Un raccontino offerto da
Les
Rroms acteurs. Buona domenica a tutti!
Un vecchio viveva tutto solo in un villaggio. Poco lontano, viveva Ramo, un
rrom, con sua moglie e cinque figli. Ramo aveva una kakavi (marmitta), troppo
piccola per cucinare per tutta la famiglia. Un giorno si reca dal vicino che
viveva tutto solo, chiedendogli: "Sto aspettando ospiti, ma la mia padella è
troppo piccola per cucinare per tutti. Me ne puoi prestare una più grande?" Con
un po' di esitazione, il vecchio gli presta la sua padella. Due giorni dopo,
Ramo torna dal vecchio per ridargliela. Bussa alla porta e quando il vecchio
apre, gli dice: "Però, non mi avevi detto che la tua marmitta era incinta. Te la
rendo, assieme alla piccola che ha messo al mondo" tendendogli la sua piccola
marmitta.
Il vecchio pensa tra sé che il Rrom fosse pazzo, ma gli risponde: "Ah sì, mi
ero dimenticato di dirti che era incinta. Grazie per avermela riportata".
Passato qualche giorno, Ramo ritorna dal vicino e gli dice: "Sono desolato di
recarti disturbo ogni volta, ma ho di nuovo degli ospiti. Puoi ancora prestarmi
la tua padella?" Stavolta, il vecchio non è più esitante, sperando di recuperare
un'altra padella. "Ma certamente - gli dice - te la presto volentieri" e gliela
porge.
Passano due giorni, tre, e al quarto giorno Ramo torna dal suo vicino. Bussa
ala porta. Il vecchio esce tutto contento, ma vede il viso triste di Ramo, che
gli dice: Oh amico mio... come faccio a dirtelo, non mi avevi detto che la
tua padella era malata...". "Cosa?" dice il vecchio con gli occhi spalancati.
"Capisco la tua pena, ma la tua padella era gravemente ammalata. E' morta da
noi." "Smetti di mentire! - grida il vecchio - una padella non muore, non è un
essere umano". "Ah sì? - dice Ramo - è vero. Ma tu mi hai creduto quando ti ho
detto che aveva avuto una figlia, perché adesso metti in dubbio le mie parole?
Ti dico che è morta".
E'così che Ramo ha scambiato la sua piccola kakavi con quella più grande del
suo vicino. Finalmente, a ciascuno secondo i suoi bisogni...
o paramisi odothe, o sastipen akate