Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
Ricevo da Marta Pistocchi
ciao,
questa è una lettera aperta a tutti gli amici dei Muzikanti ed in particolare di
Jovica Jovic.
Fatela girare se lo ritenete opportuno e se credete che possa aiutarci.
Alcuni di voi già sanno che Jovica sta attraversando un difficile periodo della
sua vita nel quale, tra le altre cose, sta cercando di regolarizzare la propria
posizione in Italia.
Il momento politico, ahinoi si sa, non è è favorevole e le difficoltà che il
nostro fisarmonicista sta incontrando sono molte; nonostante ciò crediamo nella
possibilità di riuscire nel nostro intento.
La richiesta inoltrata tempo fa al Ministero della Cultura per avere il
musicista Jovica in Italia è difatti andata a buon fine e il ministero ha
rilasciato il Nulla Osta che permette l'ingresso alla frontiera italiana; questo
ottimo risultato viene vanificato però da un altro provvedimento nei confronti
di Jovica, un mandato di espulsione dovuto all'accertamento della sua posizione
irregolare sul territorio italiano, precedente al Nulla Osta.
Per proseguire sulla strada della regolarizzazione Jovica ha bisogno del
sostegno di uno studio legale, il che implica delle alte spese che la sua
famiglia non può permettersi.
Per questo ci stiamo rivolgendo a voi, nella speranza di riuscire a creare una
rete di persone che vuol bene a Jovica, che ne riconosce il valore di uomo e
musicista ed è disponibile a dare il proprio contributo (economico ma non solo)
per sostenere la causa del miglior fisarmonicista serbo di Milano.
Vi propongo di venirci a trovare venerdì 20 giugno (questo) alle Pecore -via
fiori chiari 21- noi suoneremo dalle 22, ma vi aspettiamo anche da prima. Sarà
un'occasione per incontrarci, informarci, raccogliere suggerimenti e forze, ed
infine ringraziarvi a suon di musica e balli.
Per chi non potesse venire venerdì ma vorrebbe comunque aiutare Jovica, e per tutti quelli che vogliono saperne di più e meglio vi invito a scrivere a questo indirizzo: Ivana
ivanak011@tiscali.it, che come sempre
ci aiuta e ci sostiene e ci ama e che io ringrazio con tutto il cuore.
Spero di avere una calorosa risposta da tutti voi
a venerdì
marta
Ricevo da Maria Grazia Dicati
La rivincita gitana : Col circo capirete la nostra anima
Repubblica - 13 giugno 2008 -
PARIGI
Roulotte sgangherate e tutte con le porte aperte. Una capra legata a un albero.
Bambini che sgambettano ovunque. Due ragazzi lavano una automobile assai più
nuova delle loro case su ruote. Sullo sfondo, un silenzioso tendone di circo.
Nel piccolo campo nomadi alla Porte de Champerret - nord ovest di Parigi, a
pochi minuti di automobile dai Campi Elisi - si entra spostando una transenna di
ferro. Ci viene incontro Delia, la quarantina con un viso di venti, capelli
lunghi e denti d' oro. È la moglie di Alexandre Romanès, poeta, ex acrobata e
domatore, ex liutista barocco con la passione di Monteverdi, creatore e
direttore del circo che porta il suo nome. Un vero circo tzigano, con veri
musicisti tzigani, con acrobati e giocolieri tzigani. Zingari con le stesse
facce di quelli che, da noi, se si avvicinano ci allontaniamo.
Dal 14 al 22 giugno il piccolo campo del Cirque Romanès si installerà a Brescia
perché il nuovo spettacolo "La regina delle pozzanghere" sarà ospite della nona
edizione della Festa Internazionale del Circo Contemporaneo.
Dal 26 al 29 si sposterà a Mantova, nella rassegna "Teatro - Arlecchino d' oro".
Nel paese che vuole cacciare gli zingari, in terra di Lega, i bambini delle
province più ricche si delizieranno sotto il tendone rattoppato e allegro di
tessuti indiani; applaudiranno bambini come loro che però non vanno a scuola e
già hanno un mestiere; e alla fine dello spettacolo - un gioiello di semplicità
e poesia - chiederanno alla mamma un bombolone appena uscito fresco di frittura
da una roulotte, e la mamma penserà che per una volta va bene dare soldi agli
zingari, perché hanno lavorato e se li sono meritati.
«Quello che sta accadendo nel vostro paese ha un colpevole: l' Europa" esordisce
Alexandre Romanès.
Sputa fuori il concetto e si vede che lo rimugina da tempo. «Dal 1989, anno
della caduta del Muro, tutti i governi della Comunità sapevano che prima o poi
la Romania e la Bulgaria sarebbero entrate in Europa. Hanno avuto decenni per
mettersi d' accordo tra loro e dirsi: sappiamo che in questi due paesi ci sono
due minoranze che versano in condizioni terribili.
Un problema così non di risolve nel momento in cui si pone. E adesso la casa
brucia perché i responsabili politici di destra e di sinistra non sono stati
previdenti: potevano comprare estintori e non l' hanno fatto».
Alexandre Romanès appartiene alla grande famiglia circense dei Bouglione, gitani
piemontesi francesizzati (si pronuncia Boug-lione). «Veniamo dall' India, poi
Afghanistan, Turchia, Grecia: siamo della tribù dei Sinti piemontesi e il
cognome Bouglione l' abbiamo preso in Italia.
Quasi tutte le famiglie circensi italiane sono gitane». Romanès lascia il circo
di suo padre («Mi sembrava un hangar, avevamo quaranta camion, e tutti in
famiglia avevano diamanti al dito e Rolls Royce. Non era per me») poco più che
adolescente e si mette a fare l' acrobata sulle "scale libere" per la strada. A
vent' anni incontra una poetessa francese, Lydie Dattas: per lei e grazie a lei
impara a leggere e scrivere, e inizia a leggere la poesia. Un giorno del '77,
mentre sta facendo il numero in equilibrio sulle scale a pioli, lo avvicina Jean
Genet. Insieme progettano un circo poetico. Avrebbe dovuto durare quattro ore.
Genet voleva un cavallo arabo e un cigno nero. «Non l' abbiamo mai montato, quel
circo: era troppo presto per me, dopo il rifiuto del tendone di mio padre. Di
Genet sono stato amico, mai amante. Fino alla fine, quando l' accompagnavo a
Villejuif, nell' ospedale dei tumori. E' morto a 76 anni nell' 86».
Nel frattempo Alexandre Romanès comincia a scrivere poesie. Nel '98 esce "Un
peuple de promeneurs", un popolo di "passeggiatori". Nel grande e disperato
campo nomadi di Nanterre (oggi smantellato) ha incontrato Delia, gitana
rumena-ungherese, che ha già tre figli da un marito che se ne è andato.
Avranno altre due bambine e Alexandre adotterà gli altri tre. Nel '94 montano un
tendone dietro alla Place Clichy (per sei anni e fino alla morte il terreno
glielo darà gratis una ricca aristocratica signora, madame Carmignani) e il
piccolo Cirque Romanès inizia ad essere un punto di incontro di artisti. «Di
molti non voglio fare nomi» dice Alexandre Romanès, «ma posso dire che Yehudi
Menuhin veniva spesso e una volta mi disse: "Fino all' ultimo dei miei giorni
non smetterò di pensare a voi"». Verso il 2003 Romanès invia a Gallimard un
quaderno con le sue poesie scritte a mano. «Hanno riunito una commissione
straordinaria di lettori.
Ben quattro. Erano poesie di uno zingaro!». Nel 2004, la grande casa editrice le
pubblica con il titolo "Paroles perdues" e la prefazione di un altro poeta
amico: Jean Grosjean (morto due anni fa).
Nel prossimo inverno uscirà una nuova raccolta. «Se non si crede nella poesia,
se non si ha un' idea poetica della vita, allora non si potranno mai capire i
gitani» dice Romanès. - LAURA PUTTI
Se volete saperne di più visitate il sito:
www.festadelcirco.it
Da
Mundo_Gitano
Por:
Terra Actualidad - EFE GITANO E PALESTINESE, DOPPIA DISCRIMINAZIONE
[05-06-2008] A Gerusalemme, dove le identità hanno una rilevanza speciale,
circa 170 famiglie coniugano le loro radici Gitane con la loro condizione di
palestinesi in un esercizio di equilibrismo che li lascia nella terra di
nessuno.
Le autorità israeliane li trattano come qualsiasi altro arabo, mentre la
maggioranza dei palestinesi li percepisce con gli stessi stereotipi che
perseguitano i Gitani ovunque siano.
Serva come esempio che il termine arabo per Gitano, "nawar", è peggiorativo e
di solito accompagnato da uno sputo a terra.
Loro, i Gitani dell'est del Mediterraneo e del Medio Oriente, si
autodenominano Domari (da "Dom" che significa uomo nella loro lingua nativa) e
sono in maggioranza musulmani, a differenza dei Rom, che si stabilirono in
Europa e professano il cristianesimo.
La loro presenza a Gerusalemme è documentata dal XIX secolo, dove oggi si
ripartiscono tra Bab Hutta - un umile quartiere dentro la cittadella murata -,
Ras Al-Amud o Silwan.
A prima vista, niente li distingue dai loro vicini: parlano arabo, vivono
nella parte palestinese della città ed non si sono neppure liberati dall'esilio
nei conflitti bellici con Israele.
Durante la Guerra dei Sei Giorni del 1967, arrivarono in Giordania non meno
che 34.000-35.000 gitani che risiedevano a Gerusalemme.
Il Centro d'Investigazione Domari riconosce la difficoltà di dare il numero
di Gitani che oggi vivono nei territori palestinesi perché molti rifiutano di
definirsi come tali.
Si calcola, tuttavia, che siano circa 7.000 tra Israele ed i territori
palestinesi, più della metà di loro nella striscia di Gaza, dove storicamente
hanno tenuto molti contatti coi loro compagni di origine e diaspora egizi.
"Abbiamo lo stesso problema del resto dei palestinesi: l'occupazione
israeliana", sentenzia Abdelhakim Salim, il muktar (una specie di notabile) di
questa comunità a Gerusalemme.
Non è del tutto così. I Gitani si confrontano con danni sociali specifici che
vanno oltre gli arresti, registri all'alba e barriere al movimento, che racconta
il muktar.
Per iniziare, i Domari della cittàsanta viveno in media in locali di otto
persone dove entrano solamente 700 dollari (450 euro) al mese.
Inoltre, lamentano indici di analfabetismo (circa il 40%) ed assenteismo
scolare molto superiore a quello dei palestinesi, uno dei popoli più capace di
leggere e scrivere nel Medio Oriente.
Le droghe inoltre causano stragi tra i giovani, si suppone il 75% dei Gitani
di Gerusalemme, spiega Imad Jauny, direttore esecutivo di Burj Al Luq Luq,
un'istituzione che tenta di evitare che i bambini e gli adolescenti che non
vanno a scuola passino tutto il giorno per la strada.
"La loro autostima come collettivo è molto bassa. Lo vediamo nella gente
con cui lavoriamo", aggiunge Jauny prima di indicare che il 90% dei
frequentatori del suo centro sociale sono Gitani.
Per cambiare questo ordine di cose, Amoun Sleem creò nel 1999 il Centro
Domari, col quale prova a migliorare il livello di vita della comunità Gitana e
frenare la progressiva sparizione della loro cultura.
Sleem teme che l'eredità Gitana muoia schiacciata tra l'indifferenza delle
autorità israeliane, "che rifiutano di considerarci come minoranza in una città
che ne è piena", e l'assimilazione interessata dei palestinesi.
Tutto questo con il tempo contro, così che solo alcuni anziani sono capaci di
esprimersi in Domari, mentre i balli e i vestiti propri sono quasi finiti
nell'oblio.
"Io non mi considero palestinese. Non mi vergogno a definirmi Gitana di
Gerusalemme. Viviamo qui da duecento anni e stiamo perdendo le nostre
tradizioni", lamenta la fondatrice di questa società che l'anno scorso visitò lo
scrittore israeliano e Premio Principe delle Asturie Amos Oz.
E' una delle ultime sfide di un collettivo discriminato per partita doppia -
tanto come Gitano che come palestinese - che cerca il suo posto come minoranza
dentro una minoranza.
Da
Roma_Daily_News
Indo-Asian News Service
Giovedì 19 giugno 2008 (Mumbai) -Per secoli sono stati temuti, disprezzati ed
invidiati. Gli zingari, una minoranza etnica europea, continuano ad affrontare
una discriminazione che non è molto differente da quella che i Dalit in India
devono contendersi.
Una squadra di funzionari ungheresi, nazione che ha un'alta popolazione di
zingari itineranti, è stata a Mumbay per studiare il lavoro fatto per migliorare
la vita dei Dalit e portare a casa qualche lezione.
"Gli Zingari sono stati considerati uno strano popolo quando erano
nomadi, e questo fu 200 anni fa. L'alienazione continua." dice Timea Borovzsky,
capo del Direttorato Generale per le Pari Opportunità (DGEO) del Ministero
Ungherese per l'Istruzione e la Cultura.
"E' come la discriminazione di casta contro i Dalit in India," dice Borovzsky.
Borovzsky assieme ad altri due membri del DGEO ha visitato a lungo le
asciutte alture interne della regione del Vidarbha nel nord est della Maharashtra.
Durante la loro tranquilla visita, hanno studiato come i Dalit vivono in
capanne illuminate dei lampi degli uragani e fanno fronte a pregiudizi di casta.
"Volevamo vedere di persona che tipo di progetti sono stati implementati in
India per aiutare i Dalit a rialzarsi," dice Gabor Sarkozi, vice direttore
generale di DGEO.
"In Europa ci sono 15 milioni di Zingari ed in Ungheria, la popolazione è tra
i 600.000 e 700.000. Sono la più grande minoranza etnica e la comunità più
oltraggiata," aggiunge Sarkozi.
Suri Szilivia, ricercatrice ed interprete di DGEO, dice. "Gli Zingari o Cigan
come sono chiamati in Ungheria, hanno una connessione millenaria con l'India. Le
semantiche del loro linguaggio è simile al Sanscrito."
"Ma oltre a ciò, il riformatore sociale indiano Babasaheb Ambedkar è una
figura riverita da loro come pure da noi ricercatori in Ungheria," dice Suri.
"Nei posti pubblici, i membri della maggioranza comunitaria vorrebbero andare
via piuttosto che essere visti con un Cigan. I Rom sono serviti con riluttanza
negli hotel e raramente vengono offerti loro lavori rispettabili. Persino il
tono verso di loro ha una tinta derogatoria." aggiunge Suri.
Sarkozi puntualizza che in Ungheria, "gli zingari (una parola politicamente
scorretta) o Rom o Cigan sono costretti a vivere con mitici stereotipi sociali
come quelli che da voi (India) hanno le cosiddette tribù criminali."
"Sono scuri di pelle ed hanno i più alti tassi di abbandono scolastico. Sono
guardati dall'alto in basso e la gente li evita. Vivono in ghetti, anche se
questi slums non sono così male come quelli che abbiamo visto nei villaggi
vicino a Nagpur,'' dice Sarkozi.
Sarkozi dice anche che il governo ungherese negli ultimi anni ha tentato di
sollevare questa comunità che, attualmente ha i più alti tassi di disoccupazione
e campa di lavori stagionali nel campo delle costruzioni o di lavori agricoli
dallo stipendio quotidiano.
Secondo Borovszky, ''Una delle ragioni per cui abbiamo selezionato l'India è
stata precisamente per la natura della discriminazione che è tanto simile tra
loro e i Dalit."
"Abbiamo trovato diversi progetti estremamente interessanti, innovativi e
socialmente rilevanti nel portare un cambio a comunità depresse e
marginalizzate," dice Borovszky.
Sarkozi ha detto che la discriminazione è diventata più aperta negli ultimi
20 anni. "Durante il regime comunista non era così. Ma ora stanno emergendo
strutture parallele di discriminazione. Vogliamo che siano assorbiti nella
società maggioritaria e siano trattati con equità."
Quindi cosa dire sull'apartheid per questa comunità nelle istituzioni?
"Benché non ci siano politiche simili, un progetto simile è stato a suo tempo
introdotto, ma senza successo. Negli ultimi 20 anni, sono cresciuti diversi
gruppi come i neonazisti e gli skinhead. Finora non sono diventati violenti, ma
sono estremamente virulenti riguardo tali politiche," dice Sarkozi.
Parlando dei progetti che questo gruppo di studio intende introdurre in
Ungheria, dice Szilivia, "Intendiamo sviluppare il progetto ed inoltre
introdurre laboratori per gli insegnati, così che possano imparare come entrare
in empatia con questi popoli marginalizzati."
"Nel nostro giro, abbiamo trovato associazioni caritative ed OnG che lavorano
con i Dalit, unendosi empaticamente con forza irreprimibile. E' una cosa che
vogliamo infondere tra gli insegnanti che lavorano in scuole per gli zingari,"
aggiunge Sarkozi.
Questa notte è morto Andrea Bertol, amico personale e figura storica
dell'Opera Nomadi Milanese e Nazionale.
Una malattia che non lascia speranze se l'è portato via e con lui un po' di
tutti noi.
Andrea fu uno dei maestri "Lacio Drom" ad occuparsi in prima persona della
scolarizzazione dei bambini rom, insieme ad alcuni che compaiono in questo
stesso indirizzario e da allora non aveva più abbandonato i problemi che
attanagliano la vita di queste comunità, rimanendoci vicino e seguendoci in ogni
occasione.
Il suo ricordo, così come il peso della sua assenza, rimarrà sempre parte di
noi.
Giorgio Bezzecchi - Maurizio Pagani
Da British_Roma
The Independent di domenica 6 luglio 2008 "No blacks, no dogs, no Gypsies"
Le insegne razziste non sono così lontane, dicono i Viaggianti, mentre si uniscono per combattere il pregiudizio e difendere i loro diritti
By Rachel Shields: Zingari e Viaggianti nel Regno Unito si stanno unendo per formare una coalizione nazionale per combattere quello che descrivono come una rapida crescita dei livelli di razzismo e discriminazione.
I leader della più grande organizzazione di Zingari e Viaggianti una riunione che non ha precedenti per la fine del mese con lo scopo di mettere assieme i 300.000 Rom, Zingari Irlandesi Gallesi e Scozzesi ed i Viaggianti del paese in una federazione nazionale.
Due tra le più grandi associazioni di Zingari e Viaggianti - il Gypsy Council ed il Southern England Romany Gypsy and Irish Traveller Network - sono coinvolti nell'iniziativa.
Gli studi negli anni recenti hanno mostrato che Zingari e Viaggianti sperimentano più razzismo di ogni altro gruppo nel Regno Unito, incluso i richiedenti asilo. I più recenti sondaggi Mori sull'argomento rivelano che un terzo dei residenti ammettono di avere pregiudizi contro Zingari e Viaggianti, mentre un rapporto della Commissione Europea pubblicato settimana scorsa dimostra che milioni di persone di origine Rom è tuttora soggetto a discriminazione persistente.
I Viaggianti sono viaggianti, non importa la loro etnia - siamo tutti marginalizzati e incatramati alla stessa spazzola," ha detto Richard Sheridan, presidente del Gypsy Council.
"Non penso che la situazione nel Regno Unito sia cambiata molto dagli anni '60 - i cartelli "No neri, no cani, no Zingari" non sono così lontani.
"Unirci ci farà proseguire - se a bordo siamo di più sarà più facile alzarci per i nostri diritti," ha detto Sheridan.
John Johnson, presidente del Southern England Romany Gypsy and Irish Traveller Network, ha aggiunto: "Vogliamo essere visti come una comunità coesa."
Secondo l'Associazione Medica Britannica, la comunità ha la più bassa aspettativa di vita ed il più alto tasso di mortalità infantile nel Regno Unito.
Gli Zingari nomadici pagano un prezzo particolarmente alto quando si tratta di assistenza sanitaria, dato che l'assenza di un indirizzo permanente rende più difficile la registrazione nel Sistema Sanitario. Vengono anche riportati bassi livelli di scolarizzazione ed alti tassi di analfabetismo tra i bambini Viaggianti, dovuti ad interruzione scolastica e bullismo.
Il British National Party ha affermato nella precedente campagna elettorale che sgombererà i Viaggianti, mentre l'organizzazione Minority Rights Group International riporta che ci sono stati attacchi razzisti contro campi di sosta nel Regno Unito, molti dei quali non sono stati denunciati alla polizia. "Per la mia esperienza il razzismo contro i Viaggianti è definitivamente peggiorato negli ultimi 40 anni. In alcuni punti d'Europa, questo è dovuto alla caduta del comunismo e al crescere del nazionalismo, ma nel Regno Unito è probabilmente collegato con l'opposizione all'immigrazione," ha detto Grattan Puxon, fondatore del Gypsy Council ed autore di numerosi libri sulla comunità dei Viaggianti, il più recente dei quali è il racconto del 2007 Freeborn Traveller.
"In questo momento stanno succedendo molte cose nella comunità Zingara. L'unificazione ci permetterà un'azione di lobbying più efficace," ha detto.
Da
Roma_Francais
La Provence Gli evangelici non vogliono più essere mostrati a dito
Occupano tre siti ad Istres ma dicono di rispettare la legge. Quando ci
sono le aree
Espulsi da un altro terreno proprio prima di arrivare ad Istres,
questo gruppo della missione "Vie et Lumière" s'è installato da più di una
settimana su di un terreno privato delle Tartugues. Foto J.R.
Pubblicato lunedì 7 luglio 2008 alle 07H55 - Come distinguere a colpo sicuro
gli evangelici dal resto della gens du voyage?
Facile. Appena installati, rivestono un capitello che serve loro da tempio, la
loro "cattedrale di tela".
Questo perché la religione è al centro del loro accampamento come lo è al
cuore del loro modo di vita. E la Bibbia accompagna spesso le tavole del
camping. Tre gruppi - è il termine consacrato - della missione "Vie et
lumière" si sono installati nei giorni scorsi a Istres, su dei terreni
appartenenti alla SAN, alla Città e ad un privato.
Si tratta senza dubbio di occupazioni illegali - che hanno d'altronde dato
luogo a procedure per direttissima per gli accampamenti di Deven e dello stadio
Audibert - gli evangelici non vogliono più passare per "ladri di polli, ladri
di bambini, mangiatori di ricci che vivono in mezzo ai rifiuti" dice il
portavoce del gruppo installato alle Tartugues, per gli altri pastori.
Per provarlo, ricorda che chiunque è il benvenuto, cristiano o no, perché "Vie et
Lumière" è prima di tutto una missione evangelica aperta al dialogo, con statuto
di associazione culturale e membro della federazione protestante di Francia.
"Occorre vedere che l'evangelo ha portato enormemente al nostro popolo e
ci comanda di vivere nel dritto cammino, di avere un lavoro, prosegue il
pastore. Occorre osservare da vicino prima di esprimere un giudizio. Noi
siamo zigani ma siamo tutti francesi e soprattutto, lavoriamo. Io, impaglio le
sedie, molti sono commercianti e fanno i mercati, ecc. Ma è vero che in "Vie et
Lumière", come dappertutto, può esserci chi non rispetta la legge, esistono pure
dei gendarmi che sono ladri la notte!".
A capo di qualche settimana - meno a d' essere sloggiati prima - "Vie et
Lumière" finisce sempre col levare il campo. La prossima tappa di questo
viaggio ininterrotto potrebbe essere la convenzione annuale, che sarà
organizzata in un luogo ed una data ancora sconosciuti.
E' lo Stato che ogni anno decide dove si svolgerà questo grande incontro, che
riunisce in agosto dozzine di migliaia di evangelici.
Le carovane hanno lasciato Audibert
Ieri pomeriggio tardi, le carovane che occupavano lo stadio Audibert da più
di una settimana hanno impacchettato i bagagli ed lasciato il luogo, in
convoglio, poco dopo le 18.00. Questa riunione evangelica s'era installata di
forza sul prato dello stadio e non sul parcheggio, perturbando le colture e
causando danni all'erba.
Par Joël Rumello (jrumello@laprovence-presse.fr)
Da
Czech_Roma
Dina Gottliebova Babbitt (o Dinah), è l'artista che dipinse e disegnò gli
orribili disegni del dottore di Auschwitz conosciuto come Angelo della Morte,
Josef Mengele. Mengele le comandò anche di dipingere i ritratti ad acquarello di
diversi zingari, che erano anche loro detenuti ad Auschwitz, per catturare
quello che lui chiamava il colore delle pelle zingara meglio di quanto potesse
fare con la sua macchina fotografica o coi film del tempo. Una volta che i
ritratti furono completi, con orrore di Dina, Mengele mandò gli zingari a morte.
Secondo il sito web del Museo di Auschwitz-Birkenau, sette di quei ritratti
furono scoperti dopo la II guerra mondiale fuori dal campo di sterminio di
Auschwitz, da cui furono rimossi senza permesso legale, nei primi anni '70
e venduti al Museo di Auschwitz-Birkenau da gente che apparentemente non sapeva
che l'artista, Dina Babbit, era ancora viva e viveva in California (Se questa
informazione fosse stata rimossa dal sito web del Museo, ho ancora la pagina web
salvata. Contattatemi per vederla su carta intestata del Museo). Il Museo chiese
a Dina di andare ad Auschwitz per identificare il suo lavoro. Però, dopo che lo
fece, il Museo nel le permise di portare i disegni con sé. Il rifiuto del Museo
di lasciare a Dina i dipinti iniziò la sua re-incarcerazione come ostaggio del
campo di sterminio di Auschwitz.
E' stata sparsa molta disinformazione sullo scopo di Dina nel chiedere
indietro i suoi lavori originali. La verità è che non ha desiderio alcuno di
nascondere i ritratti degli zingari dalla storia. In effetti, niente potrebbe
essere oltre la verità. Una volta che fosse in possesso dei suoi ritratti, lei
intende mostrarli nei musei sull'Olocausto negli Stati Uniti, dove vive libera,
e nel mondo. Il Museo di Auschwitz-Birkenau mostra soltanto delle copie per
ragioni di sicurezza.
E' stato chiesto: "Perché Dina non portò con sé i disegni quando se ne andò?"
La ragione è che si trattava di una marcia di sterminio.
E' stata anche spedita a Dina una lettera dicendo che se qualcuno aveva
diritti sui dipinti, quello era Josef Mengele. Un suggerimento nauseante. Sto
cercando la lettera originale e la posterò sul sito quando la trovo.
Dina è legalmente accreditata dal Museo come la legittima proprietaria dei
suoi lavori e deve firmare ogni volta una liberatoria quando vuole riprodurre i
suoi lavori. Ha sempre accomodato col Museo e non ha mai preso nessuna
compensazione monetaria, per ciò che le è intitolato, per la riproduzione dei
suoi lavori. Ha sempre chiesto al Museo di Auschwitz-Birkenau di dare il denaro
guadagnato dalla riproduzione dei suoi ritratti ad acquarello a cause che
appoggino i Rom. Tuttavia ora il Museo ribatte che, avendo comprato i dipinti da
altra gente, il Museo non deve tornare a Dina i suoi ritratti originali. Ora il
diritto internazionale ha stabilito che il possesso di materiale illustrativo
rubato non autorizza il possessore a tenerlo. Il Museo mostra solo copie dei
dipinti di Dina per ragioni di sicurezza e potrebbe facilmente rappresentare la
tragedia degli zingari come fa adesso, con copie dei ritratti di Dina.
Non uno ma due Atti del Congresso degli Stati Uniti sono stati scritti in
appoggio di Dina. Uno è della congressista Shelley Berkley. L'altro insieme
dalla senatrice Barbara Boxer e da Jesse Helms. Tutti e due divennero parte
della Registrazione Congressuale nel 2003. Passarono all'unanimità.
Dina ritiene che ne lei ne i suoi soggetti zingari, avranno mai la loro
libertà spirituale dal campo di sterminio di Auschwitz, fintanto che i ritratti
non saranno tornati a lei così da essere esposti nei musei dell'Olocausto negli
Stati Uniti ed altri paesi liberi nel mondo.
Nostra madre e noi, la sua famiglia, abbiamo provato ad avere indietro i
dipinti sino dal 1973. A Dina, che ora ha 85 anni, è stata appena diagnosticata
una forma maligna di cancro addominale e mercoledì 23 luglio andrà in chirurgia.
La chirurgia prende sei ore ed è molto a rischio sotto tutte le circostanze.
Preghiamo il Museo di ritornare i lavori di Dina adesso. Inoltre imploriamo
il Museo di non prolungare per anni questa lotta, che si risolva dopo che Dina
sia passata da questa terra. Inoltre, chiediamo la comprensione e l'appoggio del
popolo Rom, amici di Dina, nell'assicurare il rilascio spirituale delle vittime
Rom di Auschwitz.
Imploriamo quanti ci leggano di appoggiare gli sforzi per avere indietro ora
i dipinti firmando le sue pagine su Facebook o mandando una mail di appoggio a
Dina al Museo di Auschwitz-Birkenau (muzeum@auschwitz.org.pl). Inoltre vi aggiungiamo il link alla pagina web di
Dina Babbit
http://www.dinababbitt.com/.
Grazie per la vostri bontà, empatia e supporto.
Michele Kane e Karin Babbitt
Figlie di Dina
michele@dinababbitt.com
Da
British_Roma
Ustiben report I "CHAVEYS" (RAGAZZI) DI DALE FARM ELEGGONO I
LEADER DELLA GIOVENTU' By Grattan Puxon
La foto
è tratta da
24dash.com
Mentre i membri del consiglio di
Basildon devono discutere il mese prossimo sul rafforzamento delle azioni
contro il Centro San Cristoforo di Dale Farm, questa settimana (12 agosto) i più
giovani si sono riuniti nell'edificio per formare la loro organizzazione.
Sotto la guida ispiratrice degli attivisti Angie e Bluey Jones, hanno eletto
il gruppo che unirà tutti i giovani della più grande comunità di Viaggianti, che
da sette anni è sotto assedio. Hanno intitolato il loro nuovo gruppo Dale
Farm Chaveys.
"Sono amico di tutti," ha detto Jimmy Harbour, il primo presidente dei
Chaveys. "Ci sarà spazio per tutti nella nostra nuova organizzazione."
Condivide la presidenza Lily Williams, scelta tra i membri fondatori, di
un'età tra i nove e i tredici anni. Hanno concordato di affiliarsi alla Gypsy Council Youth Division.
E' stato eletto un comitato di dieci, la più giovane ha nove anni e si chiama Eileen O'Brien.
Eileen, che si distingue per essere nata l'8 aprile, giorno internazionale dei
Rom, apporterà le sue capacità nell'uso del computer come segretaria dei media.
Motivati dalla partecipazione del pugile Romanì
Billy Joe
Saunders alle Olimpiadi di Pechino, i ragazzi sperano di includere la
formazione pugilistica nelle attività del gruppo.
"La boxe piace a molti di noi," ha commentato il vice-presidente Tommy Connors. "Inviteremo
Francy Barrett, un altro pugile olimpico del nostro gruppo, a visitarci a Dale
Farm."
Katie Goldsmith, segretaria della Gypsy Council Youth Division, che ha
contribuito a tenere la riunione, dice di aspettarsi molto di più quando simili
gruppi giovanili saranno formati in GB.
I giovani hanno completata la giornata piantando una quercia per ricordare la
fondazione dei Dale Farm Chaveys. Sperano che il loro centro ed il nuovo
club siano visti come un positivo successo e di ottenere aiuto per allargare il
numero dei membri e le attività
Nel contempo, Basildon ha emanato un ordine per radere al suolo San
Cristoforo, lamentando che l'edificio non ha un permesso di edificazione.
Tuttavia, la ditta fornitrice dice che essendo una struttura temporanea non
necessita di permessi.
"Questo è il terzo centro che costruiamo nella nostra campagna per i diritti
civili che dura da cinquant'anni," ha detto Richard Sheridan, presidente del
Consiglio Zingaro. "Il primo venne bruciato dalla Dublin Corporation. Ma Dio
volendo questo non verrà distrutto deliberatamente."
Sheridan ha detto di dover tuttavia ammettere che Basildon non ha consegnato
i suoi piani per distruggere l'insediamento di Dale Farm. Se al comune verrà
permesso di farlo, sarà deciso il 5 dicembre in una seduta del Tribunale
d'Appello.
La formazione per il gruppo dirigente dei Chaveys verrà fornita
dell'operatrice per la gioventù
Caroline Flynn. Ha detto in seguito di aver visto raramente giovani così acuti
ed ambiziosi.
"Hanno un grande spirito e andranno lontano," ha detto Caroline. "Dobbiamo
dar loro questa possibilità."
Published by Jon Land
Da
Mundo_Gitano
ELTIEMPO.COM vida de hoy I bambini gitani in Colombia convivono tra la
modernità ed i loro costumi ancestrali Por: JOSÉ ALBERTO MOJICA P.
Foto: Claudia Rubio / EL TIEMPO Nella casa di Geraldín, in un quartiere della
zona 3 a ovest di Bogotá, vivono 23 persone. Suo papà è un artigiano del rame
A Bogotá passano inosservati perché sono immersi nella società. Dicono
che qui stanno meglio che in altri paesi dove sono perseguiti. Cronaca
"Sì, sono Gitana", confessò Geraldín Gómez davanti ai suoi compagni di
classe, quando un'insegnante le chiese se era vero quello che si commentava
nella scuola, Questo successe appena un mese fa.
"Non l'avevo detto prima perché, anche se non è un segreto, non è neanche da
raccontare a tutti", dice la ragazza, 12 anni, studente di quinta della
primaria.
Le sue amiche, stupite, le chiedono con curiosità se vive nelle tende, come
mostrano le telenovelas e le pellicole, e poi le han chiesto di leggerle la
mano.
Anche se ha ereditato le tradizioni della sua cultura millenaria dai suoi
genitori e dai nonno, e domina la lingua del popolo Rom, la chiromanzia non le
piace. Di più, chiarisce che si tratta di arte con cui si nasce e che lei non
possiede.
Geraldín è quasi una donna, di più: una bella donna. E questo preoccupa sua
padre, un uomo forte che, come la maggioranza dei maschi Gitani, si guadagna la
vita come artigiano del rame.
E' uso sposarsi a 15 anni
In casa sua, dove vivono 23 persone, in un quartiere della zona 3 a ovest di
Bogotá, condivide una stanza con fratelli e genitori.
Per l'età e la bellezza di
Geraldín, il padre confessa di pensare di ritirarla da scuola. "Lo studio va
bene, però fuori, con i 'gadzhe' (non Gitani), può perdere le sue tradizioni.
Inoltre, è quasi una donna e gli uomini possono infastidirla", sostiene.
E oltre al futuro, che spera per sua figlia, come comandano le leggi del popolo
Rom, è che a 15 anni abbia già una famiglia, con un uomo della sua comunità.
Però lei, come in molti di questi tempi, la pensa diversamente. E questo,
secondo
Dalila
Gómez, Coordinatrice Generale del Processo Organizzativo del Popolo Rom di
Colombia (PRORROM) - che cerca di garantire i diritti collettivi del suo popolo
- si è convertito in un problema.
"Anche se hanno ereditato l'idioma ed i costumi, è impossibile pretendere che
siano uguali ai Gitani di altre epoche. Vivono una dualità: tra il mistico ed il
mondo contemporaneo", sostiene Dalila, una delle poche Gitane in Colombia che
hanno una professione precisa. E' ingegnere industriale e lavora per lo Stato.
Ha dovuto confrontarsi coi suoi genitori e con tutta la comunità quando
decise che, invece di sposarsi così giovane, voleva studiare.
Oggi non è solo la leader più visibile del popolo Rom nel paese, ma si è
convertita in un modello per i giovani.
Il suo mondo è il moderno
Dalila aggiunge che, da circa due decadi, i bimbi Gitani non hanno vissuto la
vita itinerante dei loro antenati, che il tema della chiromanzia e
dell'artigianato non li emoziona, e che le tendenze attuali come la musica e
Internet sono parte della loro quotidianità.
Nonostante, Geraldín afferma che i bimbi Gitani in Colombia sono fortunati,
rispetto ai loro coetanei in Europa.
Da poco, si è interessata alle notizie dall'Italia dove si è generata una
polemica sulla proposta del Governo di questo paese di prendere le impronte
digitali ai bambini di questa etnia al fine di evitare che mendichino.
Ed ha saputo anche che due bambine Gitane sono morte affogate in una spiaggia
italiana, di fronte allo sguardo indifferente dei turisti. "Questo è inumano, e
assurdo. Siamo persone come le altre, non una piaga come molti ci vedono", dice.
Geraldín rispetta le intenzioni di suo padre, però spera che comprenda che i
tempi sono cambiati e che lei può ottenere una professione senza smettere di
essere Gitana, come ha fatto Dalila, sua zia. Tanto che vuole montare una
propria accademia di danza ed essere cantante, mentre va all'università.
"Nessuno sa cosa può succedere col futuro della bimba, però io l'appoggio.
Voglio che studi e abbia una vita migliore. Essere Gitano, andare da un posto
all'altro, non avere nulla, è molto difficile", dice sua madre, Miryam.
Geraldín sa che ha davanti una lotta ferrea col suo destino. Non vuole
ripetere la storia di sua madre, vuole diventare un professionista, senza
smettere di essere una buona Gitana.
"Il futuro per i Gitani non esiste. Il futuro è oggi e ora. Aspettiamo di
vedere cosa succede quando arriva il momento di decidere", dice.
Qui vivono in 5.000
In Colombia, secondo il censimento del 2005, vivono circa 5.000 gitani. Di
questi, 1.446 sono minori. Sono considerati come etnia dallo Stato dal 1998.
Gli uomini vivono del commercio informale, dell'artigianato dei metalli e del
rame e della riparazione di macchine pesanti. Le donne si dedicano alla
chiromanzia, al cucito ed alla cura della casa.
I gitani sono originari del nord dell'India. La loro presenza in Colombia
iniziò nel XIX secolo. Arrivarono in America Latina col terzo viaggio di
Colombo.
Bogotá, D.C., 16 de agosto de 2008.
Redacción Vida de Hoy. El Tiempo.
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