Ricevo da Maria Grazia Dicati
La rivincita gitana : Col circo capirete la nostra anima
Repubblica - 13 giugno 2008 -
PARIGI
Roulotte sgangherate e tutte con le porte aperte. Una capra legata a un albero.
Bambini che sgambettano ovunque. Due ragazzi lavano una automobile assai più
nuova delle loro case su ruote. Sullo sfondo, un silenzioso tendone di circo.
Nel piccolo campo nomadi alla Porte de Champerret - nord ovest di Parigi, a
pochi minuti di automobile dai Campi Elisi - si entra spostando una transenna di
ferro. Ci viene incontro Delia, la quarantina con un viso di venti, capelli
lunghi e denti d' oro. È la moglie di Alexandre Romanès, poeta, ex acrobata e
domatore, ex liutista barocco con la passione di Monteverdi, creatore e
direttore del circo che porta il suo nome. Un vero circo tzigano, con veri
musicisti tzigani, con acrobati e giocolieri tzigani. Zingari con le stesse
facce di quelli che, da noi, se si avvicinano ci allontaniamo.
Dal 14 al 22 giugno il piccolo campo del Cirque Romanès si installerà a Brescia
perché il nuovo spettacolo "La regina delle pozzanghere" sarà ospite della nona
edizione della Festa Internazionale del Circo Contemporaneo.
Dal 26 al 29 si sposterà a Mantova, nella rassegna "Teatro - Arlecchino d' oro".
Nel paese che vuole cacciare gli zingari, in terra di Lega, i bambini delle
province più ricche si delizieranno sotto il tendone rattoppato e allegro di
tessuti indiani; applaudiranno bambini come loro che però non vanno a scuola e
già hanno un mestiere; e alla fine dello spettacolo - un gioiello di semplicità
e poesia - chiederanno alla mamma un bombolone appena uscito fresco di frittura
da una roulotte, e la mamma penserà che per una volta va bene dare soldi agli
zingari, perché hanno lavorato e se li sono meritati.
«Quello che sta accadendo nel vostro paese ha un colpevole: l' Europa" esordisce
Alexandre Romanès.
Sputa fuori il concetto e si vede che lo rimugina da tempo. «Dal 1989, anno
della caduta del Muro, tutti i governi della Comunità sapevano che prima o poi
la Romania e la Bulgaria sarebbero entrate in Europa. Hanno avuto decenni per
mettersi d' accordo tra loro e dirsi: sappiamo che in questi due paesi ci sono
due minoranze che versano in condizioni terribili.
Un problema così non di risolve nel momento in cui si pone. E adesso la casa
brucia perché i responsabili politici di destra e di sinistra non sono stati
previdenti: potevano comprare estintori e non l' hanno fatto».
Alexandre Romanès appartiene alla grande famiglia circense dei Bouglione, gitani
piemontesi francesizzati (si pronuncia Boug-lione). «Veniamo dall' India, poi
Afghanistan, Turchia, Grecia: siamo della tribù dei Sinti piemontesi e il
cognome Bouglione l' abbiamo preso in Italia.
Quasi tutte le famiglie circensi italiane sono gitane». Romanès lascia il circo
di suo padre («Mi sembrava un hangar, avevamo quaranta camion, e tutti in
famiglia avevano diamanti al dito e Rolls Royce. Non era per me») poco più che
adolescente e si mette a fare l' acrobata sulle "scale libere" per la strada. A
vent' anni incontra una poetessa francese, Lydie Dattas: per lei e grazie a lei
impara a leggere e scrivere, e inizia a leggere la poesia. Un giorno del '77,
mentre sta facendo il numero in equilibrio sulle scale a pioli, lo avvicina Jean
Genet. Insieme progettano un circo poetico. Avrebbe dovuto durare quattro ore.
Genet voleva un cavallo arabo e un cigno nero. «Non l' abbiamo mai montato, quel
circo: era troppo presto per me, dopo il rifiuto del tendone di mio padre. Di
Genet sono stato amico, mai amante. Fino alla fine, quando l' accompagnavo a
Villejuif, nell' ospedale dei tumori. E' morto a 76 anni nell' 86».
Nel frattempo Alexandre Romanès comincia a scrivere poesie. Nel '98 esce "Un
peuple de promeneurs", un popolo di "passeggiatori". Nel grande e disperato
campo nomadi di Nanterre (oggi smantellato) ha incontrato Delia, gitana
rumena-ungherese, che ha già tre figli da un marito che se ne è andato.
Avranno altre due bambine e Alexandre adotterà gli altri tre. Nel '94 montano un
tendone dietro alla Place Clichy (per sei anni e fino alla morte il terreno
glielo darà gratis una ricca aristocratica signora, madame Carmignani) e il
piccolo Cirque Romanès inizia ad essere un punto di incontro di artisti. «Di
molti non voglio fare nomi» dice Alexandre Romanès, «ma posso dire che Yehudi
Menuhin veniva spesso e una volta mi disse: "Fino all' ultimo dei miei giorni
non smetterò di pensare a voi"». Verso il 2003 Romanès invia a Gallimard un
quaderno con le sue poesie scritte a mano. «Hanno riunito una commissione
straordinaria di lettori.
Ben quattro. Erano poesie di uno zingaro!». Nel 2004, la grande casa editrice le
pubblica con il titolo "Paroles perdues" e la prefazione di un altro poeta
amico: Jean Grosjean (morto due anni fa).
Nel prossimo inverno uscirà una nuova raccolta. «Se non si crede nella poesia,
se non si ha un' idea poetica della vita, allora non si potranno mai capire i
gitani» dice Romanès. - LAURA PUTTI
Se volete saperne di più visitate il sito:
www.festadelcirco.it