Presseurope Una settimana da rom
10 novembre 2010 ADEVĂRUL BUCAREST
Un giornalista si cala nei panni di uno zingaro per comprendere meglio il
"problema" che divide l'Europa. E scopre che il disprezzo per la diversità è
forte, ma la discriminazione è dovuta soprattutto alla povertà.
Cristian Delcea
Mai prima d'ora i rom erano stati tanto al centro del dibattito pubblico.
Quest'anno sono stati espulsi dalla Francia ottomila zingari romeni, anche se la
metà di loro vi ha già fatto ritorno. Quali speranze hanno di essere accolti in
Romania? Io ho cercato di scoprirlo indossando per una settimana i panni dello
zingaro-tipo: cappello, camicia variegata, giacca di pelle, pantaloni di
velluto. Mi sono lasciato crescere i baffi. La pelle scura l'avevo già,
grazie a dio.
Ho iniziato da Piazza dell'Università a Bucarest. C'erano alcuni studenti
ubriachi che si sono fatti beffe di me, gridandomi dietro quegli insulti
arci-noti nella lingua zigana: “mucles” (chiudi il becco!), “bahtalo” (buona
fortuna!), “sokeres” (come va?). Un tipo biondo grande e grosso mi ha scattato
qualche fotografia, poi ha fotografato le bottiglie allineate sul marciapiedi, i
cani, i mendicanti. Probabilmente, sul suo computer in Scandinavia la mia
fotografia sarà etichettata “spazzatura a Bucarest”.
Quella stessa sera, sul tardi, sono andato al Teatro Nazionale. La gente che mi
stava intorno non era in verità lieta della mia presenza, ma nessuno ha detto
nulla. Ho sentito le stesse risate di prima, provenienti da un gruppo di
giovani. Mi è sembrato che siano proprio loro i più cattivi verso gli zingari.
Ti ridacchiano sempre dietro le spalle. Può anche darsi che i loro sguardi
facciano più male ancora dell'occhiata crudele di Nicolas Sarkozy, il presidente
francese.
Vorremmo che gli zingari profumassero
Da noi ci sono campagne per l'integrazione e l'alfabetizzazione dei rom, ma non
ci sono campagne perché la gente eviti di ridere alle spalle di uno zigano per
strada. Ma questa non è discriminazione. Nessuno mi ha cacciato da un bar o da
un ristorante. Finché hanno incassato i miei soldi, mi hanno accolto a braccia
aperte. A esser vittima di discriminazione in Romania non sono gli zingari,
bensì i poveri.
Vorremmo che gli zingari profumassero e amassero l'arte, ma nessun datore di
lavoro vuole assumere uno zingaro. E senza soldi lo zingaro precipita nella
miseria, oppure cerca dei mezzi non convenzionali per procurarseli. Ho cercato
di ricorrere ai mezzi convenzionali, ho fatto tutto quanto era in mio potere per
farmi assumere. Ho consultato la pagina delle offerte di lavoro sui giornali per
operai non qualificati, lavamacchine, autodemolitori.
A telefono mi hanno detto che posti di lavoro ne avevano ancora, ma quando sono
arrivato alcuni mi hanno semplicemente detto “Vattene, zingaro!”, altri mi hanno
scacciato insultandomi e dicendo: “Non assumiamo più nessuno!” Perfino i
netturbini mi hanno respinto. La figlia del capo mi ha guardato dietro gli
occhiali e mi ha detto: "Non assumiamo. Non l'abbiamo mai fatto". Il che
significa, indubbiamente, che gli spazzini che si davano il cambio in cortile
devono essersi tramandati quel lavoro di padre in figlio.
Sulla strada
Pensavo, in ogni caso, che una certa solidarietà esistesse. Se non nella
popolazione, quanto meno tra automobilisti. Alla periferia di Bucarest ho forato
una gomma, più o meno di proposito. Ho trascorso più di tre ore sul ciglio della
strada, gesticolando, facendo segno agli altri automobilisti di passaggio di
aver bisogno di aiuto. Ho letto parolacce e ingiurie sulle labbra di alcuni.
Altri mi hanno suonato dietro il clacson ridendo. Uno ha perfino fatto finta di
venirmi addosso. Ero completamente solo. Centinaia di persone mi sono passate
accanto senza prestare soccorso. In quel preciso momento ho compreso perché gli
zingari si spostano in gruppo: se restassero soli morirebbero.
Alla fine si è fermata una vecchia Skoda Octavia. Ne è sceso un disgraziato
sulla cinquantina, che indossava una salopette sporca. Nei due minuti necessari
ad aiutarmi a sostituire la ruota, mi ha aperto il suo cuore: "Ti avevo visto,
due ore fa, quando mi avevi fatto segno di fermarmi. Ti ho guardato nello
specchietto retrovisore e mi sono pentito di non essermi fermato subito. Mi sono
ripromesso, se tu fossi stato ancora qui al mio ritorno, di fermarmi. Ecco:
credi che abbia fatto una buona azione?" A testa bassa gli ho risposto: "Sì,
signore".
Ripartendo per Bucarest mi sono fermato a fare benzina. Un impiegato della
stazione di servizio è uscito dal gabbiotto un po' impaurito e mi ha chiesto:
"Ti sei rifornito alla pompa 5?" No, alla pompa 4. Alla pompa 5 avevano fatto
benzina alcuni zingari a bordo di un'automobile dalle targhe gialle (quelle
temporanee delle automobili appena acquistate in Germania, difficili – per non
dire impossibili – da rintracciare). Avevano fatto il pieno e si erano
dimenticati di pagare. Mi sono voluto illudere che anche loro fossero
giornalisti alle prese con un esperimento giornalistico.
Questo articolo finisce dove è iniziato, in Piazza dell'Università. Credo di
aver concluso ben poco, di non aver trovato una soluzione al problema dei rom.
Come vuole la società che vada a finire per loro? Dopo essere stato trattato
come uno zingaro per sette giorni, oserei dire che la risposta l'ho trovata
sulla parete di una vecchia casa, dove qualcuno ha riportato un versetto del
vangelo (Giovanni 3,7): “Bisogna che voi siate generati di nuovo”. E in questo
caso non si tratta di una metafora. (traduzione di Anna Bissanti)