Rom e Sinti da tutto il mondo

Ma che ci fa quell'orologio?
L'ora si puo' vedere dovunque, persino sul desktop.
Semplice: non lo faccio per essere alla moda!

L'OROLOGERIA DI MILANO srl viale Monza 6 MILANO

siamo amici da quasi 50 anni, una vita! Per gli amici, questo e altro! Se passate di li', fategli un saluto da parte mia...

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\\ Mahalla : VAI : conflitti (inverti l'ordine)
Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
 
 
Di Fabrizio (del 08/05/2005 @ 12:32:28, in conflitti, visitato 2293 volte)
L'Organizzazione Mondiale della Sanità ha misurato il livello di contaminazione nel campo per rifugiati di Mitrovica Nord. Sono già morte 27 persone per avvelenamento da piombo e altre 34 sono intossicate.
Il caso, sollevato a fine novembre 2004, è stato recentemente ripreso da diversi media, l'ultimo QUI.

Nonostante i recenti accordi per il ritorno dei rifugiati nei campi alle loro case, nel settore meridionale della stessa città, il rientro non potrà avvenire (sembra) che per la fine di quest'anno, anche se le condizioni sono tuttora da definire.

Nella gara che sembra essere iniziata tra i mezzi d'informazione, a chi descrive la situazione con maggior raccapriccio, si è aggiunta la Reuters.

Riferimenti:
Gruppo Kosovo_Roma_News
 
Di Fabrizio (del 19/05/2005 @ 05:32:03, in conflitti, visitato 1974 volte)

di Valeriu Nicolae

"Io ci piscio su questi figli di p...a, zingari vagabondi e hooligans" - il sindaco di Craiova, una delle dieci maggiori città della Romania

Il 4 maggio è apparsa sul giornale rumeno Gardianul un'intervista col sindaco Solomon.

I Rom sono l'8% della popolazione. Il sindaco esprime il suo punto di vista chiamandoli: "merde" "idioti" "imbroglioni" "puzzolenti" "hooligans" - il tutto in un discorso di meno di 300 parole.

Scioccato dall'idea che qualcuno vorrebbe mai avere a che fare con uno zingaro sporco, brutto e puzzolente come consigliere, il sindaco dice di avere dichiarato loro guerra e non voler concedere alcun diritti supplementare.

Questo è ciò che succede nella città dove sono cresciuto e da dove arrivano queste foto. Io credo fermamente all'idea europea di unione, ma finchè non si combatteranno questi incredibili atteggiamenti delle autorità in Romania e altrove, non esiste alcuna possibilità di unione comune.

L'antiziganismo è connaturato alla classe dirigente rumena, ai mass media e all'opinione pubblica (confrontare QUI e QUI), ma ancora non abbiamo nessuna presa di posizione ufficiale nel governo, che tende a negare il problema ed è riluttante nell'affrontarlo. Lontano dal riconoscere le responsabilità della Romania per la morte di 20.000 Rom durante la deportazione e per il periodo del collaborazionismo coi nazisti, come pure per i 500 anni di schiavitù di cui la Chiesa Ortodossa Rumena è la principale responsabile, i Rom sono semplicemente dei "corpi estranei" e la chiesa continua ad essere un'istituzione onorata e complice degli estremisti nazionalisti.

Sono profondamente preoccupato per la radicalità di quanto vi scrivo, e sto cominciando a chiedermi se per caso non stia diventando io stesso la caricatura di un nazionalista spaventato dai propri pregiudizi, ma vi assicuro che questo stato di cose non può essere descritto che in maniera allucinata e spaventata.

I miei migliori saluti

Valeriu Nicolae Deputy Director
European Roma Information Office
Av.Eduard Lacomble 17, Brussels
BELGIUM
Telephone: + 32 27333462
Fax +32 27333875
Mobile: +32 476538194


Gruppo Romanian_Roma

 
Di Fabrizio (del 31/05/2005 @ 11:54:34, in conflitti, visitato 2999 volte)

Su Serbianna,

un'intervista di Christopher DelisoMarek Antoni Nowicki, Ombudsperson NATO per il Kossovo 


Su Kosovareport

il senatore USA Sam Brownback chiede che venga consultato il Comitato per i Diritti Umani

(ambedue in inglese)


fonte: http://it.groups.yahoo.com/group/Kosovo_Roma_News

 
Di Fabrizio (del 31/05/2005 @ 11:55:53, in conflitti, visitato 3089 volte)


Skopje, 27 MAGGIO 2005. Il delegato speciale Bjørn Engesland di International Helsinki Federation for Human Rights (IHF) / European Roma Rights Centre si è recato a Skopje settimana scorsa per verificare la situazione dei circa 2000 Rom rifugiati dal Kossovo, attualmente ospitati in centri di raccolta per rifugiati e per indagare sulla ventilata volontà del governo di espellerli verso il Kossovo, la Serbia o il Montenegro.

A Skopje è stato raggiunto dai componenti macedoni del Comitato di Helsinki.

[...]

Attualmente sono circa 2000 i rifugiati dal Kossovo, Rom Ashkali ed Egizi. La maggior parte sono i reduci dai bombardamenti NATO del 1999, impossibilitati a ritornare per la campagna di pulizia etnica contro gli "Zingari" scatenata dagli estremisti albanesi già in quello stesso anno.

Le minacciate espulsioni dalla Macedonia, cadono nel momento in cui anche altri governi europei, in particolar modo la Germania che ha siglato un accordo con l'ONU (ma anche l'Italia, la Svezia e la Svizzera NDR) si accingono a operazioni simili di rimpatrio forzato. [...]

Englesad: "Nonostante il desiderio - pienamente legittimo - del ritorno in Kossovo e di ricevere giustizia e risarcimenti per i danni e i crimini di massa che hanno sofferto, non esistono attualmente le condizioni in Kossovo per un possibile ritorno. E' semplicemente troppo pericoloso e imprudente".

Dal canto suo, le autorità macedoni non hanno ancora riconosciuto a queste 2000 persone lo status di "richiedenti rifugio", lasciandole in un limbo giuridico e potendo quindi espellerle in qualsiasi momento senza alcuna giustificazione.

Continua Englesad: "Il governo macedone dovrebbero offrire a tutti i 2000 rifugiati la possibilità di integrarsi in Macedonia, fornendo loro permessi di residenza a lungo termine [...] La nostra, non è una critica rivolta al solo governo della Macedonia, ma si estende a tutti gli altri paesi che in maniera più o meno nascosta stanno agendo similmente."

Ulteriori informazioni:

  • International Helsinki Federation for Human Rights (IHF): Bjørn Engesland, +47-957-533 50
  • European Roma Rights Centre (ERRC): Claude Cahn, (36 20) 98 36 445


fonte: http://it.groups.yahoo.com/group/Macedonian_Roma

 
Di Fabrizio (del 01/06/2005 @ 19:36:05, in conflitti, visitato 3111 volte)
Da Karin Waringo

Salve!

Vi allego un articolo sulla tensione tra le comunità Rom e Musulmana a Perpignan, Francia. Un retroscena sicuramente complesso, su cui l'articolo sviluppa alcune riflessioni, di parte, ma utili ad avere un quadro più completo della situazione.

 

Pubblicato da: Morocco TIMES.com © Copyright

Vivere all'estero – Francia 

8 feriti dopo l'assassinio di un Marocchino

By Houda Filali-Ansary
5/30/2005 | 4:07 pm GMT

Otto feriti la notte scorsa a Perpignan, in nuovi scontri tra le comunità dei Nordafricani e degli Zingari, a seguito dell'uccisione di un Nordafricano, il secondo in meno di 10 giorni.

Centinaia di giovani Nordafricani hanno manifestato dopo l'assassinio di un franco-marocchino. L'uomo, il cui cognome è ancora sconosciuto, è stato colpito quattro volte fuori dalla sua casa, nel quartiere di Saint-Mathieu alle 19.30 circa. 

Il 43 enne Driss è il secondo Nordafricano ucciso in città nell'ultima settimana. Domenica scorsa, Mohamed Bey-Bachir, franco-algerino di 28 anni, era stato malmenato a morte da cinque Zingari in un parcheggio. L'omicidio aveva dato la stura a violenze e disordini tra le due comunità, durate per tutta la settimana.
L'uccisione della notte scorsa è avvenuta proprio mentre gli animi stavano calmandosi. Nei disordini che ne sono seguiti, otto persone sono rimaste ferite e 37 sono gli arrestati, secondo le fonti poliziesche. Due sono stati feriti con colpi di arma da fuoco, gli altri sono stati feriti con coltelli e bottiglie rotte.

Ci sono stati anche 100 principi d'incendio e 50 auto sono state date alle fiamme, prima dell'intervento della polizia per evitare che le comunità venissero in contatto.

Sono state chiamate di rinforzo squadre di polizia anti-rivolta dalle città di Tolosa, Marsiglia e Bordeaux.

Anche se l'identità dell'assassino del giovane marocchino è ancora sconosciuto, i sospetti sono subito caduti sulla comunità zingara, a seguito degli incidenti della settimana scorsa. 

Domenica scorsa si è tenuta una manifestazione pacifica in memoria di Bey-Bachir, e in diversi hanno protestato contro la polizia locale per non aver disarmato gli Zingari: "Domenica scorsa abbiamo mostrato che sappiamo manifestare civilmente, e invece ci uccidono!" hanno urlato.

Prima dell'uccisione di Bey-Bachir, le due comunità avevano sempre convissuto in pace. In una settimana la situazione è totalmente cambiata, con le autorità che ammettono di essere incapaci ad affrontare la situazione: "Possiamo fare in modo di evitare gli incidenti più grossi, ma siamo impotenti se le due comunità rifiutano di [...] negoziare per una coabitazione pacifica" ha detto stamattina Henri Castets, capo della sicurezza pubblica locale.

Ma la situazione preoccupa perché rischia di spostarsi dallo scontro tra comunità etniche a guerra di religione. "Siamo cristiani evangelici, non abbiamo niente a che fare con tutto ciò" ha affermato un capo della comunità zingara.

"Questa tragedia ha rotto i ponti che si erano stabiliti tra le due comunità. Ma la nostra città ha fatto tutto il necessario per sviluppare il dialogo interreligioso, e ricostruiremo [questi ponti] sulle stesse basi", recita un comunicato del sindaco.

Gli ultimi eventi chiariranno se quella frase del comunicato è stata solo un lapsus, o se si tratta di un altro capitolo della discriminazione contro i Nordafricani in Francia.

 


fonte: http://groups.yahoo.com/group/Roma_Francais/
 
Di Fabrizio (del 05/06/2005 @ 15:22:14, in conflitti, visitato 3963 volte)

Dall'archivio di Pirori, una segnalazione dell'11 dicembre 2004. Utile per entrare nel tema di una sorpresa che sto preparando per settimana prossima. Aggiornamenti a mercoledì prossimo...


Sentivamo la stessa pena

Ho tentato di tradurlo meglio possibile. L'originale su The Guardian (29 novembre 2004) mi è stato indicato da Nigel su http://groups.yahoo.com/group/allgypsies/
Da leggersi, consiglio, a puntate.


Per molti anni, Walter Winter non parlò di quello che gli successe tra i 20 e i 25 anni. Dopo la guerra, testa bassa e lavorare: le giostre e il matrimonio con Marion, da cui ebbe sei figli, là nel nord est della Germania dove i Winter vivevano da quando lui ne ha memoria. Ad 84 anni, vive ancora lì. "Noi siamo duri" dice, riferendosi alle tempeste sulla sua famiglia e, più in generale, a quelle sulla sua razza. "Siamo forti, perché dobbiamo esserlo."

Herr Winter e sua moglie vivono in un appartamento pieno di ricordi di un mondo che da tempo ha cessato di esistere. Ecco l'orologio del nonno e una scatola con un servizio cinese da te, appeso alla parete un violino circondato da quadretti con scene di carovane a botte, cavalli e bambini. Un modo di vita che esisteva quando Winter era poco più che ragazzo, con otto fratelli, negli anni che lui chiama "dell'Olocausto dimenticato".

Nel 1943, lui e due suoi fratelli finirono nel settore "Zigenuer" di Auschwitz. Sua sorella Maria di otto anni, morì per mano di Josef Mengele; la prima moglie di Winter, Anna, che conobbe nel campo e il loro bambino, morirono dopo che furono trasferiti a Ravensbruck. Suo fratello Erich fu sterilizzato.

"Vogliono che questo sia dimenticato," dice. "Ja. E' una lunga tradizione perseguitare i Sinti. Sempre, sempre."

Non esistono molte testimonianze scritte sul mezzo milione di Rom, Sinti e altre popolazioni nomadi che perirono nei campi, a causa, dice Winter, di una cultura tradizionalmente orale e non letteraria. Diversamente dagli Ebrei, molti dei quali provenivano dalla classe media scolarizzata, i Sinti vivevano della terra. La famiglia diWinter alternava il tradizionale lavoro stagionale nell'agricoltura con quello delle giostre e dei circhi. Erano egregi cavallerizzi e cavallerizze, Winter stesso lo fu.

Già negli anni '20, venivano accompagnati dalla polizia ai confini delle contee tedesche. "Un esempio" racconta Winter attraverso l'interprete, "fu quando avevo sei anni. I miei genitori stavano bevendo il caffè, quel mattino saremmo dovuti partire. Un poliziotto picchiò alla porta della nostra carovana e ci disse che dovevamo partire subito. Mia madre disse, 'Non possiamo partire immediatamente, i bambini stanno facendo colazione.' Ma il poliziotto non voleva aspettare. Estrasse il proprio manganello e mio padre, rapidamente, cominciò a preparare la roba per partire. Ma non era troppo veloce per quel poliziotto. Prima incitò i cavalli e poi bastonò mio padre."

Queste e altre scene sono ricordate nel suo libro, Winter Time, dove alcuni accademici hanno riportato le intervisti che ha rilasciato loro. Non è stata un'esperienza felice, non solo per il dolore di rivivere certe memorie - per quanto sia stato difficile - ma anche per una sorta di malfidenza verso chi aveva ottenuto la patente di "esperto" dell'Olocausto, studiandolo ma non vivendolo in prima persona. Inoltre, l'amarezza per la sorta diversa toccata a chi sopravvisse e ai loro eredi. "E' una discussione terribile" dice della "gerarchia del dolore" su chi appartenga all'Olocausto. Ma non può non rimarcare come, in Europa sia tabù dirsi apertamente antisemiti e tranquillamente accettato essere apertamente antizingari, cosa di cui non ha bisogno di leggere i giornali popolari inglesi per averne conferma.

Nel 1939, la popolazione totale di Rom e Sinti in Germania era stima ta di poco inferiore al milione di persone. Parlavano Romani (o Romanés) una lingua derivata dal Sanscrito. Nel 1938 furono soggetti alla circolare di Heinrich Himmler intitolata "Combattere il Fastidio Zingaro", in cui tutti i Sinti di età superiore a sei anni venivano divisi in tre gruppi: Zingari, parzialmente Zingari e persone nomadi dai costumi zingari. I tentativi di sterminarli furono meno sistematici di quelli diretti contro la popolazione ebraica - erano classificati nemici a bassa-priorità - ma nondimeno furono identificati pubblicamente dal triangolo nero (asociali), o dalla lettera Z (Zingari) e trasportati in gran numero nei campi di sterminio.

La famiglia Winter allora viveva nella regione di Wittmund, dove avevano una casa e i bambini frequentavano la scuola, seguiti da un'insegnante quando i genitori erano assenti per lavoro. Rom e Sinti, racconta Winter, allora erano "popolari e di successo". Alcuni di loro giocavano nella squadra nazionale di calcio, prima di esserne estromessi nel 1933 come "non-ariani". Allo stesso modo a Winter fu imposto di lasciare la marina tedesca, tra l'imbarazzo dei suoi pari. Un addestramento che sarà poi lo salverà una volta rinchiuso nei campi, dove le SS riconobbero la sua preparazione militare.

Verso la metà degli anni '30, il padre di Winter disse alla famiglia di non parlare Romanés in pubblico. Si raccontava di infiltrati nelle comunità Sinte, allo scopo di denuciarli alle autorità. Erano anche identificabili dal nome. "Molti Sinti sono cattolici," dice Winter. "Da quando sono scampato, non ho voluto più aver niente a che fare con la chiesa. I preti mostravano alle SS gli elenchi dei matrimoni, indicando quali fossero i nomi Sinti."
Tra Sinti ed Ebrei c'era anche sovrapposizione dei nomi: Weiss, Rosenberg, Bamberger erano comuni in entrambe le comunità.

Questi metodi di denuncia, lasciarono un segno che resiste tuttora. In alcune regioni popolate da Sinti, si registra oggi la spinta ad insegnare la lingua Romanés, ma la generazione di Winter è contraria. "Se la gente parlasse la nostra lingua, ci potrebbe identificare," spiega cupamente "perché mai vogliono impararla?"

Quando venne la polizia ad arrestare i suoi fratelli e sorelle, loro vivevano in una città vicina. Winter andò lì per capire cosa fosse successo e fu arrestato anche lui. Il resto della famiglia riuscì a cavarsela per la protezione che ebbe dal capo del governo regionale, che era andato a scuola con la mamma di Winter (sette degli otto fratelli di Winter sono ancora vivi, uno di loro è diventato milionario col brevetto di una giostra). Winter e i suoi fratelli, oltre a due cugini, furono internati ad Auschwitz. E' una cosa che riemerge della terribile competizione tra chi soffrì così tanto: il relativo merito di essere stati internati, contrapposto alla sicurezza del resto della famiglia. Ancora Winter: "Vedere soffrire la propria famiglia può essere ancora più duro che esserne separati. Ma questo è un confronto senza alcun senso. Non può essere stato peggio per gli uni o per gli altri, Abbiamo avuto lo stesso dolore."

I Sinti, racconta, avevano una reputazione nei campi. Erano forti e coraggiosi, con una lunga esperienza di lavori manuali, Ed erano, aggiunge, incredibilmente "naif". Un giorno, un suo fratello colpì una guardia, nel tentativo di rapire una donna dal blocco e fuggire assieme; incredibilmente, fu graziato. E Winter stesso affrontò Mengele a proposito della diminuzione delle razioni destinate ai bambini del campo. Mengele, conquistato dalla sua chutzpah (Yiddish = audacia, insolenza, coraggio, ndr), acconsentì ad aumentare le razioni, ma questo non salvò i nipoti di Winter.

Qualche volta, Winter si sveglia immaginando di essere ancora lì. E' stata dura per Maron, sua moglie, convivere con la compulsione del marito di raccontare cos'era successo. E' di 20 anni più giovane, mezza Sinti e mezza Ebrea, ha conosciuto sua marito mentre era ricoverata in ospedale. E Winter racconta che per lei ha imparato a cucinare. Si rimbocca le maniche per simulare una gestualità domestica. "Ed ora" dice, allungando le braccia, "vi mostrerò il mio numero."

Nel dopoguerra, a differenza della maggior parte dei sopravvissuti Ebrei, i Winter tornarono nella zona dove avevano vissuto. Come la maggior parte dei Sinti. Dovete capire, ci dice, che non eravamo gente sofisticata o che parlava ingese, l'idea di emigrare in America non faceva per noi. Così ripresero la vecchia vita. Appena trasferiti, furono accusati dai vicini di "rubare l'acqua". Le discriminazioni non erano cambiate da prima della guerra ed inoltre, i soldati inglesi circondavano completamente Amburgo. Così è continuato negli anni a venire. Negli anni '80, Winter fu chiamato a testimoniare contro Ernst Konig, accusato di crimini di guerra, ufficiale nel settore zingaro di Auschwitz, e suicidatosi in seguito alla condanna a vita. Winter fu zittito per i scuo scoppi di rabbia durante il processo. Il giudice disse: "Si calmi, vogliamo un processo civile". E lui rispose: "E chi mai ci ha trattati civilmente?"

"Oggigiorno," continua, "in Germania i neonazisti sono accettati meglio di noi Sinti." E' furioso col cancelliere Schröder che all'inizio di quest'anno ha presenziato all'apertura della galleria fondata da Christian Friedrich Flick, nipote di un industriale nazista. "Una mostra pagata col denaro di noi forzati". Per protesta, si è dimesso dal partito socialdemocratico. Non ha rapporti con altri sopravvissuti; dice di sentirsi in comunanza "mentalmente". Ma vorrebbe che le attività di testimonianza nelle scuole - intende riferirsi agli attivisti ebraici - fossero più comprensive verso i Sinti, che ritiene esserne rimasti esclusi per la differente cultura. "Juden, juden, juden," dice "Sinti, nix." Regolarmente è in viaggio per Berlino, dove si discute ancora invano (
http://sivola.blog.tiscali.it/ye1721208/ ndr) sulla costruzione di un monumento per le vittime Sinti. "Sono un vecchio di 84 anni, che deve ancora dimostrare e andare a Berlino..." Qui la sua voce si rompe e d'improvviso abbandona la stanza.

I Sinti nelle posizioni pubbliche sono ancora riluttanti ad ammettere la loro appartenenza. Allora Winter va nelle scuole e nelle università, raccontando le sue storie. Anni passati nel circo, l'hanno reso uno "showman" naturale. E' convinto che la sua storia vada raccontata, perché c'è sempre più gente, ad ogni livello, che vuole negarla. Qualche anno fa era in vacanze a Gran Canaria, quando un'anziana coppia tedesca gli chiese cosa fosse quel numero che aveva sul braccio. "Voi che avete la mia età," rispose, "voi sapete che cos'è."
Spera che, come Israele, possa esserci uno stato Sinto?
"Ach so," a questa idea fa cenno di diniego con la testa. "Ich bin Deutsche. Ich bin Deutsche."

Winter Time: Memoirs of a German who Survived Auschwitz è pubblicato da University of Hertfordshire, prezzo £9.99.

 
Di Fabrizio (del 19/06/2005 @ 04:40:07, in conflitti, visitato 1939 volte)

E' un argomento ripreso in altri momenti, e mi sembra utile segnalare:

Casa della Cultura - via Borgogna 3 - Milano

giovedì 23 giugno 2005 ore 21.00

vi invitiamo alle prove aperte dello spettacolo

CASA DOLCE CASA

Atto unico sulla violenza domestica alle donne

testo di Fanny Dalla Valle

psicologa e attrice

e di

Samantha Gamberini

formatrice esperta di problematiche di genere

in scena

Fanny Dalla Valle

Paolo Vergnani

musiche originali eseguite dal vivo dagli autori

Marcello Bruno e Pino Pio Arborea

regia di

MARCO MARCHEGIANI

e supervisione di

FRANCESCO BRANDI

Lo spettacolo è stato realizzato dal gruppo Emilia Romagna di Amnesty International insieme a teatrodimpresa nell’ambito della campagna

MAI PIU’ VIOLENZA SULLE DONNE

Si vogliono analizzare i meccanismi culturali, sociali e psicologici sottostanti il fenomeno della violenza domestica. L’obiettivo è di sfatare i luoghi comuni sul tema a partire dal tentativo di circoscriverlo a realtà sociali degradate

 
Di Fabrizio (del 20/06/2005 @ 15:32:03, in conflitti, visitato 3127 volte)
di: GAIUTRA BAHADUR Knight Ridder Newspapers

BAGHDAD, Iraq - (KRT) Kamalia era noto come un quartiere di peccato, simbolo della decadenza dei costumi degli anni di Saddam Hussein.
Si dice che il deposto dittatore avesse favorito l'insediarsi di danzatrici e degli Zingari. Adesso, i muri sono coperti con le immagini di un altro Hussein: il nipote del profeta Maometto e il più venerato tra i santi Sciiti.
Gli Zingari se ne sono andati e il quartiere ha assunto il nome di Hay al-Zahra, la figlia del Profeta. La maggior parte degli Zingari, una piccolissima minoranza presente da secoli, sono scappati dopo l'invasione USA del marzo 2003; in quanto ritenuti molto vicini al vecchio regime, ma anche perché ritenuti coinvolti nella prostituzione e nel traffico d'alcool e quindi non-graditi in un paese islamico.

L'Iraq era uno degli stati più stabili e più laici in tutto il Medio Oriente, ma la fine della guerra e l'ascesa dei partiti religiosi lo stanno trasformando radicalmente. Donne che giravano scoperte ora indossano la "hijabs," seguendo i dettami dell'Islam. Sono state chiuse con la forze le chiese e le vendite di alcolici, come anche i barbieri che praticavano tagli proibiti dal Corano.

"Ora, gli Iracheni sono diventati Musulmani," dice Akeel Hamid, 34 anni, uno dei pochi superstiti della comunità Zingara, che una volta contava 50.000 persone. "Così per noi è diventato duro rimanere qui."

Hamid si è inventato "squatter", finendo per occupare la ex sede del club dell'aviazione, distrutta dai bombardamenti e in stato di abbandono. Lui e dozzine di altri si sono sistemati in tende costruite con foglie di palma e cartoni. I bambini mostrano infenzioni cutanee e il campo improvvisato è assediato dai rifiuti.

"Una volta avevamo belle case," racconta Nadia Ali Mehsin, grattandosi la testa. "Saddam ci proteggeva... nessuno poteva toccarci o minacciarci."
Mehsin, 35 anni, possedeva un appartamento a Kamalia, con la stanza per gli ospiti, una cucina spaziosa, un telefono, il garage e un giardino. Ma, un mese dopo l'invasione, racconta che una notte si sono presentati degli uomini armati: "Hanno bussato alla porta e ci hanno detto: 'Ora il governo siamo noi. I vecchi capi non ci sono più e possiamo fare quel che vogliamo.' Ci hanno imposto di andarcene."
Mehsin dice che non conosceva quegli uomini. Ma i seguaci di Muqtada al-Sadr, che spesso hanno affiancato le azioni di polizia in quest'anno, rivendicano a loro la decisione di aver svuotato Kamalia e le altre enclave Zingare.
"Il loro comportamento era immorale per la società" dice lo Sceicco Ahmed al-Amshani, rappresentante di al-Sadr a Kamalia. "Le ragazze sedevano per strada con vestiti peccaminosi. Danzavano e cantavano a voce alta. Tentavano di corrompere la nostra gioventù"

Il popolo zingaro data le sue origini nell'India di mille anni fa. Nel loro spostarsi a occidente, generazione dopo generazione, un gruppo si è diretto verso l'Europa dell'Est e un altro verso quelli che oggi sono la Siria e l'Iraq (il termine esatto di quest'ultmo gruppo sarebbe Dom ndr).
Per secoli, si sono guadagnati da vivere come intrattenitori e danzatori. E' una tradizione che persiste, con un'intatta carica di sensualità, anche se molti di loro si sono convertiti all'Islam. L'anno scorso circolava un video in Medio Oriente, che presentava alcuni Zingari iracheni che ballando agitavano i loro capelli e le spalle, mentre il cantante offriva un'arancia a una donna poco vestita.
Gli Zingari sono stati per secoli perseguitati, anche dai nazisti in Germania. Molti iracheni li associano alla prostituzione, così tutti sono indistantemente trattati di conseguenza, anche quelli che non vi hanno niente a che fare.

Il padre di Al-Sadr, un riverito ayatollah fatto assassinare da Saddam, ha dedicato numerosi sermoni agli Zingari perché conducessero una vita più pia, inviando i suoi discepoli nelle eloro enclave per fare opera di conversione.
"Con la fine della guerra, abbiamo finalmente potuto liberarci di loro" dice Amshani.

Un anno fa, la polizia aveva ammonito la milizia di al-Sadr, l'esercito Mahdi, per aver sloggiato 1.000 residenti dal villaggio meridionale conosciuto come Qawliya, che in arabo sarebbe l'abbreviazione tanto di "Zingaro" che di "prostituta". La milizia aveva risposto che ciò era avvenuto durante un loro tentativo di liberare una ragazza rapita e che i vicini ne avevano approfittato per saccheggiare il villaggio. Amshani aggiunge che anche i campi di Abu Ghraib e Hillah sono stati abbandonati, dopo che i leaders religiosi vicini ad al-Sadr lo avevano richiesto.

I sacerdoti parlano di combattimenti tra Zingari e "giovani religiosi armati", avvenuti a Kamalia un mese dopo la caduta di Saddam, ma di non aver offerto protezione agli Zingari che si erano rivolti a loro, perché non volevano abbandonare la prostituzione.

Altri parlano di pressioni da parte dei vicini verso gli Zingari, ma questa volta senza armi spianate.
Dice Hussein Miklif, 25 anni, residente nel quartiere: "I capi clan sono andati da loro e gli hanno chiesto di andarsene, perché davano alla zona una cattiva reputazione. Sapevamo tutti che se fossero rimasti, la loro presenza avrebbe urtato i sentimenti popolari."
Aggiunge che è stata data loro una settimana di tempo per sistemare le loro questioni.
Poi termina: "Adesso siamo tranquilli"

Che ci siano state armi oppure no, i 200 Zingari di Kamalia sono andati via. Di sicuro l'area è tranquilla, non ci sono bande armate o posti di blocco, ma quelli non c'erano neanche "prima".
"Dopo la caduta del regime, le loro case sono state rase al suolo," dice Nadwa Dawood, portavoce del Ministro per Migrati e Rifugiati. "Li consideriamo alla stregua dei rifugiati, perché dopo aver lasciato le loro case, si spostano da un posto all'altro"

Qualcuno di loro ha venduto la casa a poco prezzo, altri l'hanno subaffittata. Altri ancora, hanno rimediato un caravan e si sono spostati in Siria o Giordania, senza troppi rimpianti.
"Il quartiere era disabitato" dice Abdul Mohsin Saahib, che si è trasferito lì due mesi dopo la fine della guerra.
Ha guardato diversi appartamenti senza nessun occupante, prima di sceglierne uno. Sulle pareti delle case, c'erano dipinti di ragazze in tenuta succinta, stanze con separè da teatro, resti dei banchi che si affacciavano sulla via per vendere alcol.

"Non hanno religione" dice Hajj Jassim Mohamed, padre di Saahib, parlando dei loro rapporti con Saddam: "Il governo ha sempre oppresso gli iracheni onesti, così loro potevano fare la bella vita. Ma dopo la guerra, hanno capito che intorno a loro vivevano persone religiose e che sarebbe stato pericoloso rimanere."
La famiglia ha "purificato" la casa con acqua e sapone, dopo averla comprata dagli Zingari. Hanno chiuso la veranda sulla strada dove si vendevano i liquori. E sui muri hanno appeso i poster di al-Sadr e di suo padre.

Un altro acquirente ha ottenuto l'indirizzo dell'appartamento in affitto dalla sede di al-Sadr. Sheikh Ghaith al-Tamimi, che è il portavoce di al-Sadr per i quel quartiere, dice di avere tutti i nomi degli appartamenti abbandonatidagli Zingari, elencati via per via, ma che il suo ufficio ha smesso da tempo di funzionare come se fosse una succursale immobiliare.
"Abbiamo detto loro di lasciare le case, ma che noi non potevamo trattare con i futuri inquilini. Quindi, che era compito loro trovare chi le acquistasse o volesse pagare loro l'affitto."

Anche Mehsin, la "squatter" rifugiata nel club dell'aviazione, è tornata nel suo quartiere. Giunta a quella che era la sua casa, si è trovata sulla porta una donna armata con un coltello da cucina. Poi, è riuscita a farsi dare tre milioni di dinari (circa 2.000 $) per la casa. Un decimo del suo valore, dice.
Lei è arrivata al club abbandonato con tutto il suo gruppo, dopo essere stata cacciati da una scuola e da una base militare.
"Cosa possiamo fare? Non abbiamo soldi" ci dice Mehsin, "Chi poteva permetterselo, ha lasciato l'Iraq; ma dove possiamo andare? Questo è il nostro paese"


Knight Ridder correspondent Alaa al-Baldawy contributed to this report
Originale da: Romano_Liloro mailing list
 
Di Fabrizio (del 03/07/2005 @ 14:45:52, in conflitti, visitato 2489 volte)


Bogotá, Junio 28 de 2005 Etnias de Colombia ©

 

Nella foto: Ian Reshetnickov (Sergunin) - Generale Rom della Federazione Russa (1954 - 2004)

Grazie a Boris Muntyanu

NDR: Sull'argomento, ricordo anche un articolo del 5 febbraio, sempre dalla Colombia.

Preciso che non mi interessa il merito se prestare il servizio militare per i Gitani sia legittimo o meno, visto che nelle varie comunità, anche in Italia, ci sono stati diversi esempi in questo senso.

Articolo interessante comunque per conoscere qualcosa sulla vita delle varie comunità nel mondo.

Por: PAULA CAMACHO

El Tiempo

 

I giovani sono riluttanti. Si nascondono dalla polizia, non hanno documenti e non si spostano più nei villaggi vicini per paura dell'esercito. E' il caso di Harold, gitano di 19 anni, che si nasconde da sei mesi. I suoi amici non lo portano più con loro nelle strade del  barrio Bella Vista, a Bogotà, dopo che una sera di aprile, mentre andava a trovare un amico, fu sorpreso da una ronda della polizia. Spaventato e con le mani grondanti sudore, si nascose dietro il banco di un negozio.

 

Vive nel timore del servizio militare, senza uscire di casa o di città, né frequenta più l'Università, perché gli manca il libretto militare. "Noi gitani non abbiamo paura, quello che chiediamo è il rispetto dei nostri costumi. Questo [servizio militare] è una cosa inventata dai gadjé [chi non è Rom NDR] - e noi non siamo abituati a quegli orari definiti, neanche a maneggiare le armi e tanto meno a lasciare le nostre famiglie per tutto questo tempo."

 

Per preservare la cultura

Una situazione simile è vissuta da circa 350 gitani, tra i 18 e i 20 anni, che rappresentano il 17% dei circa 2000 che vivono in Colombia e che considerano il servizio di leva un attentato contro la loro integrità etnica e culturale.

 

Il popolo Rom - come si autodefinisce - è considerato gruppo etnico dal 1998 (col governo di Andrés Pastrana). Migrati dall'India attorno all'anno 1000 si sono dispersi in differenti paesi, senza considerarsi appartenenti a nessuno di questi. Arrivarono in Colombia in epoca coloniale, per sfuggire alle persecuzioni [europee]. Entrarono nel paese dal porto di Barranquilla, e in molti conservano le loro radici linguistiche e abitano in zone geografiche delimitate, che loro chiamano Kumpanías, sparse a Bogotá, Girón, Cúcuta, Medellín e Duitama.

 

Nei secoli i Rom hanno continuato a mantenere distanti i loro figli dai gadjè per preservare la purezza del loro sangue e infine, della loro cultura.

Alexánder Gómez, di 20 anni, è uno di loro che a luglio dell'anno scorso è stato incorporato nel battaglione Plan Energético Vial, di Samoré (nord di Santader).

 

Gitani nell'esercito

Reclutato, racconta, contro la sua volontà a Cúcuta, quando fu trovato senza libretto militare: "Non mi sono abituato ancora al rispetto degli orari che mi impongono e ad obbedire agli ordini, perché i nostri genitori ci hanno educato alla libertà e dover obbedienza solo a loro e alle nostre leggi ed autorità."

 

I  genitori hanno richiesto ufficialmente al Ministero della Difesa e al comandante del battaglione che sia dispensato dal servizio militare, perché hanno paura che così perda le sue credenze e la sua lingua. Ma sinora non hanno ottenuto alcuna risposta.

 

La risposta di Juan Guillermo Rojas, comandante del battaglione, è stata: "Nessuno, tanto meno lui, mi ha detto che fosse gitano. Se è parte di un gruppo etnico, posso anche congedarlo. La cosa è possibile, però necessito di stabilire i parametri che la legge esige. Non ho l'autorità per assumere una simile decisione."

 

La legge non esonera

I portavoce del Ministero della Difesa informano che dal 1999 i gitani sono considerati minoranza etnica, ma che non esiste una legge che dica che debbano essere esonerati dal servizio militare. Soltanto chi si dichiara indigeno tra i gruppi riconosciuti come minoranza etnica (gli altri sono i gitani e gli afrocolombiani),dal 1991 hanno il diritto di non prestare servizio militare "al fine di proteggere la diversità etnica e culturale della Nazione". Ora i leaders gitani, chiedono che anche a loro sia garantito il medesimo diritto.

 

Una legge che li escluda

Secondo la comunità, in tutta la storia dei gitani in Colombia, solo due sono stati arruolati nell'esercito. Il primo fu Yiyo Gómez, reclutato a Villeta e che prestò servizio per 18 mesi a Bogotá. Il secondo è Alexánder Gómez. Sul suo caso il Ministero non si pronuncia, dato che non esiste un registro etnico di quanti prestino servizio militare. Yiyo Gómez è dell'opinione che i membri della comunità dovrebbero prestare servizio: "Vorrei che lo facessero in tanti, è un'esperienza formativa e non interferisce con i gitani che potremo essere."

 

Altri gitani stanno elaborando un progetto che permetta loro di essere esonerati. Il coordinatore generale di Prorom (Proceso Organizativo del Pueblo Rom de Colombia) sta valutando se questo sia possibile. "Il processo è iniziato, stiamo consultandoci con degli avvocati. Non saremmo buoni soldati e poi siamo una minoranza di duemila persone. La leva obbligatoria non cambierebbe con la nostra presenza."

 

La legge dei gitani

I gitani in tutto il mondo sono organizzati secondo leggi proprie, basata sul rispetto e l'ordine famigliare, e il valore della persona si giudica dal mantenimento della parola data.

 

I Rom hanno proprie autorità tradizionali, chiamate "Sere Romengue", che amministrano la giustizia all'interno di una giurisdizione chiamata Kriss Romaní. "Hanno stabilito che ai Rom è vietato dalla loro cultura far parte delle forze armate" ha commentato Véncer Gómez.

In Colombia i gitani si dedicano a lavorare i metalli e sono commercianti nati. Le donne praticano l'arte della divinazione. Parlano una lingua propria chiamata romanés e vivono uniti in gruppi chiamati kumpanías, dove i gadjé non sono ben visti. Questa organizzazione sociale ha permesso loro di mantenersi uniti e poco visibili al resto della società, e per questo sappiamo così poco di loro.

 
Di Fabrizio (del 08/07/2005 @ 15:11:48, in conflitti, visitato 3795 volte)

London Underground
Ieri mattina la prima reazione è stata di rivedere i blog di chi so sta a Londra. Qualcuno mi ha tranquillizzato via Skype.
Poi, mi sono quasi vergognato per la mia reazione tipo DEJA VU. Non so voi, ma è successo l'11 settembre e poi Madrid, ed è come se lo spavento, il dolore, la sorpresa che ho provato allora, stessero diventando NORMALI. A ripensarci, in molti han fatto l'abitudine agli eccidi in Medio Oriente, a Beslan, in qualsiasi punto della periferia del nostro mondo. L'impatto di New York, con i serissimi discorsi “mai più, noi non cederemo” che volevano dire: “mai più QUI, noi continueremo ad essere la FACCIA FORTUNATA, e i massacri sono altrove”.
Ci illudiamo di anestetizzarci, ma la fortezza che dovrebbe ripararci, non tiene. “Non cambieranno il nostro sistema di vita e i nostri valori”, dice un Blair affranto e stanco. Chi si illude di poterlo fare con gli altri, con la ragione o con le bombe non fa differenza, sappia che CAMBIERA' IL SUO SISTEMA DI VITA E I SUOI VALORI. Che lo voglia o no.


“Quasi” periferia del mondo:

Da: Haller Istvan

Cari amici,

Nel settembre 1993 nel villaggio di Hadareni si consumò un violento attacco razzista contro la comunità Rom.

La Liga PRO EUROPA (associazione rumena dei diritti umani) offrì immediatamente aiuto alle vittime. Disgraziatamente, le indagini su quanto accadde partirono solo nel 1997 e il processo penale si chiuse nel 1999 con pochi degli imputati condannati, mentre quello civile è terminato nel 2005.

Nel 1997, abbiamo aiutato le vittime a ricorrere alla Corte Europea dei Diritti Umani e nel 2000 abbiamo supportato l'European Roma Rights Center (che forniva assistenza legale) in un ulteriore appello al Tribunale Europeo.

Finalmente, il 6 luglio 2005 il Tribunale si è espresso, riconoscendo i danni patiti durante quell'assalto.

Haller Istvan

Program Director - PRO EUROPA League

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Cari amici,

Vorrei darvi alcuni chiarimenti su quanto scritto da Istvan Haller della Liga ProEurope Romania, suk caso di Hadareni, settembre 1993, quando contro la comunità Rom ci fu un verio e proprio pogrom e non un semplice "assalto a sfondo razziale".

Tre Rom furono uccisi dopo essere stati torturati e un gajio (chi non è Rom ndr) morì, colpito da una coltellata infertagli da mio fratello nel tentativo di difendersi.

Siccome mi sembra che le autorità, le istituzioni o le organizzazione dei diritti umani abbiano dimenticato la realtà scioccante di quanto successe, ma SOPRATTUTTO, che abbiano dimenticato i loro compiti e doveri, mi permetto di ricordare:

Quella notte che non dimenticherò, furono uccisi due miei fratelli, dopo svariate torture. Mio fratelllo di 21 anni ebbe tutte le osse rotte con tutti gli attrezzi da giardiniere immaginabili. Implorò gli assalitori e i poliziotti di smettere, senza che mostrassero alcuna pietà.

L'altro mio fratello di 19 anni, ricevette 81 coltellate prima di morire, dopo che due poliziotti lo avevano rassicurato di poter tornare al villaggio senza timore, messo poi in manette e consegnato ai suoi aguzzini con la promessa che non sarebbero stati perseguiti.

Altri tre arrivarono ancora vivi all'ospedale per farsi curare, morirono lì perché nessuno fece niente...

Mio marito di 31 anni morì soffocato dal fumo dell'incendio di casa nostra. Ma prima i suoi assassini gli tagliarono le braccia e la gambe e lo buttarono vivo nel fuoco. Lo so, perché ritrovai le sue braccia e le gambe in un posto totalmente differente. Nonostante le nostre testimonianze sinora nessuno, istituzioni, associazionie la stessa ERRC, ha voluto FAR LUCE SU QUEL CHE SUCCESSE. Per loro, mio marito perì semplicemente nell'incendio...

Oggi, come allora, ci sono organizzazioni Rom e no, che vogliono mostrare quanto ci aiutano. Disgraziatemente, CI RAPPRESENTANO A DIVERSI LIVELLI, FANNO PROGETTI PER NOI, SULLE NOSTRE CARRIERE E SUI NOSTRI SALARI, CI COPRONO LE SPESE DI VIAGGIO E DI COORDINAMENTO, MA DI NOI A LORO IMPORTA POCO. Non ci hanno mai chiesto, governo e istituzioni, se avevamo da mangiare o dove dormire. Ci hanno usato, ma nessuno ha mai portato un pezzo di pane o cioccolato ai nostri bambini. Nessuno ha fatto pressione sul governo perché ci fosse assicurata almeno l'esistenza...

Infine, oggi... Istvan Haller ci informa sulla decisione di Strasburgo e su quanto la sua organizzazione sisia adoperata per questo risulltato. NON E' COSI'. Si sono impegnati per ottenere visibilità e un compromesso. Se secondo lui il fatto che il governo rumeno abbia dato dei soldi ai parenti dei sopravvissuti è un suo successo, VOGLIO GRIDARE CHE QUESTO NON E' SUCCESSO E NON E' GIUSTIZIA!!

Istvan Haller sostiene che la sua organizzazione ha fornito aiuto immediato alle vittime. Vorrei capire cosa intende per aiuto. Fare domande ai sopravvissuti? Scrivere rapporti? Presenziare alle conferenze?

Dal mio modesto punto di vista e per la mia esperienza, la risposta è NO. [...] E, per favore, non vorrei più sentire nominare in futuro gli avvocati [di ERRC NDR], perché sono tra i peggiori che hoincontrato in tutta la mia vita.

Io non mi sono accorta tuttora che il governo rumeno si sia preso nessuna responsabilità per quanto accadde.Non hanno riconosciuto le loro colpe e quanto sia corrotta la giustizia in Romania. Dicono solo che a loro "dispiace, bla, bla, bla". Tutto ciò che vedo è una dichiarazione di facciata su impegni da rispettare in futuro.

Spero che il futuro possa vedere altre decisioni più obiettive... ma come fare ad averne la certezza?

Florina Zoltan - London, UK

 
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