Richiediamo chiarezza. Di Rom si parla poco e male, anche quando il tema delle notizie non è "apertamente" razzista o pietista, le notizie sono piene di errori sui nomi e sulle località
sabato 5 marzo dalle ore 22.00
Allo Spazio A di Sesto San Giovanni (attaccato a Milano) | via
Maestri del Lavoro| info@spazioa.org |
http://www.spazioa.org/
UDITE! UDITE! SIORE E SIORI!
GRANDE CONCERTO serale e
STAGE pomeridiano
(fantasia di valzer a 3, 5, 8, 11 tempi)
Vieni in bicicletta, in moto o in automobile?
Da Milano, percorrere viale Monza sino al termine. Oltrepassata la fermata di
Sesto Marelli della MM1 restare sulla destra senza salire sul cavalcavia. Subito
dopo l'ufficio postale (circa 100 metri) girare a destra in via Maestri del
Lavoro. La costruzione sulla sinistra è spazioA, di fronte a un ampio parcheggio
gratuito.
Vieni in metropolitana?
Prendere la MM1 fino a Sesto Marelli. Appena usciti restare sul lato destro di
viale Monza (il lato della sede CGIL-CISL-UIL) e proseguire in direzione Sesto
san Giovanni. Oltrepassato un porticato con le colonne rosse, proseguire sino
all'ufficio postale e girare a destra in via Maestri del Lavoro. La costruzione
sulla sinistra è spazioA.
Per info:
Gianmarco - 335.8395877
Daniela - 320.0877526
Pietro - 349.6342214
Di Fabrizio (del 27/02/2011 @ 09:09:36, in lavoro, visitato 2018 volte)
(mi-lorenteggio.com)
Buccinasco, 23 febbraio 2011 - La Associazione Apertamente di Buccinasco che
gestisce il Punto Parco Terradeo, è una associazione costituita da Sinti e Gage
( non Sinti) la quale in collaborazione con l'Associazione BUCCinBICI ha il
piacere di invitarvi alla serata presso la locale Cascina Robbiolo mercoledì
02.03.11 ore 21.00.( ...)
La serata è anche a sostegno del Progetto Mobilità (conosciuto come progetto
Ciclofficina), finalizzato a creare alcuni posti di lavoro per giovani Sinti,
offrire alcuni servizi alla cittadinanza, e contemporaneamente cercare di dare
qualche risposta ai problemi di mobilità del nostro comune e quelli limitrofi.
Oltre ad Apertamente, contribuiscono all'impresa Buccinbici e la Banca del Tempo
e dei Saperi con il patrocinio dell'Amministrazione Comunale ed è stata
finanziata dal "Fondo Maroni" gestito dal Commissario Straordinario per
l'emergenza Nomadi in Lombardia (Prefetto di Milano Lombardo).
-Durante la serata verrà presentata la guida "A partire da Buccinasco"
contenente informazioni su percorsi ciclopedonale che risponde alle richieste
delle persone che vogliono esplorare il Parco Agricolo Sud.(all.2)
-Sarà comunicato il programma della prossima stagione ciclistica di Buccinbici.
-Inoltre , vi sarà la proiezione delle foto scattate nelle scorse stagioni.
Di Fabrizio (del 27/02/2011 @ 09:49:11, in Italia, visitato 2223 volte)
È pomeriggio. Il campo rom è avvolto da fumo, fuliggine, odore nauseabondo di
liquami. La spazzatura non viene ritirata da giorni. Pozzanghere di melma
fuoriescono in tutta la zona abitata. Cani e bambini giocano nell'area se pur
impraticabile. Le fogne della parte nuova del campo, consegnata da pochi mesi
per il nuovo progetto, risultano non funzionanti. La pendenza della strada è
stata sbagliata: i liquami dei 16 prefabbricati non finiscono nella prevista
fogna a dispersione ma fuoriescono nelle case, attraverso i minuscoli bagni dei
primi alloggi. I "lavori pubblici", pur investiti per giorni del problema, non
intendono intervenire. Alcuni rom aprono un tombino alla fine della strada ed i
liquami abbandonano le casette e si liberano nel campo. I rappresentanti del
campo chiamano a loro spese autospurghi per tentare di trovare soluzioni da sé.
Inutilmente perché il problema non è che risolvibile da un'impresa.
La parte vecchia del campo, quella delle baracche è in parte invivibile a
causa del descritto sovraccarico fognario ed a causa della rottura del vecchio
impianto idrico che non ha retto al tempo allagando parte delle baracche.
Bambini, adulti con gravi forme di disabilità (amputazione degli arti,
dialisi, ictus, epilessia), dormono nell'acqua e non ricevono alcuna assistenza.
I bagni sono comuni e non adiacenti alle baracche. Poi un'ispezione.
Un'ingiunzione di abbattimento. Un tempo limitato per trovare soluzioni ad una
situazione che facile non è e che si trascina da anni. Troppi. Quasi venti.
Iniziata con un' infausta decisione amministrativa di far diventare campo e
comunità semplicemente alcune famiglie di concittadini che scappando dalla
guerra in Jugoslavia avevano cercato rifugio in città. Il ghetto negli anni si è
protratto, è cresciuto nell'incuria politica di tutti. Un'ignavia
politico-organizzativa generalizzata, intervallata da interventi estemporanei
dettati da una qualche situazione emergenziale. Pagamento delle utenze,
autospurgo, spazzatura. Alcuni container forniti con finanziamento provinciale,
un nuovo ultimo progetto abitativo ma mai interventi congiunti, organici, a
lungo periodo, mirati intanto al superamento del campo (perché il campo per
forza?) edal concreto inserimento sociale e lavorativo dei rom.
I bambini nati qui, cresciuti nelle scuole della città non hanno di fatto un
futuro diverso che vivere, crescere e morire nel campo. Da soli non ce la fanno
nemmeno ad affrontare la scuola media. non hanno ancora i libri! Stamane,
durante l'incontro avvenuto a Palazzo Carafa col Sindaco di Lecce ed altri
rappresentanti istituzionali, abbiamo appreso con sollievo la dichiarata volontà
politica dell'amministrazione comunale di non voler agire un indiscriminato
sgombero delle famiglie rom di campo Panareo ma la disponibilità anzi, ad un
tavolo di concertazione che possa mettere in campo progettualità possibili.
La convocazione dei piani di zona, inoltre, risulta un percorso
indispensabile, stante la disponibilità finanziaria derivante dalla misura PO
FESR 2007-2013, asse III, linea 3.4 azione 3.4.1., il cui bando - che sta per
scadere a brevissimo - è fruibile solo dai comuni ed è rivolto, fra i possibili
beneficiari anche ad "adulti in condizione di disagio, minoranze quali nomadi e
stranieri immigrati, altri soggetti marginali o a rischio di emarginazione
sociale, culturale, economica e lavorativa". È un finanziamento che non può
essere utilizzato per usi edilizi ma bensì per il pagamento di fitti, per
progetti di inserimento sociale e lavorativo e quant'altro si possa mettere in
atto per un ammontare massimo di 700mila euro. Con l'individuazione di strategie
possibili ed un minimo di coordinamento fra i differenti settori del Comune di
Lecce e fra questo e i Comuni del Salento, non diventerebbe più impossibile
mettere in campo dei canali di risoluzione delle problematiche sociali ed
abitative dei rom come di altri soggetti svantaggiati della città.
Ma se l'uso di fondi regionali già esistenti risulta proficuo per la
determinazione di servizi possibili utili sia al provvisorio arginamento
dell'emergenza abitativa sia alla collocazione ed al sostegno dei disabili
residenti al campo, rimane da risolvere e presto la gravissima situazione
igienico-ambientale in cui versano attualmente le famiglie rom.
È necessario un intervento straordinario ed urgente, possibile, con facilità,
solo con un impegno celere, sinergico e congiunto fra istituzioni. Qualcuno deve
intervenire e fondi straordinari ed immediati possono essere reperiti da
qualsiasi ente, intanto, ad esempio, da quello principe che è l'Ente Provincia.
L'invito finale rivolto ai soggetti istituzionali coinvolti ed a quelli
silenziosi è quello di recarsi di persona, almeno per una volta, al campo
Panareo, perché prima di decidere se intervenire o meno, come o come non farlo,
si ha il dovere etico, morale e politico di conoscere la realtà e di vedere la
situazione coi propri occhi.
Non sfuggirebbe lo stridio fra il degrado estremo del campo Panareo e la
forza, la dignità, lo sforzo di cura della famiglia e degli spazi, altrettanto
estreme e tenaci, che contraddistinguono gli abitanti, anche i più piccoli, e la
loro solitudine.
DOMENICO MODAFFERI. Esiste uno stereotipo radicato: quello che con i rom
non ci sia niente da fare, che ce l'abbiano nel sangue di non rispettare le
regole, di vivere da parassiti nei confronti della società. Noi, attraverso la
formazione al lavoro, abbiamo educato al rispetto delle regole della convivenza,
smontando questo luogo comune. In una città come Reggio Calabria, coi
problemi di disagio e disoccupazione che esistono, la nostra cooperativa offre
lavoro regolare ai rom, nel campo ecologico e dello smaltimento dei rifiuti.
Ricordo un episodio all'inizio della nostra attività: in un quartiere della
città avevamo da poco incominciato a fare manutenzione del verde; una signora,
passando, commenta visibilmente soddisfatta: «Finalmente il Comune ci manda
qualcuno!». Avendole spiegato che si trattava di ragazzi rom, la signora si
ferma e dice in dialetto: «Chisti sun zingari fora»; ovvero, questi non possono
essere zingari di Reggio Calabria... Lo stereotipo del rom incapace di lavorare
era messo in crisi. La sua sorpresa era il segno del percorso culturale che
stavamo avviando.
Abbiamo sempre pensato che per creare le condizioni di integrazione non si
dovesse fare un percorso di assistenzialismo, ma di rispetto delle regole del
lavoro e della convivenza.
In questo senso, per educare al rispetto della legalità, è stato importante
anche ottenere come sede della cooperativa un bene confiscato alla 'ndrangheta.
Lo stato, assegnandocelo, ha affermato il principio della legalità togliendo un
bene al malavitoso e affidandolo a chi, vivendo nel disagio, ha sempre
considerato il malavitoso un soggetto vincitore. Lavorare in una struttura
confiscata è stato educativo per tutta la comunità rom, perché ha fatto capire
che non sempre la persona che ha il potere criminale nella città riesce a farla
franca.
Quello che mette in crisi il percorso di educazione alla legalità attraverso
il lavoro è, invece, la lontananza delle istituzioni. Ad esempio, la mancanza di
appalti per la cooperativa. Questo fa vacillare la fiducia nelle regole che
cerchiamo di costruire con la nostra attività. Cosa rispondo se un rom, padre di
famiglia, mi dice: «Io ho scelto di lavorare e di sudare, anche rispetto a tanti
altri rom che hanno voluto scegliere strade più comode... loro però adesso i 50
euro per dare il pane ai figli li hanno, io no».
Domenico Modafferi è il presidente della cooperativa sociale Rom 1995, nata
con l'obiettivo di allontanare i rom da emarginazione e devianza attraverso
percorsi di inserimento lavorativo nella gestione dei rifiuti solidi urbani. La
cooperativa ha sede in un immobile confiscato alla 'ndrangheta.
Elvira, una bambina gentile e solare, gioca con la sorellina di 2 anni, gira
per casa, anche se quella dove vive è difficile definirla casa. Una baracca di
20 metri quadrati dove vivono in otto, i genitori e sei figli. Fanno parte della
comunità rom di Scampia e si sono costruiti un'abitazione di fortuna con lamiere
e altri materiali trovati in strada. Entrando, però, l'atmosfera è
sorprendentemente accogliente: ci sono mobili, un televisore al plasma, tappeti,
un tavolo di legno e un divano in velluto. Le bambine ridono, si divertono.
Quando vedono Viola, la volontaria dell'associazione 'Non uno di meno', le
corrono incontro felici. Il rapporto che i volontari hanno instaurato con le
famiglie rom è ottimo: loro sanno che grazie a Viola i bambini potranno andare a
scuola e riuscire ad integrarsi con gli altri bambini italiani.
Circa 70 famiglie, giovani, anziani e molti bambini. Tra i campi Rom di Scampia,
quello di viale della Resistenza, proprio di fronte alla scuola elementare
Ilaria Alpi, è uno dei più a rischio. Dopo il tragico incidente verificatosi a
Roma il 6 febbraio scorso, che ha visto la morte di 4 bambini a seguito di un
incendio divampato in un campo nomadi, l'attenzione verso la problematica rom si
sta facendo sentire in tutte le città italiane. E anche a Napoli la situazione
non è delle più tranquille. A Scampia esiste una delle comunità nomadi più
grandi del Paese. In tutto 400 famiglie. Il Comune ha messo a norma uno dei
campi alla periferia nord della città, ma per molti altri le condizioni
igieniche e di sicurezza restano davvero minime.
La scorsa settimana la Commissione d'Inchiesta Anticamorra, per la vigilanza e
la difesa contro la criminalità organizzata, ha visitato il presidio sociale nel
campo di Scampia, denunciando il forte degrado e sottolineando la necessità di
"un potenziamento dei servizi per prevenire e contrastare le emergenze sociali".
Ma la strada da fare è lunga e le scelte condizionate dalla politica.
Dai campi le famiglie lanciano il loro appello: "Abbiamo bisogno di case decenti
in cui vivere e di un aiuto dallo Stato per cercare di integrarci nella
comunità". Così uno degli uomini della baraccopoli di viale della Resistenza
spiega che la difficoltà sta soprattutto nella mancanza del permesso di
soggiorno. Molti di loro, infatti, non sono cittadini italiani e questo rende
ancora più complicato la ricerca di un lavoro. La mancanza di denaro li spinge
verso attività illecite, portandoli spesso a fare i conti con la giustizia e
allontanando la speranza di un permesso di soggiorno. "Un circolo vizioso che lo
stato dovrebbe interrompere", spiega il "capofamiglia", un uomo forte, in Italia
dal 1980, ma ancora con passaporto macedone.
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