Richiediamo chiarezza. Di Rom si parla poco e male, anche quando il tema delle notizie non è "apertamente" razzista o pietista, le notizie sono piene di errori sui nomi e sulle località
Siete curiosi di sapere come si vive davvero in un campo rom autorizzato,
meglio noto come "villaggio attrezzato" del Comune di Roma?
Volete sapere se strutture del genere favoriscano effettivamente la sicurezza e
l'integrazione dei rom, come sbandierato dalle autorità? Volete scoprire se i
diritti fondamentali dei bambini siano pienamente garantiti e se le case, gli
spazi e le condizioni igienico-sanitarie rispettano realmente i parametri di
legge?
Allora non mancate all'appuntamento con la presentazione della ricerca: "Esclusi
e ammassati: il Piano Nomadi a Roma e l'infanzia rom", a cura dell'Associazione
21 luglio, che si terrà sabato 20 novembre 2010 alle ore 10:30 nella cornice di
Palazzo Frascara in piazza della Pilotta 3, nel pieno centro di Roma.
Il rapporto è nato dall'esigenza di analizzare l'impatto che hanno avuto le
politiche sociali del Piano Nomadi di Roma sui diritti dell'infanzia rom e, in
particolare, prende in esame un "villaggio attrezzato" modello del Piano Nomadi
messo a punto dall'amministrazione comunale della Capitale.
L'indagine si concentra su alcune caratteristiche fondamentali riscontrabili
all'interno del campo, quali le dimensioni delle abitazioni, gli spazi dedicati
alle attività sportive, la distanza tra il villaggio stesso e i servizi
essenziali (ospedali, luoghi di socializzazione, trasporto pubblico), la
sicurezza, l'istruzione dei minori e le condizioni igienico-sanitarie.
Attraverso queste analisi, l'Associazione 21 luglio ha voluto verificare di
prima mano le possibili situazioni di esclusione, segregazione e privazione dei
diritti sanciti dalle convenzioni internazionali che riguardano i minori rom
nella città di Roma, facendo riferimento principalmente alla Convenzione sui
diritti dell'Infanzia siglata a New York il 20 novembre 1989.
L'indagine, iniziata il 1 luglio 2010 e conclusa il 15 settembre 2010, è stata
condotta con una ricerca sul campo, utilizzando alcuni strumenti dell'analisi
qualitativa quali l'osservazione diretta e le interviste in profondità. L'equipe
di ricerca è composta da un antropologo, un esperto di storia e cultura rom, una
mediatrice culturale, un esperto di diritti umani, un avvocato, un ingegnere e
una psicologa.
All'evento del 20 novembre, Giornata per i Diritti dell'Infanzia, che sarà
condotto dal direttore di Current Tv Davide Salenghe, saranno presenti numerosi
rappresentanti dell'associazionismo (tra cui non mancherà Amnesty International.
Sarà proiettato, infine, il bellissimo film documentario "Me sem rom".
Di Fabrizio (del 13/11/2010 @ 08:58:03, in Europa, visitato 1628 volte)
Presseurope Una settimana da rom 10 novembre 2010 ADEVĂRUL BUCAREST
Un giornalista si cala nei panni di uno zingaro per comprendere meglio il
"problema" che divide l'Europa. E scopre che il disprezzo per la diversità è
forte, ma la discriminazione è dovuta soprattutto alla povertà.
Cristian Delcea
Mai prima d'ora i rom erano stati tanto al centro del dibattito pubblico.
Quest'anno sono stati espulsi dalla Francia ottomila zingari romeni, anche se la
metà di loro vi ha già fatto ritorno. Quali speranze hanno di essere accolti in
Romania? Io ho cercato di scoprirlo indossando per una settimana i panni dello
zingaro-tipo: cappello, camicia variegata, giacca di pelle, pantaloni di
velluto. Mi sono lasciato crescere i baffi. La pelle scura l'avevo già,
grazie a dio.
Ho iniziato da Piazza dell'Università a Bucarest. C'erano alcuni studenti
ubriachi che si sono fatti beffe di me, gridandomi dietro quegli insulti
arci-noti nella lingua zigana: “mucles” (chiudi il becco!), “bahtalo” (buona
fortuna!), “sokeres” (come va?). Un tipo biondo grande e grosso mi ha scattato
qualche fotografia, poi ha fotografato le bottiglie allineate sul marciapiedi, i
cani, i mendicanti. Probabilmente, sul suo computer in Scandinavia la mia
fotografia sarà etichettata “spazzatura a Bucarest”.
Quella stessa sera, sul tardi, sono andato al Teatro Nazionale. La gente che mi
stava intorno non era in verità lieta della mia presenza, ma nessuno ha detto
nulla. Ho sentito le stesse risate di prima, provenienti da un gruppo di
giovani. Mi è sembrato che siano proprio loro i più cattivi verso gli zingari.
Ti ridacchiano sempre dietro le spalle. Può anche darsi che i loro sguardi
facciano più male ancora dell'occhiata crudele di Nicolas Sarkozy, il presidente
francese.
Vorremmo che gli zingari profumassero
Da noi ci sono campagne per l'integrazione e l'alfabetizzazione dei rom, ma non
ci sono campagne perché la gente eviti di ridere alle spalle di uno zigano per
strada. Ma questa non è discriminazione. Nessuno mi ha cacciato da un bar o da
un ristorante. Finché hanno incassato i miei soldi, mi hanno accolto a braccia
aperte. A esser vittima di discriminazione in Romania non sono gli zingari,
bensì i poveri.
Vorremmo che gli zingari profumassero e amassero l'arte, ma nessun datore di
lavoro vuole assumere uno zingaro. E senza soldi lo zingaro precipita nella
miseria, oppure cerca dei mezzi non convenzionali per procurarseli. Ho cercato
di ricorrere ai mezzi convenzionali, ho fatto tutto quanto era in mio potere per
farmi assumere. Ho consultato la pagina delle offerte di lavoro sui giornali per
operai non qualificati, lavamacchine, autodemolitori.
A telefono mi hanno detto che posti di lavoro ne avevano ancora, ma quando sono
arrivato alcuni mi hanno semplicemente detto “Vattene, zingaro!”, altri mi hanno
scacciato insultandomi e dicendo: “Non assumiamo più nessuno!” Perfino i
netturbini mi hanno respinto. La figlia del capo mi ha guardato dietro gli
occhiali e mi ha detto: "Non assumiamo. Non l'abbiamo mai fatto". Il che
significa, indubbiamente, che gli spazzini che si davano il cambio in cortile
devono essersi tramandati quel lavoro di padre in figlio.
Sulla strada
Pensavo, in ogni caso, che una certa solidarietà esistesse. Se non nella
popolazione, quanto meno tra automobilisti. Alla periferia di Bucarest ho forato
una gomma, più o meno di proposito. Ho trascorso più di tre ore sul ciglio della
strada, gesticolando, facendo segno agli altri automobilisti di passaggio di
aver bisogno di aiuto. Ho letto parolacce e ingiurie sulle labbra di alcuni.
Altri mi hanno suonato dietro il clacson ridendo. Uno ha perfino fatto finta di
venirmi addosso. Ero completamente solo. Centinaia di persone mi sono passate
accanto senza prestare soccorso. In quel preciso momento ho compreso perché gli
zingari si spostano in gruppo: se restassero soli morirebbero.
Alla fine si è fermata una vecchia Skoda Octavia. Ne è sceso un disgraziato
sulla cinquantina, che indossava una salopette sporca. Nei due minuti necessari
ad aiutarmi a sostituire la ruota, mi ha aperto il suo cuore: "Ti avevo visto,
due ore fa, quando mi avevi fatto segno di fermarmi. Ti ho guardato nello
specchietto retrovisore e mi sono pentito di non essermi fermato subito. Mi sono
ripromesso, se tu fossi stato ancora qui al mio ritorno, di fermarmi. Ecco:
credi che abbia fatto una buona azione?" A testa bassa gli ho risposto: "Sì,
signore".
Ripartendo per Bucarest mi sono fermato a fare benzina. Un impiegato della
stazione di servizio è uscito dal gabbiotto un po' impaurito e mi ha chiesto:
"Ti sei rifornito alla pompa 5?" No, alla pompa 4. Alla pompa 5 avevano fatto
benzina alcuni zingari a bordo di un'automobile dalle targhe gialle (quelle
temporanee delle automobili appena acquistate in Germania, difficili – per non
dire impossibili – da rintracciare). Avevano fatto il pieno e si erano
dimenticati di pagare. Mi sono voluto illudere che anche loro fossero
giornalisti alle prese con un esperimento giornalistico.
Questo articolo finisce dove è iniziato, in Piazza dell'Università. Credo di
aver concluso ben poco, di non aver trovato una soluzione al problema dei rom.
Come vuole la società che vada a finire per loro? Dopo essere stato trattato
come uno zingaro per sette giorni, oserei dire che la risposta l'ho trovata
sulla parete di una vecchia casa, dove qualcuno ha riportato un versetto del
vangelo (Giovanni 3,7): “Bisogna che voi siate generati di nuovo”. E in questo
caso non si tratta di una metafora. (traduzione di Anna Bissanti)
De Corato (Pdl): "Se cominciamo a dare le case ai Rom, ne arriverà un
milione". Salvini (Lega): "Nessuno fa politica nella Lega per dare privilegi a
chi vive nei campi".
Trascinata fino alle soglie della nuova campagna elettorale per le prossime
comunali, a Milano l'emergenza nomadi stenta a trovare una conclusione.
Nonostante i milioni di euro stanziati dal ministero dell'Interno, la
maggioranza di centro destra litiga sulle soluzioni.
Le ambizioni di Roberto Maroni si infrangono sui muri del più grande campo di
Milano, quello di via Triboniano, dove l'assegnazione di alcune case comunali ha
fatto insorgere Lega e Pdl. Il Comune fa marcia indietro, ma i contratti ci
sono, e i Rom portano Maroni e la Moratti in tribunale.
A proposito:
Nell'ambito della campagna DOSTA! di Milano
12 novembre - ore 18-20.30 Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, via Romagnosi
3 MILANO "Rom: a Milano si può? Politiche abitative (e altro): soluzioni possibili" Saluti: Carlo Feltrinelli presidente della Fondazione Giangiacomo
Feltrinelli
Introduzione: un esponente dell'UNAR; Alfredo Alietti, Upre Roma, docente di
sociologia università degli studi di Ferrara
Testimonianze: don Massimo Mapelli, Casa della Carità; abitanti dei campi;
Interventi: Laura Balbo, docente di sociologia università degli studi di Padova;
Antonio Tosi, docente di sociologia urbana al Politecnico di Milano; Tommaso
Vitale, Scientific Director of the Master "Governing the Large Metropolis" CEE,
Sciences Po Paris
E' stata invitata Mariolina Moioli, assessore alle politiche sociali Comune di
Milano.
Di Fabrizio (del 12/11/2010 @ 09:58:11, in scuola, visitato 1677 volte)
Ricevo da Stefano Nutini
Buongiorno a tutte/i,
dopo il finanziamento di tre borse lavoro, abbiamo deciso di finanziare tre
borse di studio.
I beneficiari sono tre ragazzi: Ovidiu, Marian e Belmondo, che abbiamo
conosciuto perché i loro fratelli più piccoli frequentano (o hanno frequentato)
le scuole di Rubattino.
Ovidiu, 15 anni, e Marian, 16 anni, frequentano dal 2 novembre 2010 la scuola
bottega dell’EINAIP di Pioltello: ci sono laboratori di alfabetizzazione e
socialità e molti laboratori di formazione (cucina, carpenteria, meccanica…), da
frequentare per 4 pomeriggi alla settimana. Quando gli educatori ritengono che i
ragazzi siano pronti, li inseriscono in un tirocinio. Per Marian, che ha già
ottenuto la licenza media al CPT, il percorso di apprendimento dovrebbe essere
abbastanza breve e dovrebbe essere inserito rapidamente in un tirocinio. Ovidiu
avrà tempi più lunghi: da due anni non va più a scuola e un tentativo di
inserirlo alle medie è fallito.
Belmondo, 16 anni, sempre dal 2 novembre 2010 sta frequentando un corso di
scuola bottega (in particolare di meccanica della bicicletta) presso le Vele di
Pioltello. E’ inserito in un gruppo di lavoro ristretto (si tratta infatti di
6/7 ragazzi) e questo consente di fare un corso molto intensivo. Tra l’altro
anche la frequenza è molto impegnativa: fino a giugno tutti i giorni dalle 9
alle 17, eccetto il lunedì mattina. Per Belmondo sarà una vera rivoluzione:
dalla quarta elementare non va più a scuola e il suo italiano è piuttosto
stentato.
Ovidiu da qualche tempo ha una situazione più stabile: vive in una casa di
assegnazione provvisoria e suo padre lavora come muratore. Marian e Belmondo
invece “abitano” all’interno di campi irregolari.
I corsi che stanno frequentando sono gratuiti: noi copriamo per tutti e tre i
ragazzi il costo dei trasporti (abbonamento ATM e treno) e a due di loro
assegniamo anche un contributo mensile di 100€ ciascuno per sostenere questo
percorso.
Il contributo della Comunità di S Egidio è stato fondamentale, in particolare
per l’individuazione dei corsi più adatti e per il lavoro svolto insieme agli
educatori dell’EINAIP e delle Vele affinchè questi corsi possano avere la
maggior efficacia possibile.
Di nuovo grazie a tutte/i Le mamme e le maestre di Rubattino
Sono Rom e provengono dal medesimo povero villaggio in Romania. Ora sono a
Copenhagen suonando l'armonica per i passanti. Catalin Tudorache e Puiu Toader
fanno quello che possono per racimolare abbastanza soldi per le loro famiglie a
casa - By Simon Ankjaergaard
Come per molti altri Rom, la vita in Romania è sempre stata una lotta per
Catalin e Puiu. Uno stipendio medio non basta a sostenere una famiglia. In
quanto Rom, sei automaticamente al livello più basso nella gerarchia sociale. La
scelta tra un lavoro instabile per 3 o 4 sterline all'ora o il più basso assegno
sociale di circa 1,70 sterline, sono ben lontani da coprire le spese per cibo,
vestiti, gas ed elettricità. Non bastano neanche a pagare l'istruzione, cruciale
ai bambini rom per rompere la spirale negativa e costruire una vita migliore per
loro stessi.
Sei anni fa, Catalin e Puiu decisero di lasciare la povera casa nel
villaggio di Mârgineanu, 50 km. a nord-est di Bucarest, per tentare la fortuna
fuori dalla Romania. Con gli ultimi soldi comprarono un biglietto d'autobus,
destinazione Copenhagen.
Da allora, hanno viaggiato avanti e indietro tra la capitale danese e
Bucarest. Tre o quattro mesi in Danimarca, un mese in Romania. E non sono i
soli. L'autobus del ritorno è sempre pieno di Rom poveri. Qualcuno ha racimolato
solo i soldi per il biglietto. Altri hanno contratto debiti con usurai locali
con l'ordine di non mostrarsi in Romania fin quando non avranno guadagnato
abbastanza da cancellare il proprio debito.
Pagamenti illegali
"Per sei anni, abbiamo vissuto in questo modo, ma non è diventato più facile.
Ogni giorno è ancora una lotta", dice il trentenne Catalin, che ha lasciato in
Romania una moglie ed un figlio di tre anni.
Pone la sua armonica in grembo e si accende una sigaretta. Nella luce fioca
sotto il ponte della stazione Noerrebrola gente è come un flusso uniforme.
Inspira e sorride a più gente che può. Servizio Clienti. Forse gli getteranno
una o due monete nella giacca stesa a terra la prossima volta che passeranno.
Oggi ha guadagnato 55 corone (£6.20). Più in là in Frederikssundvej, dove il
quarantatreenne Puiu lascia che i brani di "Somewhere Over the Rainbow"
soddisfino i clienti del supermercato, il reddito della giornata è di 30 corone
(£3.40).
"Il nostro reddito dipende dal clima e dalla stagione", dice Puiu. "Quando
piove, guadagniamo quasi niente, perché la gente è troppo occupata a cercare di
evitare la pioggia." Suonare l'armonica è l'occupazione principale dei due
amici, che però sono più contenti quando ottengono qualche lavoro occasionale.
"Ci pagano illegalmente, così non posso dire per chi lavoro. Significherebbe
non lavorare più per lui," dice Puiu, che deve racimolare i soldi per sua moglie
e tre bambini. "Talvolta sono altri Rumeni che ci raccomandano. Altre volte,
sono i capi del commercio che ci trovano per strada e chiedono se vogliamo
aiutarli. A volte Danesi, altre volte stranieri", dice.
In quel momento, d'improvviso Puiu smette di parlare e si sbraccia
entusiasticamente verso un uomo in tuta da jogging all'altro lato della strada.
"E' l'Arabo", dice con un gran sorriso.
"E' mio amico. Ha assunto sia Catalin che me diverse volte. Abbiamo costruito
un muro per lui ed anche altre cose. A volte ci paga bene, perché sa che il
denaro va alle nostre famiglie. E mi ha dato questa. Gratis." Puiu indica
l'armonica.
L'Arabo zigzaga lungo la strada e stringe calorosamente la mano di Puiu. Puiu
lo interroga sulle prospettive di lavoro. L'uomo scruta pensieroso e sembra non
promettere troppo. Alla fine si stringe nelle spalle. "Forse. Ho il vostro
numero di cellulare, Puiu. Ti chiamerò."
"E' mio amico," ripete Puiu e lo segue con gli occhi mentre l'altro si
immerge nuovamente nella via trafficata. "E' per lui che possiamo prendere
l'autobus per Copenhagen e per tornare."
Oltre a lavorare come muratori, Catalin e Puiu hanno montato controsoffitti
in cartongesso e fatto lavori di pulizia. Il pagamento avviene sempre in
contanti. Non dispongono di conti bancari e i loro principali non intendono
informare le autorità fiscali. I salari variano da poche centinaia di corone a
qualche migliaia, dipende dalla quantità di lavoro. Sanno perfettamente di
essere scelti per un lavoro soltanto perché sono a buon mercato. Ma non importa:
anche uno stipendio ben al di sotto del minimo salariale danese può fare
meraviglie per le famiglie a Mârgineanu.
Puiu ripone l'armonica, accende un'altra sigaretta e ingoia una pillola per
l'ulcera. Agita lo sporco tubetto delle pillole. "Mi costano 500 corone (£56.20) al
mese. Devo prendere sei pillole al giorno. L'ulcera è peggio dei miei calcoli
renali," dice. Scuote le spalle e si avvia verso il rifugio di Catalin. Sono due
km. e mezzo di strada. Il biglietto dell'autobus è troppo caro.
Senza tetto
Catalin accoglie Puiu con un sorriso. Conosce la routine. Il lavoro ora, come
ogni giorno, è di immaginare dove andranno a passare la notte. La notte scorsa
hanno dormito da un amico rumeno, ma stanotte non c'è spazio. Sono tornati a
Copenhagen in 50 dal villaggio, e così hanno iniziato a telefonare e cercare di
trovare un tetto sopra la testa prima che scenda l'oscurità. Spesso la risposta
è negativa -come oggi. Altri sono arrivati prima di loro.
Puiu e Catalin restano insieme. Tendono a rimanere isolati dal resto della
popolazione rom il più possibile. Non vogliono unirsi al grande gruppo di Rom
che si accomodano nei campi o nelle fabbriche abbandonate. Hanno paura di finire
negli arresti di massa, come quello di Copenhagen lo scorso luglio, quando la
polizia ha sgomberato un campo e una fabbrica. 23 Rom sono stati deportati.
Invece si spostano verso l'area di Amager - in metropolitana, ma senza
biglietto. Risalgono e camminano in un parchetto. Qui è dove dormono se non
hanno la fortuna di trovare sistemazione da amici. Hanno scelto un boschetto,
nascosto lontano dalle panchine piene di graffiti e dai sentieri. Con le teste
appoggiate sulle loro piccole borse sportive, parlano tra loro con calma finché
non sono interrotti dalla vibrazione del cellulare di Catalin. Al telefono c'è
sua moglie. Ha bisogno urgente di soldi. Catalin deve deluderla. Ha soltanto 400
corone (£45), così ci vorrà molto tempo prima che possa tornare a casa. Ma Puiu
dovrà aspettare anche di più. Tira fuori 80 corone (£9) dalla tasca. Sono tutti
i suoi averi.
"Non possiamo tornare a casa finché non abbiamo almeno 2.000 corone (£225) in
contanti per la famiglia," dice Catalin con un sospiro. "Durante un buon mese,
possiamo guadagnare fino a 2.500 corone (£280), ma dobbiamo togliere 1.000
corone (£110) per cibo e sigarette. E dobbiamo considerare che il biglietto del
bus per il ritorno costa 1.000 corone."
Spesso ci vogliono tre o quattro mesi perché i due abbiano abbastanza soldi
per tornare a casa dalle loro famiglie. E dopo, occorre un altro mese per
guadagnare denaro per un nuovo viaggio in autobus sino a Copenhagen. Di solito
cercano di trovare lavoro come manovali, ma spesso i posti di lavoro sono presi
da manodopera a basso costo proveniente da paesi ancora più a est.
La soluzione finale è di affidarsi agli strozzini. E con loro, parte la
spirale del debito. "Ho avuto diverse volte in prestito i soldi del biglietto
del bus," dice Catalin. "Quel debito dev'essere pagato ed è per questo che devo
guadagnare di più quando sono in Danimarca. E poi ci vuole più tempo prima che
possa rivedere mio figlio e mia moglie," sospira.
Sente di trascurare la sua famiglia con le sue lunghe assenze, ma Puiu non è
d'accordo. Può darsi che il loro cuore appartenga a Mârgineanu, ma è la
necessità che li ha spinti in Danimarca. Puiu pone la domanda retorica:
"Cos'altro dovremmo fare? Non possiamo guadagnare abbastanza in Romania da
provvedere alle nostre famiglie e pagare l'istruzione dei figli. Non è
negligenza. E' una necessità."
Schiocca l'indice destro nel palmo della mano per sottolineare l'argomento.
"Se ne avessi la possibilità, certo che starei in Romania. Ma è impossibile.
Fintanto che la Romania rimarrà povera, viaggeremo verso i paesi più ricchi per
far soldi. E' così semplice."
Dopo la nostra conferenza stampa di ieri, abbiamo letto i commenti che il
vicesindaco De Corato ha dedicato alla denuncia che in quell'occasione abbiamo
presentato. Notiamo per prima cosa che non c'è un punto, nelle sue
dichiarazioni, che smentisca le fattispecie sollevate nella denuncia, ossia
– lo ripetiamo – l'abuso d'ufficio (anche con l'utilizzo di ingenti soldi
pubblici solo per gli sgomberi senza progetti di accompagnamento ed
integrazione), i danneggiamenti a beni di proprietà (con l'intervento delle
ruspe e la distruzione di ogni bene), l'interruzione di pubblico servizio (nello
specifico, l'interruzione della frequenza scolastica).
Il vicesindaco dichiara che è sempre stata osservata la
correttezza delle procedure; lo smentiamo, sulla scorta anche dei più recenti
sgomberi. Lo dimostrano:
- le procedure ultimative: sgombero intimato solo a voce con rudezza e
intimidazione all'alba o a tardo pomeriggio, nell'incombere dell'imbrunire,
senza preavviso, in presenza di maltempo con pioggia o neve;
- l'assenza dei funzionari dei servizi sociali, negli ultimi episodi, malgrado
il fatto che appunto i ripetuti censimenti e controlli effettuati sul microcampo
Cavriana-Forlanini avessero rilevato la presenza di minori anche di pochi mesi;
- continuiamo a pensare che quella della frattura del nucleo familiare (madri
e bambini da una parte e padri per strada) non sia la soluzione; in una
Milano che celebra in questi giorni, in un apposito evento, la sacralità della
famiglia, suonano stonati questi interventi che dal legame familiare
prescindono.
Rifiutiamo con forza la designazione del nostro gruppo come facente parte
di "associazioni pseudobuoniste" che "non hanno di meglio da fare" che indulgere
al "can can mediatico".
Noi qualcosa di meglio lo abbiamo da fare, e sta nel nostro impegno
quotidiano di cittadini e cittadine, nell'affiancamento a queste storie
difficili ma ricche, nel tentativo arduo di forzare gli ostacoli che si
oppongono a una piena socializzazione di questi soggetti, nell'esigere diritti e
prestazioni pari a ogni altro cittadino di questa città (scuola, servizi,
salute, casa), nella ricostituzione paziente di un ambiente vitale dopo che ogni
effetto personale è stato regolarmente degradato a "spazzatura". Non c'è nulla
di spettacolare in tutto ciò; si tratta invece di un laboratorio di cittadinanza
sociale, che dovrebbe stare a cuore alle autorità.
Il "can can mediatico", invece, imperversa ai danni di queste fasce di
popolazione come su altre (i migranti, ma non solo), identificate come "capri
espiatori" di una crisi e di una sua gestione politica in senso autoritario.
Non siamo affezionati al fatto che, come afferma il vicesindaco, chi vive in
questo come in altri campi scorrazzi "tra amianto, topi e quintali di rifiuti";
a parte il fatto che questo richiama lo stato di tante aree dimesse, lasciate a
marcire in attesa d'interventi speculativi, non possiamo accettare che le
autorità pensino che chi ci vive abbia piacere di condurre la sua esistenza in
questi ambienti.
Il vicesindaco sa bene - avendolo ascoltato di persona dalla viva voce di due
donne abitanti di questo campo, in un'assemblea in piazza Ovidio, dell'aprile
del 2009, che hanno preso la parola e non sono rimaste nascoste - quanto sia
avvilente per un essere umano e il suo ambito di affetti vivere in non-luoghi
degradati; quelle due donne ebbero il coraggio di venirlo a dire davanti a una
platea che le ascoltò muta e attenta, e che si sentì dire che la "sicurezza"
di cui tanto si ciancia parte per prima cosa dalla dignità del proprio vivere e
lavorare in una società e in un ambiente non ostile, se non solidale.
Insostenibile è poi l'affermazione secondo cui agli insediamenti di nomadi
si correlino immediatamente e immancabilmente "la criminalità predatoria e il
degrado"; in due anni di affiancamento continuo non abbiamo mai avuto segnali
anche lontani di criminalità, né sono dimostrabili in nessun modo. In queste
affermazioni categoriche risuona un pregiudizio razzista che è quello che
abbiamo ravvisato in molti comportamenti posti in essere dai decisori politici
di questa città e che abbiamo esposto nella nostra denuncia.
Milano, 10 novembre 2010 Gruppo Sostegno Forlanini e genitori di Rubattino firmatari della
denuncia
COMUNICATO STAMPA Conferenza stampa di presentazione della denuncia nei confronti del Sindaco e
del ViceSindaco protagonisti dei ripetuti sgomberi dei campi rom a Milano
Milano, 9 novembre 2010 - Questa mattina nella Sala Stampa del Tribunale
di Milano è stata illustrata la denuncia penale presentata da 39 cittadini
presso la Procura della Repubblica nei confronti del Sindaco di Milano Letizia
Moratti e del Vice Sindaco di Milano Riccardo De Corato su iniziativa dei
volontari del Gruppo di Sostegno Forlanini.
La denuncia è stata sottoscritta dai volontari del Gruppo di Sostegno
Forlanini e da alcuni genitori che seguono le famiglie Rom di Rubattino, oltre
che da alcuni rappresentati del mondo politico e culturale milanese attivi sotto
diversi aspetti per la difesa dei diritti umani e delle minoranze.
Stefano Nutini, Fiorella D'Amore e Paolo Agnoletto - volontari del Gruppo
Sostegno Forlanini - nel presentare l'iniziativa hanno condannato "la volontà
persecutoria di questa Amministrazione nei confronti della popolazione Rom, con
gli oltre 360 sgomberi di campi Rom senza alcuna alternativa abitativa (14
sgomberi solo del campo Rom Forlanini / Cavriana), e gli oltre cinque milioni di
euro spesi per gli sgomberi, in assenza totale di progetti di accompagnamento ed
integrazione (…) Gli sgomberi avvengo spesso alla mattina presto, con qualsiasi
tempo atmosferico, gli abitanti del campo – adulti, anziani malati e bambini
anche di pochi mesi - vengono identificati , denunciati ed allontanati; subito
dopo intervengono le ruspe che distruggono le baracche, le tende e tutti quei
poveri beni che gli abitanti del campo non sono riuscisti a portarsi dietro nel
loro ennesimo esodo".
E' quindi intervenuto un Rom che abitava uno dei campi ripetutamente sgomberati:
"voglio rimanere qui perché solo così posso garantire a mio figlio di
proseguire la scuola .. ieri sera ero con mio figlio lungo la strada sotto il
lampione a vederlo finire i compiti … ma ogni volta che ci sgomberano è sempre
più difficile .. finirà che sarò costretto a mettere una tenda davanti alla
scuola … "
I volontari del Gruppo Sostegno Forlanini - che opera in Zona 4 da oltre due
anni - hanno poi ribadito: "dopo ogni sgombero continueremo a garantire ai
nostri amici Rom beni essenziali, quelle poche cose a cui ogni volta questi
dannati della terra devono rinunciare; torneremo a portare tende, coperte,
farmaci e cibo e quant'altro possa servire .(…) perché i 'loro' diritti sono i
'nostri' diritti" …"In questi anni abbiamo scelto di incontrare queste volti,
queste persone, di costruire con loro rapporti di vicinanza, sono i nostri nuovi
vicini di casa; abbiamo cercato di costruire dei rapporti di fiducia superando
diffidenze e magari anche incomprensioni o paure reciproche" …"Siamo
semplicemente dei cittadini che hanno scelto di vivere il loro ruolo di
cittadinanza attiva per costruire una città più vivibile e quindi più sicura
per tutti perché più accogliente, una città che deve tutelare i diritti di
tutti al di là di appartenenze etniche e culturali"
Francesca Federici e Lorenzo Mandelli del gruppo di Genitori che affiancano le
famiglie Rom di Rubattino hanno dichiarato "Noi - maestre, genitori e
cittadini - siamo giunti a presentare questa denuncia come estremo tentativo di
salvaguardare quello che è un diritto inalienabile: il diritto all'istruzione,
l'unica possibilità per questi bambini di poter pensare ad un futuro diverso. Un
diritto che viene continuamente messo in forse e negato dai continui sgomberi. I
bambini senza diritto di istruzione sono bambini privati anche del diritto di
sapere che si può vivere diversamente".
Elena Guffanti del Gruppo Sostegno Forlanini ha raccontato "grazie ad una
attività di mediazione e facilitazione quest'anno siamo riusciti ad iscrivere in
una scuola elementare della zona un bambino del campo. Nonostante i continui
sgomberi il papà e la mamma cercano con umiltà di garantire un futuro al loro
unico figlio accompagnandolo ogni giorno a scuola. .. Quando la mamma
mostrandomi l'orario delle materie di insegnamento mi ha chiesto cosa
significasse ' Educazione alla convivenza civile' ho provato imbarazzo e
vergogna, lo stesso Stato che pretende di insegnare questi principi, nei
confronti dei Rom mette in pratica solo segregazione ed emarginazione (…).
Nel corso della conferenza stampa è stato anche ricordato che "ai bambini
Rom, in quanto 'non residenti' il Comune non garantisce la mensa scolastica, per
poter usufruire del servizio devono infatti pagare la quota della fascia massima
pari ad €. 680,00; mentre ai ragazzini Rom che frequentano la scuola media non
viene dato il 'buono' per l'acquisto dei libri che pertanto devono essere pagati
interamente dalla famiglia".
L'avv. Gilberto Pagani l'avv. Anna Brambilla hanno illustrato i punti essenziali
su cui si fonda la denuncia: "Il comportamento tenuto dagli amministratori
comunali viola apertamente le leggi esistenti, che prevedono misure destinate
all'integrazione delle popolazioni Rom e Sinti. Al contrario il Comune di Milano
utilizza risorse ingentissime al solo scopo di rendere la vita di queste persone
insostenibile e di indurle così a lasciare la città. Questa è l'invocata
soluzione definitiva del problema dei Rom, che non solo è disumana ma configura
gravi reati, in particolare l'abuso d'ufficio, l'interruzione di pubblico
servizio (fine del percorso scolastico per decine di bambini e ragazzi) e la
distruzione dei beni delle famiglie sgomberate."
[...]
Per il Gruppo di Sostegno Forlanini Paolo Agnoletto - cell. 333.8611303
Elena Guffanti - cell. 347.7179254 scendiamoincampo@gmail.com
Avv. Gilberto Pagani – cell. 347.2257078
Rassegna stampa (aggiornata 9 novembre 2010 ore 20.30):
con qualche confusione tra Vittorio e Paolo Agnoletto...
e per finire...
ROM, DE CORATO: "SU SGOMBERI SEMPRE SEGUITE PROCEDURE CORRETTE" by Omnimilano
"Sono serenissimo". Così il vicesindaco, Riccardo De Corato, ha commentato la
denuncia depositata questa mattina da 39 cittadini guidati dal Gruppo di
Sostegno Forlanini, nei confronti del sindaco, Letizia Moratti, e del
vicesindaco, per i reati di abuso di ufficio, interruzione di servizio pubblico
e danneggiamento, nel corso degli sgomberi dei campi rom e in particolare di
quello di via Rubattino.
"Abbiamo sempre seguito tutte le procedure corrette - ha spiegato De Corato -
tanto che diamo sempre un'alternativa a donne e bambini, che alcune volte
accettano e altre volte no". La denuncia è stata sottoscritta dai volontari e
dai genitori che seguono le famiglie rom.
"Non hanno di meglio da fare, queste denunce servono solo ad alimentare il
can-can mediatico", ha aggiunto il vicesindaco, che ha ricordato che quella
depositata questa mattina e' la terza denuncia arrivata in poco più di un anno e
mezzo. Come spiegato da De Corato, le altre due denunce riguardavano lo sgombero
del campo di Chiaravalle, "per cui fu tutto archiviato", e per il censimento
avviato con la Prefettura, "archiviata anche quella".
Di Fabrizio (del 09/11/2010 @ 09:59:16, in Europa, visitato 1610 volte)
Segnalazione di Sarci Lm
(clicca per vedere le foto)
Tra nostalgia e miseria, ostacolati da criminalità e discriminazione, i
gitani di Mosca faticano ad integrarsi nella società moderna. Russia Oggi è
andata a trovarli
Ve lo dico io: il problema degli zingari, è che non ce n'è uno che lavori".
Un giovane poliziotto russo sta visitando il villaggio rom di Possiolok
Gorodishy, a circa 150 km da Mosca. Uniforme con giacca di pelle, capelli corti
biondi e occhi chiari, assume un'aria sarcastica nel dire la sua a Georgij Šekin,
alias Yalush in lingua rom, che lavora per l'organizzazione interregionale russa
in difesa dei rom, e al vecchio Gendar, l'anziano del villaggio.
Gendar si difende fischiando tra i denti che gli mancano mentre il poliziotto se
ne sta andando: "I gitani non sono istruiti, ecco perché non trovano lavoro
nella società di oggi".
Gendar è il baro, ossia "l'anziano" del villaggio. In questo tabor (parola
antica per "accampamento") nella regione di Vladimir vivono gitani del gruppo
etnico dei Caldarari, uno di quelli che ha meglio conservato i propri usi e
costumi; erano tutti nomadi nel 1956, quando l'Unione Sovietica ha costretto gli
zingari a insediarsi in modo sedentario. I Caldarari, originari dell'Europa
orientale, erano per tradizione mercanti di cavalli o mastri ferrai. In seguito
all'avvento del comunismo alcuni di loro hanno convertito le loro attività in
aziende nel settore del riscaldamento. Ma qui, nel villaggio, nessuno ha avuto
successo. "Non facciamo niente tutto il giorno. Stiamo ad aspettare che il tempo
passi". Una dozzina di uomini vestiti di scuro con giacche di pelle sta in piedi
con le mani in tasca. Dietro di loro corre la ferrovia che costeggia il tabor,
fatto di case in legno allineate lungo la strada centrale, secondo la tradizione
russa. Continua Gendar : "I pochi che hanno la macchina lavorano occasionalmente
come fuochisti e riescono a sfamare la famiglia. Ma quelli che non hanno una
macchina? Beh, rubano. È semplice, per i bambini".
Entriamo in casa di Gendar. "Tutto quello che c'è di bello qui dentro risale al
comunismo. In quel tempo non c'erano né poveri né ricchi", racconta con
rimpianto. "Quando non si aveva un lavoro si percepiva una disoccupazione". I
muri sono tappezzati con lo splendore dell'epoca sovietica esaltato da tendaggi
rosa e gialli, e i divani sono rivestiti con teli dai colori vivaci. Adagiata su
un divano la madre, in abito blu, fuma e mostra un sorriso sicuro. "Vuoi vedere
il filmato del matrimonio di mia nipote ?". Una bella ragazza di quindici anni
fa una ruota con la sua gonna arancio e fa tintinnare le medaglie di cuoio:
seguo la scena con la coda dell'occhio mentre la donna porta il tè, il burro e
dei funghi marinati. "Dimenticavo… vedi, non abbiamo più corrente".
Pur non rappresentando più, in Russia, una popolazione nomade, l'inoperosità dei
gitani è legata alla loro mancata integrazione nel sistema economico moderno,
urbano e concorrenziale. Sin dai tempi del comunismo alcuni gruppi rom, in
particolare i "Russka Roma", che sotto il regime zarista cantavano per i nobili
e che oggigiorno sono il gruppo più integrato, si erano specializzati nel
commercio di contrabbando, allora attività di nicchia. All'epoca le merci erano
ridotte. Si trattava di un'attività illegale ma non criminale. "Ma in seguito
alla Perestrojka in tutte le nazioni russe si è iniziato a commerciare e i
gitani, per lo più analfabeti, non sono stati al passo", questa la spiegazione
di Marianna Seslavinskaya, una dei dirigenti dell'unione interregionale russa in
difesa dei rom, Roma Union.
Marianna Sleslavinskaya e il marito, Georgij Tzvetkov, vedono nell'istruzione
dei gitani una priorità assoluta per l'integrazione della cultura rom. Entrambi
lavorano in un laboratorio di ricerca presso l'Istituto governativo di lingue di
Mosca, ma i mezzi a loro disposizione sono davvero scarsi: sono solo due per
tutto il territorio russo, su cui si stima la presenza di un numero di gitani
tra i 180.000 e i 400.000. "Non siamo circoscritti a una regione, come la
maggior parte delle minoranze in Russia e nessuno si occupa di finanziare la
trasmissione della nostra cultura. Ai bambini rom che vanno a scuola a sei anni
viene insegnato il russo come se fosse la loro lingua madre, mentre loro parlano
la lingua rom". Nel 1927 le autorità avevano avviato un programma di
insegnamento per i nomadi, ma Stalin l'ha revocato nel 1938 come preludio alla
sua campagna anti-cosmopolita.
Continua Marianna: "È necessario un programma che insegni ai gitani inizialmente
la loro lingua e, in seguito, la cultura russa. Perché un gitano che perde la
sua cultura non può nemmeno diventare un vero russo. Si trasforma in un escluso.
Istruire i rom salvaguardando la loro identità è l'unica soluzione possibile per
far sì che si adattino alla società attuale. Così potranno trovare lavoro senza
essere ostacolati da problematiche identitarie né cadere nella povertà e nella
criminalità".
European CityRuolo della scena artistica ad Ostrava nel perpetuare gli
stereotipi "Rom", by Kathrin Buhl(1)
Premessa:Questo articolo riguarda la mutua relazione tra gli
stereotipi persistenti e l'esperienza vissuta dei Rom ad Ostrava. L'autrice
esamina aspetti della scena artistica alla ricerca di quale particolare
dimensione sociale contribuisca o si discosti dagli stereotipi, ed in che misura
i componenti delle comunità rom siano coinvolti nel processo della creazione
artistica. Un punto chiave è che quando la popolazione non-Rom presenta i Rom
nell'arte, il prodotto si afferma come arte. Ma quando i Rom, "l'oggetto"
dell'arte, sono attivamente coinvolti nel processo di creazione artistica,
appaiono maggiormente il rifiuto e la discriminazione. Questo paradosso
esistente rivela un meccanismo attraverso il quale vengono mantenuti nei
discorsi pubblici e nelle arti il razzismo e la discriminazione.
La storia dei membri delle comunità rom in Europa(2) è
stata caratterizzata per secoli da persecuzioni, discriminazioni ed esclusione
sociale. Vivendo ai margini della società, in molte nazioni il quadro "dei Rom"
incontra uno stereotipo comune che differisce solo leggermente da regione a
regione. Conosciuti come "Gypsy", "Zigeuner", "Gitans" o "Cíngaros", per molti
questi termini evocano quadri di persone scure in abiti colorati che
continuamente danzano e suonano di fronte alle loro carovane. Ma oltre a queste
spesso distorte immagini romantiche, gli "zingari" sembrano anche avere una
vasta gamma di esperienze sociali negative, come povertà, senza fissa dimora e
criminalità.
Ostrava, come pure un gran numero di altre città nella Repubblica Ceca, ha
una numerosa popolazione rom. Con quasi 320.000 abitanti, la città
post-industriale è la terza città della Repubblica Ceca, ed ha una popolazione
rom stimata tra i 20.000 e i 30.000 abitanti(3), pochi - anche
se il numero non è certo. Questo perché molti di origine rom che vivono ad
Ostrava non intendono identificarsi pubblicamente come tali, ma invece si
considerano e si dichiarano pubblicamente come Cechi. Questo fatto sfida i tempi
"moderni", un periodo apparentemente caratterizzato da democrazia, leggi
anti-discriminazione, la retorica dei diritti umani, ed il molto lodato
arricchimento della popolazione con "diversità" culturale ed un'aperta
conversazione con la storia, si senta ancora la necessità di nascondere le
proprie origini.
Una ragione per cui molti Rom non possono identificarsi come appartenenti
alle comunità rom è che spesso incontrano il rifiuto o la discriminazione nelle
società in cui vivono. Nel passato recente ci sono stati ripetuti esempi di
brutalità contro le famiglie rom, da parte di sconosciuti e talvolta (nei casi
diventati pubblici) da parte della polizia, in tutta Europa. Ma i membri della
comunità rom non sono esclusi dalla società maggioritaria tramite la sola
violenza, o l'aperta discriminazione e le offese. Ci sono anche ragioni più
profondamente radicate per cui i gruppi etnici continuano ad essere socialmente
esclusi(4).
In quanto tale, ritengo che nelle società sia nascosto un sofisticato sistema
di discriminazione che nasconda come lavori o avvenga su base giornaliera la
discriminazione dei componenti delle comunità rom. Tra l'altro, lo scopo di
questo articolo è dimostrare questa tesi. Ciò che farò sarà presentare alcuni
esempi che possano servire a sostanziare la mia affermazione. Questi esempi
offrono modi suggestivi di avvicinarsi alle più ampie - e più difficili da
risolvere - questioni sociali, quali il perché quel popolo con origini
differenti non sia in grado o sia incapace di diventare parte integrata della
società, nonostante le politiche sociali in atto. O, per dirla differentemente,
come le diverse dimensioni della società contribuiscano a perpetrare le
diseguaglianze esistenti tra i gruppi sociali.
Mi avvicino alle questioni con una ricerca nel settore artistico di Ostrava e
come si leghi alla comunità rom. Mi chiedo se ed in quale misura le arti, che
tradizionalmente hanno ricoperto il ruolo di rappresentare le rivendicazioni dei
popoli e dar loro una voce, accendano una luce sulla situazione dei Rom da
prospettive insolite o differenti. Per fare questo, ho tenuto la traccia di
mostre che hanno affrontato ad Ostrava varie questioni dall'anno 2002(5).
Ho trovato che rispetto alla relativamente ricca scena artistica e culturale
di Ostrava, l'arte connessa a "questioni rom" è sottorappresentata. Da un lato,
ciò si applica all'arte "su" o "circa" i componenti delle comunità rom, e
dall'altra all'arte nei cui processi creativi sono coinvolti gli stessi Rom in
quanti artisti, consulenti o registi. Dato che i Rom costituiscono quasi un
decimo della popolazione totale di Ostrava, diventa particolarmente urgente la
ragione di questa sottorappresentazione.
Mentre raccoglievo materiale da esaminare, ho parlato con persone collegate
in differenti contesti con membri delle comunità rom. Tra gli altri, inclusa la
preside di una scuola pubblica, dr. Soňa Tarhoviská, ed un'insegnante, Blanka
Kolářová, della stessa scuola "Církevní základní škola a mateřská škola Přemysla
Pittraand". Con 300 bambini iscritti, di cui solo due non sono rom, la scuola è
unica nel suo concetto artistico pedagogico. Dato che la scuola serve una
comunità che sotto molti aspetti è socialmente svantaggiata, la scuola, sin da
quando è stata fondata nel 1993, ha ospitato o partecipato a diversi progetti
artistici, che vanno dalla pittura alle produzioni teatrali, o spettacoli di
musica e danza.
Poiché il raggio d'influenza della scuola ed il gruppo coinvolto dall'arte
prodotta dai bambini non è il grande pubblico ma le famiglie degli alunni, non
fa parte dell'auto-concezione della scuola di contribuire a formare l'opinione
pubblica sui Rom. Secondo Blanka
Kolářová i progetti artistici, di cui una decina finanziati dalla città o
dall'Unione Europea, hanno più lo scopo di aiutare i bambini invece che dar loro
la possibilità di esprimersi. Un secondo e forse più importante obiettivo dei
progetti artistici è che i bambini, che nei progetti presentano le vite delle
loro famiglie, imparino di essere accettati come figli di famiglie rom. Secondo Blanka
Kolářová, la maggior parte dei bambini si vergogna di se stessi e di essere
parte di famiglie rom. I progetti artistici servono come approccio nel trattare
il concetto di identità e a sviluppare l'accettazione sino ad un certo grado di
autostima.
La scuola non solo si comprende come un contributo al lavoro esplicativo
rivolto ad una sfera di pubblico più vasta. Diventa invece evidente che il suo
approccio si basa sul livello base per un miglioramento dei bambini interessati
e delle loro reali situazioni familiari.
Poiché la scuola non raggiunge il pubblico, la risposta non è esattamente
valutabile. Però la preside stima che, se raggiungessero il pubblico coi loro
progetti, la risposta sarebbe positiva. Sono conclusioni tratte dalle reazioni
del pubblico alle esibizioni dei bambini nelle tradizionali danze e musiche rom
che hanno avuto luogo ad un festival annuale di Ostrava.
Ci fu una motivazione simile nell'aiutare le famiglie dei bambini a
sviluppare e rafforzare il senso di autostima e identità, secondo il direttore
del teatro "Divadlo Jiřího Myrona". Ha fatto recitare i figli delle delle
famiglie rom colpite dall'inondazione di Ostrava nel 1997 per l'esecuzione del
musical "AIDA". La risposta del pubblico fu, come riportata dai media,
abbastanza buona.
In passato, ci sono stati progetti artistici che in qualche modo hanno
coinvolto membri delle comunità rom, non solo come soggetti delle opere
artistiche, ma soprattutto come designer attivi delle mostre o degli spettacoli.
In questi progetti, la risposta del pubblico è stata differente da quella
dei progetti in cui i Rom (soprattutto bambini) hanno partecipato in quanto
persone socialmente svantaggiate o vittime.
Un esempio è un'esposizione che ha avuto luogo nel Museo di Belle Arti "Dům umění"
di Ostrava, nel 1999-2000. Un gruppo di studenti universitari ed una stazione
radio erano responsabili della mostra che presentava fumetti disegnati da
bambini rom. Originariamente era programmata alla Galleria Nazionale di Praga,
ma in seguito il direttore rifiutò di esporre "arte rom" nel suo museo. Soltanto
dopo il forte impegno di persone influenti, il progetto venne finalmente
finanziato ed esposto nel Museo di Belle Arti "Dům umění". Nonostante la
resistenza del direttore, il pubblico ha risposto positivamente alla mostra e le
persone coinvolte hanno detto di sentire un senso di rispetto da questa
esperienza.
L'idea dietro quel progetto era di aprire un sito importante di cultura
pubblica, come un museo, perché i Rom mostrassero i loro lavori come artisti e
come visitatori del museo interessati nel vedere l'arte dei Rom. Le difficoltà
di accesso che gli iniziatori hanno dovuto affrontare per entrare in un campo
come quello del Museo di Belle Arti, rappresenta solo un'idea dell'assenza di
qualsiasi accettazione del livello intellettuale per chi appartiene alla
comunità rom.
Se questi esempi possono essere considerati rappresentativi, confrontando i
differenti approcci all'arte rom ed ai differenti livelli in cui l'arte rom è
rappresentata, diventa ovvio quanto segue:
Quando il progetto artistico viene inquadrato sia per aiutare un
relativamente passivo protagonista (una vittima o un bambino) o inteso come un
progetto più o meno pedagogico, come parte di un festival che ha luogo soltanto
in un determinato periodo, la rappresentazione di una cultura (nel caso dei Rom,
danze e musiche) stereotipata (che arriva assieme agli aspetti "noti") volta
all'intrattenimento, sembra essere accettata. Ma appena il coinvolgimento dei
Rom è trasformato da oggetto di assistenza in soggetto attivo, o quando sono
percepiti come partecipanti alla creazione artistica in quanto artisti o come
parte della popolazione generale - come un potenziale visitatore - che era
antecedentemente riservato ai non rom, i Rom sembrano avere più difficoltà
nell'essere accettati o legittimati. Accettare persone in questa seconda
dimensione sociale, dove ci si incontra in posti come gallerie d'arte,
significherebbe accettarsi come uguali. Fintanto che la società interagisce con
"i Rom" soltanto nel perpetuare gli stereotipi, attraverso questi si mantiene il
controllo. Per esempio, possiamo parlare di loro, ma non con loro. Così, è
facile mantenere una certa immagine, uno stereotipo che ci permette di trattarli
in un certo modo. Fintanto che la società non permette ai Rom di parlare in
prima persona e quindi di poter generare un'(auto)concezione di se stessi, noi
non avremo da temere che possano variare la loro immagine, costruita e
manifestata attraverso discorsi che controllino e giustifichino il modo in cui
la società agisce con i Rom.
Lascerò alla discrezione del lettore considerare se il suggestivo argomento
fatto sull'arte recipiente nel museo, possa essere applicabile alle differenti
sfere della società, quali i luoghi di lavoro, il vicinato, o le istituzioni
educative. Inoltre, rimane la questione di come questa assegnazione di ruolo
manifestata da Rom e non Rom possa risolversi attraverso i discorsi pubblici e
le regole istituzionali.
1) Kathrin Buhl studia scienze culturali e scienze
politiche all'Università di Brema
2) Seguendo l'esempio di Rainer Mattern userò in tutto
questo articolo i termini "comunità rom" o "popolo rom" riguardo a Sinti e Rom,
Askali ed Egizi, citato in Mattern, R. (2009). Swiss-Aid-to-Refugees-Country
analysis, Kosovo: About the Repatriation of Roma. Bern,
Swiss-Aid-to-Refugees-Country Analysis.
4) Come esempio, è stato pubblicato un documento
sulla discriminazione dei Rom, sulla base di un lavoro sul campo nel 2008 in un
rapporto della Commissione Europea: Discriminazione nell'Unione Europea,
Percezioni, Esperienze ed Atteggiamenti.
5) Informazioni ricevute da Kumar Vishwanathan - Vivere Insieme, OnG di Ostrava sui diritti dei rom.
Di Fabrizio (del 07/11/2010 @ 09:04:18, in Kumpanija, visitato 2166 volte)
foto di Ivana Kerecki
Lo scorso 8 ottobre è morto per un ictus Franco Pasello, anarchico, amico di
molti rom, fotografo e panettiere.
Per ricordarlo, gli amici e i compagni si ritroveranno domenica 14 novembre
dalle ore 13.00 presso la
Cascina autogestita Torchiera, piazzale Cimitero Maggiore 18 -
Milano
Siamo franchi
ricordando il nostro Franco Pasello
Dalle ore 13 (pranzo) a tarda sera si terrà Siamo franchi, una giornata in
ricordo di Franco Pasello, il nostro compagno morto l'8 ottobre scorso.
Come lui desiderava, lo ricorderemo in allegria con un bel pranzo, musiche rom e
non-rom, canzoni del suo amato De André, testimonianze, vendita di stampa e
libri anarchici, brindisi, chiacchiere, ricordi, progetti, aperitivo serale,
ecc. ecc.. Chi vuole, porti roba da mangiare e da bere (anche se ci mancheranno
le famose pizze di Franco), giornali, libri, idee.
Fin d'ora, chi vuole farci avere una sua testimonianza scritta su Franco, un
ricordo, un breve testo, lo invii ad arivista@tin.it anche in vista di una
pubblicazione dedicata a Franco che certamente faremo, ma di cui non abbiamo
ancora il progetto preciso.
Per info, contattateci.
rivista anarchica "A"
cas. post. 17120 – Mi 68
20128 Milano
tel. 02 28 96 627
fax 02 28 00 12 71 arivista@tin.it
Disclaimer - agg. 17/8/04 Potete
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