Rom e Sinti da tutto il mondo

Ma che ci fa quell'orologio?
L'ora si puo' vedere dovunque, persino sul desktop.
Semplice: non lo faccio per essere alla moda!

L'OROLOGERIA DI MILANO srl viale Monza 6 MILANO

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Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
 
 
Di Fabrizio (del 09/06/2010 @ 14:30:00, in musica e parole, visitato 1552 volte)

Succedono strane cose a Milano, a volte anche piacevoli.

Piccola premessa, ieri mi telefona Ernesto Rossi, dicendo che oggi (praticamente mentre sto scrivendo) partirà una sorta di maratona letteraria dedicata a Cent'anni di solitudine. A dare il via, sarà il sindaco, e questo procurava qualche prurito al buon Ernesto, che ricordava la figura (totalmente positiva) del quasi immortale zingaro Melquíades.

Qui termino, non prima di consigliarvi una breve citazione che scrissi 5 anni fa di quel romanzo.

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Di Fabrizio (del 10/06/2010 @ 09:16:18, in casa, visitato 1887 volte)

da martedì 15 giugno 2010 alle ore 16.30 a lunedì 21 giugno 2010 alle ore 19.00
Museo delle Arti e Tradizioni Popolari, Piazza Guglielmo Marconi, 8 (EUR) Roma, Italy

Evento collaterale della Festa dell'Architettura di Roma (http://www.indexurbis.it/).

L’Istituto Centrale per la Demoetnoantropologia (IDEA) / Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari ospita l'evento Campus Rom, c'era una volta Savorengo Ker, mostra multimediale che racconta due esperienze di ricerca realizzate dal collettivo Stalker ON in collaborazione con le comunità Rom della capitale. Due anni di lavoro, vissuti tra intese e malintesi, che hanno visto nascere progetti coraggiosi e sogni condivisi, narrati dalla mostra fotografica Campus Rom e dal documentario, presentato in anteprima assoluta, C'era una volta … Savorengo Ker, la Casa di Tutti, regia di Fabrizio Boni e Giorgio de Finis, prodotto da In Iride Sfoggio.

La mostra Campus Rom presenta le fotografie di: Simona Caleo, Giorgio de Finis, Max Intrisano, Massimo Percossi, Maria Stefanek, Maria Teresa Bovino, Hector Silva Peralta. Alessandro Imbriaco

Per informazioni e aggiornamenti sul programma:

Sito ufficiale dell’evento:
http://campusrom.wordpress.com/

Indirizzo email:
campusrom.indexurbis@gmail.com

in diretta streaming su http://www.irida.it/
Ingresso libero - l'evento su Facebook

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Di Fabrizio (del 10/06/2010 @ 09:50:05, in musica e parole, visitato 1538 volte)

Da federazioneromani.wordpress.com

Qualche settimana fa abbiamo comunicato un progetto editoriale promosso e deliberato dall’assemblea dei soci della Federazione romanì.

Un progetto ambizioso che si propone di promuovere la costituzione di una Editoria romanì che, attraverso la valorizzazione delle professionalità rom e sinte e di un comitato scientifico, diffonda la conoscenza diretta della cultura e dell’arte romanì con la produzione di saggi di letteratura, antologie letterarie, libri, storie, racconti, arte e cultura, ecc. fino alla produzione e distribuzione periodica di una rivista romanì.

Una editoria romanì quale strumento pedagogico, educativo e divulgativo della cultura e dell’arte romanì.

Lo scorso 28 Maggio l’assemblea dei soci ha definito il logo della Editoria romanì (allegato), in corso di registrazione.

Il primo lavoro dell’editoria romanì "O romanò gi" (L’anima romanì) è in fase avanzata di programmazione. Si tratta di un saggio di letteratura romanì per portare all’attenzione del lettore i commenti, le analisi, le critiche delle opere di autori rom, sinti, kalè, manousches, romanichels viventi e non. Un analisi sui testi in lingua romanì nei diversi dialetti in cui si ramifica la romanì chib o romanès.

L’opera "O romanò gi" è anche una strumento pedagogico che sarà utilizzato per il corso di lingua romanès che inizierà a settembre 2010.

L’opera sara un formato A5 composta di circa 160 pagine.

Chiediamo agli amici del popolo romanò di sostenere questa iniziativa con un contributo. I sostenitori saranno menzionati nell’opera che riceveranno copia in omaggio.

Contributi possono essere inviati al codice IBAN: IT 20 O 05387 03204 000001892874 intestato a Federazione romanì, causale: "O romanò gi"

Informazioni: federazioneromani@libero.it

Federazione romani - Il presidente Nazzareno Guarnieri

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Di Fabrizio (del 10/06/2010 @ 09:52:20, in Italia, visitato 1886 volte)

Triennale - sala teatro Agorà, viale Alemagna 6 Milano
Giovedì 17 giugno ore 10.00

Introduce:
Riccardo Bonacina, direttore editoriale di "Vita non profit"

Partecipano:
Susanna Camusso, segretaria nazionale CGIL
Aldo Bonomi, sociologo, direttore di AASTER
Gianni Tognoni, Fondazione Basso, segretario generale del Tribunale Permanente dei Popoli
Giovanni Negri, presidente del Circolo della Stampa di Milano
Sergio Segio, curatore del Rapporto, direttore di Associazione SocietàINformazione

Interviene in video:
Moni Ovadia, artista e scrittore

Gli interventi saranno accompagnati dallo spettacolo:
Via Padova, Rosarno, Italia

Performance artistiche e musicali di:
L'Orchestra di via Padova
Modou Gueye, attore
Dijana Pavlovic, attrice, con i Muzikanti

Immagini e filmati a cura di:
Chiara Bellosi, Rosario Cinque e Luca Guarneri

INFO
Associazione SocietàINformazione | info@dirittiglobali.it | www.dirittiglobali.it
Ufficio stampa Ediesse srl | Carla Pagani | tel. 06 44870286 | ufficiostampa@ediesseonline.it  | www.ediesseonline.it

Un progetto promosso da
CGIL, ARCI, ActionAid, Antigone, Associazione SocietàINformazione, CNCA, Fondazione Basso - Sezione Internazionale, Forum Ambientalista, Gruppo Abele, Legambiente

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Di Fabrizio (del 11/06/2010 @ 09:04:17, in Italia, visitato 1833 volte)

Stefania Cammarata, con la Svoboda Orchestra, tra poco suonerà al DADO di Torino, un'esperienza di cui si era scritto in passato anche qui.

Il DADO è una comunità nella quale vige una regola fondamentale “dare diritti e pretendere doveri”.
Da un anno a Settimo Torinese accanto alle comunità Rom.



Un anno fa si è realizzato un sogno. Un sogno iniziato nel novembre del 2009 quando una notte è andato a fuoco un campo ROM alle porte di Torino dove vivevano molte famiglie di origine romena scappate in seguito ad una delle tante alluvioni che ha martoriato la Romania. In quella notte l’unico contatto che le famiglie avevano eravamo noi, che in quel campo svolgevamo piccole attività di mediazione culturale, accompagnavamo i bambini a scuola, mediazione sanitaria e poco più. Quando il campo ha preso fuoco noi abbiamo accolto le famiglie, che si sono trovate a perdere i loro pochissimi averi, nei nostri uffici allestiti insieme alla Croce Rossa con brandine nei corridoi e al posto dei pc. Da quel momento è iniziato un lungo percorso che ha visto le famiglie prima ospiti di un campo di emergenza con le tende, poi roulotte. La nostra proposta però fu subito quella di non gestire solo l’emergenza come spesso accade in Italia, ma provando a dimostrare che la tematica rom può essere governata in modo diverso, portandola a sistema. Da questa esigenza è nato il DADO. Una comunità nata grazie ad una struttura messa a disposizione dal comune di Settimo Torinese, alle porte di Torino. La struttura è stata ristrutturata completamente dalle famiglie che oggi ci vivono, questo ha permesso loro di sentire la struttura come casa loro a tutti gli effetti. Le famiglie hanno vissuto il cantiere, sotto la guida esperta di professionisti, durante i mesi nel cantiere si sono creati una professionalità che gli ha permesso di essere inseriti in contesti lavorativi. Il DADO è una comunità nella quale vige una regola fondamentale “dare diritti e pretendere doveri”. Le famiglie che stanno al DADO hanno la possibilità di essere inseriti in contesti lavorativi, i bambini vanno tutti a scuola, ma vi sono delle regole alle quali non è possibile declinare. Il quartiere nel quale è inserito il DADO era certamente spaventato dal trovarsi vicino a casa un gruppo di “zingari” come spesso vengono definiti con aria dispregiativa. Molte le proteste nelle prime settimane. Dopo i mesi di cantieri, grazie anche al lavoro svolto dalla parrocchia dalla scuola e da tutto il territorio, all’inaugurazione un anno fa avevamo più di trecento persone che ne hanno festeggiato l’apertura. Oggi i bambini giocano nell’oratorio insieme ai bambini originari di Settimo, vanno nella stessa scuola e sono diventati compagni di classe e non “zingari”. Al DADO si è bucata la bolla mediatica del razzismo, siamo riusciti con gesti semplici e concreti a dimostrare che stando con le persone è possibile uscire dal pregiudizio.

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Di Fabrizio (del 11/06/2010 @ 09:40:00, in Europa, visitato 1848 volte)

Segnalazione di Orhan Tahir (per chi volesse approfondire l'argomento, ricordo QUI)

ConservativeHome | CentreRight posted by Daniel Hamilton

Poco meno di due mesi fa, sono tornato da una visita in Kosovo.

Intendevo scrivere sulle mie esperienze ed impressioni nella provincia, ma ogni volta che mettevo la penna sulla carta, non ne seguivano le parole.

Come in ogni zona di conflitto - soprattutto conflitti etnici del tipo visti in Kosovo - i punti di vista che si sentono dai locali sono troppo polarizzati, le emozioni espresse troppo forte ed i simboli molto umani delle distruzioni illustrate dalle case bruciate; e cumuli di macerie che ancora delimitano le strade nel nord del paese sono ancora troppo evidenti per trarre una conclusione equa riguardo i "diritti" e "torti" di ogni situazione.

Non mi dilungherò sulle politiche in corso riguardo il futuro del Kosovo come nazione, né discuterò sulle continue intimidazioni e le misere condizioni delle minoranze della provincia. Invece, intendo sottolineare una significativa lacuna della comunità internazionale: il trattamento e le condizioni di vita dei rifugiati rom nel paese.

Questo problema risale al conflitto nel Kosovo tra il 1998 e il 1999, quando l'Armata di Liberazione del Kosovo espulse dalle loro case 90.000 cittadini di etnia rom sulle basi delle paure nazionaliste albanesi che la comunità fosse al servizio di Slobodan Milosevic.

Tra questi c'era la comunità rom di Mitrovica, una città nel settentrione della provincia etnicamente divisa tra la maggioranza serba a nord del fiume Ibar e la più vasta città albanese a sud. In precedenza casa di una delle più vaste comunità rom nei Balcani, 8.000 Rom, Ascali ed Egizi, la "Mahalla" (comunità) sulle rive dell'Ibar fu rasa al suolo dalle forze ALK nel giugno 1999, a seguito della ritirata dell'esercito serbo.

Temendo per le proprie vite, i cittadini rom di Mitrovica sono stati numerosi tra le centinaia di migliaia di rifugiati - Albanesi, Serbi, Gorani, Turchi e Bosniaci - scappati dal Kosovo [...].

Dal 1999, la maggioranza dei 90.000 Rom espulsi sono tornati in Kosovo, anche se oltre 30.000 non son mai tornati nelle loro case. La maggior parte di questa diaspora, non vedendo alcun futuro sotto il ruolo dell'amministrazione quasi monopolizzata dai nazionalisti albanesi, sceglie piuttosto di rimanere nella Repubblica Serba o di restare vicino alle proprie ex case nei grotteschi campi per rifugiati nella zona controllata dai Serbi a Mitrovica Nord.

Benvenuti nel complesso minerario di Trepça, dove 650 uomini, donne e bambini vivono in condizioni che non accetterebbe neanche un maiale.

Ho visitato uno dei campi, Cesmin Lug, una nuvolosa domenica pomeriggio.

In un accatastarsi di cemento ricoperto di ruggine, macchinari abbandonati e pozze di acqua stagnante grandi come piscine, a fatica si può credere che una volta le miniere rappresentavano il 70% della produzione di minerali della Jugoslavia ed occupavano circa 25.000 persone del posto in quattro differenti pozzi. Sono passati oltre venti anni da quando Trepça era pienamente operativa, ma  rimane ancora nell'aria un leggero odore di zolfo. Graffiti coprono ogni centimetro di edifici abbandonati e colonne di fumo si alzano contro l'orizzonte. Arbusti occasionali a parte, le cui radici si attaccano tenacemente al suolo, la vegetazione è sparsa stranamente.

Secondo la mia guida, una donna serba di mezza età chiamata Jasna, vengono fatti sforzi occasionali per riattivare parti del complesso, sforzi che invariabilmente si arenano al primo ostacolo. L'elettricità scarseggia (l'intera provincia del Kosovo ottiene la sua energia da stazione appena fuori da Pristina) ed oltre un decennio di abbandono significa che gran parte del complesso minerario è ora irreversibilmente sott'acqua.

Mentre i macabri ricordi del passato industriale di Trepça si possono vedere tutt'attorno, oggi l'unico segno di vita sono le case dei residenti rom.

Entrando a Cesmin Lug, sono stato immediatamente colpito dal numero di case rom attaccate l'una all'altra, i loro vibranti muri colorati quasi interamente camuffati da una misto di fango e pile d'immondizia.

Prima della mia visita avevo sentito dei gravi problemi di salute sofferti da molti dei residenti, ma sono rimasto scioccato nel vedere bambini di non più di quattro o cinque anni, sguazzare in pozze di acqua scura ed arrampicarsi su attrezzature minerarie abbandonate come fossero un parco giochi locale.

Non oltre qualche centinaio di metri da Cesmin Lug c'è un  piccolo pozzo che sembra una specie di imbocco per una miniera. Qui si dice che questi ingressi servivano a smaltire i gas tossici delle miniere da anni considerate insalubri per l'esplorazione umana.

Non ho parlato con nessuno nel campo ed ho lasciato Cesmin Lug in fretta come ero arrivato, scomodo alla mia macabra osservazione della reale sofferenza umana.

Tornando a Pristina, anche la più rapida delle conversazioni coi locali rivelava una conoscenza diffusa dei problemi di salute patiti dai Rom. Le più comunemente citate sono state le relazioni e le voci di avvelenamento da piombo, insufficienza renale e deformazioni tra quanti vivono nei campi. Mentre lo scandalo delle miniere di Trepça può essere praticamente sconosciuto fuori dal Kosovo, tristemente è linguaggio comune nella provincia.

Il gruppo ambientale Miniere e Comunità, che ha fatto campagne mondiali per far crescere la consapevolezza del danno ambientale costituito dal settore minerario, ha offerto le seguenti osservazioni sul tipo di rischi alla salute posti a quanti vivono nelle immediate vicinanze di miniere come Trepça:

"Il piombo può entrare nel corpo attraverso: inalazione, ingestione del suolo stesso o di cibo contaminato dal suolo, ed attraverso la placenta per il feto nel grembo materno. Nutrizione, igiene, rapporto di grasso corporeo, l'assunzione di fibre, età e in generale la condizione fisiologica, tutto può influire sulla velocità con la quale il corpo assorbe il piombo. I bambini sino a sei anni sono i più vulnerabili, in quanto sono nei primi stadi della crescita e dello sviluppo. L'avvelenamento da piombo colpisce tutto il corpo con conseguenze sulla salute gravi e permanenti. Potenziali sintomi dell'esposizione al piombo, anche a bassi livelli, includono la perdita dell'appetito, letargia, alta pressione sanguigna, problemi di fertilità per uomini e donne, parti prematuri, difficoltà nella crescita, danni all'udito e neurologici, convulsioni, dolori e/o paralisi alle gambe, perdita di coscienza, anemia, aggressività, crampi allo stomaco, vomito. Gli effetti più significativi ed irreversibili sono al livello di QI. Un aumento dei livelli del piombo nel sangue da 10 a 20 microgrammi per decilitro, è stato associato con la decrescita di 2,6 punti di QI, ma qualsiasi aumento oltre i 20 riduce i livelli di QI"

In misura diversa, ognuno se non tutti questi sintomi sono stati osservati nei campi dei rifugiati rom nel Kosovo settentrionale.

Nessuno potrebbe ritenere che un posto simile sia desiderabile o appropriato per ospitare gente a lungo termine. A dire il vero, l'Ufficio dell'Alto Commissario ONU per i Rifugiati (UNHCR) ha giudicato che questi campi per rifugiati dovevano essere semplicemente una misura temporanea per garantire a breve termine la sicurezza dei residenti rom a Mitrovica sud.

Nonostante i pochi sforzi della comunità internazionale per rialloggiare i rifugiati rom, i campi  sono rimasti operativi per oltre un decennio. I Rom, che hanno ancora terrore dopo la loro esperienza nel conflitto del 1999, hanno ripetutamente declinato l'opportunità di tornare a Mitrovica sud controllata dagli Albanesi.

Dovrebbe essere una ragione di vergogna per l'Unione Europea e la più ampia comunità internazionale che i campi rom di Trepça rimanga operativo ad appena 300 miglia da Budapest e a 75 da Skopje - la capitale di un aspirante stato membro UE.

I campi per i rifugiati rom adiacenti al complesso minerario di Trepça devono essere chiuse alla prima opportunità possibile, dopo aver identificato un sito appropriato dove alloggiare la comunità rom. Purtroppo la lodevole volontà della comunità internazionale di realizzare comunità etnicamente miste nel settore albanese a sud del fiume Ibar rimarrà impraticabile per decenni. Le emozioni sono troppo forti e la memoria troppo viva.

Tale sito dovrebbe essere trovato nelle aree sotto il controllo della Serbia nella provincia settentrionale della Kosovska Mitrovica. Mentre diversi governi - incluso quello del Regno Unito - riconoscono solo la sovranità della Repubblica del Kosovo, anche sulle aree controllate dai Serbi, l'acquisizione di questo sito richiederebbe la costruttiva cooperazione della Repubblica di Serbia e e dell'Assemblea della Comunità Serba di Kosovo e Metohija. In pratica, richiederà l'offerta di un importante incentivo finanziario alle autorità serbe.

La comunità internazionale deve anche riconoscere che, a causa della sua mancanza di un'azione affermativa, centinaia di persone stanno ora soffrendo seri problemi di salute che potranno avere conseguenze mortali nei prossimi anni. Devono essere fornite cure mediche immediate a quanto hanno vissuto nei campi di Trepça. Attualmente trattamenti specialisti simili non sono disponibili né in Serbia o in Kosovo e dovranno quindi avvenire in un appropriato paese terzo, i candidati più prossimi potrebbero essere Romania o Bulgaria.

La storia è piena di esempi tragici sui maltrattamenti della comunità rom; dall'abbattimento del 25% del loro popolo nelle camere a gas naziste durante la II guerra mondiale all'onda crescente di attacchi razzisti in Europa centrale.

Non contribuiamo ulteriormente ad un altro tragico capitolo della loro storia ed agiamo oggi per risolvere questa crisi umanitaria.

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Di Fabrizio (del 12/06/2010 @ 09:21:29, in Regole, visitato 1544 volte)

Da Roma_Francais (ed una notizia gemellata)

Mendicare con un bambino: è autorizzato

La mendicità con un bambino, può essere scioccante o commovente. Eppure, secondo la corte d'appello di Bruxelles, questa pratica non è illegale. La legge autorizza i mendicanti a prendersi cura dei loro piccoli. E' lo sfruttamento dei bambini ad essere illegale.

Tendere la mano per chiedere una moneta è autorizzato dalla legge. L'accattonaggio per strada e negli spazi pubblici quindi non è illegale. E mendicare con un bambino? Anche se questa pratica può scioccare o commuovere, è lo stesso autorizzata. Secondo una decisione della corte d'appello di Bruxelles, in effetti è permesso mendicare con dei bambini, sopratutto con i propri. Secondo il giornale Le Soir, questo dovrebbe costituire un precedente giudiziario.

Verbalizzata un giovane rumena

Il caso riguardava una giovane rumena di 20 anni, che chiedeva l'elemosina a Bruxelles accompagnata dai suoi figli di 3 anni e 7 mesi. Loredana non beneficiava di alcun reddito fisso e le era stato rifiutato l'aiuto del CPAS. Come spiegato dai suoi avvocati al giornale "Le madri rom non possono concepire di separarsi dai loro figli prima che siano scolarizzati". E' stata sanzionata dalla polizia in varie riprese tra il gennaio 2007 e marzo 2008. Se il delitto di mendicità è stato abrogato nel 1993, nel 2005 è stata votata una nuova legge per rafforzare la lotta contro la tratta ed il traffico di esseri umani.

Condannata in prima istanza, assolta in appello

Nella prima istanza, il tribunale l'aveva condannata a 18 mesi di prigione ed una multa di € 4.125. Giudizio ribaltato in appello. "E' una comprovata nullatenente che mendicava con uno dei suoi bambini nelle Stazioni du Nord e du Midi, l'accusata non ha 'assunto', 'esercitato', 'deviato' o 'scelto' nessuno per 'consegnarlo alla mendicità' o 'incitarlo a mendicare'," indica la sentenza.

"La circostanza che una giovane mendicante avesse dei bambini di età molto giovane a cui accudire, ancorché sollecitare la generosità dei passanti, ed approfittare dei benefici della loro presenza per suscitare pietà, di certo non è una scusante, ma non costituisce infrazione penale", ha aggiunto la camera costituzionale, che ha assolto la giovane donna.

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Di Fabrizio (del 12/06/2010 @ 09:50:30, in casa, visitato 2195 volte)

Segnalazione di Giancarlo Ranaldi

Sconfinamenti.splinder.com di Giovanni Giovannetti

Nel pomeriggio - oggi 10 giugno 2010, alle ore 15,30 - ci troviamo a Gambolò, sotto casa di Irene Zappalà per impedire l'esecuzione dello sfratto (la signora abita a due passi dalla piazza, dietro la confraternita di san Paolo, in via Magenta 5). Oltre alla comunità Sinti di Gambolò, hanno già confermato la loro presenza i consiglieri provinciali e il segretario provinciale di Rifondazione Comunista; i rappresentanti della CGIL, del sindacato inquilini SUNIA e della lista civica Insieme Per Pavia.

Devastante. Nella provincia di Pavia oltre duemila famiglie sono a rischio di sfratto. Per la precisione, tra sfratti pendenti (844) e richieste di esecuzione (1.172) si sommano 2.016 casi. Aumentano del 27 per cento gli sfratti per morosità (nel 2009 se ne sono avuti 790, di cui 127 a Pavia); calano del 10 per cento quelli per finita locazione. Da una parte il legittimo diritto dei proprietari; dall'altra le ragioni di molte famiglie, soprattutto quelle monoreddito o improvvisamente senza lavoro.
Prendiamo il caso della signora Irene Zappalà di Gambolò. Quarant'anni, due figli, lavorava come addetta alla cucina presso la casa di riposo "Fratelli Carnevale" di Marcianò. Dopo una vertenza sindacale nel 2006 nonostante l'asma, si ritrova relegata alle pulizie degli scantinati («per rappresaglia»), e infine licenziata nel 2008. Da quel momento per lei solo attività lavorative saltuarie, pagate in nero (ad esempio, lavora come inserviente di cucina al ristorante "Quattro stagioni" di Remondò. Venti ore mensili per 360 euro quando, per il solo affitto, ne dovrebbe esborsare 330) e il progressivo scivolare giù, nell'indifferenza generale, fino allo sfratto ormai esecutivo.
Soluzioni abitative ce ne sarebbero: in attesa di un alloggio popolare (era dodicesima; un anno dopo si è ritrovata diciottesima...) la signora potrebbe trovare provvisoria dimora alla stazione ferroviaria di Remondò, che il Comune detiene in comodato d'uso; Irene si è offerta di curarne apertura e pulizia. C'è poi un alloggio presso la Fondazione Fratelli Carnevale, in ristrutturazione.
Irene Zappalà chiede pane e lavoro; in Comune allargano le braccia. Così l'unico aiuto concreto le è oggi offerto dai Sinti. Sì, gli zingari residenti a Gambolò, che ogni tanto le portano alimenti. Come racconta Franco Ovara Bianchi, «quando vado a comprare il pane per le famiglie che vivono nel campo lo prendo anche per Irene». Il portavoce della comunità Sinti gambolese si è anche offerto di ospitarla in una delle roulottes del campo lungo il torrente Terdoppio.
Insomma, una inedita solidarietà tra marginali "storici" – come appunto gli zingari – e questi nuovi marginalizzati, la cui interazione supera finalmente le categorie peraltro mobili di "etnia", "cultura", "identità". Interazione che smentisce l'artificio dei presunti "conflitti culturali", branditi come clave da élite politiche che soffiano sul fuoco dell'intolleranza e del pregiudizio, istigando all'odio "razziale" nei confronti degli zingari e degli stranieri.
In Lomellina e in particolare in paesi come Tromello e Gambolò troviamo "gagi" che sembrano Sinti (ovvero gli zingari lombardo-piemontesi) e Sinti che sembrano "gagi". Il processo di assimilazione è favorito anche dai numerosi matrimoni tra zingari e gambolesi. Per chi non lo sapesse, nel gergo degli scarpinanti i gagé («contadini») sono coloro che non appartengono al popolo dei Rom (gli «uomini» per antonomasia); dunque gagé sono tutti gli «altri».
La storia dei primi insediamenti viene raccontata da Nevina Andreta in un saggio ("Nel paese dei dritti", ne L'albero del canto) di cui sono stato editore nel lontano 1985. Andreta li colloca al 1879, «quando vennero in territorio gambolese gli appartenenti alle famiglie Allegranza e Vinotti, che s'imparentarono con altri ceppi di nomadi, famiglie che in seguito richiesero la residenza a Gambolò». Erano giostrai, artisti da circo, suonatori ambulanti, sensali di cavalli, maniscalchi... Insomma, il mondo dei marginali – Sinti o gagi – contiguo a quello della piazza, modo frequentato dai cantastorie di Tromello Giacinto Cavallini e Vincenzina Mellini, o Adriano Callegari di Pavia, o Antonio Ferrari di Belgioioso; quel microcosmo della "leggera" magistralmente raccontato dall'imbonitore mantovano Arturo Frizzi nell'autobiografico Il ciarlatano (1902). Un mondo altrettanto contiguo ad altre figure di marginali:ad esempio i cercatori d'oro, i ghiaiaroli e i navaroli di Po e Ticino; ad esempio i cordai di Calvatone nel cremonese e Castelponzone nel mantovano. Insieme a Gambolò, Castelponzone viene ricordata da Glauco Sanga come il «paese dei dritti». L'elenco comprende anche Sant'Angelo Lodigiano, Pozzolo Formigaro in provincia di Alessandria e Vescovato presso Cremona. Sono paesi popolati da marginali borderline, «quelli che nel periodo di passaggio dall'età medievale all'età moderna non vivevano del lavoro della terra, ma si dedicavano ad altre svariate attività che si potrebbero definire "di servizio"» (Sanga), attività alternative alle consolidate forme di reddito o agricolo o industriale. Gli abitanti di questi paesi erano considerati «"ladri e furfanti" […] Né Castelponzone né gli altri "paesi di ladri" sono paesi di contadini; le attività economiche erano altre»: ad esempio, lo spettacolo; come a Gambolò, il paese dei giostrai.
Il Paese dei giostrai e – sia pure tra molte contraddizioni – il paese della convivenza e della solidarietà. Lo sottolinea Nevina: il Comune aveva «la fama di grande lungimiranza nel concedere l'iscrizione all'interno delle proprie liste anagrafiche a nomadi di ogni categoria» tanto che ne arrivavano persino dall'estero: ai nuclei storici delle famiglie ormai sedentarie degli Allegranza, Vinotti, Picci, Bianchi, Sambiase, Ruffini, Sabino, Costantini, Delli, Vacchina si sono poi aggiunti gli Hudorovich e gli Offman, originari di San Pietro del Carso (la slovena Pivka) e Budapest; persone che, prima di trovare dimora a Gambolò, erano apolidi.
Da 84 anni la comunità Sinti di Gambolò dimora in riva al Terdoppio, poco fuori il paese. Lungo il torrente incontriamo cinque delle numerose famiglie qui residenti, ma ancora pochi anni fa tra queste roulottes c'erano più di venti casati: sono giostrai, venditori ambulanti di scope centrini fiori e piante; alcuni vanno per ferro; altri stagionalmente lavorano nell'allestimento invernale delle luminarie natalizie o, in agricoltura, nella raccolta di pomodori uva e ortaggi; qualcuno ha trovato impiego nell'edilizia.

Se questo è il retroterra, allora non deve stupire la solidarietà fra compaesani in sostituzione della pubblica amministrazione di centrodestra, che oggi non prevede welfare locale, arrivando persino a minacciare la chiusura della fontana a cui vanno i Sinti del campo.
Del resto viviamo in Italia, Paese che, nell'Europa a 15, è penultima nella classifica delle spese sociali per il contenimento del rischio di povertà e l'unica – insieme alla Grecia – a non prevedere un assegno minimo per chi versa nel disagio: l'aiuto arriva solo al 4 per cento della popolazione, mentre in Svezia, Danimarca, Finlandia, Paesi Bassi, Germania e Irlanda la percentuale sale al 50 per cento. In Italia, una famiglia su cinque è oggi in seria difficoltà. L'indebitamento totale dei 23 milioni e mezzo di famiglie italiane ammonta a 490 miliardi di euro (dal 2002 al 2007 è quasi raddoppiato), per una media di 15.764 euro a famiglia.
In Europa e negli Stati Uniti la perdita della casa – per l'impossibilità di pagare il mutuo – sta spingendo milioni di famiglie nell'indigenza. In Italia va anche peggio. Anche in provincia di Pavia molti anziani con la pensione sociale «non si possono più permettere di mangiare due volte al giorno e altri in estremo tentativo di risparmio la sera diluiscono la scodella del latte con un po' d'acqua», come ha rilevato Fabrizio Merli (La Provincia Pavese, 3 maggio 2008). E Maria Grazia Piccaluga così scrive: «Alla mensa dei poveri si è presentato solo una volta a mezzogiorno. Quando il bisogno ha superato la vergogna. Ha mangiato a testa bassa, guardando solo il suo piatto. E non è più tornato [...] Il pensionato timido e imbarazzato non si è più fatto vedere. "Sono in tanti gli anziani che hanno bisogno, ma in genere non chiedono. Piuttosto vanno a rovistare tra gli scarti del mercato" spiega una volontaria corrucciando la fronte. Un dato però è significativo: gli italiani che siedono alla mensa dei poveri sono ormai diventati numerosi quanto gli stranieri. Anziani soli, ma anche giovani senza lavoro, uomini (e qualche donna) con un vissuto travagliato alle spalle che non riescono più a reinserirsi nel mondo del lavoro» (20 agosto 2008).
La precarizzazione dei lavoratori imporrebbe alle amministrazioni locali politiche volte a contenere la disoccupazione, e la ricerca di una via che porti al reinserimento nel mondo del lavoro. Quanto meno servirebbe il tampone di un fondo sociale di solidarietà.
Invece piove sul bagnato. Nei primi mesi di quest'anno in provincia di Pavia sono andati in cassa integrazione altri 1.600 lavoratori. In crisi sono 75 aziende edili e meccaniche, che vanno a sommarsi alle 237 dei mesi scorsi, 160 delle quali appartenenti al settore artigianato. Si salvano i settori lattiero-caseario, risiero e viti-vinicolo; sono in sofferenza le imprese con meno di 50 dipendenti, il 90 per cento delle fabbriche della provincia.
In Italia, in un anno la cassa integrazione è cresciuta del 443 per cento! Ma è più inquietante il destino dei 4.121.000 lavoratori precari – il 15 per cento della forza lavoro – 300.000 dei quali rischiano la disoccupazione. Analogamente ai dati nazionali, sono precari il 15 per cento di quanti lavorano in provincia; sono altresì precari buona parte dei 12.000 pendolari che lavorano a Milano.
Il già sterile tessuto produttivo pavese si deve così misurare con la crisi globale e patisce un calo degli ordini tra il 20 e il 25 per cento. Meno soldi in busta paga significa meno consumi durevoli (auto -16 per cento; elettrodomestici -6,9) e non poche difficoltà ad affrontare gli aumenti delle tariffe di alcuni servizi: a Pavia si sono avuti rincari per trasporti, refezione scolastica, centri estivi delle materne e delle elementari, scuole materne a tempo pieno, parcheggi, ecc.
Se a Pavia si piange, a Roma c'è poco da ridere. Le retribuzioni italiane sono oggi inferiori di 8 punti rispetto alla media europea, ma il calo complessivo è del 13 per cento (nel 2000 erano di oltre 4 punti sopra) e, come lamenta Guglielmo Epifani, «cresce sempre di più il senso di insicurezza della popolazione, la precarietà del lavoro, la sfiducia nel futuro e la paura di perdere il benessere e la qualità delle proprie condizioni di vita».
Tuttavia qualcosa non quadra: negli ultimi vent'anni 120 miliardi di euro – l'8 per cento del Pil – sono passati dai salari ai profitti, 5.200 euro in media all'anno a lavoratore, 7.000 euro se escludiamo i lavoratori autonomi. La crisi finanziaria era da tempo in incubazione. La casta politico-economica ha pensato di spalmarla sui lavoratori e sulla piccola e media borghesia al collasso, e sposta su comodi capri espiatori l'«eccesso di paura» di chi si sente scivolare lungo la china della povertà. La frammentazione sociale, la politica del rattoppo, della finta "sicurezza", delle "ordinanze creative" e la pressione mediatica sono strumenti per nascondere la portata ideologica e politica della crisi a cui siamo di fronte: una crisi di civiltà che, allargando lo sguardo, porta a muovere gli eserciti per il controllo delle fonti energetiche, dell'acqua e del cibo.

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Di Fabrizio (del 13/06/2010 @ 09:01:15, in musica e parole, visitato 1775 volte)

Domenica 20 Giugno 2010
a "Il Pentolone", via Pomeria 90, Prato.

Questa edizione si svolge nell'ambito della Campagna DOSTA (Basta!), promossa a livello nazionale da UNAR e dall'Unione Europea. L'evento sarà preceduta da due giorni di iniziative di comunicazione nel centro di Prato attraverso iniziative mirate alla sensibilizzazione e all'informazione sulla cultura Rom e Sinti.

Programma:

ore 16:00 Accoglienza

ore 17:00 Assemblea aperta : Comunità Rom e Sinti di Prato
Tra bisogno di conoscenze e nuovi pregiudizi

ore 19:00 Incontro con l'autore – presentazione del libro di Luca Bravi: "Tra inclusione ed esclusione. Una storia sociale dei Rom e dei Sinti in Italia"
Inoltre: presentazione di documenti informativi e di due mostre fotografiche sulla cultura e l'infanzia del popolo Rom e Sinti

Ore 20:00 Cena Buffet (cucina tradizionale sinti)

A seguire musica: CONCERTO di ATHOS (musica della tradizione sinti)

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Di Fabrizio (del 13/06/2010 @ 09:18:42, in Italia, visitato 1851 volte)

Fondazione L'aliante onlus e Opera Nomadi sono liete di invitarti all'inaugurazione della mostra fotografica
Essere... Rom
fotografie di Pino Ninfa

il 16 giugno 2010 alle ore 19.00
Spazio Forma Moods
Piazza Tito Lucrezio Caro 1 - Milano

"Essere rom è anche cercare di vivere serenamente la propria quotidianità"

Gli scatti in esposizione sono stati scelti tra le fotografie scattate da Pino Ninfa, fotografo di fama internazionale di cui è andato recentemente in scena al Teatro Studio di Via Rivoli un reportage sul Sudafrica dal titolo "Dall’apartheid ai mondiali di calcio". Il suo lavoro, durato tre mesi all'interno di alcuni campi nomadi milanesi, racconta, attraverso immagini della quotidianità, l'essere Rom. Svela un modo di essere, un senso del vivere e un mondo che non sono molto lontani dai nostri, anzi, viaggiano accanto, parallelamente, e come succede tra le parallele, rischiano di non incontrarsi mai.

Aperitivo con cibi, prodotti e musiche tzigane.

Le fotografie saranno esposte dal 16 al 18 giugno 2010

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