Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
Da Zenit.org
LOURDES, France, AUG. 21, 2006 (Zenit.org).- Il 50° pellegrinaggio degli zingari alla Vergine di Lourdes è iniziato venerdì scorso con la partecipazione di 7.000 persone circa.
I "figli del vento" sono arrivati in città con circa 1.300 carovane.
Il primo pellegrinaggio ebbe luogo tra il 31 agosto e il 3 settembre 1957, merito di un'iniziativa dei cappellani zingari di Francia, assistiti dalle Sorelle Nazarene di Charles de Foucauld.
Circa 1.500 parteciparono al primo pellegrinaggio. Erano accompagnati, tra gli altri, dall'allora padre Roger Etchegaray che era cappellano per gli zingari della diocesi di Bayonne.
Oggi e martedì, il cardinal Etchegaray, presidente in pensione del Concilio Pontificale per la Giustizia e la Pace, prenderà parte ai momenti chiave del pellegrinaggio.
Sull'argomento
Riporto l'articolo de La Stampa che mi sembra il più completo e vivace. E poi si sa, in Mahalla piacciono le favole, meglio ancora se spruzzate di un po' di neorealismo:CRONACHE NELL’ACCAMPAMENTO DI TOR CERVARA TRECENTO PERSONE CHE NON POTREBBERO PERMETTERSI UN MEDICO RIMPIANGONO IL LORO «DENTISTA» DENUNCIATO DALLA POLIZIAIl cavadenti dei Rom Su una Mercedes attrezzatissima curava carie e faceva ponti sempre in oro, come piace ai nomadi9/9/2006 di Francesco La Licata ROMA. Si chiama Alain e fa il cavadenti. Non il dentista, no, proprio il cavadenti, come direbbe Tex Willer di un barbiere che vanta una certa praticaccia di odontoiatria in un villaggio sperduto della frontiera del West. Solo che qui non siamo nella prateria, nè al confine polveroso del Messico di metà Ottocento. Siamo a Tor Cervara, periferia romana attraversata dalla bretella che porta sulla Roma - L’Aquila. E’ nata qui la storia di Alain il dentista degli zingari, l’uomo della Provvidenza per le comunità Rom che un medico vero non se lo potrebbero mai permettere. Adesso Alain è stato preso, come si dice, in flagrante con l’attrezzatura intera e il suo «studio ambulante» tutto racchiuso dentro la sua «Mercedes Classe A» color amaranto. Gli hanno detto che non potrà «esercitare» più e non gli restituiranno i ferri del mestiere, cosa che parrebbe anche logica vista l’assenza di «certificazione» della specializzazione vantata. Eppure non sempre ciò che sembra logico riesce ad avere una sua consequenzialità, specialmente in questo pezzo di territorio ridotto ad una specie di limbo dove ribollono umori contrastanti quali possono essere quelli dei pochi abitanti della borgata e quelli dei tre campi nomadi che ormai avvolgono il perimetro di Tor Cervara. I Rom, infatti, non sono contenti di ciò che è accaduto ad Alain e giurano: «E’ un brav’uomo, molto generoso. Non ha mai fatto male a nessuno, anzi. Lo conosciamo da vent’anni e non ci siamo mai dovuti lamentare di lui». L’Italia invisibile E’ una storia dell’Italia sommersa, quella del dentista senza licenza amato come un benefattore. Anche se va in scena a due passi dalla Capitale opulenta. Comincia la mattina del 5 di settembre in uno dei tre insediamenti Rom di Tor Cervara: quello di via della Martora, a cinquecento metri dagli uffici del Dipartimento della Polstrada del Lazio. Il campo, ma il termine rischia di non rendere appieno la precarietà del luogo, ospita due-trecento persone in un terreno fangoso adibito a tutto, anche a deposito rifiuti. In una simile cornice, perciò, non potevano passare inosservati la Mercedes e lo stesso «dottor Alain», ma i suoi «pazienti» lo chiamano Halili, «vestito con abiti puliti e ben stirati». La curiosità muove il fuoristrada della squadra di polizia giudiziaria della Polstrada e l’intervento del sostituto commissario Guido Martino. Chi sarà quell’elegantone che confabula coi Rom? Sono gli stessi zingari che svelano l’identità di Alain ai poliziotti coi quali sono già in contatto per via dei normali e quotidiani (e tranquilli, in verità) problemi di ordine pubblico. Agli agenti viene detto: «E’ il nostro dentista, lo conosciamo, è a posto». Ma i poliziotti, si sa, sono curiosi assai. E allora si passa al controllo dei documenti della macchina, «regolarmente acquistata in Italia». Si scopre che Alain K. è cittadino francese nato in Libano, sposato con una donna originaria di Casablanca, padre di tre figli di quattro, quindici e diciannove anni. Ma la sorpresa maggiore viene dalla Mercedes: borse colme di aghi, siringhe, trapani da dentista, pinze, aspiratore, anestetici. E poi l’attrezzatura per la costruzione delle protesi e, soprattutto, dei denti d’oro, i preferiti dai Rom perchè ritenuti una specie di «status symbol». In auto c’è persino un piccolo gruppo elettrogeno che Alain usava per alimentare l’attrezzatura elettrica: una necessità visto che la corrente non è un bene di consumo nelle capanne dei Rom. E lui, il «dottore», gira parecchio per gli accampamenti, anche fuori Roma: a Milano, a Palermo, a Macerata. Insomma, sembra essere molto richiesto. La mutua fai-da-te Ma Alain non è laureato, non è neppure in grado di esibire un diploma di odontotecnico. Così la denuncia è d’obbligo (abuso di titolo) ed anche il sequestro dell’attrezzatura. Per i Rom è la fine della mutua improvvisata. Già, perchè il cavadenti applicava tariffe assolutamente concorrenziali. «Guarda miei denti», dice al cronista un donna toccando il giallo dell’oro che esalta l’arcata superiore. «Li ha messi lui e mi ha fatto pagare niente... dieci... venti euro. Mai avuta infezione, mai febbre. Quando lo chiami arriva subito, non come in ospedale che dicono sempre “torna dopo”». Lo conoscono da vent’anni, Halili il dottore. E lui conferma: «Sono una brava persona, tutti sanno chi sono. La polizia mi ha fermato altre volte ma sempre mi ha lasciato l’attrezzatura, tutti sanno che so lavorare. Non faccio il dentista, qualche volta ho tirato giù un dente, ma quando era facile. Io costruisco i denti e lavoro con l’oro, senza truffe. Mi sento rovinato, magari mi restitussero gli attrezzi per le protesi, giuro che non farei altro che quel lavoro, senza interventi sui pazienti». Alain ha 57 anni e vive a Nettuno. E’ quello che si potrebbe definire uno straniero integrato. I figli che studiano, la moglie lavora partime in una farmacia, il mutuo per l’acquisto della casetta da pagare. Resta lontana, la fuga dal Libano: «Siamo fuggiti... non ricordo... forse 34 anni fa. C’era la guerra civile... Mio padre era medico, siamo una famiglia di tradizione, faceva il dentista. Lui è morto in Libano, anche mia madre. Mio fratello venne in Italia, a Napoli, sposò una italiana. Adesso è morto. Io invece sono andato in Francia. Poi mi sono trasferito in Italia: faccio questo lavoro da più di vent’anni. Non so fare altro e sono diplomato, giuro. Il mio diploma è in Libano, ma come si fa a cercarlo in una situazione come quella di oggi? Io ho cercato di tornare a casa, ma ogni volta ho incontrato guerre e violenza. Sono una persona onesta, vivo nel vostro paese da più di vent’anni e non ho mai sgarrato». Gli viene in soccorso la moglie che sussurra nella cornetta: «Aiutatelo. Quegli arnesi sono il pane dei nostri figli. Mio marito è una brava persona, gli ho detto tante volte di procurarsi la copia di quel maledetto diploma...». Neppure lei, forse, come Alain, riesce a comprendere l’importanza di un attestato. Non sono forse contenti i pazienti del marito? Torna alla mente lo zingaro di Tor Cervara che garantisce: «Lui lavora con l’oro della sterlina, è il migliore».E rivediamo il sorriso “luccicante” della signora con la bandana e la gonna lunga e sgargiante che ripete: «E’ bravissimo, dottore».
Milano Festa del quartiere S. Ambrogio domenica 17 settembre
presso la sede dell'Opera Nomadi Milano via De Pretis 13 (rotonda della Fontana) ATM 71/59 - 74
dalle ore 15.00
- Giochi di ruolo interattivi a squadre
- Banchetto con libri, DVD e documentazione
Per conoscere i Rom e come vivono gestito da
Fatevi vivi numerosi!
Nasce il Forum dei Rom di Colombia: Il Forum è un evento promosso dall'Istituto Distrettuale della Cultura e Turismo - IDCT -, il Municipio di Bogotà, con la collaborazione del Museo Nazionale e formato dal "proceso organizativo del pueblo Rom de Colombia" (PROROM) nel quadro dei "Progetti culturali del carnevale delle bambine e bambini 2006: come vorrei essere? da dove vengo? dove vado, come sono?".Questo evento fa parte di una strategia del processo organizzativo gitano in Colombia, tendente a promuovere e dare visibilità al popolo gitano a Bogotà.
Il popolo Rom è uno dei quattro popoli fondanti del paese: come lo sono i popoli indigeni, gli afrocolombiani e i mezzo-sangue. Siamo un popolo nomade, transumante e libertario, andiamo per tutta la nostra patria che è il mondo, l'orizzonte, l'ignoto, il nostro cuore. Noi Rom abbiamo una sola religione: la libertà, in cambio rinunciamo alla ricchezza, al potere, alla scienza, alla gloria, a tutto quanto limita la nostra passione. La nostra forma di vivere la vita si traduce nel comprendere i tre tempi in uno solo... qui e adesso.
Parliamo poco di pace, perché ci piace viverla, nella nostra forma che mira alla soluzione dei conflitti, da un punto di vista civile e cosmopolita: la Kriss romaní.
Abbiamo portato alla società bogotana, colombiana e del mondo la nostra forma di regolare i conflitti e una diversa alternativa di sviluppo, nella letteratura, nella musica,, nell'esoterismo, nella psicologia, nella cucina, nellescienze sociali, tra le altre.
Nel contempo, siamo parte di questa nazione, in cui arrivammo quando era ancora una colonia, prima della repubblica, siamo parte della Colombia plurietnica e multiculturale e parte della diversitò di questo paese.
Chiarimento non richiesto: Uno dei limiti delle cronache di Mahalla è di focalizzarsi sull'Europa e un certo eccesso di razionalità. Ma i Rom sono veramente una grande famiglia presente in tutti gli angoli del globo, con caratteristiche proprie che mutano da un paese all'altro. Ad esempio, la numericamente piccola colonia presente in Sud America, a differenza dell'Europa dove si chiede un posto dove vivere, chiede il rispetto della loro condizione di nomadi, e una difesa di questa cultura. Temi abbastanza lontani da quelli europei, ma che fanno parte di un patrimonio culturale universale, ma non univoco. Per noi, la possibilità di ascoltare accenti diversi e lontani, meno razionali, che sono lo stesso cultura e tradizione.
(Libano)
Mehdi Lebouacher
Agence France Press
GAZA: Seduta sul gradino della porta di casa, Narem aspira nervosamente una
sigaretta, e sospira: "Siamo stati ballerini e cantanti. Ora siamo niente." In
Europa sono denominati Zingari o Rom. A Gaza, sono i Nawar, gente con una
tradizione ancestrale nella canzone e nel ballo, che si è sparsa per i secoli
nel Medio Oriente.
Ma qui, l'aumento della dottrina islamica che ha accompagnato l'inizio della
seconda rivolta palestinese sei anni, fa ha suonato il colpo mortale per il modo
di vivere dei Nawar, li ha spinti ad elemosinare e li ha resi cittadini di
seconda categoria in una società regolata da regole rigide.
"La nostra vita era la migliore. Abbiamo portato i vestiti più belli,
abbiamo mangiato i piatti migliori. Abbiamo cantato Umm Kalthum, Abdel-Halim
Hafez durante i matrimoni e le celebrazioni. Eravamo liberi," dice Narem, 35
anni, gettando rapidamente una sciarpa per coprire i suoi capelli scuri e
fluenti ogni volta che passa un'automobile.
"Non abbiamo imparato in scuole, ma in casa. Con noi, si comincia a cantare e
ballare mentre da bambini," dice. "Mia madre ha ballato, la mia nonna prima di
lei e la mia bisnonna anche."
Per decadi, i Nawar hanno vagato da città a città nella striscia di Gaza e nel
Medio Oriente, mostrando i loro canti e balli.
Fatima, 49 anni, era un cantante.
"Siamo andato di città in città, a Rafah, Khan Yunis, Jabaliya. Installavamo le
tende e suonavamo l'oud ed i tamburi. Alcuni di noi hanno vagato fino
all'Egitto, alla Siria ed al Giordano, "sospira Fatima.
"La vita era dolce come miele," bisbiglia, alzando gli occhi al cielo.
L'istituzione dell'autorità palestinese nel 1994, a seguito degli accordi di
pace di Oslo fra Israeliani e Palestinesi, l'aveva resa ancora più dolce.
Convinti che presto avrebbero avuto il loro stato, i Palestinesi erano
nell'umore per celebrare.
"Con l'arrivo dell'autorità palestinese, sono stati costruiti dei club in riva
al mare. C'era il Sunset, il Baida," dice lo
sceicco Abu Mohammed, il patriarca del quartiere Nawar di Gaza.
Ma lo scoppio della seconda rivolta palestinese nel mese di settembre del 2000,
condotta da Hamas, ha cambiato tutto.
"Gli estremisti hanno bruciato e chiuso tutti i club. Hanno detto che era haram,
proibito alle ragazze di ballare e cantare," dice Abu Mohammed dice, vestito in
suo abito lungo consumato e sbiadito. "La nostra vita antica è sparita nell'aria
sottile e non ritornerà."
Dopo l'inizio della seconda intifada, i cinema a Gaza sono stati chiusi o
bruciati, vietata la vendita di alcool, i vestiti sostituiti dalle camicie
lunghe-collegate e le prestazioni dei Nawar non furono più accolte
favorevolmente.
"Che cosa possiamo ora fare, volare via? No, elemosiniamo nei bazar," dice Narem,
rattristata dai ricordi felici.
Malgrado le difficoltà, i Nawar non desiderano andare via.
Sono stati su questa terra per i secoli e la considerano la loro patria.
"Hanno una storia molto lunga," dice Allen Williams, direttore del Centro di
Ricerca dei Dom per Medio Oriente ed l'Africa del Nord, un gruppo con base a
Cipro.
"In ogni società, cristiana o musulmana, i Dom hanno passato con le stesse
difficoltà," dice Williams. "Non hanno una voce in Medio Oriente. Per le
centinaia dei anni, essere cantanti e ballerini è stato il loro ruolo
tradizionale nella società.
"Quando c'è isolamento, non c'è possibilità da andare a scuola, cantare e
ballare è una di quelle abilità tradizionali che imparano e si passano dai
genitori ai loro bambini".
Oggi i Nawar a Gaza vivono sotto l'occhio di una società che ha sostituito le
celebrazioni con la violenza e la morte.
La miseria che ha accompagnato il raffreddamento delle relazioni con l'occidente
dopo che Hamas ha formato un governo in marzo, è stata esacerbata dall'offensiva
di quattro mesi dell'Israele a Gaza dopo che i militanti ha catturato un soldato
israeliano verso la fine di giugno.
"La prospettiva della gente qui è cambiata," dice Narem. "quando cantate davanti
alla gente, vi guardano in un determinato senso. Quando elemosinate ad un
mercato, vi guardano con disdegno."
"La gente qui pensa che siamo prostitute e pensano che tutti i nostri giovani
siano ladri," dice Hayat, una delle figlie di Fatima.
Agitata, aggiunge "ma siamo anche figli del popolo palestinese ed abbiamo il
diritto di essere rispettati e vivere come tutti."
Oggi, conservare le loro tradizioni, i Nawar si nascondono.
"Organizziamo le celebrazioni in famiglia e non un singolo sconosciuto può
venire," Hayat dice. "cantiamo e balliamo per noi stessi. È meglio così."
Da Mundo_Gitano
LA CONFORMAZIONE ETNICA DELLA COLOMBIA
Secondo il censimento generale del 2005 realizzato dal Departamento Administrativo Nacional de Estadística (DANE), la popolazione colombiana che appartiene ai gruppi etnici, è la seguente:
- Popolazione indigena: 3,4% del totale, cioè 1.378.884 persone.
- Popolazione afrodiscendente: 10,5% del totale, cioè 4.261.996 persone. Incluse le popolazioni dell'Arcipelago di San Andrés, Providencia e Santa Catalina.
- Popolazione Rom: 0,001% del totale, cioè 4.832 persone.
Fonte
Los Gitanos
Sono una comunità etnica che a cavallo di diversi secoli si mantiene distante dal resto della società, per preservare la propria cultura ed identità
Poco più di 30 anni fa, era comune vedere nelle periferie dei villaggi o delle città, i grandi i gradi carri dei gitani, che arrivavano senza preavviso in qualsiasi momento dell'anno. Lì conducevano la loro vita in comunità appartate dai gadye (chi non appartiene al popolo Rom), avvicinandosi al resto degli abitanti solamente per commerciare, si trattasse di cavalli, scarpe, lavori di metallurgia o la tradizionale lettura della anno o delle carte, queste ultime praticate dalle donne. Poi levavano le tende e i carri per si spostarsi in un'altro paese.
Al giorno d'oggi, i circa 4.00 Rom di Colombia non vivono più nei carri, ma in case in differenti kumpanias-luoghi, riuniti in quartieri specifici e con luoghi di riferimento per tutti i gitani del paese. Le più grandi kumpanias sono a Girón, Bogotá e Envigado. I gruppi familiari tendono a spostarsi frequentemente in altre città o paesi vicini, di solito non molto distanti, si tratta quindi di nomadismo circolare da kumpania a kumpania.
Per i gitani il viaggiare da un osto all'altro è sinonimo di vivere bene e di indipendenza. Dall'inizio della loro esistenza non intendono soggiacere (Rif: premessa e conclusione ndr), tentando di mantenere le loro leggi, cultura e tradizioni per tutta la costa. E questa forma di vita rimane integra sino ad oggi, nelle varie comunità sparse nel mondo. Del loro luogo d'origine conservano la lingua, il romanés, che deriva dal sanscrito e che con poche variazioni è parlato da tutti i Rom nel mondo. Però è un idioma solo parlato, una trasmissione registrata solo oralmente.
La libertà è sempre stata il loro paradigma di vita e per questo è stato un popolo perseguitato attraverso la sto. Si ritiene che i primi Rom ad arrivare sul continente americano furono quelli del terzo viaggio di Colombo. Da ciò si può affermare che la loro presenza è contemporanea all'epoca coloniale. Una seconda grande ondata migratoria avvenne tra la Prima e la Seconda Guerra Mondiale, a causa delle persecuzioni naziste, dove 500.000 gitani persero la vita.
"A differenza dell'Europa e del Medio Oriente, in Colombia nutriamo di un buon prestigio come commercianti e non esiste una xenofobia marcata. Siamo molto contenti di vivere qui, a parte la situazione di violenza che non ci premette di viaggiare con la stessa facilità del passato," dice Venecer Gómez, leader riconosciuto dei Rom in Colombia. Anche se si considerano colombiani e molti hanno i documenti, mai si sono integrati nel resto della società. Inoltre, non si accetta che una donna gitana si sposi con un gadye e se lo fa, è una vergogna per la comunità e viene espulsa dalla famiglia. Nel caso degli uomini, si accetta che si sposino con donne non appartenenti all'etnia, ma solo se queste accettano di avvicinarsi alle tradizioni. "La cultura Rom è patrilineare e gli uomini sono quelli che prendono le decisioni. Crediamo che la donna sappia adattarsi facilmente al nostro ambiente, ma che un uomo non accetterebbe di cambiare la sua forma di vita," spiega Ana Dalila Gómez, coordinatrice di Pueblo Rom (Prorom).
Le tradizioni si sono preservate sino ad oggi e la donna riveste in questo un ruolo importante, essendo quella che tramanda ai bambini la lingua e i costumi. Il processo di divenire più partecipi nella vita dello stato, è cominciato circa nove anni fa e sta dando i suoi frutti. Uno di questi è che i bambini ed i giovani frequentano la scuola, mentre prima se ne tenevano lontani per mantenere intatti i riferimenti della loro cultura.
Però la maggioranza abbandona dopo la scuola primaria, perché è costume sposarsi o iniziare a lavorare molto giovani. Una delle paure maggiori tra i Rom è perdere la propria identità, e anche se sempre marcata in maniera chiara la loro differenza etnica, lentamente si stanno spostando ad essere un popolo invisibile per la società colombiana. E la Colombia inizia a vederli come stranieri.
Tomado de: Semana. Edición Especial "Destino Colombia". Edición No. 1278. Octubre 30 a Noviembre 6 de 2006. Bogotá, D.C. - En la web
PROTSESO ORGANIZATSIAKO LE RROMANE NARODOSKO KOLOMBIAKO / PROCESO ORGANIZATIVO DEL PUEBLO ROM (GITANO) DE COLOMBIA, (PROROM) Organización Confederada a Saveto Katar le Organizatsi ay Kumpeniyi Rromane Anda´l Americhi, (SKOKRA)
Gruppo Inte(g)razione del Collettivo Vagabondi di Pace:
Amici e amiche del collettivo Vagabondi di Pace è arrivata una grande novità! Le cartoline del progetto io.rom di animazione al campo rom di via Triboniano a Milano che il Collettivo Vagabondi di Pace porta avanti! Sono bellissime per ogni occasione e, adesso che si avvicina Natale, sono perfette anche come biglietti di auguri! e in più finanziate l'attività del Collettivo Vagabondi di Pace In allegato trovate una copia del parte anteriore, mentre sul retro sono come una normale cartolina con in più il riferimento di dove e stata scattata e da chi, e l'indirizzo del sito internet dell'associazione. Aspettiamo numerose le vostre prenotazioni!
per info: integrazione@vagabondidipace.org io.laura@yahoo.it A presto!
Un raccontino offerto da
Les
Rroms acteurs. Buona domenica a tutti!
Un vecchio viveva tutto solo in un villaggio. Poco lontano, viveva Ramo, un
rrom, con sua moglie e cinque figli. Ramo aveva una kakavi (marmitta), troppo
piccola per cucinare per tutta la famiglia. Un giorno si reca dal vicino che
viveva tutto solo, chiedendogli: "Sto aspettando ospiti, ma la mia padella è
troppo piccola per cucinare per tutti. Me ne puoi prestare una più grande?" Con
un po' di esitazione, il vecchio gli presta la sua padella. Due giorni dopo,
Ramo torna dal vecchio per ridargliela. Bussa alla porta e quando il vecchio
apre, gli dice: "Però, non mi avevi detto che la tua marmitta era incinta. Te la
rendo, assieme alla piccola che ha messo al mondo" tendendogli la sua piccola
marmitta.
Il vecchio pensa tra sé che il Rrom fosse pazzo, ma gli risponde: "Ah sì, mi
ero dimenticato di dirti che era incinta. Grazie per avermela riportata".
Passato qualche giorno, Ramo ritorna dal vicino e gli dice: "Sono desolato di
recarti disturbo ogni volta, ma ho di nuovo degli ospiti. Puoi ancora prestarmi
la tua padella?" Stavolta, il vecchio non è più esitante, sperando di recuperare
un'altra padella. "Ma certamente - gli dice - te la presto volentieri" e gliela
porge.
Passano due giorni, tre, e al quarto giorno Ramo torna dal suo vicino. Bussa
ala porta. Il vecchio esce tutto contento, ma vede il viso triste di Ramo, che
gli dice: Oh amico mio... come faccio a dirtelo, non mi avevi detto che la
tua padella era malata...". "Cosa?" dice il vecchio con gli occhi spalancati.
"Capisco la tua pena, ma la tua padella era gravemente ammalata. E' morta da
noi." "Smetti di mentire! - grida il vecchio - una padella non muore, non è un
essere umano". "Ah sì? - dice Ramo - è vero. Ma tu mi hai creduto quando ti ho
detto che aveva avuto una figlia, perché adesso metti in dubbio le mie parole?
Ti dico che è morta".
E'così che Ramo ha scambiato la sua piccola kakavi con quella più grande del
suo vicino. Finalmente, a ciascuno secondo i suoi bisogni...
o paramisi odothe, o sastipen akate
Da
Mundo_Gitano
Alcune note sulla
storia del popolo Rom in Colombia, per PROCESO ORGANIZATIVO DEL PUEBLO
ROM (GITANO) DE COLOMBIA, PRORROM
Il 5 agosto 1998, nella
kumpania di Girón (Santander), nel quadro dello storico incontro
chiamato "Passato, Presente e Futuro del Popolo Rom di Colombia" sorse il Proceso
Organizativo del Pueblo Rom (Gitano) de Colombia (PRORROM). Attualmente i
Rom stanno lavorando intensamente perché il Governo Nazionale, con la
partecipazione dei Rom stessi, costruisca un quadro giuridico che regoli le
relazioni tra loro e lo Stato, attraverso la promulgazione di uno "Statuto
di Autonomia Culturale per il popolo Rom di Colombia".
La presenza Rom in
Colombia è più antica di quanto si creda. I Rom si incontrano in
Colombia dall'epoca della dominazione ispanica in America.
E' stato stabilito che nel
1498, col terzo viaggio di Cristoforo Colombo, arrivarono i primi quattro
Rom, conosciuti come egiptianos o egiptanos. Erano Antón de Egipto,
Catalina de Egipto, Macías de Egipto y María de Egipto, che avevano
commutato la condanna per omicidio in lavori forzati nelle galee.
Fu così che durante i
primi anni dell'invasione spagnola iniziarono ad essere tradotti in maniera
legale dalle imbarcazioni della Corona, molti Rom, svuotando in questa
maniera le carceri iberiche, mantenendo nel nuovo mondo le loro vite ed
usanze, cosa che allora in Spagna era considerato un grave delitto. Più
avanti nel tempo, la legislazione coloniale cambiò radicalmente, arrivando a
considerare i Rom come un cattivo esempio per i popoli indigeni, proibendo
il loro ingresso nelle Americhe e ordinando la deportazione di quanti vi si
erano stabiliti.
Nonostante i persistenti
intenti della Corona spagnola di controllare l'immigrazione illegale, o come
erano chiamati allora "llovidos", durante il primo secolo gli arrivi
furono considerevoli, inclusi quanti arrivarono con autorizzazioni o con
tutte le carte legali. Gli stratagemmi utilizzati dai "llovidos" per
burlarsi dei controlli coloniali furono diversi e di una creatività
infinita: dal cambio di nome e cognome, passando per la compera di false
autorizzazioni, sino al farsi passare per nobili e burocrati. Si suppone che
con questi artifizi arrivarono in quella che oggi è la Colombia, non solo
stranieri, mori ed ebrei, ma anche un gran numero di Rom.
Parte della legislazione
coloniale dell'epoca era indirizzata verso i cosiddetti "vagabundos".
In questo senso sono abbondanti i riferimenti ai problemi ed inconvenienti
che causano questi "vagabundos" che in gruppi familiari andavano
da un luogo all'altro, senza domicilio fisso né lavoro conosciuto. Le
descrizioni sui "vagabundos" si avvicinano alla vita
itinerante e nomade dei Rom e questo porta a supporre che i Rom dell'epoca
fossero catalogati in quel modo. Inoltre si trovano riferimenti ai Rom nei
numerosi giudizi emessi dal Tribunale del Santo Ufficio, meglio conosciuto
come Inquisizione. Sotto l'Inquisizione furono torturati e bruciati non solo
cristiani convertiti, mori ed ebre, ma anche molti Rom [...]
I alcune regioni di Nueva Granada
ci fu un fenomeno che la storiografia ha studiato sotto il nome di "arrochelados".
Gli "arrochelados" erano un gruppo di persone che vivevano al margine
della legislazione coloniale e che erano riusciti a costruire, in un cero
senso, società alternative al sistema della dominazione ispanica. Una delle
strategie di sopravvivenza di questi gruppi fu l'invisibilità, proprio come
fu adottata dai Rom. Recenti studi storici hanno presentato una nuova
visione dell'epoca coloniale che abbandona gli stereotipi secondo cui si è
trattato di un'epoca ordinata e tranquilla. [...] Diverse regioni furono
attraversate costantemente da gruppi nomadi ed itineranti: commercianti, "vagabundos"
ed altre persone che si dedicavano ad attività differenti dalla coltivazione
della terra.
A cosa si deve il fatto
che le testimonianze storiche sui Rom in Colombia siano poche e talvolta
inesistenti? Questa situazione è dovuta a due ragioni: La prima è che, date
le incessanti persecuzioni di cui erano vittima in Spagna e in tutta Europa,
si fecero ingenti sforzi per sparire come etnonimo. Ci sono diverse
testimonianze dalla Spagna, che evidenziano come la Corona, nel suo affanno
integrazionista e assimilazionista, proibisse espressamente l'utilizzazione
del nome Gitano. D'altra parte, era logico che se esistevano proibizioni
tassative della Corona all'ingresso e alla permanenza dei Rom nelle colonie
americane, non ci fosse altra alternativa che rifugiarsi nell'invisibilità.
I Rom attuali, nella quasi
totalità di nazionalità colombiana, tramandano attraverso la tradizione
orale che la nostra presenza in Colombia data dalla metà del XIX secolo, in
ogni caso prima che il paese adottasse il nome attuale. Questa tradizione
orale è corroborata da quella di viaggiatori stranieri dell'epoca che
menzionano la presenza di carovane di Rom che, con una certa frequenza,
percorrevano la rotta Caracas-Bogotá
-Quito-Lima- Buenos Aires.
Bisogna inoltre menzionare
che la situazione sociale e politica tra il 1821 e il 1851 vide in Colombia
diverse leggi abolizioniste che favorirono l'arrivo di diversi gruppi Rom
dall'Europa dell'Est, dove vivono sottomessi o in schiavitù. Queste leggi
abolizioniste stabilivano che chiunque arrivasse nelle nuove terre fosse
immediatamente riconosciuto come persona libera e ciò portò all'arrivo di
molti Rom in fuga verso la libertà.
Gabriel García Márquez
ricrea nel famoso "Cent'anni di Solitudine" alcuni tratti significativi
della storia del paese, in particolare della regione del Caribe.
García Márquez ritenne che la ricreazione letteraria di parte della storia
del paese senza la presenza dei Rom, sarebbe stata incompleta ed inesatta,
per questo li pone come protagonisti invisibili della narrazione, che vanno
da un paese all'altro, portando strumenti ed artefatti sconosciuti dal resto
della popolazione del tempo. Molti dei gruppi familiari Rom che vivono oggi
in Colombia sono, conseguentemente, discendenti dell'emblematico Melquíades.
La presenza dei Rom in
Colombia cresce relativamente durane gli anni tra la prima e la seconda
guerra mondiale, quando molti gruppi Rom fuggivano dagli orrori della guerra
e dalle orde nazi-fasciste, seguendo le rotte di quanti arrivarono via mare
nel XIX secolo.
Oggi, secondo quanto
riportato dal censimento del 2005, la popolazione Rom in Colombia è di 4.832
persone, cioè lo 0,001% della popolazione totale. Senza dubbio i Rom sono
molti di più e questa cifra non tiene conto dei Rom con nazionalità
colombiana che si trovano incrociando di continuo le frontiere coi paesi
vicini e quanti vivono all'estero.
Tramite PRORROM alcune
nostre richieste sono state riconosciute formalmente dallo Stato colombiano.
Tra queste le più importanti:
-
Lo Stato riconosce i
popolo Rom come gruppo etnico e transnazionale che è parte della
Colombia, dato che abita nel paese da prima della Repubblica.
-
Lo Stato riconosce che
le disposizioni legali contenute nella Convenzione 169 del 1989
dell'Organizzazione Mondiale del Lavoro "Sui Popoli Indigeni e Tribali
nei Paesi Indipendenti", si applicano estensivamente al nostro popolo,
dato che la nozione di Tribale si adatta perfettamente al tipo di
organizzazione sociale tradizionale dei Rom.
-
Lo Stato riconosce che
le disposizioni legali e costituzionali che proteggono i diritti dei
popoli indigeni e afrodiscendenti, per simmetria positiva, siano
estensive al popolo Rom.
I Rom chiedono un impegno
allo Stato colombiano per il riconoscimento attuato dei diritti del nostro
popolo, si traduca in politiche pubbliche che preservino la nostra integrità
etnica e culturale, che migliorino i nostri precari livelli di vita attuali.
Speriamo che le conseguenze del riconoscimento costituzionale della Colombia
come paese plurinazionale comprendano il nostro popolo.
BIBLIOGRAFIA
-
JUANCARLOS GAMBOA
MARTÍNEZ, ANA DALILA GÓMEZ BAOS, VENECER GÓMEZ FUENTES, et. al. Tras
el Rastro de Melquíades. Memoria y Resistencia de los Rom de Colombia. PRORROM. Bogotá, D.C. 2005.
-
VENECER GÓMEZ FUENTES,
JUANCARLOS GAMBOA MARTÍNEZ y HUGO ALEJANDRO PATERNINA ESPINOSA. Los
Rom de Colombia: Itinerario de un Pueblo Invisible. Suport Mutu. PRORROM.
Bogotá, D.C. 2000.
PRORROM
PROCESO ORGANIZATIVO
DEL PUEBLO ROM (GITANO) DE COLOMBIA / PROTSESO ORGANIZATSIAKO LE RROMANE
NARODOSKO KOLOMBIAKO
[Organización Confederada
a Saveto Katar le Organizatsi ay Kumpeniyi Rromane Anda´l Americhi, (SKOKRA)]
¿Dime, hombre,
dónde esta nuestra
tierra,
nuestros montes,
nuestros ríos,
nuestros campos y
bosques?
¿Dónde esta nuestra patria?
¿Dónde nuestras tumbas?
Están en las palabras,
en las palabras de
nuestra lengua Romaní.
ESLAM DRUDAK
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