Rom e Sinti da tutto il mondo

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La redazione
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\\ Mahalla : Storico per mese (inverti l'ordine)
Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
 
 
Di Fabrizio (del 13/11/2010 @ 09:04:27, in Italia, visitato 1685 volte)

sabato 20 novembre · 10.00 - 13.00
Piazza della Pilotta, 3 - ROMA

Siete curiosi di sapere come si vive davvero in un campo rom autorizzato, meglio noto come "villaggio attrezzato" del Comune di Roma?
Volete sapere se strutture del genere favoriscano effettivamente la sicurezza e l'integrazione dei rom, come sbandierato dalle autorità? Volete scoprire se i diritti fondamentali dei bambini siano pienamente garantiti e se le case, gli spazi e le condizioni igienico-sanitarie rispettano realmente i parametri di legge?
Allora non mancate all'appuntamento con la presentazione della ricerca: "Esclusi e ammassati: il Piano Nomadi a Roma e l'infanzia rom", a cura dell'Associazione 21 luglio, che si terrà sabato 20 novembre 2010 alle ore 10:30 nella cornice di Palazzo Frascara in piazza della Pilotta 3, nel pieno centro di Roma.

Il rapporto è nato dall'esigenza di analizzare l'impatto che hanno avuto le politiche sociali del Piano Nomadi di Roma sui diritti dell'infanzia rom e, in particolare, prende in esame un "villaggio attrezzato" modello del Piano Nomadi messo a punto dall'amministrazione comunale della Capitale.
L'indagine si concentra su alcune caratteristiche fondamentali riscontrabili all'interno del campo, quali le dimensioni delle abitazioni, gli spazi dedicati alle attività sportive, la distanza tra il villaggio stesso e i servizi essenziali (ospedali, luoghi di socializzazione, trasporto pubblico), la sicurezza, l'istruzione dei minori e le condizioni igienico-sanitarie.
Attraverso queste analisi, l'Associazione 21 luglio ha voluto verificare di prima mano le possibili situazioni di esclusione, segregazione e privazione dei diritti sanciti dalle convenzioni internazionali che riguardano i minori rom nella città di Roma, facendo riferimento principalmente alla Convenzione sui diritti dell'Infanzia siglata a New York il 20 novembre 1989.

L'indagine, iniziata il 1 luglio 2010 e conclusa il 15 settembre 2010, è stata condotta con una ricerca sul campo, utilizzando alcuni strumenti dell'analisi qualitativa quali l'osservazione diretta e le interviste in profondità. L'equipe di ricerca è composta da un antropologo, un esperto di storia e cultura rom, una mediatrice culturale, un esperto di diritti umani, un avvocato, un ingegnere e una psicologa.

All'evento del 20 novembre, Giornata per i Diritti dell'Infanzia, che sarà condotto dal direttore di Current Tv Davide Salenghe, saranno presenti numerosi rappresentanti dell'associazionismo (tra cui non mancherà Amnesty International. Sarà proiettato, infine, il bellissimo film documentario "Me sem rom".

Per guardare la locandina di presentazione della giornata vai al sito http://www.21luglio.com/presentazione.htm

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Di Fabrizio (del 13/11/2010 @ 08:58:03, in Europa, visitato 1628 volte)

Presseurope Una settimana da rom
10 novembre 2010 ADEVĂRUL BUCAREST

Un giornalista si cala nei panni di uno zingaro per comprendere meglio il "problema" che divide l'Europa. E scopre che il disprezzo per la diversità è forte, ma la discriminazione è dovuta soprattutto alla povertà.

Cristian Delcea
Mai prima d'ora i rom erano stati tanto al centro del dibattito pubblico. Quest'anno sono stati espulsi dalla Francia ottomila zingari romeni, anche se la metà di loro vi ha già fatto ritorno. Quali speranze hanno di essere accolti in Romania? Io ho cercato di scoprirlo indossando per una settimana i panni dello zingaro-tipo: cappello, camicia variegata, giacca di pelle, pantaloni di velluto. Mi sono lasciato crescere i baffi. La pelle scura l'avevo già, grazie a dio.

Ho iniziato da Piazza dell'Università a Bucarest. C'erano alcuni studenti ubriachi che si sono fatti beffe di me, gridandomi dietro quegli insulti arci-noti nella lingua zigana: “mucles” (chiudi il becco!), “bahtalo” (buona fortuna!), “sokeres” (come va?). Un tipo biondo grande e grosso mi ha scattato qualche fotografia, poi ha fotografato le bottiglie allineate sul marciapiedi, i cani, i mendicanti. Probabilmente, sul suo computer in Scandinavia la mia fotografia sarà etichettata “spazzatura a Bucarest”.

Quella stessa sera, sul tardi, sono andato al Teatro Nazionale. La gente che mi stava intorno non era in verità lieta della mia presenza, ma nessuno ha detto nulla. Ho sentito le stesse risate di prima, provenienti da un gruppo di giovani. Mi è sembrato che siano proprio loro i più cattivi verso gli zingari. Ti ridacchiano sempre dietro le spalle. Può anche darsi che i loro sguardi facciano più male ancora dell'occhiata crudele di Nicolas Sarkozy, il presidente francese.

Vorremmo che gli zingari profumassero
Da noi ci sono campagne per l'integrazione e l'alfabetizzazione dei rom, ma non ci sono campagne perché la gente eviti di ridere alle spalle di uno zigano per strada. Ma questa non è discriminazione. Nessuno mi ha cacciato da un bar o da un ristorante. Finché hanno incassato i miei soldi, mi hanno accolto a braccia aperte. A esser vittima di discriminazione in Romania non sono gli zingari, bensì i poveri.

Vorremmo che gli zingari profumassero e amassero l'arte, ma nessun datore di lavoro vuole assumere uno zingaro. E senza soldi lo zingaro precipita nella miseria, oppure cerca dei mezzi non convenzionali per procurarseli. Ho cercato di ricorrere ai mezzi convenzionali, ho fatto tutto quanto era in mio potere per farmi assumere. Ho consultato la pagina delle offerte di lavoro sui giornali per operai non qualificati, lavamacchine, autodemolitori.

A telefono mi hanno detto che posti di lavoro ne avevano ancora, ma quando sono arrivato alcuni mi hanno semplicemente detto “Vattene, zingaro!”, altri mi hanno scacciato insultandomi e dicendo: “Non assumiamo più nessuno!” Perfino i netturbini mi hanno respinto. La figlia del capo mi ha guardato dietro gli occhiali e mi ha detto: "Non assumiamo. Non l'abbiamo mai fatto". Il che significa, indubbiamente, che gli spazzini che si davano il cambio in cortile devono essersi tramandati quel lavoro di padre in figlio.

Sulla strada
Pensavo, in ogni caso, che una certa solidarietà esistesse. Se non nella popolazione, quanto meno tra automobilisti. Alla periferia di Bucarest ho forato una gomma, più o meno di proposito. Ho trascorso più di tre ore sul ciglio della strada, gesticolando, facendo segno agli altri automobilisti di passaggio di aver bisogno di aiuto. Ho letto parolacce e ingiurie sulle labbra di alcuni. Altri mi hanno suonato dietro il clacson ridendo. Uno ha perfino fatto finta di venirmi addosso. Ero completamente solo. Centinaia di persone mi sono passate accanto senza prestare soccorso. In quel preciso momento ho compreso perché gli zingari si spostano in gruppo: se restassero soli morirebbero.

Alla fine si è fermata una vecchia Skoda Octavia. Ne è sceso un disgraziato sulla cinquantina, che indossava una salopette sporca. Nei due minuti necessari ad aiutarmi a sostituire la ruota, mi ha aperto il suo cuore: "Ti avevo visto, due ore fa, quando mi avevi fatto segno di fermarmi. Ti ho guardato nello specchietto retrovisore e mi sono pentito di non essermi fermato subito. Mi sono ripromesso, se tu fossi stato ancora qui al mio ritorno, di fermarmi. Ecco: credi che abbia fatto una buona azione?" A testa bassa gli ho risposto: "Sì, signore".

Ripartendo per Bucarest mi sono fermato a fare benzina. Un impiegato della stazione di servizio è uscito dal gabbiotto un po' impaurito e mi ha chiesto: "Ti sei rifornito alla pompa 5?" No, alla pompa 4. Alla pompa 5 avevano fatto benzina alcuni zingari a bordo di un'automobile dalle targhe gialle (quelle temporanee delle automobili appena acquistate in Germania, difficili – per non dire impossibili – da rintracciare). Avevano fatto il pieno e si erano dimenticati di pagare. Mi sono voluto illudere che anche loro fossero giornalisti alle prese con un esperimento giornalistico.

Questo articolo finisce dove è iniziato, in Piazza dell'Università. Credo di aver concluso ben poco, di non aver trovato una soluzione al problema dei rom. Come vuole la società che vada a finire per loro? Dopo essere stato trattato come uno zingaro per sette giorni, oserei dire che la risposta l'ho trovata sulla parete di una vecchia casa, dove qualcuno ha riportato un versetto del vangelo (Giovanni 3,7): “Bisogna che voi siate generati di nuovo”. E in questo caso non si tratta di una metafora. (traduzione di Anna Bissanti)

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Di Fabrizio (del 12/11/2010 @ 09:59:06, in casa, visitato 1654 volte)

Segnalazione di Paolo Teruzzi

 il link per chi legge da Facebook

De Corato (Pdl): "Se cominciamo a dare le case ai Rom, ne arriverà un milione". Salvini (Lega): "Nessuno fa politica nella Lega per dare privilegi a chi vive nei campi".

Trascinata fino alle soglie della nuova campagna elettorale per le prossime comunali, a Milano l'emergenza nomadi stenta a trovare una conclusione. Nonostante i milioni di euro stanziati dal ministero dell'Interno, la maggioranza di centro destra litiga sulle soluzioni.

Le ambizioni di Roberto Maroni si infrangono sui muri del più grande campo di Milano, quello di via Triboniano, dove l'assegnazione di alcune case comunali ha fatto insorgere Lega e Pdl. Il Comune fa marcia indietro, ma i contratti ci sono, e i Rom portano Maroni e la Moratti in tribunale.


A proposito:

Nell'ambito della campagna DOSTA! di Milano

12 novembre - ore 18-20.30 Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, via Romagnosi 3 MILANO
"Rom: a Milano si può? Politiche abitative (e altro): soluzioni possibili"
Saluti: Carlo Feltrinelli presidente della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli
Introduzione: un esponente dell'UNAR; Alfredo Alietti, Upre Roma, docente di sociologia università degli studi di Ferrara

Testimonianze: don Massimo Mapelli, Casa della Carità; abitanti dei campi; Interventi: Laura Balbo, docente di sociologia università degli studi di Padova; Antonio Tosi, docente di sociologia urbana al Politecnico di Milano; Tommaso Vitale, Scientific Director of the Master "Governing the Large Metropolis" CEE, Sciences Po Paris

E' stata invitata Mariolina Moioli, assessore alle politiche sociali Comune di Milano.

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Di Fabrizio (del 12/11/2010 @ 09:58:11, in scuola, visitato 1677 volte)

Ricevo da Stefano Nutini

Buongiorno a tutte/i,
dopo il finanziamento di tre borse lavoro, abbiamo deciso di finanziare tre borse di studio.
I beneficiari sono tre ragazzi: Ovidiu, Marian e Belmondo, che abbiamo conosciuto perché i loro fratelli più piccoli frequentano (o hanno frequentato) le scuole di Rubattino.

Ovidiu, 15 anni, e Marian, 16 anni, frequentano dal 2 novembre 2010 la scuola bottega dell’EINAIP di Pioltello: ci sono laboratori di alfabetizzazione e socialità e molti laboratori di formazione (cucina, carpenteria, meccanica…), da frequentare per 4 pomeriggi alla settimana. Quando gli educatori ritengono che i ragazzi siano pronti, li inseriscono in un tirocinio. Per Marian, che ha già ottenuto la licenza media al CPT, il percorso di apprendimento dovrebbe essere abbastanza breve e dovrebbe essere inserito rapidamente in un tirocinio. Ovidiu avrà tempi più lunghi: da due anni non va più a scuola e un tentativo di inserirlo alle medie è fallito.

Belmondo, 16 anni, sempre dal 2 novembre 2010 sta frequentando un corso di scuola bottega (in particolare di meccanica della bicicletta) presso le Vele di Pioltello. E’ inserito in un gruppo di lavoro ristretto (si tratta infatti di 6/7 ragazzi) e questo consente di fare un corso molto intensivo. Tra l’altro anche la frequenza è molto impegnativa: fino a giugno tutti i giorni dalle 9 alle 17, eccetto il lunedì mattina. Per Belmondo sarà una vera rivoluzione: dalla quarta elementare non va più a scuola e il suo italiano è piuttosto stentato.

Ovidiu da qualche tempo ha una situazione più stabile: vive in una casa di assegnazione provvisoria e suo padre lavora come muratore. Marian e Belmondo invece “abitano” all’interno di campi irregolari.

I corsi che stanno frequentando sono gratuiti: noi copriamo per tutti e tre i ragazzi il costo dei trasporti (abbonamento ATM e treno) e a due di loro assegniamo anche un contributo mensile di 100€ ciascuno per sostenere questo percorso.

Il contributo della Comunità di S Egidio è stato fondamentale, in particolare per l’individuazione dei corsi più adatti e per il lavoro svolto insieme agli educatori dell’EINAIP e delle Vele affinchè questi corsi possano avere la maggior efficacia possibile.

Di nuovo grazie a tutte/i
Le mamme e le maestre di Rubattino

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Di Fabrizio (del 11/11/2010 @ 09:35:31, in lavoro, visitato 1725 volte)

Da Nordic_Roma (appunto personale: quasi un quadro dei tempi di Steinbeck)

Street News Service

Sono Rom e provengono dal medesimo povero villaggio in Romania. Ora sono a Copenhagen suonando l'armonica per i passanti. Catalin Tudorache e Puiu Toader fanno quello che possono per racimolare abbastanza soldi per le loro famiglie a casa - By Simon Ankjaergaard

Come per molti altri Rom, la vita in Romania è sempre stata una lotta per Catalin e Puiu. Uno stipendio medio non basta a sostenere una famiglia. In quanto Rom, sei automaticamente al livello più basso nella gerarchia sociale. La scelta tra un lavoro instabile per 3 o 4 sterline all'ora o il più basso assegno sociale di circa 1,70 sterline, sono ben lontani da coprire le spese per cibo, vestiti, gas ed elettricità. Non bastano neanche a pagare l'istruzione, cruciale ai bambini rom per rompere la spirale negativa e costruire una vita migliore per loro stessi.

Sei anni fa, Catalin e Puiu decisero di lasciare la povera casa nel villaggio di Mârgineanu, 50 km. a nord-est di Bucarest, per tentare la fortuna fuori dalla Romania. Con gli ultimi soldi comprarono un biglietto d'autobus, destinazione Copenhagen.

Da allora, hanno viaggiato avanti e indietro tra la capitale danese e Bucarest. Tre o quattro mesi in Danimarca, un mese in Romania. E non sono i soli. L'autobus del ritorno è sempre pieno di Rom poveri. Qualcuno ha racimolato solo i soldi per il biglietto. Altri hanno contratto debiti con usurai locali con l'ordine di non mostrarsi in Romania fin quando non avranno guadagnato abbastanza da cancellare il proprio debito.

Pagamenti illegali

"Per sei anni, abbiamo vissuto in questo modo, ma non è diventato più facile. Ogni giorno è ancora una lotta", dice il trentenne Catalin, che ha lasciato in Romania una moglie ed un figlio di tre anni.

Pone la sua armonica in grembo e si accende una sigaretta. Nella luce fioca sotto il ponte della stazione Noerrebrola gente è come un flusso uniforme. Inspira e sorride a più gente che può. Servizio Clienti. Forse gli getteranno una o due monete nella giacca stesa a terra la prossima volta che passeranno. Oggi ha guadagnato 55 corone (£6.20). Più in là in Frederikssundvej, dove il quarantatreenne Puiu lascia che i brani di "Somewhere Over the Rainbow" soddisfino i clienti del supermercato, il reddito della giornata è di 30 corone (£3.40).

"Il nostro reddito dipende dal clima e dalla stagione", dice Puiu. "Quando piove, guadagniamo quasi niente, perché la gente è troppo occupata a cercare di evitare la pioggia." Suonare l'armonica è l'occupazione principale dei due amici, che però sono più contenti quando ottengono qualche lavoro occasionale.

"Ci pagano illegalmente, così non posso dire per chi lavoro. Significherebbe non lavorare più per lui," dice Puiu, che deve racimolare i soldi per sua moglie e tre bambini. "Talvolta sono altri Rumeni che ci raccomandano. Altre volte, sono i capi del commercio che ci trovano per strada e chiedono se vogliamo aiutarli. A volte Danesi, altre volte stranieri", dice.

In quel momento, d'improvviso Puiu smette di parlare e si sbraccia entusiasticamente verso un uomo in tuta da jogging all'altro lato della strada. "E' l'Arabo", dice con un gran sorriso.

"E' mio amico. Ha assunto sia Catalin che me diverse volte. Abbiamo costruito un muro per lui ed anche altre cose. A volte ci paga bene, perché sa che il denaro va alle nostre famiglie. E mi ha dato questa. Gratis." Puiu indica l'armonica.

L'Arabo zigzaga lungo la strada e stringe calorosamente la mano di Puiu. Puiu lo interroga sulle prospettive di lavoro. L'uomo scruta pensieroso e sembra non promettere troppo. Alla fine si stringe nelle spalle. "Forse. Ho il vostro numero di cellulare, Puiu. Ti chiamerò."

"E' mio amico," ripete Puiu e lo segue con gli occhi mentre l'altro si immerge nuovamente nella via trafficata. "E' per lui che possiamo prendere l'autobus per Copenhagen e per tornare."

Oltre a lavorare come muratori, Catalin e Puiu hanno montato controsoffitti in cartongesso e fatto lavori di pulizia. Il pagamento avviene sempre in contanti. Non dispongono di conti bancari e i loro principali non intendono informare le autorità fiscali. I salari variano da poche centinaia di corone a qualche migliaia, dipende dalla quantità di lavoro. Sanno perfettamente di essere scelti per un lavoro soltanto perché sono a buon mercato. Ma non importa: anche uno stipendio ben al di sotto del minimo salariale danese può fare meraviglie per le famiglie a Mârgineanu.

Puiu ripone l'armonica, accende un'altra sigaretta e ingoia una pillola per l'ulcera. Agita lo sporco tubetto delle pillole. "Mi costano 500 corone (£56.20) al mese. Devo prendere sei pillole al giorno. L'ulcera è peggio dei miei calcoli renali," dice. Scuote le spalle e si avvia verso il rifugio di Catalin. Sono due km. e mezzo di strada. Il biglietto dell'autobus è troppo caro.

Senza tetto

Catalin accoglie Puiu con un sorriso. Conosce la routine. Il lavoro ora, come ogni giorno, è di immaginare dove andranno a passare la notte. La notte scorsa hanno dormito da un amico rumeno, ma stanotte non c'è spazio. Sono tornati a Copenhagen in 50 dal villaggio, e così hanno iniziato a telefonare e cercare di trovare un tetto sopra la testa prima che scenda l'oscurità. Spesso la risposta è negativa -come oggi. Altri sono arrivati prima di loro.

Puiu e Catalin restano insieme. Tendono a rimanere isolati dal resto della popolazione rom il più possibile. Non vogliono unirsi al grande gruppo di Rom che si accomodano nei campi o nelle fabbriche abbandonate. Hanno paura di finire negli arresti di massa, come quello di Copenhagen lo scorso luglio, quando la polizia ha sgomberato un campo e una fabbrica. 23 Rom sono stati deportati.

Invece si spostano verso l'area di Amager - in metropolitana, ma senza biglietto. Risalgono e camminano in un parchetto. Qui è dove dormono se non hanno la fortuna di trovare sistemazione da amici. Hanno scelto un boschetto, nascosto lontano dalle panchine piene di graffiti e dai sentieri. Con le teste appoggiate sulle loro piccole borse sportive, parlano tra loro con calma finché non sono interrotti dalla vibrazione del cellulare di Catalin. Al telefono c'è sua moglie. Ha bisogno urgente di soldi. Catalin deve deluderla. Ha soltanto 400 corone (£45), così ci vorrà molto tempo prima che possa tornare a casa. Ma Puiu dovrà aspettare anche di più. Tira fuori 80 corone (£9) dalla tasca. Sono tutti i suoi averi.

"Non possiamo tornare a casa finché non abbiamo almeno 2.000 corone (£225) in contanti per la famiglia," dice Catalin con un sospiro. "Durante un buon mese, possiamo guadagnare fino a 2.500 corone (£280), ma dobbiamo togliere 1.000 corone (£110) per cibo e sigarette. E dobbiamo considerare che il biglietto del bus per il ritorno costa 1.000 corone."

Spesso ci vogliono tre o quattro mesi perché i due abbiano abbastanza soldi per tornare a casa dalle loro famiglie. E dopo, occorre un altro mese per guadagnare denaro per un nuovo viaggio in autobus sino a Copenhagen. Di solito cercano di trovare lavoro come manovali, ma spesso i posti di lavoro sono presi da manodopera a basso costo proveniente da paesi ancora più a est.

La soluzione finale è di affidarsi agli strozzini. E con loro, parte la spirale del debito. "Ho avuto diverse volte in prestito i soldi del biglietto del bus," dice Catalin. "Quel debito dev'essere pagato ed è per questo che devo guadagnare di più quando sono in Danimarca. E poi ci vuole più tempo prima che possa rivedere mio figlio e mia moglie," sospira.

Sente di trascurare la sua famiglia con le sue lunghe assenze, ma Puiu non è d'accordo. Può darsi che il loro cuore appartenga a Mârgineanu, ma è la necessità che li ha spinti in Danimarca. Puiu pone la domanda retorica: "Cos'altro dovremmo fare? Non possiamo guadagnare abbastanza in Romania da provvedere alle nostre famiglie e pagare l'istruzione dei figli. Non è negligenza. E' una necessità."

Schiocca l'indice destro nel palmo della mano per sottolineare l'argomento. "Se ne avessi la possibilità, certo che starei in Romania. Ma è impossibile. Fintanto che la Romania rimarrà povera, viaggeremo verso i paesi più ricchi per far soldi. E' così semplice."

Originally published by Hus Forbi, Denmark. © www.streetnewsservice.org

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Di Franco Bonalumi (del 11/11/2010 @ 09:07:43, in Italia, visitato 1781 volte)

Dopo la nostra conferenza stampa di ieri, abbiamo letto i commenti che il vicesindaco De Corato ha dedicato alla denuncia che in quell'occasione abbiamo presentato. Notiamo per prima cosa che non c'è un punto, nelle sue dichiarazioni, che smentisca le fattispecie sollevate nella denuncia, ossia – lo ripetiamo – l'abuso d'ufficio (anche con l'utilizzo di ingenti soldi pubblici solo per gli sgomberi senza progetti di accompagnamento ed integrazione), i danneggiamenti a beni di proprietà (con l'intervento delle ruspe e la distruzione di ogni bene), l'interruzione di pubblico servizio (nello specifico, l'interruzione della frequenza scolastica).

Il vicesindaco dichiara che è sempre stata osservata la correttezza delle procedure; lo smentiamo, sulla scorta anche dei più recenti sgomberi. Lo dimostrano:
- le procedure ultimative: sgombero intimato solo a voce con rudezza e intimidazione all'alba o a tardo pomeriggio, nell'incombere dell'imbrunire, senza preavviso, in presenza di maltempo con pioggia o neve;
- l'assenza dei funzionari dei servizi sociali, negli ultimi episodi, malgrado il fatto che appunto i ripetuti censimenti e controlli effettuati sul microcampo Cavriana-Forlanini avessero rilevato la presenza di minori anche di pochi mesi;
- continuiamo a pensare che quella della frattura del nucleo familiare (madri e bambini da una parte e padri per strada) non sia la soluzione; in una Milano che celebra in questi giorni, in un apposito evento, la sacralità della famiglia, suonano stonati questi interventi che dal legame familiare prescindono.

Rifiutiamo con forza la designazione del nostro gruppo come facente parte di "associazioni pseudobuoniste" che "non hanno di meglio da fare" che indulgere al "can can mediatico".

Noi qualcosa di meglio lo abbiamo da fare, e sta nel nostro impegno quotidiano di cittadini e cittadine, nell'affiancamento a queste storie difficili ma ricche, nel tentativo arduo di forzare gli ostacoli che si oppongono a una piena socializzazione di questi soggetti, nell'esigere diritti e prestazioni pari a ogni altro cittadino di questa città (scuola, servizi, salute, casa), nella ricostituzione paziente di un ambiente vitale dopo che ogni effetto personale è stato regolarmente degradato a "spazzatura". Non c'è nulla di spettacolare in tutto ciò; si tratta invece di un laboratorio di cittadinanza sociale, che dovrebbe stare a cuore alle autorità.

Il "can can mediatico", invece, imperversa ai danni di queste fasce di popolazione come su altre (i migranti, ma non solo), identificate come "capri espiatori" di una crisi e di una sua gestione politica in senso autoritario.

Non siamo affezionati al fatto che, come afferma il vicesindaco, chi vive in questo come in altri campi scorrazzi "tra amianto, topi e quintali di rifiuti"; a parte il fatto che questo richiama lo stato di tante aree dimesse, lasciate a marcire in attesa d'interventi speculativi, non possiamo accettare che le autorità pensino che chi ci vive abbia piacere di condurre la sua esistenza in questi ambienti.

Il vicesindaco sa bene - avendolo ascoltato di persona dalla viva voce di due donne abitanti di questo campo, in un'assemblea in piazza Ovidio, dell'aprile del 2009, che hanno preso la parola e non sono rimaste nascoste - quanto sia avvilente per un essere umano e il suo ambito di affetti vivere in non-luoghi degradati; quelle due donne ebbero il coraggio di venirlo a dire davanti a una platea che le ascoltò muta e attenta, e che si sentì dire che la "sicurezza" di cui tanto si ciancia parte per prima cosa dalla dignità del proprio vivere e lavorare in una società e in un ambiente non ostile, se non solidale.

Insostenibile è poi l'affermazione secondo cui agli insediamenti di nomadi si correlino immediatamente e immancabilmente "la criminalità predatoria e il degrado"; in due anni di affiancamento continuo non abbiamo mai avuto segnali anche lontani di criminalità, né sono dimostrabili in nessun modo. In queste affermazioni categoriche risuona un pregiudizio razzista che è quello che abbiamo ravvisato in molti comportamenti posti in essere dai decisori politici di questa città e che abbiamo esposto nella nostra denuncia.

Milano, 10 novembre 2010
Gruppo Sostegno Forlanini e genitori di Rubattino firmatari della denuncia

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Di Fabrizio (del 10/11/2010 @ 09:38:58, in Regole, visitato 1852 volte)

Riferimento

COMUNICATO STAMPA
Conferenza stampa di presentazione della denuncia nei confronti del Sindaco e del ViceSindaco protagonisti dei ripetuti sgomberi dei campi rom a Milano

Milano, 9 novembre 2010 - Questa mattina nella Sala Stampa del Tribunale di Milano è stata illustrata la denuncia penale presentata da 39 cittadini presso la Procura della Repubblica nei confronti del Sindaco di Milano Letizia Moratti e del Vice Sindaco di Milano Riccardo De Corato su iniziativa dei volontari del Gruppo di Sostegno Forlanini.

La denuncia è stata sottoscritta dai volontari del Gruppo di Sostegno Forlanini e da alcuni genitori che seguono le famiglie Rom di Rubattino, oltre che da alcuni rappresentati del mondo politico e culturale milanese attivi sotto diversi aspetti per la difesa dei diritti umani e delle minoranze.

Stefano Nutini, Fiorella D'Amore e Paolo Agnoletto - volontari del Gruppo Sostegno Forlanini - nel presentare l'iniziativa hanno condannato "la volontà persecutoria di questa Amministrazione nei confronti della popolazione Rom, con gli oltre 360 sgomberi di campi Rom senza alcuna alternativa abitativa (14 sgomberi solo del campo Rom Forlanini / Cavriana), e gli oltre cinque milioni di euro spesi per gli sgomberi, in assenza totale di progetti di accompagnamento ed integrazione (…) Gli sgomberi avvengo spesso alla mattina presto, con qualsiasi tempo atmosferico, gli abitanti del campo – adulti, anziani malati e bambini anche di pochi mesi - vengono identificati , denunciati ed allontanati; subito dopo intervengono le ruspe che distruggono le baracche, le tende e tutti quei poveri beni che gli abitanti del campo non sono riuscisti a portarsi dietro nel loro ennesimo esodo".

E' quindi intervenuto un Rom che abitava uno dei campi ripetutamente sgomberati: "voglio rimanere qui perché solo così posso garantire a mio figlio di proseguire la scuola .. ieri sera ero con mio figlio lungo la strada sotto il lampione a vederlo finire i compiti … ma ogni volta che ci sgomberano è sempre più difficile .. finirà che sarò costretto a mettere una tenda davanti alla scuola … "

I volontari del Gruppo Sostegno Forlanini - che opera in Zona 4 da oltre due anni - hanno poi ribadito: "dopo ogni sgombero continueremo a garantire ai nostri amici Rom beni essenziali, quelle poche cose a cui ogni volta questi dannati della terra devono rinunciare; torneremo a portare tende, coperte, farmaci e cibo e quant'altro possa servire .(…) perché i 'loro' diritti sono i 'nostri' diritti" …"In questi anni abbiamo scelto di incontrare queste volti, queste persone, di costruire con loro rapporti di vicinanza, sono i nostri nuovi vicini di casa; abbiamo cercato di costruire dei rapporti di fiducia superando diffidenze e magari anche incomprensioni o paure reciproche" …"Siamo semplicemente dei cittadini che hanno scelto di vivere il loro ruolo di cittadinanza attiva per costruire una città più vivibile e quindi più sicura per tutti perché più accogliente, una città che deve tutelare i diritti di tutti al di là di appartenenze etniche e culturali"

Francesca Federici e Lorenzo Mandelli del gruppo di Genitori che affiancano le famiglie Rom di Rubattino hanno dichiarato "Noi - maestre, genitori e cittadini - siamo giunti a presentare questa denuncia come estremo tentativo di salvaguardare quello che è un diritto inalienabile: il diritto all'istruzione, l'unica possibilità per questi bambini di poter pensare ad un futuro diverso. Un diritto che viene continuamente messo in forse e negato dai continui sgomberi. I bambini senza diritto di istruzione sono bambini privati anche del diritto di sapere che si può vivere diversamente".

Elena Guffanti del Gruppo Sostegno Forlanini ha raccontato "grazie ad una attività di mediazione e facilitazione quest'anno siamo riusciti ad iscrivere in una scuola elementare della zona un bambino del campo. Nonostante i continui sgomberi il papà e la mamma cercano con umiltà di garantire un futuro al loro unico figlio accompagnandolo ogni giorno a scuola. .. Quando la mamma mostrandomi l'orario delle materie di insegnamento mi ha chiesto cosa significasse ' Educazione alla convivenza civile' ho provato imbarazzo e vergogna, lo stesso Stato che pretende di insegnare questi principi, nei confronti dei Rom mette in pratica solo segregazione ed emarginazione (…).
Nel corso della conferenza stampa è stato anche ricordato che "ai bambini Rom, in quanto 'non residenti' il Comune non garantisce la mensa scolastica, per poter usufruire del servizio devono infatti pagare la quota della fascia massima pari ad €. 680,00; mentre ai ragazzini Rom che frequentano la scuola media non viene dato il 'buono' per l'acquisto dei libri che pertanto devono essere pagati interamente dalla famiglia".

L'avv. Gilberto Pagani l'avv. Anna Brambilla hanno illustrato i punti essenziali su cui si fonda la denuncia: "Il comportamento tenuto dagli amministratori comunali viola apertamente le leggi esistenti, che prevedono misure destinate all'integrazione delle popolazioni Rom e Sinti. Al contrario il Comune di Milano utilizza risorse ingentissime al solo scopo di rendere la vita di queste persone insostenibile e di indurle così a lasciare la città. Questa è l'invocata soluzione definitiva del problema dei Rom, che non solo è disumana ma configura gravi reati, in particolare l'abuso d'ufficio, l'interruzione di pubblico servizio (fine del percorso scolastico per decine di bambini e ragazzi) e la distruzione dei beni delle famiglie sgomberate."

[...]

Per il Gruppo di Sostegno Forlanini
Paolo Agnoletto - cell. 333.8611303
Elena Guffanti - cell. 347.7179254
scendiamoincampo@gmail.com
Avv. Gilberto Pagani – cell. 347.2257078


Rassegna stampa (aggiornata 9 novembre 2010 ore 20.30):

http://milano.repubblica.it/cronaca/2010/11/09/news/moratti_denunciata_per_gli_sgomberi_odio_etnico_e_razziale_verso_i_rom-8914182/

http://notizie.virgilio.it/notizie/cronaca/2010/11_novembre/09/milano_sgomberi_rom_volontari_denunciano_moratti_e_de_corato,26919327.html

http://www.asca.it/news-MILANO_ROM__MORATTI_E_DE_CORATO_DENUNCIATI_PER_SGOMBERI-964453-ORA-.html

http://www.agi.it/milano/notizie/201011091154-cro-rmi0015-nomadi_sgomberi_associazioni_denunciano_moratti_e_de_corato

http://lombardia.indymedia.org/node/33296

http://it.peacereporter.net/articolo/25181/Sgomberi+dei+campi+Rom:+denunciati+la+Moratti+e+De+Corato

video: http://it.peacereporter.net/videogallery/video/12292

con qualche confusione tra Vittorio e Paolo Agnoletto... : - P

e per finire...

ROM, DE CORATO: "SU SGOMBERI SEMPRE SEGUITE PROCEDURE CORRETTE" by Omnimilano

"Sono serenissimo". Così il vicesindaco, Riccardo De Corato, ha commentato la denuncia depositata questa mattina da 39 cittadini guidati dal Gruppo di Sostegno Forlanini, nei confronti del sindaco, Letizia Moratti, e del vicesindaco, per i reati di abuso di ufficio, interruzione di servizio pubblico e danneggiamento, nel corso degli sgomberi dei campi rom e in particolare di quello di via Rubattino.
"Abbiamo sempre seguito tutte le procedure corrette - ha spiegato De Corato - tanto che diamo sempre un'alternativa a donne e bambini, che alcune volte accettano e altre volte no". La denuncia è stata sottoscritta dai volontari e dai genitori che seguono le famiglie rom.
"Non hanno di meglio da fare, queste denunce servono solo ad alimentare il can-can mediatico", ha aggiunto il vicesindaco, che ha ricordato che quella depositata questa mattina e' la terza denuncia arrivata in poco più di un anno e mezzo. Come spiegato da De Corato, le altre due denunce riguardavano lo sgombero del campo di Chiaravalle, "per cui fu tutto archiviato", e per il censimento avviato con la Prefettura, "archiviata anche quella".

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Di Fabrizio (del 09/11/2010 @ 09:59:16, in Europa, visitato 1610 volte)

Segnalazione di Sarci Lm

(clicca per vedere le foto)

Tra nostalgia e miseria, ostacolati da criminalità e discriminazione, i gitani di Mosca faticano ad integrarsi nella società moderna. Russia Oggi è andata a trovarli

Ve lo dico io: il problema degli zingari, è che non ce n'è uno che lavori". Un giovane poliziotto russo sta visitando il villaggio rom di Possiolok Gorodishy, a circa 150 km da Mosca. Uniforme con giacca di pelle, capelli corti biondi e occhi chiari, assume un'aria sarcastica nel dire la sua a Georgij Šekin, alias Yalush in lingua rom, che lavora per l'organizzazione interregionale russa in difesa dei rom, e al vecchio Gendar, l'anziano del villaggio.

Gendar si difende fischiando tra i denti che gli mancano mentre il poliziotto se ne sta andando: "I gitani non sono istruiti, ecco perché non trovano lavoro nella società di oggi".
Gendar è il baro, ossia "l'anziano" del villaggio. In questo tabor (parola antica per "accampamento") nella regione di Vladimir vivono gitani del gruppo etnico dei Caldarari, uno di quelli che ha meglio conservato i propri usi e costumi; erano tutti nomadi nel 1956, quando l'Unione Sovietica ha costretto gli zingari a insediarsi in modo sedentario. I Caldarari, originari dell'Europa orientale, erano per tradizione mercanti di cavalli o mastri ferrai. In seguito all'avvento del comunismo alcuni di loro hanno convertito le loro attività in aziende nel settore del riscaldamento. Ma qui, nel villaggio, nessuno ha avuto successo. "Non facciamo niente tutto il giorno. Stiamo ad aspettare che il tempo passi". Una dozzina di uomini vestiti di scuro con giacche di pelle sta in piedi con le mani in tasca. Dietro di loro corre la ferrovia che costeggia il tabor, fatto di case in legno allineate lungo la strada centrale, secondo la tradizione russa. Continua Gendar : "I pochi che hanno la macchina lavorano occasionalmente come fuochisti e riescono a sfamare la famiglia. Ma quelli che non hanno una macchina? Beh, rubano. È semplice, per i bambini".

Entriamo in casa di Gendar. "Tutto quello che c'è di bello qui dentro risale al comunismo. In quel tempo non c'erano né poveri né ricchi", racconta con rimpianto. "Quando non si aveva un lavoro si percepiva una disoccupazione". I muri sono tappezzati con lo splendore dell'epoca sovietica esaltato da tendaggi rosa e gialli, e i divani sono rivestiti con teli dai colori vivaci. Adagiata su un divano la madre, in abito blu, fuma e mostra un sorriso sicuro. "Vuoi vedere il filmato del matrimonio di mia nipote ?". Una bella ragazza di quindici anni fa una ruota con la sua gonna arancio e fa tintinnare le medaglie di cuoio: seguo la scena con la coda dell'occhio mentre la donna porta il tè, il burro e dei funghi marinati. "Dimenticavo… vedi, non abbiamo più corrente".

Pur non rappresentando più, in Russia, una popolazione nomade, l'inoperosità dei gitani è legata alla loro mancata integrazione nel sistema economico moderno, urbano e concorrenziale. Sin dai tempi del comunismo alcuni gruppi rom, in particolare i "Russka Roma", che sotto il regime zarista cantavano per i nobili e che oggigiorno sono il gruppo più integrato, si erano specializzati nel commercio di contrabbando, allora attività di nicchia. All'epoca le merci erano ridotte. Si trattava di un'attività illegale ma non criminale. "Ma in seguito alla Perestrojka in tutte le nazioni russe si è iniziato a commerciare e i gitani, per lo più analfabeti, non sono stati al passo", questa la spiegazione di Marianna Seslavinskaya, una dei dirigenti dell'unione interregionale russa in difesa dei rom, Roma Union.

Marianna Sleslavinskaya e il marito, Georgij Tzvetkov, vedono nell'istruzione dei gitani una priorità assoluta per l'integrazione della cultura rom. Entrambi lavorano in un laboratorio di ricerca presso l'Istituto governativo di lingue di Mosca, ma i mezzi a loro disposizione sono davvero scarsi: sono solo due per tutto il territorio russo, su cui si stima la presenza di un numero di gitani tra i 180.000 e i 400.000. "Non siamo circoscritti a una regione, come la maggior parte delle minoranze in Russia e nessuno si occupa di finanziare la trasmissione della nostra cultura. Ai bambini rom che vanno a scuola a sei anni viene insegnato il russo come se fosse la loro lingua madre, mentre loro parlano la lingua rom". Nel 1927 le autorità avevano avviato un programma di insegnamento per i nomadi, ma Stalin l'ha revocato nel 1938 come preludio alla sua campagna anti-cosmopolita.

Continua Marianna: "È necessario un programma che insegni ai gitani inizialmente la loro lingua e, in seguito, la cultura russa. Perché un gitano che perde la sua cultura non può nemmeno diventare un vero russo. Si trasforma in un escluso. Istruire i rom salvaguardando la loro identità è l'unica soluzione possibile per far sì che si adattino alla società attuale. Così potranno trovare lavoro senza essere ostacolati da problematiche identitarie né cadere nella povertà e nella criminalità".

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Di Fabrizio (del 08/11/2010 @ 09:59:03, in Europa, visitato 1725 volte)

Da Czech_Roma

European City Ruolo della scena artistica ad Ostrava nel perpetuare gli stereotipi "Rom", by Kathrin Buhl(1)

Premessa: Questo articolo riguarda la mutua relazione tra gli stereotipi persistenti e l'esperienza vissuta dei Rom ad Ostrava. L'autrice esamina aspetti della scena artistica alla ricerca di quale particolare dimensione sociale contribuisca o si discosti dagli stereotipi, ed in che misura i componenti delle comunità rom siano coinvolti nel processo della creazione artistica. Un punto chiave è che quando la popolazione non-Rom presenta i Rom nell'arte, il prodotto si afferma come arte. Ma quando i Rom, "l'oggetto" dell'arte, sono attivamente coinvolti nel processo di creazione artistica, appaiono maggiormente il rifiuto e la discriminazione. Questo paradosso esistente rivela un meccanismo attraverso il quale vengono mantenuti nei discorsi pubblici e nelle arti il razzismo e la discriminazione.

La storia dei membri delle comunità rom in Europa(2) è stata caratterizzata per secoli da persecuzioni, discriminazioni ed esclusione sociale. Vivendo ai margini della società, in molte nazioni il quadro "dei Rom" incontra uno stereotipo comune che differisce solo leggermente da regione a regione. Conosciuti come "Gypsy", "Zigeuner", "Gitans" o "Cíngaros", per molti questi termini evocano quadri di persone scure in abiti colorati che continuamente danzano e suonano di fronte alle loro carovane. Ma oltre a queste spesso distorte immagini romantiche, gli "zingari" sembrano anche avere una vasta gamma di esperienze sociali negative, come povertà, senza fissa dimora e criminalità.

Ostrava, come pure un gran numero di altre città nella Repubblica Ceca, ha una numerosa popolazione rom. Con quasi 320.000 abitanti, la città post-industriale è la terza città della Repubblica Ceca, ed ha una popolazione rom stimata tra i 20.000 e i 30.000 abitanti(3), pochi - anche se il numero non è certo. Questo perché molti di origine rom che vivono ad Ostrava non intendono identificarsi pubblicamente come tali, ma invece si considerano e si dichiarano pubblicamente come Cechi. Questo fatto sfida i tempi "moderni", un periodo apparentemente caratterizzato da democrazia, leggi anti-discriminazione, la retorica dei diritti umani, ed il molto lodato arricchimento della popolazione con "diversità" culturale ed un'aperta conversazione con la storia, si senta ancora la necessità di nascondere le proprie origini.

Una ragione per cui molti Rom non possono identificarsi come appartenenti alle comunità rom è che spesso incontrano il rifiuto o la discriminazione nelle società in cui vivono. Nel passato recente ci sono stati ripetuti esempi di brutalità contro le famiglie rom, da parte di sconosciuti e talvolta (nei casi diventati pubblici) da parte della polizia, in tutta Europa. Ma i membri della comunità rom non sono esclusi dalla società maggioritaria tramite la sola violenza, o l'aperta discriminazione e le offese. Ci sono anche ragioni più profondamente radicate per cui i gruppi etnici continuano ad essere socialmente esclusi(4).

In quanto tale, ritengo che nelle società sia nascosto un sofisticato sistema di discriminazione che nasconda come lavori o avvenga su base giornaliera la discriminazione dei componenti delle comunità rom. Tra l'altro, lo scopo di questo articolo è dimostrare questa tesi. Ciò che farò sarà presentare alcuni esempi che possano servire a sostanziare la mia affermazione. Questi esempi offrono modi suggestivi di avvicinarsi alle più ampie - e più difficili da risolvere - questioni sociali, quali il perché quel popolo con origini differenti non sia in grado o sia incapace di diventare parte integrata della società, nonostante le politiche sociali in atto. O, per dirla differentemente, come le diverse dimensioni della società contribuiscano a perpetrare le diseguaglianze esistenti tra i gruppi sociali.

Mi avvicino alle questioni con una ricerca nel settore artistico di Ostrava e come si leghi alla comunità rom. Mi chiedo se ed in quale misura le arti, che tradizionalmente hanno ricoperto il ruolo di rappresentare le rivendicazioni dei popoli e dar loro una voce, accendano una luce sulla situazione dei Rom da prospettive insolite o differenti. Per fare questo, ho tenuto la traccia di mostre che hanno affrontato ad Ostrava varie questioni dall'anno 2002(5).

Ho trovato che rispetto alla relativamente ricca scena artistica e culturale di Ostrava, l'arte connessa a "questioni rom" è sottorappresentata. Da un lato, ciò si applica all'arte "su" o "circa" i componenti delle comunità rom, e dall'altra all'arte nei cui processi creativi sono coinvolti gli stessi Rom in quanti artisti, consulenti o registi. Dato che i Rom costituiscono quasi un decimo della popolazione totale di Ostrava, diventa particolarmente urgente la ragione di questa sottorappresentazione.

Mentre raccoglievo materiale da esaminare, ho parlato con persone collegate in differenti contesti con membri delle comunità rom. Tra gli altri, inclusa la preside di una scuola pubblica, dr. Soňa Tarhoviská, ed un'insegnante, Blanka Kolářová, della stessa scuola "Církevní základní škola a mateřská škola Přemysla Pittraand". Con 300 bambini iscritti, di cui solo due non sono rom, la scuola è unica nel suo concetto artistico pedagogico. Dato che la scuola serve una comunità che sotto molti aspetti è socialmente svantaggiata, la scuola, sin da quando è stata fondata nel 1993, ha ospitato o partecipato a diversi progetti artistici, che vanno dalla pittura alle produzioni teatrali, o spettacoli di musica e danza.

Poiché il raggio d'influenza della scuola ed il gruppo coinvolto dall'arte prodotta dai bambini non è il grande pubblico ma le famiglie degli alunni, non fa parte dell'auto-concezione della scuola di contribuire a formare l'opinione pubblica sui Rom. Secondo Blanka Kolářová i progetti artistici, di cui una decina finanziati dalla città o dall'Unione Europea, hanno più lo scopo di aiutare i bambini invece che dar loro la possibilità di esprimersi. Un secondo e forse più importante obiettivo dei progetti artistici è che i bambini, che nei progetti presentano le vite delle loro famiglie, imparino di essere accettati come figli di famiglie rom. Secondo Blanka Kolářová, la maggior parte dei bambini si vergogna di se stessi e di essere parte di famiglie rom. I progetti artistici servono come approccio nel trattare il concetto di identità e a sviluppare l'accettazione sino ad un certo grado di autostima.

La scuola non solo si comprende come un contributo al lavoro esplicativo rivolto ad una sfera di pubblico più vasta. Diventa invece evidente che il suo approccio si basa sul livello base per un miglioramento dei bambini interessati e delle loro reali situazioni familiari.

Poiché la scuola non raggiunge il pubblico, la risposta non è esattamente valutabile. Però la preside stima che, se raggiungessero il pubblico coi loro progetti, la risposta sarebbe positiva. Sono conclusioni tratte dalle reazioni del pubblico alle esibizioni dei bambini nelle tradizionali danze e musiche rom che hanno avuto luogo ad un festival annuale di Ostrava.

Ci fu una motivazione simile nell'aiutare le famiglie dei bambini a sviluppare e rafforzare il senso di autostima e identità, secondo il direttore del teatro "Divadlo Jiřího Myrona". Ha fatto recitare i figli delle delle famiglie rom colpite dall'inondazione di Ostrava nel 1997 per l'esecuzione del musical "AIDA". La risposta del pubblico fu, come riportata dai media, abbastanza buona.

In passato, ci sono stati progetti artistici che in qualche modo hanno coinvolto membri delle comunità rom, non solo come soggetti delle opere artistiche, ma soprattutto come designer attivi delle mostre o degli spettacoli. In questi progetti, la risposta del pubblico è stata  differente da quella dei progetti in cui i Rom (soprattutto bambini) hanno partecipato in quanto persone socialmente svantaggiate o vittime.

Un esempio è un'esposizione che ha avuto luogo nel Museo di Belle Arti "Dům umění" di Ostrava, nel 1999-2000. Un gruppo di studenti universitari ed una stazione radio erano responsabili della mostra che presentava fumetti disegnati da bambini rom. Originariamente era programmata alla Galleria Nazionale di Praga, ma in seguito il direttore rifiutò di esporre "arte rom" nel suo museo. Soltanto dopo il forte impegno di persone influenti, il progetto venne finalmente finanziato ed esposto nel Museo di Belle Arti "Dům umění". Nonostante la resistenza del direttore, il pubblico ha risposto positivamente alla mostra e le persone coinvolte hanno detto di sentire un senso di rispetto da questa esperienza.

L'idea dietro quel progetto era di aprire un sito importante di cultura pubblica, come un museo, perché i Rom mostrassero i loro lavori come artisti e come visitatori del museo interessati nel vedere l'arte dei Rom. Le difficoltà di accesso che gli iniziatori hanno dovuto affrontare per entrare in un campo come quello del Museo di Belle Arti, rappresenta solo un'idea dell'assenza di qualsiasi accettazione del livello intellettuale per chi appartiene alla comunità rom.

Se questi esempi possono essere considerati rappresentativi, confrontando i differenti approcci all'arte rom ed ai differenti livelli in cui l'arte rom è rappresentata, diventa ovvio quanto segue:

Quando il progetto artistico viene inquadrato sia per aiutare un relativamente passivo protagonista (una vittima o un bambino) o inteso come un progetto più o meno pedagogico, come parte di un festival che ha luogo soltanto in un determinato periodo, la rappresentazione di una cultura (nel caso dei Rom, danze e musiche) stereotipata (che arriva assieme agli aspetti "noti") volta all'intrattenimento, sembra essere accettata. Ma appena il coinvolgimento dei Rom è trasformato da oggetto di assistenza in soggetto attivo, o quando sono percepiti come partecipanti alla creazione artistica in quanto artisti o come parte della popolazione generale - come un potenziale visitatore - che era antecedentemente riservato ai non rom, i Rom sembrano avere più difficoltà nell'essere accettati o legittimati. Accettare persone in questa seconda dimensione sociale, dove ci si incontra in posti come gallerie d'arte, significherebbe accettarsi come uguali. Fintanto che la società interagisce con "i Rom" soltanto nel perpetuare gli stereotipi, attraverso questi si mantiene il controllo. Per esempio, possiamo parlare di loro, ma non con loro. Così, è facile mantenere una certa immagine, uno stereotipo che ci permette di trattarli in un certo modo. Fintanto che la società non permette ai Rom di parlare in prima persona e quindi di poter generare un'(auto)concezione di se stessi, noi non avremo da temere che possano variare la loro immagine, costruita e manifestata attraverso discorsi che controllino e giustifichino il modo in cui la società agisce con i Rom.

Lascerò alla discrezione del lettore considerare se il suggestivo argomento fatto sull'arte recipiente nel museo, possa essere applicabile alle differenti sfere della società, quali i luoghi di lavoro, il vicinato, o le istituzioni educative. Inoltre, rimane la questione di come questa assegnazione di ruolo manifestata da Rom e non Rom possa risolversi attraverso i discorsi pubblici e le regole istituzionali.

1) Kathrin Buhl studia scienze culturali e scienze politiche all'Università di Brema

2) Seguendo l'esempio di Rainer Mattern userò in tutto questo articolo i termini "comunità rom" o "popolo rom" riguardo a Sinti e Rom, Askali ed Egizi, citato in Mattern, R. (2009). Swiss-Aid-to-Refugees-Country analysis, Kosovo: About the Repatriation of Roma. Bern, Swiss-Aid-to-Refugees-Country Analysis.

3) Agarin, T., Brosig, M. (2009). "Minority integration in Central Eastern Europe: between ethnic diversity and equality." Editions Rodopi B.V. Last accessed October 4, 2010 at http://books.google.de/books?id=182K1gZFAuoC&pg=PA307&dq=ostrava+population+statistics&ei=BuHmS_iUAoyqywSLhNDKCQ&cd=9#v=onepage&q=ostrava%20population%20statistics&f=false

4) Come esempio, è stato pubblicato un documento sulla discriminazione dei Rom, sulla base di un lavoro sul campo nel 2008 in un rapporto della Commissione Europea: Discriminazione nell'Unione Europea, Percezioni, Esperienze ed Atteggiamenti.

5) Informazioni ricevute da Kumar Vishwanathan - Vivere Insieme, OnG di Ostrava sui diritti dei rom.

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Di Fabrizio (del 07/11/2010 @ 09:04:18, in Kumpanija, visitato 2166 volte)

foto di Ivana Kerecki

Lo scorso 8 ottobre è morto per un ictus Franco Pasello, anarchico, amico di molti rom, fotografo e panettiere.

Per ricordarlo, gli amici e i compagni si ritroveranno domenica 14 novembre dalle ore 13.00 presso la Cascina autogestita Torchiera, piazzale Cimitero Maggiore 18 - Milano

Siamo franchi
ricordando il nostro Franco Pasello

Dalle ore 13 (pranzo) a tarda sera si terrà Siamo franchi, una giornata in ricordo di Franco Pasello, il nostro compagno morto l'8 ottobre scorso.

Come lui desiderava, lo ricorderemo in allegria con un bel pranzo, musiche rom e non-rom, canzoni del suo amato De André, testimonianze, vendita di stampa e libri anarchici, brindisi, chiacchiere, ricordi, progetti, aperitivo serale, ecc. ecc.. Chi vuole, porti roba da mangiare e da bere (anche se ci mancheranno le famose pizze di Franco), giornali, libri, idee.

Fin d'ora, chi vuole farci avere una sua testimonianza scritta su Franco, un ricordo, un breve testo, lo invii ad arivista@tin.it anche in vista di una pubblicazione dedicata a Franco che certamente faremo, ma di cui non abbiamo ancora il progetto preciso.

Per info, contattateci.

rivista anarchica "A"
cas. post. 17120 – Mi 68
20128 Milano
tel. 02 28 96 627
fax 02 28 00 12 71
arivista@tin.it

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