Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Di Fabrizio (del 22/05/2014 @ 09:00:58, in media, visitato 20475 volte)
Da Antonella Loconsolo
Ieri sera, leggucchiando su Facebook, mi imbatto in una notizia allarmante.
Milanopost, giornale online di formazione e cultura (sic!) mi dice che
nell'Esselunga dietro casa mia, in viale Suzzani, quartiere Bicocca, zona 9,
sarebbe stato sventato un rapimento di un bambino da parte di una rom,
naturalmente definita "zingara", perchè così si usa su certe testate vicine al
centro destra.
Questa mattina vado appena posso al supermercato e il direttore mi dice che non
c'è nulla di vero.
Ennesima bufala sul rapimento dei bambini da parte degli "zingari". D'altronde
una ricerca dell’Università di Verona Dipartimento di Psicologia e Antropologia
culturale, ha preso in esame per quel che riguarda il periodo tra il 1986 e il
2007, i documenti delle Procure italiane: molti i presunti rapimenti, ma nessuna
condanna. Segno evidente che non esiste nessun caso in cui sia avvenuto
veramente il rapimento o tentativo di rapimento di qualsivoglia bambino.
Ma il peggio deve ancora venire. Il direttore infatti mi dice che questa mattina
una giornalista di Milanopost si è presentato da lui, che lui ha smentito
categoricamente la notizia. Evidentemente la notizia è stata PRIMA PUBBLICATA e
poi controllata. Tanto, si sa, i rom non querelano.
A questo punto, letti anche gli allarmanti commenti in rete ( e altre simili amenità), scrivo alla
redazione di Milanopost (, nel caso voleste
scrivergli due paroline anche voi), fornendo le mie generalità complete e il mio
numero di telefono, e invitando la redazione a rimuovere il post e a posizionare
una smentita e delle scuse allo stesso link della notizia falsa.
Pochi minuti dopo ricevo una chiamata da un numero privato, una persona che
rifiuta di qualificarsi mi dice che la notizia è vera, che il direttore del
supermercato andrebbe denunciato, che lui non toglie nessun link e tantomeno
pubblica smentite. Chiedo di parlare con il direttore e lui si rifiuta di
passarmelo o fornirmi un numero telefonico.
A questo punto sono inferocita. Avverto tutti, direttore del supermercato,
giornalisti che conosco, commissariato Greco Turro, dove parlo con l'ufficiale
di turno che non ha notizie di una denuncia del genere.
E con questo post avverto voi. Spesso le bufale sui rom precedono attacchi agli
insediamenti. E da due mesi in Bicocca e nella vicina Pratocentenaro ricorrono
spesso voci false, bufale che inducono all'odio razziale e alla violenza.
Occorre quindi alzare la soglia di attenzione e far circolare il più possibile
la smentita di questa notizia.
Di Fabrizio (del 20/05/2014 @ 09:08:45, in scuola, visitato 20041 volte)
ComuneVenezia.it
Cari cittadini,
una delle realtà più interessanti che il Servizio Civile mi sta dando
l'opportunità di conoscere è quella del lavoro a contatto diretto con le
minoranze, che oltre ad essere presenti nel nostro territorio, sono presenti
nella nostra testa, spesso sottoforma di pregiudizi, timori o cliché
apparentemente indecostruibili. Nelle attività che svolgo insieme ai bambini
Sinti e alle loro famiglie ad esempio sto imparando a ridimensionare le mie
aspettative, integrando il mio bagaglio mentale con il dato di realtà e ad
apprezzare gli sforzi di tutte quelle persone che operano quotidianamente per
aprire vie di comunicazione tra "noi" e "loro". Mi sento quindi di contribuire
alla promozione di un'iniziativa che il Comune di Venezia, Direzione Politiche
Sociali, Partecipative edell'Accoglienza - Servizio Politiche Cittadine per
l'Infanzia e l'Adolescenzaha organizzato: un pomeriggio seminariale sul tema
"bambini Rom, Sinti e non...una scuola per tutti!" che si terrà nella giornata
del 29 maggio presso l'Aula Magna dell'Istituto Comprensivo "A. Gramsci" - via
passo 3/G - CampaltoVenezia.
L'incontro vuole essere l'occasione per continuare il confronto, apertosi in
occasione della giornata di formazione "Bambini Rom, Sinti e non...tutti
cittadini!" tra operatori sociali, insegnanti e persone impegnate e sensibili al
tema. Confronto proseguito, poi, durante la realizzazione del progetto per
l'inclusione e l'integrazione di bambini e ragazzi Rom, Sinti e Caminanti nella
città di Venezia.
A partire da riflessioni e quesiti affiorati nel corso di questi mesi tra gli
operatori egli insegnanti coinvolti nell'operatività quotidiana, si proverà ad
esplorare e ricercare linguaggi e pensieri condivisi sugli intrecci che derivano
dal lavoro con il gruppo classe e dall'affiancamento individuale di bambini e
famiglie.
Un'ulteriore pista di riflessione riguarda, infine, l'importanza di creare buone
relazioni nel contesto scolastico al fine di favorire l'instaurarsi di un clima
positivo nei gruppi classe a tutto vantaggio di buoni esiti nei processi di
apprendimento.
È necessario iscriversi entro il 22 maggio 2014, specificando nome, cognome,
eventuale ente di appartenenza via mail a
silvana.tregnaghi@comune.venezia.it. Verrà rilasciato un attestato di
partecipazione.
Alessandro Zanetti - Volontario del Servizio Civile
Il Depliant:
(529.89 KB) depliant 29 maggio SEMINARIO (529.89 KB)
12 maggio 2014 • Cronaca,
LQlatinaquotidiano.it
di Luigi D’Arcangelis - I fatti risalgono alla notte tra il 24 ed il 25 aprile
scorsi, quando un gruppo di giovani rom, residenti nella struttura di Al Karama
- che ospita una comunità di sinti e rom, appunto - hanno denunciato di essere
stati picchiati da alcuni abitanti di Borgo Bainsizza. E non solo. Pare che
anche la Polizia accorsa sul posto avrebbe dato "man forte" agli aggressori.
Sempre stando a quanto dichiarato dalle vittime.
A seguito della presunta aggressione, pronta è arrivata la condanna del comitato
Amici del Borgo, che ha subito preso le distanze da ogni azione violenta e
intimidatoria e da quanti possano averne intraprese ed eventualmente ne
intraprenderanno.
Nella lettera aperta indirizzata al sindaco di Latina, Giovanni Di Giorgi, il
presidente onorario dell’associazione di cittadini borghigiani, Italo Di Cocco,
ha anche voluto fare il punto della situazione ed avanzare proposte in merito
alla questione della prevista realizzazione del villaggio che dovrebbe sorgere
accanto al sito che attualmente ospita la struttura di Al Karama e dare alloggio
a 95 persone di etnia rom e/o sinti.
Al fine di tutelare e mantenere la pacifica convivenza, e far si che non nascano
tensioni che possano magari portare ad episodi gravi, il presidente chiede al
primo cittadino del capoluogo: che il villaggio in costruzione rimanga, anche
nel futuro, bloccato alle dimensioni previste nel progetto e sia dotato di un
posto di Polizia attivo 24 ore su 24 e di un centro di primo soccorso sanitario;
che il sito di Al Karama venga contestualmente smantellato e bonificato; che al
suo posto venga insediato un frutteto sperimentale.
La palla, ora, passa all’Amministrazione di Latina.
Di Fabrizio (del 16/05/2014 @ 09:00:21, in scuola, visitato 19968 volte)
Da Agostino Rota Martir
Care e cari tutti,
siamo qui ad aggiornarvi sulla questione della Bigattiera.
Come sapete, a seguito dell'appello che tutti noi firmammo lo scorso anno e del
lavoro fatto in seguito nella Commissione 2, il primo di agosto 2013 riuscimmo a
fare approvare all'unanimità un Ordine del Giorno, in cui la Giunta si impegnava
a ripristinare pulmino, acqua e elettricità nel campo rom della Bigattiera.
La Giunta chiedeva un contributo alla Regione per essere aiutata a risolvere la
situazione, e a novembre ha ricevuto la disponibilità di 30 mila euro, come
risulta dalla registrazione audio della Commissione 2 del 13 gennaio 2014.
Abbiamo assistito agli incontri in commissione per avere gli sviluppi di questa
vicenda, abbiamo sollecitato gli assessori, abbiamo ricevuto promesse e piccole
proposte di progetti minimi che poi non sono state realizzate. Niente è stato
fatto.
Oltre il danno, l'ennesima beffa. ll 27 marzo giunge una nuova denuncia alle
famiglie del campo, per inadempienza dell'obbligo scolastico. E fin qui possiamo
anche essere d'accordo: i bambini in effetti a scuola non vanno se non
saltuariamente, soprattutto in inverno, e la responsabilità oltre che di tutti è
anche dei loro genitori.
Ma che il Sindaco tuoni tronfio che "E' inaccettabile, non si può in alcun modo
tollerare una situazione del genere, a danno di bambini e bambine", questo pare
davvero troppo. Come che si vanti su Facebook di non aver fatto mai nulla per i
rom, se non "prevenzione e diminuzione del numero delle presenze", e che le
politiche di Città Sottili sono acqua passata e scelte ormai lontane, ci pare
incommentabile.
Ad oggi la situazione è identica ad un anno fa, con in più la disillusione su un
possibile ripristino di una condizione umana anche minima, poiché evidentemente
quello che manca è la volontà politica di trovare qualche soluzione. I bambini
hanno passato l'ennesimo anno senza istruzione scolastica, senza la vicinanza
dei compagni di classe, perdendo nuovamente una possibilità per il loro futuro.
Per tutto questo, su richiesta dei bambini e dei genitori del campo della
Bigattiera, abbiamo pensato di organizzare una Marcia simbolica verso la Scuola
con partenza dalla Bigattiera il giorno mercoledì 21 maggio alle ore 9:00,
direzione Marina di Pisa.
L'obiettivo è mostrare alla città quanto sia lontano e pericoloso il percorso
dei bambini verso la loro scuola, riportare l'attenzione della società civile
sul diritto all'istruzione e ad una vita dignitosa per tutti i bambini e tutte
le bambine.
Sappiamo che è un giorno lavorativo e che molti non potranno, ma siamo qui a
chiedervi, per chi può, di partecipare, perché abbiamo bisogno del maggior
numero di persone possibile a supporto di questa protesta, per renderla visibile
ed efficace.
Vi preghiamo di rispondere alla mail con la vostra eventuale disponibilità, così
ci contiamo e cerchiamo di organizzare al meglio.
Grazie a tutti della pazienza e della partecipazione,
a presto
Clelia Bargagli
Luca Randazzo
Di Fabrizio (del 15/05/2014 @ 09:05:13, in media, visitato 20264 volte)
Luca Klobas è un cabarettista. Il suo doppio, Ratko, è un caso unico di Rom
arrivato in Italia con barcone che è riuscito a diventare sindaco... insomma è
passato dal ripulire le nostre case direttamente ai nostri portafogli.
Si potrebbe parlare anche di questo approccio alla proprietà pubblica e
privata, perché sarà in chat su Mahalla (per le vostre domande) giovedì
22 maggio alle 21.00.
Oppure si potrà capire da dove prendono spunto le sue storie (dalla realtà
rom o dalle cronache su di loro), su quali siano i limiti dell'umorismo, su come
l'umorismo possa raggiungere determinati nervi scoperti molto più di tanti
discorsi seri o seriosi. E tanto altro
SAVE THE DATE
Di Sucar Drom (del 14/05/2014 @ 09:09:55, in blog, visitato 3357 volte)
Elezioni europee, MiriEuropa
MiriEuropa è un progetto promosso dalle associazioni Upre Roma, Nevo Drom e
Sucar Drom per favorire la partecipazione delle persone appartenenti alle
minoranze sinte e rom alla vita pubblica in...
Liberazione, sinti e rom partigiani
Nell’Aprile del 1945 c'erano i tedeschi in ritirata. Molti sinti facevano i
partigiani. Per esempio mio cugino Lucchesi Fioravante stava con la divisione
Armando, ma anche molti di noi che facevano gli spettacoli durante il giorno, di
notte andavano a portar...
6° Rapporto Annuale sulle Discriminazioni
I rom agli occhi di un gagè
Stamattina, alle 8, ho preso la mia Clio per andare al lavoro. Il mio paese a
quest’ora brulica di vita: ragazzini alla fermata del bus, mamme che...
Milano, premiazione "Smonta lo stereotipo, costruisci la conoscenza"
Mercoledì 14 maggio, dalle ore 9.30, a Milano nella Sala Alessi di Palazzo
Marino si terrà la premiazione del con...
Sinti e Rom, RICONOSCERSI per ESISTERE
Di Fabrizio (del 13/05/2014 @ 09:08:09, in blog, visitato 3470 volte)
Uno sguardo vigile e sveglio sul mondo
Martedì 20 maggio, ore 20.45
Incontro con Fabrizio Casavola, presidente dell'associazione
MAHALLA. Maestra di cerimonie: Ivana Kerecki
Libreria Popolare, via Tadino 18, Milano
Fatta l'associazione,
ora tocca presentarla (non si finisce mai!). Il luogo è quello
solito di tanti incontri passati, lo scopo è capire cosa si può fare e con chi.
Cosa è una Mahalla, innanzitutto?
Ai tempi dell'impero ottomano erano quartieri, villaggi, ma anche grandi
estensioni urbane abitate da un'unica etnia o quasi. Si trovavano in un'area che
andava dall'Europa dell'Est a tutto il Medio Oriente.
Il dissolvimento violento della Jugoslavia della fine del secolo scorso, ha
visto anche lo svuotamento forzoso delle tante Mahalle rom. Da una decina d'anni
però è nata una Mahalla virtuale, con notizie (oltre 6.000 articoli in archivio)
da Rom e Sinti da tutto il mondo, ma anche documenti da scaricare, musica,
discussioni. E cucina, musica, film, una piccola casa editrice... Una specie di
enciclopedia, insomma, se possibile senza il suo manto di serietà e solennità,
perché si è sempre cercata comunanza e condivisione con tutti.
Col tempo, il gioco si è fatto doppio: guardarsi allo specchio senza urlare
spaventati, e provare ad immaginare che se "loro" stessero meglio (sotto tutti i
punti di vista) lo staremmo anche noi.
Prima o poi doveva succedere: da questo mese MAHALLA è anche un'associazione.
Educatamente si presenta, vedendo cosa sarà possibile fare assieme.
Di Fabrizio (del 12/05/2014 @ 09:01:01, in Europa, visitato 3424 volte)
Osservatorio Balcani e Caucaso Nicola Pedrazzi | Tirana 7 maggio 2014 | foto di Nicola Pedrazzi
Sono circa otto milioni i rom europei, la maggior parte dei quali è
concentrata nell'Europa dell'est e nei Balcani occidentali. In Albania, una
delle comunità più numerose è stanziata a Fushë-Kruja, alle porte della
capitale. Un reportage
Prima di arrivare in Albania non mi ero mai interrogato sulla cultura rom, né
sul problema che essa pone al "buon governo". Mi era sempre bastato quanto
descritto in
Khorakhanè , struggente pezzo che Fabrizio De Andrè ha dedicato ai
rom del Kosovo giunti in Lombardia agli inizi degli anni Novanta. In buona
sostanza, mi ero sempre accontentato della poesia. Le parole, supreme, di quella
canzone, lasciano in chi la ascolta un vago senso di mistero, l'indefinibile
sensazione che quei nomadi in grado di "leggere il libro del mondo con nessuna
scrittura" custodiscano nella loro scelta di vita non proclamata un segreto
inesprimibile.
In effetti, la capacità dei rom di frequentare modernità e benessere senza
esserne conquistati genera stupore negli abitanti di tutte le città europee a
cui sono approdati: da un punto di vista filosofico, lo stile di vita di queste
genti incarna meglio di qualsiasi altro sistema culturale la domanda ancestrale,
il dubbio che in tutto il mondo le periferie dell'umanità pongono alle certezze
del mondo civilizzato, alle regole del suo sviluppo.
Purtroppo, nella ben più prosaica realtà di tutti i giorni, una volta che queste
persone varcano le soglie della civitas, si trasformano quasi sempre in piaga
sociale, in problema politico, in emergenza da risolvere: ad accoglierli, nella
migliore delle ipotesi, è un vago relativismo terzomondista ad uso e consumo
delle classi colte. Abitando a Tirana, il quotidiano mi ha fornito per la prima
volta un'alternativa alla poesia di De Andrè: per cercare di comprendere il
problema all'origine, affrontando senza sofismi il dubbio che i rom d'Albania
pongono oggi alle autorità e ai cittadini, ho pensato che potevo muovermi io: da
casa mia a casa loro.
I rom d'Albania
Di lontana origine indiana, provenienti dalla Persia e dall'Asia, popolazioni
rom approdarono nei territori dell'odierna Albania a partire dal XV secolo,
subito prima dell'invasione ottomana. Le comunità più numerose sono oggi
stanziate nel centro e nel sud-est del paese, all'interno o nell'hinterland
delle grandi città: Tirana innanzitutto (solo nei quattro distretti della
capitale vivono più di 5000 rom), ma anche Fier, Argirocastro, Korça e Berat.
Le tribù principali sono quattro, e si distinguono per l'attività
socio-economica che storicamente le caratterizza: i Meckars erano principalmente
contadini e pastori, i Kurtofs artigiani e venditori, i Kabuzis artisti e
musici, i Cegars commercianti nomadi. Lo standard di vita di tutte le minoranze
rom d'Albania ha risentito pesantemente della transizione post-comunista: il
collasso delle industrie statali in cui erano in larga parte impiegati,
combinato al disordine politico-sociale degli anni Novanta, ha contribuito alla
progressiva discriminazione dei rom, che proprio durante il regime avevano
invece conosciuto una sorta di assimilazione - dovuta principalmente
all'occupazione ma anche alla soppressione di tutte le differenze tradizionali e
religiose.
Non esiste una fotografia chiara dell'attuale situazione dei rom d'Albania. La
cinghia di trasmissione tra le raccomandazioni europee sulla tutela delle
minoranze - determinanti per la concessione dello status di paese candidato, al
momento ancora in forse - e le politiche nazionali è rappresentata da una fitta
rete di ONG, enti e organizzazioni internazionali; operatori che a vario titolo
e con diverse risorse implementano progetti su specifiche comunità. Diverse
organizzazioni producono diversi rapporti, e non è detto che le cifre
coincidano. Il documento più onnicomprensivo al momento disponibile sui Rom
d'Albania è stato redatto nel 2012 dal Segretariato della "Fondazione Decade of
Roma Inclusion".
Quest'ultima è un esperimento di cooperazione allo sviluppo
basato sull'impegno a lungo termine di 12 stati europei (tra cui tutti i paesi
balcanici) che per ridurre il gap esistente tra le popolazioni rom ed il resto
dei cittadini hanno accettato di collaborare sia con le organizzazioni
internazionali che con i rappresentanti della società civile rom.
Nel
Civil Society Monitoring Report (CSMR) 2012 dedicato all'Albania, sono
contenuti i risultati di questionari sottoposti direttamente ai rom residenti,
dati interessanti perché alternativi a quelli governativi, i quali non sempre
fotografano il reale livello di integrazione di queste persone. Una prova
evidente delle difficoltà del governo albanese in questo campo è rappresentata
dal censimento che l'Istituto Nazionale di Statistica (INSTAT) ha realizzato nel
2011, secondo il quale risiederebbero in Albania solamente 8.500 persone di
etnia rom, pari allo 0,3% della popolazione: una cifra irrisoria, lontanissima
da quelle indicate da altre fonti internazionali, alcune delle quali arrivano a
stimare 120.000-140.000 unità.
Buone leggi, cattiva applicazione
Come spesso accade in Albania, le carenze del sistema non sono strettamente
giuridiche. Lo stato albanese è firmatario dei più importanti trattati
internazionali che regolano il rispetto delle minoranze - nel 1991 ha ratificato
la Convenzione ONU sui diritti civili e politici, nel 1996 la Convenzione del
Consiglio d'Europa per la protezione dei diritti umani e delle libertà
fondamentali - e sebbene i rom non vengano pubblicamente riconosciuti come
minoranza a sé stante, la Costituzione del 1998 accorda alle minoranze
etno-linguistiche presenti nel paese tutti i diritti di base.
Conformemente ai dettami costituzionali, nel 2010 il parlamento ha approvato una
legge contro la discriminazione, per altro in linea con le quattro direttive
europee in materia, dando poi vita a un gruppo di lavoro interministeriale sui
rom aperto alle ONG operanti sul territorio. A questi impegni legali
corrispondono però scarse politiche effettive e, quel che è più grave, i membri
delle varie comunità non conoscono né godono delle misure che il governo ha
attivato per loro.
La legge del 2010 prevede ad esempio la possibilità di denunciare i casi di
discriminazione alle corti locali: ad oggi nessuna segnalazione è stata
formalmente depositata, sebbene gravi episodi d'emarginazione abbiano avuto
luogo - nel febbraio 2011, ma è solo il caso più eclatante, 45 famiglie
accampate nei pressi della stazione dei treni di Tirana vennero rimosse con la
forza da comuni cittadini, nella totale noncuranza del governo e delle forze
dell'ordine.
Del resto anche sul piano europeo, la distanza tra normativa e realtà appare
drammatica: secondo quanto riportato nel CSMR, gli strumenti finanziari messi a
disposizione dall'Ue per migliorare l'inclusione sociale dei paesi in fase di
pre-accesso sono gestiti senza il coinvolgimento dei rappresentanti delle
minoranze: è opinione diffusa ad esempio tra i rom d'Albania che questi aiuti
non riguardino le loro condizioni di vita, e che gli unici beneficiari siano le
istituzioni: il fallimento del censimento 2011, finanziato e pubblicizzato dalla
stessa Unione europea, ha certamente rafforzato questa percezione.
Ad oggi, secondo le stesse fonti, il livello di povertà dei rom d'Albania è due
volte superiore a quello degli albanesi etnici, il tasso di disoccupazione tre
volte più alto della media nazionale ed il reddito del 37% delle famiglie rom è
inferiore ai 100 euro al mese. Circa l'87% della popolazione rom d'Albania si
dichiara insoddisfatta dei propri diritti ed il 59% non ha abbastanza soldi per
mangiare (solo il 4% degli albanesi etnici dichiara lo stesso).
I Rom di Fushë-Kruja e ADRA Albania
Fushë-Kruja è una piccola cittadina di circa 10.000 abitanti, trenta chilometri
a nord di Tirana. Teatro di una delle storiche battaglie di Skanderbeg, questa
piccola località di provincia è riemersa dall'anonimato grazie alla visita del
presidente americano George W. Bush, era il 10 giugno 2007. In questo comune è
stanziata una comunità rom di circa 1500 persone: una delle più grandi e
problematiche del paese.
Popolazioni rom abitano quelle zone dai primi anni Sessanta: stabilitesi
inizialmente nel villaggio di Halil, nel 1979 si spostano e si concentrano a
Fushë-Kruja. Non è scorretto affermare che questi rom vivono in un ghetto: le
loro abitazioni non sono certo lontane da quelle del resto della popolazione, ma
costituiscono qualcosa di più di un quartiere, fanno "città a sé". A
dimostrazione di ciò, vi è il fatto che non avrei potuto passeggiare nel
quartiere senza Erinda Toska, una guida (e un'amica) che mi ha aperto le porte e
i cuori dei locali, affatto abituati a ricevere visite dall'esterno.
Erinda ha lavorato per tre anni a stretto contatto con la comunità rom di
Fushë-Kruja: come project coordinator di
ADRA Albania, ONG attiva in altri 26
paesi europei, ha scritto e implementato diversi progetti educativi mirati alla
formazione, l'alfabetizzazione e l'emancipazione delle giovani donne e dei loro
figli. Le attività e i risultati di questi percorsi vengono pubblicati in tempo
reale su questo blog .
I problemi dei rom di Fushë-Kruja non sono diversi da quelli di altre comunità
albanesi - dalla mancanza di educazione igenico-sanitaria all'assenza di
istruzione, dal fenomeno delle spose bambine alla disoccupazione endemica -
tuttavia la dimensione, la chiusura e la posizione di questa comunità, alle
porte della capitale ma estremamente conservatrice, hanno contribuito alla sua
reputazione, che di bocca in bocca è giunta alle mie orecchie. "È una delle
realtà più complicate", conferma Erinda che, forse un po' stanca dei miei
interrogativi via WhatsApp, alla fine ha capitolato: "Se ti interessa così
tanto, un giorno ti ci porto".
Nel campo: il cuore rallenta, la testa cammina
È sabato 12 aprile, e il sole brilla sul cemento della capitale. Io, Eri e
Francesco fatichiamo a trovare un furgon - camioncini uso taxi su cui il governo
ha recentemente inasprito i controlli di sicurezza - ma una volta partiti non
c'è troppo traffico, e dopo mezz'ora di sorpassi siamo già a Fushë-Kruja. Ai
confini del quartiere rom ci aspetta la nostra guida. Fatmira Dajlani è una
ragazza rom che ha potuto studiare: collega ed amica di Eri, collabora con Adra
e con altre organizzazioni internazionali, fungendo da tramite tra i membri
della sua comunità e la realtà esterna.
Ci scambio due parole e tre sorrisi, questi ultimi dovuti principalmente al mio
albanese: quanto basta per farmi cogliere l'importanza di figure come Fatmira,
ambasciatrice della propria gente nel mondo e del mondo presso la propria gente.
Eri esce dal bar con due sacchetti di caramelle, ci avviamo su una sterrata in
direzione campagna. Il primo edificio che incontriamo è un mekanik (meccanico).
Intorno, solo uomini e alcuni bambini, che ovviamente corrono in braccio a Eri.
Mi intenerisco, ma vengo distratto dal lavorio degli uomini: gli strani mezzi
che stanno assemblando sono gli stessi che ho visto tante volte scorrazzare per
le strade di Tirana: tricicli a motore, composti da un motorino potenziato cui
al posto della ruota anteriore viene attaccato un carretto. Scopro finalmente il
nome di questo mezzo geniale: si chiama karrocë.
È con i karrocat, dunque, che i ragazzi rom svolgono buona parte delle loro
attività cittadine: dal trasporto frutta alla raccolta della plastica,
incentivata dal governo che paga a peso, ma che, di fatto, spinge i rom a
rovistare nella spazzatura, nel tentativo di recuperare ciò che poteva essere
differenziato prima. Mi fisso sull'oliaggio di una catena, operazione che ho
sempre delegato per laute somme, ma le guide mi chiamano, e interrompono i miei
pensieri. Prima di proseguire mi volto, la giornata è splendida, le montagne
dominano lo sfondo. Scatto una foto e decido in quel momento che non ne farò
altre.
Gli onori di casa li fanno i bambini. Frotte di bambini, spuntati da non si sa
da dove, ci prendono per mano e ci accompagnano verso le loro case. La scena si
ripete più volte: sbucano da in fondo alla strada, riconoscono Eri da lontano e
le corrono incontro con le braccia tese. Eri ci ha lavorato per anni, li conosce
uno ad uno, li chiama per nome, chiede loro se vanno a scuola; è da un po' che
non tornava al campo, e li trova cresciuti. Ci addentriamo nel quartiere. Là
dove mi aspettavo il fango, c'è un selciato perfettamente lastricato - "La
strada è merito di UNDP", sorride Erinda, leggendomi nel pensiero.
A destra e a sinistra si aprono cortili antistanti ad abitazioni colorate: un
cavallo rumina in un angolo, una mucca scuoiata è appesa all'ombra di un albero.
Una vecchia dalle rughe leggendarie ci viene incontro con aria solenne. Le mani
completamente viola, due occhi verdi ipnotici, gesticola con Eri per cinque
minuti e poi si congeda. "Mi ha chiesto le polverine per colorare le uova, ha il
rosa ma le manca il rosso". Trasecolo: ma i rom d'Albania non sono musulmani?
"Non tutti, loro sono ortodossi. In ogni caso per i rom la religione non ha
troppa importanza, mischiano volentieri le tradizioni. L'unico rito che conta
per tutti è la festa di Ederlezi...".
Nonostante non abbia mai sentito parlare il Romanì , la parola non mi suona
nuova, e solo con l'aiuto del telefono capisco il perché: "Ederlezi" è il titolo
di una celebre canzone che fino ad allora
avevo creduto di Goran Bregović,
famosissimo interprete di musica balcanica che in questo caso ha ripreso un
motivo tradizionale rom. Ignara delle mie elucubrazioni musicali, Eri prosegue
la sua spiegazione: " Ederlezi è una festa di origine serbo-ortodossa che è
stata adottata dai rom dei Balcani. Si festeggia il 6 maggio, giorno della
rinascita, della primavera. La festa segna l'inizio del bel tempo: a partire da
quel momento gli uomini della comunità partono per i villaggi dell'Albania,
della Grecia e del Kosovo, per vendere vestiti e scarpe di seconda mano, o per
raccogliere e rivendere metalli. Spesso si muovono con la famiglia, ma poi
ritornano...". Il racconto mi affascina e chiedo i dettagli: "Immaginati una
festa tradizionale: dopo la processione alla Chiesa di Laç le famiglie si
riuniscono, si addobbano le case, ci si veste eleganti, si balla, ma soprattutto
si cucina l’agnello che viene sgozzato e dissanguato giorni prima...".
Una giovane donna viene incontro a Eri, la abbraccia e la bacia. Si chiama
Mimoza, e solo da quattro anni abita a Fushë-Kruja, da dopo il suo matrimonio.
Prima viveva con la sua famiglia, a Tirana, in una casa che rimpiange perché
molto più grande. Ci invita ad entrare e a verificare di persona quanto ci sta
raccontando. La sua abitazione non è in muratura, è un tendaggio allestito nel
cortile di un altro stabile, quello sì in mattoni, probabilmente dei suoceri.
Mimoza ha due figli, e dorme con loro su un letto, su cui ci invita a sedere.
Una prolunga si arrampica sul soffitto, per portare luce a una lampadina
penzolante. C'è anche un TV. Cerco di immaginare come possa essere ripararsi lì
dentro in caso di pioggia, ma non ci riesco. Tuttavia l'odore non è cattivo,
l'ambiente è ordinato e tenuto con estrema cura. Mimoza ci mostra delle
calzature di lana di sua produzione, e invita Francesco a provarne un paio
arcobaleno: è certa che siano della sua taglia, ha ragione, ed esultante gliele
regala. Vista l'eccellente ospitalità, ingenuamente attendo le stesse
attenzioni, ma vado incontro a una delusione: Francesco è il burri (uomo,
marito) di Eri, a lui e solo a lui gli oneri e gli onori.
Ad attenderci fuori da casa ci sono sempre più bambini, sempre più festanti. Io
e Francesco cerchiamo un po' goffamente di farli divertire, di giocare con loro.
Facciamo il piacevole errore di accennare un vola-vola, e scateniamo una vera e
propria competizione. Alzo lo sguardo e noto un uomo in fondo alla strada:
l'ultimo maschio adulto lo avevo visto dal meccanico. Faccio un cenno di saluto
ma non sono ricambiato; Francesco, ben più esperto, anticipa i miei pensieri.
"Non accettare alcuna provocazione, spesso lo fanno apposta. Se ci pensi hanno
più che ragione: facciamo volare i loro figli, veniamo ricevuti dalle loro
donne... Ma noi chi siamo?".
Più ci addentriamo, più l'ostilità maschile risulta palpabile. Fatmira e Eri non
sembrano preoccupate, ma nel dubbio né io né Francesco ci avventuriamo lontano
da loro, esattamente come gli altri bambini. Eri mi spiega che il problema è ben
più profondo della questione territoriale maschile: "Tutte le nostre attività
hanno sempre dovuto vincere le resistenze degli uomini. Tendenzialmente le donne
sono disponibili, ci lasciano i loro figli e desiderano studiare in prima
persona. Molto spesso sono i mariti o le loro famiglie a proibirglielo. Quando
una ragazza si sposa, il che mediamente avviene molto presto, tra i 13 e i 14
anni, questa passa sotto la giurisdizione della famiglia del marito, in
particolare della suocera, che in sostanza ne dispone". I tasselli del mosaico
si ricompongono: capisco finalmente la tristezza della giovane Mimoza, lontana
dalla famiglia in uno spazio che non sente suo. Ovviamente, mi spiega Eri, non
tutte le famiglie hanno lo stesso approccio tradizionale, ma il dovere di
servire nella casa del marito non è discutibile, e quand'anche la situazione
risultasse inaccettabile - come nel caso di violenza fisica sulla giovane sposa
- la stessa famiglia d'origine non approverebbe il ritorno della figlia tra
loro: sarebbe al contrario una grande vergogna.
Centinaia di domande affollano la mia mente, ma le spiegazioni di Eri sono in
italiano, e dunque rapide, per non escludere dalla conversazione le persone che
ci vengono incontro. Suela Rama ha 16 anni e si è appena maritata. Eri mi
informa di questa novità in albanese, e abbozzo un gesto di congratulazione.
"Siamo orgogliosissimi del suo percorso. Suela ha sempre partecipato alle nostre
attività, e nonostante le pressioni della famiglia si è sposata "solamente"
adesso, a 16 anni. Per noi questo è un grande risultato".
Il fenomeno delle spose bambine, mi spiega Eri, è collegato al problema cruciale
di ogni comunità rom: quello dell'istruzione dei bambini. Teoricamente, i
bambini rom hanno il diritto di frequentare le scuole municipali albanesi, ma
raramente le scuole pubbliche rappresentano un luogo accogliente per i ragazzi e
le loro famiglie. La prima discriminazione che quei bambini incontrano è
linguistica: non solo perché il Romanì non è una lingua riconosciuta - nessuna
forma di istruzione è garantita nella lingua dei rom - ma anche a causa della
noncuranza dei genitori, i cui figli spesso crescono senza imparare l'albanese -
una scelta distruttiva, che esclude quei bambini da qualsiasi attività del paese
in cui abitano. Se già è complesso convincere i genitori ad occuparsi
dell'istruzione dei figli, si capisce come far studiare le giovani donne -
sottraendole alle dinamiche famigliari e facendo sì che si sposino un po' meno
bambine - risulti estremamente arduo: per un piccolo risultato, occorrono mesi e
mesi di lavoro e di frequentazione diretta.
Cogitando arriviamo al bar, ovvero "in centro": come in ogni agglomerato umano
del pianeta Terra. Finalmente un ragazzo mi saluta, sembra contento di vedermi.
Mi viene incontro sorridendo, e mi chiede in albanese da dove vengo. Alla parola
"Italia" si illumina, e mi dice che sta andando in Francia, partirà l'indomani
mattina. Gli faccio i migliori auguri e gli stringo la mano. Eri mi spiega che
in molti chiedono asilo politico in Francia, perché è più facile che negli altri
paesi. Ancora oggi, l'asilo politico rimane il miglior passaporto per chi è
disposto a partire: bisogna dimostrare di essere discriminati, il che, per chi
sa leggere e scrivere e mantiene contatto con gli internazionali, non è nemmeno
troppo difficile. A quanto pare in molti partono, ma altrettanti, alla fine,
ritornano.
Il sole splende meno alto su Fushë-Kruja, e per i turisti è giunto il tempo di
andare. I bambini ci hanno accolto e i bambini ci accompagnano fuori, come lo
strascico di una sposa. Mentre volto le spalle a tutto quello che ho visto,
penso a tutto, ma non saprei dire a cosa. Sono domande senza grammatica, in
lingua pensiero. A nulla valgono i libri, i viaggi, le canzoni: a nulla vale
quell'insieme d'informazioni diversamente accumulate che i sistemi educativi
della civiltà qualificano come "esperienze formative".
Caffè, acqua e sapone
Di fronte alla vita vera, il cuore rallenta, la testa cammina: De Andrè aveva
ragione. Ma la poesia omette per definizione la prosa: anche se nessun verso lo
ammetterà mai, al ritorno dalle periferie ci attende, inevitabile, il sapone.
Approfittando di una sosta al bar, sia io che Francesco visitiamo a turno il
bagno. Eri resta seduta e ordina il caffè. Mentre mi sciacquo le mani con cui
avevo fatto volare i bambini, un sottile senso di colpa mi attraversa il cuore:
come me e prima di me, in tanti hanno toccato, e in tanti si sono lavati le
mani. Chissà se, dopo aver scritto quest'articolo, mi occuperò mai più di quelle
persone.
Di Fabrizio (del 11/05/2014 @ 09:05:18, in Italia, visitato 2860 volte)
Sergio Bontempelli - 6 maggio 2014 su
Rom-anzi
"Non esiste una donna rom, come non esiste una donna
italiana: perché le donne sono donne, e basta... ognuna ha il suo carattere,
ognuna le sue difficoltà...". "A me fa paura sentir parlare di progetti solo per
donne rom... un giorno spero che non si vedrà questa differenza tra una donna
rom e una donna non rom... spero".
Sono le parole di Dzemila, mediatrice culturale romnì che opera a Roma. Dzemila
è stata scelta come testimonial della campagna "Per i diritti, contro la
xenofobia", promossa da Associazione 21 Luglio, Antigone, Lunaria e Associazione
Studi Giuridici Immigrazione (ne abbiamo già parlato
qui). La Campagna nasce in
occasione delle elezioni europee per "arginare" - sono parole delle associazioni
promotrici - "il rigurgito razzista e xenofobo che rischia di investire molti
paesi e orientare il discorso pubblico verso una progressiva marginalizzazione
dei diritti umani e delle libertà fondamentali".
L'iniziativa si articola, tra l'altro, in una serie di video-interviste a rom,
migranti e detenuti (le potete vedere qui). L'intervista a Dzemila occupa pochi
minuti, e vale la pena vederla dall'inizio alla fine. In poche densissime
parole, vengono rievocati i principali problemi vissuti dalle donne rom in
Italia: dalle condizioni di segregazione abitativa (i campi nomadi, gli
sgomberi, i centri di accoglienza sovraffollati e fatiscenti) alla vera e
propria marginalità nel mercato del lavoro (solo una donna rom su cinque è
occupata), fino alla discriminazione quotidiana.
Ma sono le parole riportate all'inizio che colpiscono di più: "un giorno spero
che non si vedrà questa differenza tra una donna rom e una donna non rom". E non
perché le differenze non siano una ricchezza, ma perché proprio la "diversità
culturale" (vera, più spesso presunta, troppe volte affidata a facili stereotipi
di senso comune) diventa un'arma per discriminare: "i rom sono diversi da noi,
le case non le vogliono, è bene che restino nei campi...". Se vogliamo davvero
valorizzare le "differenze" - ci dice in sostanza Dzemila - è bene partire dagli
elementi che ci accomunano: le donne sono sempre donne, siano esse "rom" o "non
rom". Buona visione, dunque.
di Una Čilić,
Aida Halvadzija,
Erna Dželilović -
Fonte: International Justice
- ICTY
La discriminazione, la povertà e i problemi della comunità rendono difficile il
successo ai giovani rom.
Nehrudin Cikaric aiuta un bambino in matematica al centro diurno per bambini
in situazioni di vulnerabilità (Foto: Una Čilić)
Haris Husic, ora 23enne, ricorda con chiarezza come venne bocciato al suo
compito di matematica, all'età di dieci anni, nonostante fosse assente il giorno
in cui si svolse.
Quando chiese all'insegnante quando avrebbe potuto dare il compito, lei gli
rispose che gli aveva già dato l'insufficienza.
"Le chiesi come fosse possibile, visto che non ero nemmeno andato a scuola ma
lei mi disse 'non importa, la prossima volta prenderai un voto migliore'"
ricorda.
Storie
di transizione: Nehrudin - Video di Una Cilic, Aida Halvadzija ed
Erna Dzelilovic da Sarajevo.
Più avanti, Husic seppe che, quando gli mise l'insufficienza, la maestra
commentò "Quand'è che finiranno la scuola?"
"Loro" significa i rom, una minoranza impoverita in Bosnia ed Erzegovina (BiH),
trovatasi ai margini della società e oggetto di forti pregiudizi.
Husic, che vive nella piccola cittadina di Visoko, vicino alla capitale
bosniaca, sta ora studiando lingua e letteratura tedesca all'università di
Sarajevo.
Dice di essere spesso incappato nell'intolleranza, spesso basata sulla credenza
che i rom siano tutti ladri.
"Non mi vergogno delle mie origini" dice "Per me, tutte le persone sono uguali e
non le differenzio in nessun modo. Do sempre il meglio di me stesso per trattare
tutti bene, attitudine che mi ha aiutato a superare i miei problemi con la
discriminazione."
Non avendo entrate fisse in casa, Husic usufruisce di una borsa di studio
mensile di 100 marchi bosniaci (70 $) datagli dal Fondo per l'Educazione in
Bosnia ed Erzegovina per coprire le sue spese giornaliere ed alimentari.
"Non è facile ma non mi arrenderò mai. Darò il mio meglio per finire gli studi,
anche se dovessi camminare ogni giorno da Visoko a Sarajevo." dice.
Nonostante le attuali disposizioni del governo per aiutare i rom, il pregiudizio
diffuso e le tradizioni conservative della comunità stessa fanno si che vi siano
pochi progressi.
BASSI LIVELLI DI ISCRIZIONE ALLA SCUOLA SECONDARIA
L'educazione, soprattutto, è uno dei campi in cui i rom ancora non hanno
risultati.
Secondo i dati del Ministero per i Diritti Umani e i Rifugiati, vi sono 17.000
rom registrati in Bosnia-Erzegovina, anche se il numero reale è supposto essere
il doppio, visto che molti non hanno documenti di identità.
Secondo un report pubblicato dal Ministero vi sarebbero stati 3.000 bambini rom
frequentanti la scuola primaria nell'anno scolastico 2011/12, mentre solamente
243 avrebbero frequentato la scuola superiore quello stesso anno.
"Uno dei principali problemi dell'educazione dei bambini rom, oltre alla
povertà, è che l'istruzione non è molto valorizzata dalla società rom" dice
Dalibor Tanic, un giornalista rom che lavora per Start magazine "La media dei
genitori rom pensa che sia più importante per i loro figli aiutare nelle entrate
economiche della famiglia, piuttosto che perdere tempo a scuola."
"L'altro problema è che, per un bambino rom con genitori illetterati, risulta
molto difficile andare bene a scuola. Faticano a stare al passo con gli altri
bambini, che hanno frequentato l'asilo - cosa molto rara nella comunità rom - e
i cui genitori possono aiutarli nello svolgimento dei compiti per casa."
Alcuni giovani rom fuggono dalla loro comunità e dalle loro tradizioni per poter
partecipare in pieno alla società civile bosniaca.
"ROM ED ORGOGLIOSA DI ESSERLO"
Aldina Fafulovic, un'attivista di 24 anni, dice che molti rom evitano di
dichiarare le proprie origini per evitare discriminazioni.
"Sappiamo tutti che vi sono dei giovani universitari che si vergognano di dire
di essere rom e che decidono di nascondere le loro origini per evitare di essere
visti come diversi dai loro compagni di corso" dice.
Fafulovic, comunque, è determinata a non lasciare che questo stigma influisca
sulla sua vita.
"Sono rom ed orgogliosa di esserlo. Non mi vergogno di dirlo" dice.
Fafulovic è attiva nella comunità rom dall'età di 13 anni, quando il suo
interesse venne acceso durante la partecipazione ad un seminario sui problemi
dei rom a Spalato, in Croazia, al quale partecipo assieme al padre.
"Quando ebbi 20 anni, ebbi l'opportunità di partecipare ad una conferenza
mondiale sull'HIV/AIDS in Austria, dove incontrai persone provenienti da tutto
il mondo, dall'Africa, dall'Asia, dall'Europa e dagli Stati Uniti" dice "Ebbi
l'onore di partecipare a quella conferenza e di dire 'sono rom e lotto per i
diritti della mia gente.'"
Fafulovic è stata la prima donna rom ad iscriversi al corso universitario per
educatori dell'università di Sarajevo e la prima rom ad andare a vivere nel
dormitorio universitario.
È diventata specialista rom per la missione OSCE in Bosnia-Erzegovina ed è ora
membro e fondatore dell'associazione Mladi Romi (Giovani rom).
Il gruppo si dedica alla preservazione della cultura rom e, altresì,
all'educazione dei giovani rom a Vitez, città della Bosnia centrale, casa di
circa 125 famiglie rom per un numero totale di circa 500 persone.
Fafulovic è anche una degli assistenti rom del progetto Vrtic za Sve (Asilo per
tutti), mirato a supportare i bambini in condizioni di vulnerabilità.
"Molte persone, quando vedono un rom che chiede l'elemosina, pensano che tutti i
rom siano uguali" dice Fafulovic "Fortunatamente, non è così, perché solamente
nel nostro villaggio (Sofa) 85 bambini frequentano la scuola primaria, 12 la
scuola superiore e 2 di noi l'università"
Ma Fafulovic dichiara di aver dovuto affrontare l'opposizione della sua stessa
comunità, in cui molti leader rom vedono i giovani attivisti come un affronto
alla loro posizione.
"Nonostante ciò, sono riuscita ad ottenere qualcosa tramite il mio lavoro"
continua "L'anno scorso ho organizzato la donazione di 250 zaini contenenti
materiali scolastici utili per tutti i bambini a rischio della zona di Vitez."
Aldijana Dedic, 26 anni, dice che la discriminazione è sempre stata parte della
sua vita. Suo padre è rom e sua madre bosniaca musulmana.
"Le persone mi trattano diversamente quando scoprono che mio padre è rom" dice
"ogni volta che ho lavorato, anche se con successo, ho sempre sentito le persone
dirmi alle spalle 'sappiamo di chi è figlia, è la figlia di quello zingaro.'"
Dedic, che ha svolto il tirocinio come esperta rom all'OSCE e alla Commissione
Europea in Bosnia-Erzegovina, pensa che il pregiudizio contro i rom esisterà
sempre, non importa quale livello di educazione e quali professioni essi
otterranno.
"Viviamo in un ambiente nel quale la comunità internazionale ha ancora da
affermare che i rom debbano essere inclusi nella società" dice.
SUCCESSO LIMITATO DELLA POLITICA D'INCLUSIONE
Nel 2008, la Bosnia-Erzegovina ha aderito ad un'iniziativa internazionale volta
a migliorare le condizioni di vita dei rom.
Il Decennio per l'Inclusione dei Rom 2005-2015 ha riunito governi, organizzazioni
non-governative e la società civile rom nello sforzo di eliminare il gap tra la
comunità rom e il resto della società.
Venti Paesi hanno preso parte all'iniziativa, che si focalizza su istruzione,
lavoro, salute e abitazione e che impegna i governi del prendere misure nei
campi della povertà, della discriminazione e delle questioni di genere.
Sanela Besic, coordinatrice del Centro Informativo Rom di Sarajevo Kali Sara,
dice che il Decennio per l'Inclusione dei Rom ha portato a definire chiaramente i
documenti politici, redatti per la prima volta, col Consiglio dei Ministri e
allocanti 3 milioni di marchi bosniaci (2.1 milioni di dollari) per la sua
implementazione in questo anno.
Il successo più evidente è stato nel campo abitativo con 400 case ed
appartamenti costruiti per i rom per un costo di circa 12 milioni di marchi
bosniaci.
Comunque, solo 250 rom hanno finora trovato lavoro tramite del iniziative delil
Decennio, iniziata in Bosnia nel 2009.
"Molte famiglie rom non hanno ancora una casa, accesso alle cure mediche,
nemmeno un'alimentazione sufficiente" dice Besic, e aggiunge "È questo che
bisognerebbe cambiare nelil Decennio. Le famiglie in condizioni di povertà estreme
dovrebbero ricevere un sostentamento base."
La mancanza di un supporto finanziario limita le prospettive future di molti
rom.
Armina Ahmetovic, 20 anni, è stata la prima ragazza rom a finire i tre anni di
scuola professionale a Jablanica, nella Bosnia meridionale. Voleva studiare per
diventare infermiera ma, la mancanza di fondi, le ha reso impossibile il
viaggiare fino a Mostar, a 50 kilometri di distanza, per continuare la sua
istruzione e, alla fine, si è arresa.
Ahmetovic ha ora la patente e spera di trovare un lavoro. Continua a credere che
"l'educazione è molto importante e tutti quelli che hanno possibilità economiche
dovrebbero continuare a frequentare la scuola."
Il giornalista rom Tanic, che monitora attivamente i progressi delil Decennio per
l'Inclusione dei Rom, crede che sarà necessario molto più tempo per vedere dei
risultati visibili.
"I problemi del popolo rom si sono accumulati per decenni e, nel caso della
discriminazione, per secoli" dice "Non credo a nessuno che dice che siano stati
fatti grossi passi avanti grazie alil Decennio, specialmente in
Bosnia-Erzegovina."
Lui accusa i leader rom e le ONG di perdersi in conflitti interni che rallentano
i progressi.
"Certamente, sono stati fatti dei tentativi positivi, sono stati fatti dei
progetti, durante il Decennio, ma non hanno concluso molto per migliorare gli
standard di vita dei rom." dice "Vi sono alcune ONG che hanno fatto molto negli
abitati rom ma non è comunque abbastanza. Vi sono 5 o 6 organizzazioni dominanti
che impediscono ad altre organizzazioni di contribuire."
IL NUMERO TITOLI DI STUDIO PRIMARI NON SALE
Tanic spiega che, nonostante il supporto extra dato dal Decennio per
l'Inclusione dei Rom, il bambini della comunità rom che completa la scuola
primaria rimane basso.
"Durante il progetto, i bambini rom hanno ricevuto libri di testo gratis ma
questi benefici non sono stati sufficienti per tenerli a scuola" dice "anche se
il Decennio ha aumentato il numero di bambini rom iscritti a scuola non vi è un
numero maggiore di conseguimento di titoli di studio."
Tanic crede che "dopo il 2015 lo sforzo maggiore dovrà essere direzionato a
trovare impiego per i rom, perché, se almeno uno dei genitori lavorasse,sarebbe
più facile per i loro figli andare a scuola e conseguire un titolo di studio."
Dalila Ahmetovic di Kakanj è una dei successi della comunità rom. Laureatasi
alla facoltà di comunicazione all'università di Sarajevo, sta ora studiando alla
magistrale.
Come Husic, è beneficiaria di una borsa di studio dal Fondo per l'Educazione in
Bosnia ed Erzegovina, che ha distribuito borse di studio in Bosnia-Erzegovina
negli ultimi 15 anni, tra cui 8.360 tra bambini e ragazzi rom.
"Vivo in un ambiente in cui i rom che terminano gli studi superiori sono rari e
in cui l'istruzione universitaria è considerata una mosca bianca" dice Dalila,
che beneficia di supporto finanziario ed emotivo da parte dei genitori.
Gli attivisti ricevono conforto dal fatto che l'interesse nell'assegnare borse
di studio a giovani rom è in aumento, con l'Associazione riportante che, nel
2005-06, 69 giovani hanno fatto richiesta di un finanziamento, numero salito a
187 nel 2012-13.
Dalila sottolinea l'importanza dell'educazione.
"La maggior parte dei bambini rom non può andare a scuola a causa delle
condizioni di vita e della povertà estrema che impedisce loro di acquistare
libri e altri materiali scolastici." dice "Nonostante queste difficoltà, tutti i
bambini rom dovrebbero ricevere l'opportunità di andare a scuola e di
migliorarsi perché, come ho già detto, questo è il fattore chiave per lo
sviluppo della società rom."
"Solo i giovani istruiti possono fare qualcosa per se stessi e per tutta la
società, per un futuro migliore."
Il video che accompagna queste storie presenta Nehrudin Cikaric, un giovane
attivista rom che è passato dal chiedere l'elemosina, da bambino, al frequentare
regolarmente la scuola e a giocare a calcio e praticare boxe ad alti livelli.
Inoltre, fa il volontario al centro per bambini in situazioni di vulnerabilità
insegnando matematica ai bambini piccoli. Nehrudin spera di entrare nella
polizia bosniaca o nell'esercito una volta terminata la scuola.
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