, in casa, visitato 1508 volte)
Amnesty InternationalData di pubblicazione dell'appello: 02.04.2012 -
Status dell'appello: aperto
Dal 19 marzo circa 1500 famiglie rom sono a rischio sgombero forzato
dall'insediamento informale di Belvil, Belgrado, capitale delle Serbia. Le
famiglie non sono state informate su dove saranno rialloggiate e potrebbero
essere reinsediate in condizioni inadeguate o rimanere senza casa.
Lo sgombero dell'insediamento era stato precedentemente minacciato dalle
autorità di Belgrado nel marzo 2010. Le autorità locali avevano affermato che la
maggior parte dei residenti dell'insediamento di Belvil sarebbero stati
sgomberati per far posto a strade di accesso ad un nuovo ponte sul fiume Sava.
Non era stato predisposto alcun piano di reinsediamneto ne era stata avviata una
consultazione con i residenti.
A seguito alla campagna di Amnesty International e delle organizzazioni locali
per i diritti umani, lo sgombero era stato sospeso. Come risultato della
pressione esercitata, la Banca Europea degli Investimenti (Bei), uno degli
finanziatori del progetto del ponte di Sava, ha dichiarato che lo sgombero
sarebbe dovuto avvenire in conformità con gli standard internazionali.
Nell'aprile 2011, le autorità cittadine, coadiuvate dalla Bei, convocarono una
riunione con i residenti di Belvil che vivono lungo la strada di accesso (circa
100 famiglie) e promisero che lo sgombero sarebbe avvenuto nel rispetto degli
standard internazionali sui diritti umani. Le autorità promisero che avrebbero
elaborato un dettagliato piano d'azione per il reinsediamento in accordo con le
persone coinvolte. Ai residenti sarebbero state assegnate delle case
prefabbricate, considerate da Amnesty International un alloggio adeguato.
Tuttavia i residenti di Belvin non sono più stati contattati dalle autorità
cittadine fino al 15 marzo 2012 quando gli è stato comunicato che sarebbero
stati sgomberati al più presto.
Nonostante le assicurazioni da parte della Bei e delle autorità cittadine, il 16
marzo le autorità della città di Belgrado hanno distribuito la notifica di
sgombero ai residenti di Belvil. Gli è stato chiesto di distruggere e lasciare
le loro case, senza alcuna consultazione preventiva e senza ricevere alcuna
informazione su possibili piani di reinsediamento.
Egregio Sindaco,
Sono un simpatizzante di Amnesty International, l'Organizzazione non governativa
che dal 1961 agisce in difesa dei diritti umani, ovunque nel mondo vengano
violati.
Sono molto preoccupato per il rischio di sgombero di 1500 famiglie rom a Belvil,
un insediamento informale di Belgrado.
Il 16 marzo le autorità della città di Belgrado hanno distribuito la notifica di
sgombero ai residenti di Belvil. Gli è stato chiesto di distruggere e lasciare
le loro case, senza alcuna consultazione preventiva e senza ricevere alcuna
informazione su possibili piani di reinsediamento.
Essendo la Serbia uno Stato parte dei trattati internazionali e regionali che
vietano gli sgomberi forzati, Le chiedo di:
fermare lo sgombero delle famiglie rom che vivono a Belvil e altrove a Belgrado;
avviare una consultazione reale con tutte le persone interessate per trovare
tutte le possibili alternative agli sgomberi;
fornire alle persone interessate un piano per il loro reinsediamento, compresa
la fornitura di un alloggio adeguato;
assicurare che gli sgomberi siano eseguite come ultima risorsa e dopo che siano
state prese tutte le tutele legali e le garanzie, compreso un reinsediamento
completo e un piano di compensazione per tutte le persone interessate.
Il governo attuale difende le decisioni del precedente sull'emergenza rom. E
l'Asgi si chiede perché
L'Asgi (Associazione per gli Studi Giuridici sull'Immigrazione) esprime
"sconcerto e perplessità" per la scelta del governo Monti di impugnare
davanti alla Corte di Cassazione la sentenza del Consiglio di Stato
che, con riguardo ai decreti sull'emergenza nomadi emanati dal Governo
Berlusconi nel maggio 2008, aveva negato che esistessero i presupposti legali
per la dichiarazione dello stato di emergenza.
La sentenza del massimo giudice amministrativo, che risale al novembre scorso,
"seguiva quella del Tar del Lazio del 2009 - ricorda l'Asgi - che, pur
riconoscendo invece la legittimità della proclamazione dell'emergenza, aveva
comunque censurato l'operato del governo che aveva imposto il "censimento"
etnico e che aveva regolamentato impropriamente i cosiddetti campi nomadi di
Roma". L'Asgi chiede dunque che il Governo Monti desista dall'azione
giudiziaria intrapresa, "così dimostrando di discostarsi dalla politica
discriminatoria del precedente esecutivo e riconoscendo piena dignità alle
popolazioni rom e sinte".
Di Fabrizio (del 07/04/2012 @ 09:30:10, in Italia, visitato 4270 volte)
Foto di Paul Polansky -
MilanoInMovimento: A breve l'intervista integrale a Paul Polansky su questo
sito.
All'alba di mercoledì un incendio ha distrutto metà del campo Rom di via
Sacile angolo via Bonfadini a Milano. L'area sotto sgombero è destinata alla
costruzione di uno svincolo della Statale Paullese e di un tratto di una rete
fognaria.
Attualmente la versione ufficiale dei fatti parla di un incendio non doloso
provocato da una candela situata all'interno del campo.
Il poeta Paul Polansky, già intermediario per l'Onu e premiato con lo Human
Rights Award nel 2004, si trovava nel campo durante la notte in cui le baracche
hanno preso fuoco e in un'intervista esclusiva rilasciata a Milano In Movimento
dà una versione radicalmente diversa dell'accaduto e in particolare delle cause
dell'incendio.
Guarda la VIDEO intervista in esclusiva di Milano In Movimento.
Ndr: L'intervista è stata concordata e realizzata in
collaborazione con la redazione di Mahalla
Nota:
Saluti a tutti,
Volevo scrivere oggi un rapporto su come e perché ci fosse stato un
incendio nel campo rom a Milano dove vivevo, ma al suo posto troverete qui sopra
un intervista con me in inglese ed italiano che spiega tutto.
Vi chiedo di girare l'intervista a tutti quanti siano interessati ad
aiutare questi Rom.. Almeno venti famiglie nel campo ora non hanno un tetto.
Stanno scavando tra i resti bruciati in cerca di materassi a molle per farsi
nuovi letti. Il comune non ha portato loro nessuna tenda e neanche nuove
baracche, come aveva promesso. L'unico aiuto è stato una tazza di Nescafe dopo
che l'incendio è stato spento.
Ora all'ingresso del campo ci sono 24 ore su 24 due macchine della
polizia. Perché, se è stata solo una candela a far scoppiare l'incendio? Ho
intervistato i poliziotti e chiesto loro perché erano lì. Mi hanno detto [che
era] per tenere lontani i Rom dal terreno intossicato (bruciato). Ma la polizia
permette loro di piantare le tende che si sono procurati su quel terreno tossico,
limitandosi ad osservarli dalle loro macchine, dato che i Rom passano tutto il
giorno su quel terreno in cerca di quello che hanno perso nell'incendio.
Spero che possiate dare una mano, appellandovi al sindaco di Milano.
Di Fabrizio (del 07/04/2012 @ 09:32:01, in Italia, visitato 2032 volte)
Da circa un mese, i due fratellini Libero e Il Giornale stanno battendo
la grancassa, ripetendo la notizia che con Pisapia (ed in assenza di sgomberi)
a Milano sono in aumento i "nomadi". E' il loro marchio di fabbrica: si
alternano nel ripetere la cosa, finché qualche altro media, per sfinimento o in
mancanza di altro da scrivere, si unisce al coro.
Leggendo le cronache dalle altre città (grandi e piccole) in Italia, ho
invece la sensazione che i cosiddetti "nomadi percepiti" (cioè: mendicanti,
lavavetri, mariuoli di vario calibro) siano in aumento un po' dovunque. Figli di
questi tempi, credo: nell'attuale situazione economica, non siamo solo noi a
perdere il lavoro, fare più fatica a fare la spesa o mandare i figli a scuola.
Ma si sa, che il compito della maggior parte dei giornali non è tanto fare
informazione, quanto trovare il colpevole, e a Milano si preferisce dare la colpa
a Pisapia, piuttosto che a Monti (o al suo predecessore, nessuno ricorda come si
chiamasse?)
La soluzione per Milano, apripista Libero e il Giornale, sarebbe riprendere
la vecchia e sana politica degli sgomberi ad oltranza che, a detta loro (ma
anche del prefetto Gian Valerio Lombardi), in passato aveva ridotto le presenze
nomadi in città.
Sarebbe utile ragionare sulle cifre riportate, e capire come vengano fornite.
Ad esempio, sulle stesse pagine dei quotidiani da anni si parla si situazioni al
limite dell'invivibile dentro TUTTI i campi rom cittadini, dove polizia e
carabinieri non riuscirebbero nemmeno ad entrare. Io al contrario posso
testimoniare che le loro pattuglie vi entrano regolarmente, anche una volta al
giorno, fanno il loro giro ed escono senza problema. Che quelle stesse pattuglie
con frequenza quasi mensile compiano una sorta di censimento (rigorosamente
prima delle 7.00 e non capisco il perché), ma che nonostante ciò in comune da
anni non sanno con quanti rom e sinti hanno a che fare. Quello che ricordo degli
sgomberi di De Corato, non è che portarono ad una riduzione delle presenze
nomadi in città, ma che si creò un'ondata di "nomadi di ritorno": sempre gli
stessi sgomberati ogni volta. I due giornali, con dietro il coro, dimenticano
che quella politica ebbe come risultato almeno una cinquantina di insediamenti
di fortuna, diffusi in tutta la periferia, dove venivano rimbalzati gli
sgomberati.
L'incendio questa settimana nel campo di via Sacile, ha risvegliato il
dibattito sul destino di questi insediamenti, e come porvi rimedio. Se l'ex
vicesindaco De Corato nostro ne approfitta per ribadire quanto lui era bravo,
l'attuale maggioranza -ormai da mesi- prosegue con dichiarazioni (tante) ed atti
concreti (meno), apparentemente contraddittori tra loro che, almeno riguardo
alla questione degli insediamenti abusivi, sta portando al risultato di avere le
stesse presenze di prima, ma più concentrate e periferiche rispetto al passato.
Occorre capire meglio cosa passi per la testa degli attuali
amministratori: sicuramente una delle cause della loro indeterminatezza è data
dal buco in bilancio della giunta precedente, già denunciato il luglio scorso.
La seconda causa è dovuta al fatto che dichiarando la Corte Costituzionale
illegittimo il Piano Maroni, sono scomparsi i fondi superstiti. In questa
situazione, non conoscendo quanti possano essere i soldi disponibili, le tante e
contraddittorie dichiarazioni sono fatte non tanto a ragion veduta, quanto per
motivi di propaganda a corto respiro.
Apro una parentesi: domenica scorsa ero all'insediamento di via
Sacile. In quel campo che TUTTI indicano come una bomba ad orologeria sociale,
gli abitanti mi mostravano le loro carte d'identità italiane (dato che sono
arrivati lì dopo innumerevoli altri sgomberi) - carte d'identità andate bruciate
con l'incendio. Buona parte dei maschi adulti ha un lavoro (per quanto in nero),
i bambini hanno iniziato ad andare a scuola. Quindi esistono anche dei Rom
"abusivi" che sono già sulla via dell'integrazione. Se fosse quello l'obiettivo,
sarebbe DOVERE dell'amministrazione aiutarli, trovare qualche modo meno
infernale di poter vivere. Ma le risposte ottenute dal comune spesso sono state
del tono "vogliamo aiutarvi, ma dovete andarvene".
Un esempio di cosa manca: il campo è (ovviamente) una gigantesca
discarica, il comune non effettua la raccolta dell'immondizia, per paura di
trattare TROPPO BENE questa gente (poco importa se le infezioni sono per loro
natura antirazziste, e attaccheranno tanto loro quanto il resto degli abitanti).
In Francia, anche se un insediamento è abusivo o a rischio sgombero, le
municipalità (di destra o sinistra) mettono sempre a disposizione dei cassonetti
per la raccolta rifiuti. In via Sacile sono gli OCCUPANTI ad autotassarsi per
poter pagare una compagnia privata che provveda.
Altro esempio: nel campo manca l'acqua, e più volte al giorno le
donne fanno un lungo percorso sino ad un parchetto cittadino munito di
fontanella, sollevando spesso il ribrezzo degli altri frequentatori del parco.
Alcuni OCCUPANTI avevano raggiunto un accordo col proprietario di una casa
abbandonata accanto al campo, per ripristinare il collegamento idrico. Ora
bastava superare una recinzione divelta per rifornirsi senza scandali. Dopo
qualche giorno, è intervenuta la polizia municipale per chiudere il rifornimento
dell'acqua così ottenuto.
Questo il panorama di un'integrazione che (discorsi a parte) viene resa
impossibile. La giunta attuale non chiede sgomberi, ma il "superamento dei
campi"; cosa cambi non è chiaro, in assenza di proposte su dove può finire
questa gente. L'alternativa pratica ai disastrosi campi attuali sembrano essere
campi ancora più disastrosi.
Luoghi disastrosi per gente altrettanto disastrosa. E qua, occorre misurare
l'approccio che si vuole avere con chi ci abita. Se UNA PARTE è gente come
quella che descrivevo sopra, quando si tratta di cercare un dialogo con
l'amministrazione, i toni tornano a quelli di anni fa: spaccio, prostituzione,
ricettazione, furti, ecc. (qualche volta gradirei anche dati e cifre, please),
diventano SCUSE per bloccare qualsiasi scelta che non vada oltre la pura
emergenza. Scuse, di cui gli house organ comunali, le pagine cittadine
del Corriere e di Repubblica, si fanno volentieri altoparlanti.
Con un'aggravante, per tornare al panorama dell'informazione: il
progressivo "superamento dei campi", dietro il paravento del ripristino della
legalità e del decoro, nasconde ancora, a distanza di anni e di giunte passate,
i vecchi appetiti che si chiamano Expo, speculazioni immobiliari varie e, nel
caso di via Sacile, i lavori di prolungamento della Paullese che, guardacaso,
Pisapia in campagna elettorale si era impegnato a bloccare. Ma, visto che
Pisapia per i suoi fan rimane intoccabile (e spesso inavvicinabile), il "lavoro sporco" viene
delegato ai Granelli ed ai Majorino del caso.
Quindi: Pisapia come Moratti e sgomberi come "pensiero unico"? Leggo, nelle
cronache romane, una descrizione della situazione nella capitale, governata da
una maggioranza diversa che sta investendo una marea di soldi per costruire
nuovi campi piazzati praticamente nel deserto: Rom, 21 luglio: "Con gli
sgomberi i campi sono aumentati da 80 a 269". La gente anche lì rimane
sempre quella, cambia il numero e la dimensione degli insediamenti di fortuna (diteglielo
voi
a De Corato).
E, permettete, destra e sinistra non usciranno da questo pantano (qualsiasi
cosa proclamino), se non troveranno il coraggio di "prendere il toro per le
corna", anche a costo di scelte impopolari. Scelgano una buona volta: la
repressione dura e pura, con la PULIZIA ETNICA delle città. Oppure, prendano
atto (magari non lo sanno...) che ci sono centinaia di edifici abbandonati sul
territorio, potrebbero risolvere una buona parte del problema o, se restano
abbandonati, prima o poi verrà qualche sgomberato ad occuparli. Io non ero
ancora nato, ed in un'Italia sicuramente più povera di quella odierna, i vecchi
politici di un vecchio centro (poi centro-sinistra), avevano già iniziato a
smantellare le coree (molto più estese dei campi attuali), a favore di una
politica della casa per le masse di immigrati che si erano riversate a Milano,
Roma, Torino ecc.
Sappiate, signori amministratori, che quel che dovreste fare voi
(scolarizzazione, facilitare l'accesso al lavoro, ai servizi pubblici e
sanitari, dialogare con Rom ed altri cittadini) a Milano ed altrove lo stanno
facendo da anni nuclei di volontari, sempre più numerosi e coscienti. Sono il
capitale di un'amministrazione senza soldi, signori amministratori, sono i vostri votanti. Non fate la
faccia offesa se vi chiedono ASCOLTO e RISPETTO.
Nel frattempo: Matteo Salvini è sempre stato un ragazzo sveglio ed attivo,
uno che la città se la gira da cima a fondo. Giovedì mattina era con i suoi in via Sacile, per
dire ai Rom che dovevano andarsene. Mi dicono che la sera sia apparso
contemporaneamente in televisione su Matrix, prendendosela con gli zingari
ladri, e a Porta a Porta, piangendo sui (presunti) furti della Lega.
Schizofrenico grave.
Prosegue la V edizione di StranItalia con una serata che va "Oltre i luoghi
comuni".
Recuperare la curiosità e l'apertura verso l'altro, ribaltare i luoghi comuni, i
pregiudizi per costruire e proporre luoghi in comune...
SABATO 14 APRILE
19:30 TESTIMONIANZE di Bianca Stancanelli
Rebecca Covaciu
Roberto Malini
20:30 APERITIVO preparato da Operazione Mato Grosso
e CONCERTO Roberto Durkovic e i fantasisti del metrò
c/o SALA RIUNIONI PARROCCHIA SANTA TERESA (FRATI)
Piazza Montegrappa, 1 - LEGNANO
La fortuna, la provvidenza, il destino o come lo si voglia chiamare, ha fatto sì
che fossi presente a Londra, nella settimana dell'otto aprile 1971. Da allora,
ne è passata di acqua sotto i ponti. Sono trascorsi 41 anni. Ero quasi un
bambino. Il mio viaggio a Londra, appena dopo il franchismo, fu il mio battesimo
riguardo alla conoscenza della realtà gitana mondiale, della quale fino allora,
avevo soltanto vaghe conoscenze.
Gitani e gitane provenienti da 25 paesi si erano dato appuntamento a Londra. Ci
sono andato senza conoscere nessuno, e senza avere ben chiaro in mente di cosa
trattava quella riunione. La mia prima sorpresa fu di constatare che quelle
giornate erano state convocate, programmate e dirette dai gitani stessi. Neanche
un solo "gachó" (payo) intervenne nei dibattiti, né assolutamente
condizionò gli accordi lì presi. I ricordi vengono alla mia
memoria con la stessa forza con la quale appaio nelle foto che accompagnano
questo commento, le quali mi sono state regalate l'anno scorso, nel Regno Unito.
L'otto aprile del 1971, sapevo che nel mondo vivevano più gitani di quelli che
conoscevo in Andalusia, però non li avevo mai visti. L'otto aprile 1971 ho
sentito parlare per la prima volta in romanì. A casa mia, la mia famiglia
chiacchierava in gergo. Non era lo stesso, ma era simile. Ho potuto scoprire
stupito, come gitani che vivevano dietro la cortina di ferro - gitani che non si
erano mai neanche sognato che le autorità comunista del loro paese avrebbero
potuto mai autorizzarli a uscire verso il mondo capitalista - si capivano
perfettamente con gli altri gitani arrivati dalla Francia, dalla ex Iugoslavia,
o dalla temuta Germania. L'otto aprile 1971, sono stato invaso da brividi di
commozione quando ho sentito sulla mia pelle i baci calorosi di tanti gitani che
mi abbracciavano, emozionati per avere trovato il figlio perduto, il fratello
sconosciuto che veniva dalla vecchia Spagna dove - loro lo sapevano - vivevano
centinaia di migliaia di gitani separati dal resto del loro popolo, disperso in
milioni per tutto il mondo.
L'otto di aprile 1971 mi sono sentito più libero che mai. Ho partecipato alla
votazione che ha ufficializzato la nostra bandiera e poi ho percepito la
liberazione che si prova tenendo come tetto l'azzurro del cielo e come pavimento
il verde dei campi. Poi ho capito con chiarezza assoluta perché mio nonno
Agapito ci augurava sempre salute e libertà.
L'otto aprile 1971 ho visto per la prima volta una balalaica. Ho ascoltato il
suo suono nelle mani di Jarko Jovanovic. Alla sua melodia si è unita la musica
soave, triste e melancolica di alcuni violini, e mentre dalle corde della
balalaica saltano fuori le note infuriate, che imitano il crepitio delle fiamme
assassine che hanno distrutto la vita di tanti innocenti nei campi nazisti, i
violini con la loro dolce melodia, fanno strada a fiumi di lacrime, mentre
giocano con il ricordo di tanti anziani ingiustamente gasati, decine di migliaia
di bambini massacrati e centinaia di uomini e donne che, nel fior della vita,
non capirono mai perché li svestirono prima di introdurli nelle camere a gas.
Così è nato il "Gelem Gelem".
L'otto aprile 1971, come lo sbocciare di un fiore, nella vecchia Europa è
apparso il germe di una coscienza collettiva addormentata per tanti secoli.
Gitani e gitane provenienti da 25 stati, residenti nei paesi comunisti
dell'eterno freddo, o nella geografia spesso disumana del capitalismo più
feroce, hanno messo al di sopra di qualsiasi ideologia il rispetto per la nostra
comune condizione di gitani. Poi ci siamo resi conto che eravamo un popolo, che
aveva saputo conservare leggi e costumi e che dovevano essere difesi. Il
rispetto verso le persone più grandi, l'autorità indiscussa degli anziani, il
valore della parola data, la venerazione suprema della famiglia, sono
l'espressione palpabile della nostra massima istituzione e dell'amore supremo e
incorruttibile nei confronti della libertà.
Oggi non ci sembra il giorno adatto per parlare delle nostre miserie.
Dell'emarginazione della quale siamo vittime e degli attacchi razzisti che
patiamo. Per denunciare queste situazioni abbiamo tutti i giorni dell'anno, e
così facciamo. L'otto aprile è la Giornata Internazionale del Popolo Gitano è ha
una vocazione di fraternità e di rispetto per tutto il mondo. Così come in
questo giorno i gitani e le gitane del pianeta si avvicinano ai fiumi per
depositare sulle loro acque le candele del ricordo e i fiori della libertà,
nelle quali sta il simbolo del nostro desiderio di convivere con il resto dei
cittadini in pace e armonia, in quanto una celebrazione che racchiude il ricordo
del passato e l'amore per la libertà dovrebbe essere patrimonio di tutta
l'umanità.
Juan de Dios Ramírez Heredia
Presidente de Unión Romani
Abogado y periodista
Di Fabrizio (del 09/04/2012 @ 09:33:22, in Regole, visitato 1467 volte)
(foto Keystone)
Corriere del TicinoAI: vietato discriminare gli zingari Secondo il TF bisogna tenere conto del loro particolare modo di vita
5.04.2012 - 12:01 ats
LOSANNA - Gli zingari non devono essere discriminati nei riguardi
dell'assicurazione invalidità (AI): il Tribunale federale (TF) ha accolto il
ricorso di una donna a cui è stata rifiutata una rendita, col motivo che i suoi
problemi di salute non le impediscono di svolgere un'attività sedentaria.
La donna, appartenente alla comunità svizzera degli zingari, vive nella
regione di Ginevra nei mesi invernali e si sposta il resto dell'anno in Francia,
Germania e nella Svizzera tedesca. Dopo essere stata impiegata dall'impresa del
marito rigattiere, dal 2006 non è più in grado di lavorare a causa di una
lombalgia cronica. Le autorità ginevrine le avevano tuttavia negato una rendita
AI.
La valutazione del grado d'invalidità - rilevano i giudici federali - deve
tener conto del modo di vita degli zingari. Nel loro caso, i dati statistici sui
quali è basato il calcolo del reddito che la persona potrebbe conseguire non
sono adeguati.
Per aver omesso di tener conto dell'itineranza della donna, il rifiuto
opposto dalle autorità ginevrine è contrario al divieto di qualsiasi
discriminazione, diretta o indiretta, previsto dalla Costituzione federale e
agli impegni, relativi alla protezione delle minoranze, sottoscritti dalla
Svizzera sul piano internazionale, sentenzia la Corte suprema.
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