Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Di Fabrizio (del 12/03/2012 @ 09:34:04, in Europa, visitato 1369 volte)
Puglialive.net
06/03/12 - Conferenza di presentazione delle risultanze del Progetto
"Sviluppo dei diritti umani in Albania in favore delle popolazioni Rom nel
distretto di Fier, formazione professionale nel settore dello smaltimento dei
Residui solidi urbani"
L'Assessorato regionale al Mediterraneo presenterà i risultati del Progetto
"Sviluppo dei diritti umani in Albania in favore delle popolazioni Rom nel
distretto di Fier, formazione professionale nel settore dello smaltimento dei
Residui solidi urbani" il 9 marzo, alle ore 10, presso la Mediateca regionale,
via Zanardelli.
All'incontro interverranno: l'Assessore al Mediterraneo Silvia Godelli,
l'Assessore regionale alle Politiche giovanili e Cittadinanza sociale Nicola
Fratoianni,, l'Assessore al Mezzogiorno e Politiche comunitarie del Comune di
Bari Gianluca Paparesta, il Direttore UTL MAE di Tirana Aldo Sicignano, il
Presidente di Legacoop Puglia Carmelo Rollo, il Presidente dell'AMIU Bari
Gianfranco Grandalliano, il Direttore dell'AMIU di Bari Antonio Di Biase, il
Sindaco della Municipalità di Topoja (Fier Albania), Orben Voja, Padre Rosario
Avino in rappresentanza Centro Sociale Murialdo dei Padri Giuseppini in Albania,
il coordinatore del progetto.Vladimir Malo, il responsabile della progettazione
Xhevahir Ngeqari, e un gruppo di giovani Rom allievi del corso.
Il progetto è stato proposto e realizzato dalla Lega Regionale delle Cooperative
e Mutue della Puglia - Legacoop Puglia, in collaborazione con AMIU Bari, la
Municipalità di Topoja nel distretto di Fier in Albania, il Centro Sociale
Murialdo dei Padri Giuseppini, con il diretto coinvolgimento della locale
Comunità Rom, e ha avuto come destinatari un gruppo di giovani cittadini Rom,
impegnati in un percorso di formazione e di avvio al lavoro nel settore della
raccolta differenziata dei rifiuti solidi urbani, mediante il ricorso a tecniche
avanzate; esso ha conseguito anche l'ambizioso traguardo di arrivare alla
costituzione di un'associazione composta da cittadini Rom e Albanesi per la
gestione del servizio.
"Questa iniziativa, sottolinea l'Assessore Silvia Godelli, si
inserisce in una più ampia politica di intervento adottata dalla Regione Puglia
a sostegno dei diritti umani, in difesa delle minoranze e contro tutte le forme
di discriminazioni, che ha visto tra l'altro l'adesione ufficiale della Regione
nel 2010 alla Campagna DOSTA, promossa dal Consiglio d'Europa di Strasburgo per
combattere i pregiudizi e gli stereotipi nei confronti dei rom e per favorire
politiche di integrazione attraverso la conoscenza della realtà storica, sociale
e culturale della comunità rom."
Nell'ambito di tale Campagna, si sono già svolte iniziative con i rappresentanti
del Consiglio d'Europa a Bari e a Lecce. Tra le attività programmate e sostenute
dall'Assessorato al Mediterraneo, vi è la realizzazione di un abbecedario
romanes-italiano, di una antologia di scrittori rom dell'area balcanica, di un
seminario dedicato ai media per un corretto approccio alle problematiche della
comunità rom, di un corso per mediatori rom.
Di Fabrizio (del 12/03/2012 @ 09:53:13, in Italia, visitato 1352 volte)
quiBrescia.it
8 marzo 2012
(red.) Un altro tassello si aggiunge alla difficile questione del trattamento
dei rom e dei sinti a Brescia. La Federazione Rom e Sinti Insieme ha espresso
infatti il suo parere
su quanto sta accadendo nel campo di via Orzinuovi. "La
situazione bresciana è molto complessa e negli ultimi anni si è avvitata sul
presupposto che l'essere sinti e rom è uno dei mali della società. Presupposto
ideologico che preoccupa perché rischia di inficiare qualsiasi intervento
rispettoso della legislazione vigente", ha scritto in un comunicato
l'associazione. "Dopo una prima analisi ci sembra che le proposte, presentate il
5 marzo dall'amministrazione comunale, contengano elementi di discriminazione
perché per dieci famiglie è previsto un trattamento penalizzante, a fronte di
una situazione economica famigliare eguale a quella delle altre famiglie (vedi
dichiarazioni Isee). E' comunque parso evidente", prosegue, "che tutte le
proposte presentate non sono state concordate con le famiglie ma vengono imposte
in base ad un "patto di cittadinanza" che porta a pensare ad una lesione dei
diritti sanciti dalla Costituzione italiana".
Secondo l'associazione le proposte delle famiglie non sono state nemmeno prese
in considerazione. "Nell'incontro del 5 marzo è stato fatto un solo accenno, da
parte dei responsabili dei servizi comunali, alle proposte presentate da due
famiglie ed è di fatto scoraggiata qualsiasi iniziativa che preveda la piena
autonomia delle famiglie sinte. L'impressione avuta durante l'incontro è che
l'amministrazione comunale operi in una logica emergenziale anche dopo la
sentenza 6050 del Consiglio di Stato. Inoltre, dobbiamo rilevare che in tutti
questi anni nessuna azione significativa è stata messa in campo nell'ambito del
lavoro e della formazione professionale. Per queste ragioni la Federazione Rom e
Sinti Insieme chiede all'Amministrazione comunale di prorogare il termine della
chiusura dell'area di via Orzinuovi allo scopo di ricercare soluzioni
alternative e definitive, nel rispetto della cultura sinta e in accordo con le
famiglie residenti".
"Nei prossimi giorni la Federazione valuterà eventuali altri interventi",
prosegue il comunicato, "per la tutela delle famiglie e inviterà il Prefetto di
Brescia ad istituire un tavolo di lavoro per approfondire le diverse
problematiche a cui si devono confrontare le famiglie sinte e rom. Auspichiamo
che la società civile, che in questi anni si è impegnata a fianco delle famiglie
sinte e rom di Brescia, riesca a comprendere l'importanza di non arrendersi a
soluzioni che in questi anni si sono dimostrate fallimentari in diverse Città
italiane. Rimarchiamo che qualsiasi soluzione abitativa, diversa dai terreni
privati, è destinata nel tempo a fallire se non è accompagnata da un serio
progetto condiviso di mediazione culturale, con la partecipazione diretta di
sinti e rom".
Di Fabrizio (del 13/03/2012 @ 09:09:01, in Regole, visitato 1693 volte)
Segnalazione di Agostino Rota Martir
E-IL MENSILE online 8 marzo 2012 -
Antonella De Vito
Ibadet Dibrani è una giovane donna rom molta coraggiosa. Un coraggio che in
questo momento le nasce dalla disperazione, ma che le conferisce comunque la
caratteristica di una donna forte e combattiva, non disponibile ad arrendersi
alla logica e al potere di un'amministrazione comunale che da una parte dà e
dall'altra toglie sulla base di logiche e principi che lasciano molti dubbi.
Oggi Ibadet ha 34 anni e con i suoi 5 figli, la cui più piccola ha solo 9 mesi,
è stata sfrattata dalla casa dove viveva da oltre un anno. Da una piccola e
vecchia roulotte sistemata a pochi metri dall'abitazione, senza vestiti per
potersi cambiare e con poche coperte per tutti i bambini, continua a chiedersi
perché ce l'hanno proprio con lei. "È la prima volta che qualcuno della nostra
etnia, arriva fino alla Corte d'Assise" spiega Ibadet. I suoi figli, tutti
minorenni, sono Belen di 9 mesi, Corona di due anni e mezzo, Merema di 12 anni,
Ekrem di 13 e Toni di 15. Tutta la famiglia raggiunge gli onori delle cronache
nel 2010 quando ad appena due mesi dal matrimonio, la moglie di suo figlio Toni
decide di rompere l'unione accusando il marito e tutta la sua famiglia, di
averla rapita, violentata e trattata da schiava. I giornali locali si gettano
sulla storia battezzando il caso come "la sposa bambina" dividendo subito i
protagonisti della vicenda fra buoni e cattivi. Toni ha 15 anni e così sua
moglie, anche se sugli organi d'informazione alla sposa, per essere ancora più
bambina, attribuiscono 13 anni, e le fanno indossare le vesti della giovane
eroina, che denunciando i suoi aguzzini infonde il coraggio per ribellarsi, ad
altre coetanee nelle sue condizioni. Questa la storia letta sulla stampa.
Diversa è invece la vicenda raccontata dai protagonisti che incontriamo al campo
di Coltano in provincia di Pisa dove la famiglia Dibrani vive. A parlare è
Ibadet, che stanca di subire i pregiudizi, le sentenze e i provvedimenti
amministrativi che l'hanno gettata fuori di casa con i suoi figli, decide di
raccontare la sua storia a chi ha voglia di ascoltarla.
"Accetterò la decisione del magistrato -ci dice Ibadet- e se riterrà che la
nostra famiglia è colpevole lascerò spontaneamente la casa che mi ha assegnato
la Società della Salute di Pisa. Ma fino a quel momento ho dei diritti, e
desidero difendere la mia famiglia dalle tante ingiuste bugie che sono state
dette. La prima è quella di aver dato alla moglie di mio figlio 13 anni, quando
in realtà ne hanno entrambi 15, fra loro vi sono solo due mesi di differenza.
Per il nostro popolo sposarsi giovani è una tradizione. Dopo il matrimonio di
mio figlio ci sono state tante altre unioni di questo tipo nel territorio pisano
e italiano, ma nessuno se n'è interessato: perché allora ce l'hanno solo con
noi? Perché il comune di Pisa ha dato ascolto, fin dall'inizio solo ad una
versione dei fatti? Perché non aspetta che sia il Tribunale ad esprimersi?
Perché non rispetta la Costituzione Italiana, dove si dice che la responsabilità
penale è sempre individuale e che non può ricadere mai sui minori?".
Il matrimonio di Toni è stato, secondo tradizione rom, accordato fra le due
famiglie, dopo che i due giovani si erano conosciuti. Infatti i genitori si sono
incontrati due volte in Kosovo, stabilendo la dote e festeggiando con una grande
festa, prima con i genitori della sposa in Kosovo e poi a Coltano con gli altri
parenti e amici del campo. Dopo la denuncia della ragazza sono stati arrestati
Ibadet, suo marito Riza di 35 anni, il figlio Toni, i nonni, lo zio e la zia
dello sposo. "Mio figlio -continua Ibadet- ha fatto sei mesi di carcere dove è
stato anche picchiato dal suo compagno di cella. Io sono stata la prima ad
uscire dopo 26 giorni perché ero incinta, poi mia suocera e successivamente mio
suocero e gli zii di mio figlio". In carcere a Prato resta il marito in attesa
di giudizio, che dovrebbe arrivare dopo il processo iniziato in questi giorni e
che non è prevedibile sapere quanto durerà.
In questo periodo sembrano essere emerse varie contraddizioni nell'accusa e nel
racconto della 'sposa bambina', mentre sono state raccolte prove a favore della
famiglia di Ibadet: nel frattempo la Società della Salute dell'area pisana ha
revocato la concessione amministrativa con la quale aveva assegnato la casa ai
Dibrani e ad altre 13 famiglie Rom, all'interno del progetto chiamato "Città
sottili". Secondo la Società della Salute, la famiglia di Ibadet non ha
rispettato i patti, infrangendo le leggi. "Non abbiamo commesso nessun reato.
Dopo il matrimonio in Kosovo, siamo tornati in Italia e l'abbiamo trattata come
una regina, non le abbiamo mai fatto del male. Non capisco perché non posso
entrare nella mia casa -continua-. Io al momento sono solo un'imputata ed ho
diritto a tre gradi di giudizio. Il Comune ci ha condannati prima del giudice e
ci ha buttato fuori di casa, senza darmi il tempo di prendere le mie cose.
Adesso tramite l'avvocato dovrò fare la richiesta per poter riavere almeno i
vestiti per me e i miei figli".
Ma come si può togliere la casa a dei bambini, nel periodo più freddo dell'anno?
Che colpe hanno loro in tutta questa storia? Il Comune di Pisa ha la risposta
pronta, ed ha invitato Ibadet ad andare a Pontedera dai suoi suoceri, affermando
che hanno una grande casa, ma non dicendo che vi abitano già molte persone, e
non c'è certo lo spazio sufficiente per la famiglia Dibrani. Ma il Comune è
anche disposto a prendersi cura dei bambini di Ibadet, togliendoli alle cure e
all'affetto della madre, usando un metodo molto discutibile e criticato anche da
diversi assistenti sociali e pedagogisti, che non credono assolutamente che
disgregare una famiglia, allontanando i figli dall'affetto dei genitori, sia una
procedura positiva e corretta. Il legame affettivo fra questi bambini e Ibadet è
molto forte, proprio come quello delle madri italiane con i loro figli, l'essere
rom non vuol dire trascurare i bambini, tutt'altro. Basterebbe entrare in un
campo per rendersene conto. Ed i bambini Rom reagiscono come tutti i bambini
italiani, perché non sono diversi da loro: "La scorsa notte -ci spiega Ibadet-
Corona che ha due anni e mezzo ha pianto fino alle due di notte perché voleva il
suo cuscino rimasto dentro casa, voleva andare nel suo letto, abbiamo pianto
insieme perché non sapevo cosa dirgli". Possiamo immaginare quale trauma sarebbe
per lui essere separato anche dalla madre.
Dopo che Ibadet ha rifiutato di andare a Pontedera e di lasciare il figli alle
cure del Comune, pare che neanche la piccola e vecchia roulotte sistemata nel
campo possa rispettare le regole. Idadet non può continuare a stare sul
territorio del Comune di Pisa, perché le sue condizioni sono definite "precarie"
e quindi deve andarsene. Secondo l'amministrazione, Ibadet adesso può
raggiungere i suoceri a Pontedera o i genitori in Belgio, ed il Comune è anche
disposto a pagare il viaggio, naturalmente di sola andata, a lei e alla famiglia
poiché - questo è stato messo in chiaro - anche se Ibadet e la sua famiglia
saranno assolti, non riavranno la casa. Non importa se non potrà essere presente
al processo, non importa se i figli che hanno iniziato un percorso scolastico
dovranno cambiare compagni, non importa se i più piccoli, che hanno già vissuto
lo sfratto dalla casa come un episodio traumatico, dovranno subire anche
l'allontanamento dal campo dove sono nati e la separazione dalle persone che
hanno conosciuto fin dalla nascita. L'unica cosa che conta per l'amministrazione
è che Ibadet vada fuori dal territorio del comune.
Quello dei Rom è uno dei popoli più discriminati della storia dell'umanità, il
loro avere solo una tradizione orale li mette ai margini della società, di loro
nessuno ricorda o forse neanche conosce, le numerose persecuzioni che possiamo
far risalire a molti secoli fa, passando dai lager nazisti, fino alle più
recenti guerre balcaniche. Anche Ibaded è scappata allo scoppio del conflitto in
Kosovo risparmiandosi le violenze che questa etnia ha dovuto subire fino al
culmine delle atrocità compiute nel '99 da Milosevic con le sue operazioni di
pulizia etnica.
Alla discriminazione si aggiunge discriminazione. E' Ibadet stessa che racconta:
"Dopo le notizie pubblicate dai giornali locali non potevamo più salire
sull'autobus che la gente ci sputava; una donna rom del campo è stata aggredita
verbalmente; un medico si è rifiutato di visitarmi quando ero incinta. Perché mi
hanno condannato prima del giudice senza ascoltare quello che avevo da dire?
Perché gli operatori del comune che ci frequentavano, se ne stanno zitti?".
Di Fabrizio (del 13/03/2012 @ 09:09:21, in Italia, visitato 1816 volte)
di Matteo de Bellis, attivista europeo di
Amnesty International
Una ruspa ad appena pochi metri dal campo di via Sacile, ricorda che i
lavori continueranno © Private
"Sappiamo che dovremo andarcene per i lavori di costruzione, ma dovrebbero
dare un posto, non limitarsi a lasciarci per strada."
Giovanni mi parla, in piedi di fronte a me, davanti ad una fila di baracche,
raggruppate in uno spazio grande quanto un campo di calcio a sette.
Sotto il lucente sole di Milano, i bambini corrono come se il campo di via
Sacile fosse un parco giochi. Ma non è così.
Giovanni vive da marzo 2011 nel campo non autorizzato di via Sacile. Ora ci
sono ci 50 famiglie, attorno alle 250-300persone, tutte Rom dalla Romania.
Da circa un anno vivono qui. Le autorità non hanno fornito alcun servizio:
bagni, acqua, raccolta dell'immondizia.
Gli abitanti usano aree specifiche come toilette, ogni giorno vanno a
raccogliere l'acqua presso una fontanella a qualche centinaia di metri e pagano
una società privata per raccogliere una volta la settimana la spazzatura.
Anche le OnG locali, le associazioni rom e dei cittadini stanno facendo la
loro parte, mandando i medici a visitare il campo, aiutando le famiglie ad
iscrivere i bambini a scuola e raccogliendo i curriculum degli adulti per
aiutarli a trovare lavoro.
© NAGA
Le autorità cittadine sono quasi completamente assenti da via Sacile. Eccetto
forse le visite periodiche della polizia locale, che diverse volte ha annunciato
l'imminente sgombero per tutti quanti vivano al campo.
L'area dove vivono le famiglie rom è interessata da lavori infrastrutturali -
una nuova rampa autostradale, le fognature ed i relativi lavori di drenaggio.
Lo scorso dicembre, gli abitanti spostarono le loro baracche a qualche metro
dalla sistemazione originaria, per permettere che continuassero i lavori
nell'area. Allora, le autorità lo considerarono sufficiente ad evitare lo
sgombero nella gelata condizione
invernale.
Ma ora che il sole splende ed ancora una volta i lavori di costruzione
minacciano di invadere il campo, tutti hanno paura che una sgombero sia
imminente.
Alcuni degli abitanti di via Sacile vivevano nel campo autorizzato di via
Triboniano, chiuso dalle autorità ad aprile 2011.
Giovanni mi racconta che tutta la sua famiglia è stata espulsa da via
Triboniano, subito prima della chiusura, perché aveva ospitato suo padre e sua
madre senza la dovuta autorizzazione.
Amnesty International ha documentato espulsioni di questo tipo, dove le
autorità hanno applicato regolamenti poi dichiarati illegali. Nel novembre 2011,
una decisione del Consiglio di stato ha stracciato la cosiddetta "Emergenza
Nomadi", uno stato d'emergenza che violava la legge e discriminava i Rom.
Ma le autorità milanesi e nazionali sinora non hanno fatto niente per aiutare
chi era coinvolto. Sembra invece intendano proseguire sulla stessa strada degli
sgomberi forzati che hanno oscurato le vite di centinaia di Rom milanesi, e
migliaia altrove, negli ultimi anni.
La gente come Giovanni potrebbe ora trovarsi nuovamente di fronte ad uno
sgombero forzato.
Un bulldozer parcheggiato appena a pochi metri dal campo di via Sacile
ricorda che i lavori proseguiranno, riportando quelle che possono essere
dolorose memorie dei precedenti sgomberi forzati.
Baracche, materassi, vestiti, bambole e quaderni furono travolti e distrutti.
Tutto questo senza che le autorità si consultassero preventivamente con la
comunità rom, dessero un preavviso od offrissero soluzioni abitative alternative
adeguate.
"Stavolta speriamo che diano almeno 5 o 10 giorni di preavviso," dice Bi, un
altro giovane che si guadagna da vivere scaricando e distribuendo casse di
frutta in centro città. "Se ci sgomberano senza preavviso, perderò anche il mio
lavoro, perché dovrei prendere un giorno di ferie e non so come spiegarlo al
capo, che non sa che vivo in un campo."
Le famiglie rom di via Sacile chiedono solo un preavviso per lo sgombero ed
un posto dove stare, molto meno di quanto le autorità siano tenute a fornire in
base al diritto internazionale.
Sperano ancora che il sindaco di Milano faccia la cosa giusta, e sospenda lo
sgombero fino a quando non seguano procedure corrette, con l'identificazione di
alternative adeguate per ogni famiglia.
Ma ogni notte, quelle famiglie vanno a dormire nelle loro baracche sapendo
che può essere la loro ultima notte lì, e la mattina successiva le ruspe
potrebbero entrare nel campo.
Di Fabrizio (del 14/03/2012 @ 09:06:32, in Italia, visitato 3067 volte)
Il titolo di un articolo prima mi ha fatto ridere (alla fine svelerò il mistero), e
poi disordinatamente sono arrivati in successione alcuni frammenti di pensiero,
riassunti in tre immagini.
Osservate questa prima immagine o date un occhio a
Gypsy Waggon: piccoli
capolavori quasi scomparsi, frutto dell'esperienza, leggeri (alcuni quasi leggiadri), il simbolo
del viaggio (ed anche della natura, del cavallo, della musica, di tutto quanto
le nostre menti rinchiuse nelle case associano alla vita nomade).
Oggi questa è l'evoluzione REALE di quel mondo fantastico
(l'immagine viene nientepopodimeno che dal blog di
Riccardo De Corato): una roulotte scassata e senza ruote, che non può andare
da nessuna parte... ma neanche restare: la foto è stata scattata durante la
chiusura del campo di Triboniano.
Dove si va, mi chiedo? Un tempo, si sarebbe preso il vurdon o la kampina e si
sarebbero cercate mete più fortunate, ma adesso i discendenti di chi le abitava
non sarebbero più capaci di farlo, e non ci sono più posti dove accamparsi senza
che l'autorità ti dica di andar via.
E' quello che ho sentito da molti Rom e Sinti: "Prima ci hanno obbligato a
fermarci, a mandare i figli a scuola. L'abbiamo fatto in cambio del campo, che
in qualche modo era una certezza. E quando hanno ottenuto da noi ciò che
volevano, chiudono il campo e fanno nuove promesse."
Attenzione a quest'altra foto,
Mirafiori: riuscite ad immaginare qualcosa di più statico e pesante,
impossibile da spostare con tutte le sue catene ed i suoi dipendenti?
Eppure... siamo capaci di farlo. Il titolo a cui accennavo all'inizio è:
Marchionne: "Siamo nomadi, andiamo dove si fanno affari". ABBIAMO consegnato
a Marchionne (tramite le pagine di Repubblica, non del Giornale o del
Sole24Ore) prima che il patrimonio del nomade, le nostre teste. Lasciando a
Marchionne la possibilità di andare, con tutti i contributi che i vari governi
hanno dato alla FIAT negli scorsi decenni, ed una roulotte senza ruote a chi
forse per la prima volta nella sua lunga storia si interroga sul proprio futuro.
Per la vulgata, il primo passa da imprenditore, i secondi per ladri...
E mentre Marchionne si riscopre nomade, sono in molti tra i suoi connazionali
che parimenti a Rom e Sinti non hanno certezza del loro futuro.
Il bello, è che tutto ciò che avete letto dall'inizio, l'abbiamo voluto,
l'abbiamo permesso, lo pagheremo. E so già che i futuri disoccupati troveranno
il modo per odiare di più "gli zingari", perché succede questo quando si ha
fame. L'abbiamo voluto... basta ciò a dire che sia anche intelligente?
PS: Un compleanno recente mi ha ricordato che l'epilogo era già stato
scritto anni fa, prima che arrivassero fabbriche e città. Non c'era bisogno di saper leggere le stelle, poteva arrivarci
anche un gagio che
amasse i libri.
PROBLEMI GENERALI DEI ROM IN BRASILE - Ge Victor
- Accesso ai documenti d'identità obbligatori.
Il nomadismo è uno dei pretesti più ricorrenti, soprattutto da
parte degli uffici incaricati, che a volte impediscono la
registrazione ufficiale dei dati personali dei gitani. Cioè,
in termini legali la persona gitana, non esiste in quanto non
possiede documenti. Occorre quindi considerare che le questioni
del lavoro e dell'alloggio, pratiche commerciali incluse, quindi
le condizioni generali di vita si siano adattate in "mancanza"
di condizioni civili, estranei a standard sociali legali. Da qui
l'associazione alla marginalità. Un'altra aggravante
all'inesistenza ufficiale si traduce con la mancanza di dati
certi sul numero dei gitani in Brasile. Sondaggi aleatori ed
ufficiosi indicherebbero una cifra tra 650 mila ed 1,2
milioni, divisi in gruppi etnici distinti. Sono anche inesatte
le informazioni sui gitani considerati "civilizzati", perché
molti di loro, pur preservando lingua e tradizioni, non
assumerebbero tratti identitari propri, o sarebbero portati a
non farlo, per paura di essere discriminati.
- Accesso alla sanità pubblica. Come
conseguenza delle tradizioni (che prevedono la nascita dei figli
dentro le proprie tende) e di trattamenti pubblici indebiti,
alla madre gitana è negato l'accesso alla "carta ospedaliera"
ufficiale, e quindi la registrazione dei dati preliminari di
identificazione dei propri figli. Quella carta risulta
indispensabile per ottenere altri documenti, ad es. il
certificato di nascita. Inoltre, senza di essa non è possibile
aver accesso legale ad altri documenti da utilizzare per i
servizi pubblici, come il pronto soccorso, le vaccinazioni, ecc.
- Accesso alla pubblica istruzione e permanenza a
scuola. Non è raro che i bambini gitani si vedano
negato il diritto all'iscrizione ed alla frequenza scolastica, a
causa delle tradizioni familiari e del modo proprio di vita e di
relazionarsi. A parte queste difficoltà, una volta iscritto il
bambino gitano affronta ulteriori difficoltà dovute alle sue
tradizioni. Pur avendo idiomi e dialetti propri, i gitani legati
alla tradizione sono considerati analfabeti, in quanto non
utilizzano simboli grafici (lettere e numeri) nella loro
comunicazione e nella trasmissione delle conoscenze
tradizionali, delegate alla pratica orale. Occorre pensare e
fornire un modello educativo che tenga conto delle specificità
delle comunità gitane, riguardo la lingua e l'ortografia, i
curricula, il materiale didattico-pedagogico ed i contenuti
programmatici, ispirandosi ai precetti della Dichiarazione
Mondiale sull'Istruzione per Tutti.
- Accesso alle installazioni e permanenza negli spazi
pubblici in aree urbane. Non esistono indicazioni da
parte dei poteri pubblici o dei gestori degli spazi e della
pubblica sicurezza, per assicurare ai gitani il diritto di
stazionare con le carovane o di stabilirsi in accampamenti
provvisori, senza essere molestati da polizia ed autorità
locali. Nella maggior parte dei casi le difficoltà di accesso
agli spazi pubblici sono chiaramente associate a discriminazioni
o intolleranza, date le condizioni precarie offerte, le rigide
imposizioni di comportamento sociale e di transito; le richieste
-talvolta abusive - di permessi, imposte, tasse ecc.
- Inclusione sociale e culturale. I valori
culturali non sono riconosciuti o rispettati. Per questo,
frequentemente si è vittima dei preconcetti. L'ignoranza
generalizzata sulle origini, costumi e diritti dei gitani, è
causa di stigma e di trattamenti stereotipati. Cioè, per meglio
dire, l'essere gitano è associato il più delle volte ad un
sinonimo di emarginazione. Questi tratti storici sono stati
coltivati ed ingranditi, incluso - nella letteratura di genere -
racconti di vita vissuta o immaginari. Così come gli ebrei, gli
indios ed i negri, i gitani soffrono - giorno per giorno - di
discriminazione sociale e culturale.
- Mantenimento delle tradizioni, delle pratiche e del
patrimonio culturale. I concerti e gli spettacoli "mambembes",
i mestieri tradizionali come la la lavorazione dei gioielli, del
metallo e del rame, stanno sparendo di fronte a realtà più
affermate. La libera circolazione degli spettacoli, riferimento
simbolico della pratica teatrale brasiliana, oggi è quasi
scomparsa, sia per la massificazione dell'industria culturale,
che per la mancanza di incentivi pubblici e privati. Le memorie
ed i referenti culturali gitani, tradizionalmente conservati e
tramandati in cassepanche intoccabili dentro le tende, stanno
dissipandosi in mancanza di una politica di divulgazione
pubblica, che protegga e cataloghi questo ricco patrimonio. Nel
campo letterario non ci sono pubblicazioni sui gitani, e quando
sono citati avviene in modo dispregiativo. La situazione si
ripete al cinema e nella televisione, a volte inzuccherata dalla
bellezza e dalle pratiche esotiche tradizionali della cultura
gitana. In questo senso, si rende urgente stabilire processi di
recupero e riscatto delle conoscenze, dell'autostima, dei saperi
e capacità tradizionali delle culture gitane.
Di Fabrizio (del 15/03/2012 @ 09:48:42, in media, visitato 1340 volte)
La nuova trasmissione condotta da Medici per i diritti umani su
Novaradio Città Futura 101,5
Tutti i Giovedì - dalle ore 17 - a partire dal 15 marzo 2012
I conduttori del programma, con la collaborazione di numerosi ospiti, apriranno
una finestra sul diritto alla salute, sulle attività di MEDU e soprattutto sui
contesti e sulla vita dei beneficiari dei nostri progetti. Pillole della durata
di venti minuti, intervallate da un rilassante intermezzo musicale, che
avranno come titolo "Nessuno escluso" .
Cercheremo innanzitutto di parlare di e con le persone che vivono in condizioni
di marginalità nelle nostre città. Daremo loro voce attraverso interviste
pensate e realizzate da alcuni volontari, che hanno chiesto di descrivere
l'ambiente delle case occupate e dei campi rom spontanei, la giornata tipo di
chi ci sta dentro, il suo progetto migratorio, il suo viaggio e le sue
aspettative, oltre al suo rapporto con i servizi sanitari del territorio.
Parleremo dei progetti internazionali che Medu sta portando avanti in Colombia,
Ecuador e Palestina, dando ancora una volta priorità alla testimonianza diretta
dei nostri partner locali e dei nostri operatori sul terreno, tentando a margine
di offrire uno spaccato della situazione politica e sociale dei Paesi coinvolti.
Ragioneremo dell'eguaglianza di genere e della violenza sulle donne,
divertendoci anche a spulciare i messaggi mediatici e pubblicitari volti ad
attribuire un ruolo dominante al Maschio, per obbligo. Abbiamo infine
pensato ad alcune tematiche più peculiari come il disagio mentale, la dipendenza
e la situazione dei minori abbandonati nei contesti di precarietà.
Nessuno escluso dal diritto alla salute, come recita il nostro
slogan. Filo conduttore sarà l'idea di salute concepita come condizione
complessiva della persona, che comprende oltre all'assenza di malattie anche il
benessere psico-fisico e l'inserimento sociale. Su queste basi ci confronteremo
anche con il ruolo che secondo noi devono avere il servizio pubblico e il terzo
settore, con l'obiettivo comune di garantire un diritto fondamentale che come
tale è di tutti, senza distinzioni di razza, sesso, provenienza, condizione
economica o amministrativa.
NESSUNO ESCLUSO
Ogni giovedì alle 17.00, in
Podcast sul sito
di MEDU
A cura di Marco Zanchetta e Riccardo Di Virgilio
Ufficio Stampa Firenze
Tel. 3351853361
Medici per i Diritti Umani, organizzazione umanitaria e di solidarietà
internazionale.
Di Fabrizio (del 15/03/2012 @ 09:59:13, in lavoro, visitato 1538 volte)
Da
Bulgarian_Roma
Novinite.com Il programma "LAND - Source of Income" ha fornito
assistenza finanziaria ad 80 famiglie rom, perché possano avviare un business
agricolo. Photo by money.bg
08/03/2012 - 80 famiglie rom della regione di Plovdiv nella Bulgaria
meridionale hanno ricevuto assistenza finanziaria per dare avvio ad un business
agricolo.
Il programma "LAND - Source of Income" col sostegno della fondazione
America for
Bulgaria sta offrendo schemi di microcredito a basso interesse, così che le
famiglie rom senza terra possano acquistare terreno ed attrezzature agricole ed
avere accesso ad una determinata somma di capitale circolante.
Alcuni dei partecipanti al programma hanno sviluppato progetti che hanno
ottenuto sovvenzioni del programma operativo gestito dal fondo statale per
l'agricoltura.
[...] L'iniziativa ha già contribuito alla creazione di piccole imprese agricole
a Perushtitsa, Parvomai e nei villaggi attorno a Plovdiv e Pazardzhik.
Ilia Iliev, del villaggio di Chaloukovi vicino a Plovdiv ha comprato a basso
interesse 32 decari (cfr.
Wikipedia
ndr.) di terra arabile, che rimborserà in 5 anni alla fondazione.
Sta coltivando aglio, peperoni e pomodori.
Di Fabrizio (del 16/03/2012 @ 09:10:33, in scuola, visitato 1776 volte)
ENGAGE International Reading Association I ROM INVITATI IN LIBRERIA
- Guest Blogger: Marta Strahinič
Secondo dati non ufficiali, ci sono circa 312 Rom che vivono nel comune di
Metlika, la maggior parte risiede in cinque piccoli insediamenti. Tra loro, 139
sono bambini e3 giovani sino ai 15 anni di età. La maggior parte frequenta la
scuola primaria con più o meno regolarità, ma pochi di loro frequentano la
biblioteca.
Gli studiosi mostrano che la principale barriera per i giovani rom che
iniziano la scuola, è la loro scarsa conoscenza dello sloveno. Quindi le
biblioteche possono giocare un ruolo importante nel migliorare
l'alfabetizzazione e la capacità di lettura dei bambini rom ancora prima che
facciano il loro ingresso nella scuola.
Di conseguenza, nel 2003 mi sono attivamente coinvolta nel lavorare con i
Rom. Ho tenuto i contatti con il centro di lavoro sociale Metlika, che mi ha
forenito tutti i dati necessari perché iniziassi ad invitare in libreria i Rom,
specialmente i giovani ed i loro genitori. Questi son stati gli inizi che sono
sfociati in un progetto targhettizzato, denominato dalla biblioteca pubblica
Ljudska knjižnica Metlika "I Rom invitati in biblioteca".
Abbiamo iniziato ad invitare i bambini ed il or genitori a partecipare a
diversi eventi in libreria. Abbiamo tenuto conto dei loro desideri ed
organizzato per loro narrazioni e spettacoli di marionette. Li abbiamo anche
invitati ad eventi rivolti a tutti i bambini del comune.
Però, alcuni Rom non potevano, anche volendo, partecipare alle iniziative,
per la mancanza di trasporti pubblici e solo qualcuno di loro aveva una
macchina. Così la biblioteca decise il passo successivo. Nel 2005, iniziammo a d
organizzare eventi negli insediamenti rom.
Ciò che accadeva in quegli insediamenti attirò una grande affluenza. I
bambini accorrevano a giocare ed ascoltare i racconti, anche molti adulti si
fecero avanti con gioia ad ascoltare le fiabe. Le nostre visite erano l'evento
più importante per l'insediamento.
Oggi, 65 Rom sono iscritti alla biblioteca e la visitano regolarmente. Alcuni la
usano occasionalmente, soprattutto per navigare in Internet, e magari non sono
iscritti. Altri si avvicinano ai libri e ai racconti solo durante gli eventi che
organizziamo negli insediamenti.
Il nostro scopo - portare i libri e la biblioteca più vicino ai Rom,
particolarmente ai bambini, ha avuto molto successo. Li abbiamo ascoltati ed
assieme abbiamo sviluppato il progetto.
"I ROM INVITATI IN LIBRERIA" è stato scelto per il premio 2011
dell'Associazione Internazionale di Lettura per la Promozione della Lettura
Innovativa in Europa. In quanto responsabile del progetto, Marta Strahinič ha
ritirato il premio e presentato il progetto alla 17a Conferenza Europea di
Lettura, a Mons in Belgio.
Di Fabrizio (del 16/03/2012 @ 09:20:42, in Italia, visitato 1643 volte)
Ve
lo ricordate?
Corriere del Mezzogiorno Sentenza in Corte d'Assise, il pm aveva chiesto
l'ergastolo ma i giudici hanno escluso il «futile motivo» IL PRIMO GRADO
DEL PROCESSO PER L'ASSASSINIO DEL MUSICISTA ROMENO A MONTESANTO
NAPOLI - Per i giudici sono loro gli assassini del musicista
romeno, Petru Birlandenau (Petru Birladeanu ndr.), alla stazione
della Cumana di Montesanto a Napoli: misfatto atroce per il quale in tre sono
stati condannati a trent'anni di galera ciascuno. Questo il verdetto di primo
grado della terza sezione della Corte di Assise (presidente Carlo Spagna). I
condannati sono Marco Ricci e Maurizio e Salvatore Forte. La Corte, pur
riconoscendo la matrice camorristica del delitto, ha escluso l'aggravante del
futile motivo.
COMUNE PARTE CIVILE - Al processo si sono costituiti parte
civile il Comune di Napoli, assistito dall'avvocato Fabio Maria Ferrari, e i
familiari della vittima, assistiti dall'avvocato Elena Coccia.
MORTE IN DIRETTA - Per i tre imputati il pm Michele Del Prete
aveva chiesto la condanna all'ergastolo. Le sequenze dell'agguato furono filmate
dalle telecamere di sicurezza, nella stazione della Cumana. Secondo l'accusa,
Ricci e i due Forte, cugini tra loro, facevano parte del gruppo di otto killer
che, partiti dal quartiere di Ponticelli, dove era ancora egemone il clan Sarno,
scorrazzarono sparando per le strade di Montesanto in segno di disprezzo nei
confronti del boss rivale Marco Mariano, tra l'altro da poco scarcerato.
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Redazione online - 5 marzo 2012
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