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\\ Mahalla : Storico per mese (inverti l'ordine)
Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
 
 
Di Fabrizio (del 09/06/2010 @ 09:09:03, in scuola, visitato 1933 volte)

Segnalazione di Ramo Mujkic

 il link per chi legge da Facebook

Tutti Giù Per Terra - 1997 - Walter lavora come obbiettore dell'ufficio immigrazione col compito di "Regolare la scolarizzazione dei Bambini Nomadi". Compito tutt'altro che facile. Anche per l'ignoranza delle maestre delle elementari...

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Di Fabrizio (del 09/06/2010 @ 09:25:27, in musica e parole, visitato 1949 volte)

sabato 12 giugno 2010 alle ore 22.00
Centro Sociale Sos Fornace Via San Martino 20 Rho, Milano
Le melodie raminghe del maestro Jovica Jovic tornano a far ballare la Fornace. Assieme a lui sul palco anche i Gypsy sound System da Ginevra, un progetto musicale che da più di cinque anni seduce un pubblico universale, da New York a Melbourne, con musica folk, popolare, tzigana, meticcia e multiculturale.

 Un video dei Gypsy sound System da Youtube

L'appuntamento su Facebook

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Di Fabrizio (del 09/06/2010 @ 13:12:40, in Italia, visitato 2274 volte)

Segnalazione di Roberto Malini

Da Il Post

Anche ieri, nel caso del neonato rapito, si è parlato per ore di una presunta e inesistente pista rom
Il pregiudizio razzista contro i rom ha già fatto molti danni, e l'informazione non aiuta a combatterlo

Le cronache di ieri si sono occupate molto del rapimento di un neonato all'ospedale "Umberto Primo" di Nocera Inferiore: una donna si era travestita da infermiera e aveva portato via con una scusa Luca Cioffi, nato appena poche ore prima. Il caso si è concluso bene, fortunatamente, intorno a mezzanotte: i poliziotti hanno fatto irruzione in un appartamento poco distante dall'ospedale, hanno ritrovato Luca Cioffi e hanno arrestato la donna responsabile del suo rapimento. La donna si chiama Annarita Buonocore e fa effettivamente l'infermiera, ma in altro ospedale di Nocera.

A caso chiuso, neonato al sicuro e colpevole non più in grado di nuocere, forse è il caso di ragionare su un'altra cosa che è successa ieri, relativamente al rapimento di Luca Cioffi. Per buona parte del pomeriggio, infatti, diversi giornali hanno raccontato che la pista sulla quale stavano investigando i poliziotti portava a una o due donne di etnia rom.

"Caccia a due donne rom su Fiat Verde", ha scritto l'AGI. "Si cerca una Fiat Punto di colore verde con due donne rom a bordo", ha scritto il Tempo. Diversi altri siti di notizie hanno rilanciato la notizia, e la "caccia a due donne rom" è stata a lungo il titolo degli articoli che raccontavano la vicenda del rapimento. Oggi sappiamo che la responsabile del rapimento è una donna bianca (di nazionalità italiana) e poco dopo il ritrovamento del bambino il questore di Salerno ha detto che "avevamo una traccia precisa e abbiamo seguito una sola pista". Insomma, secondo la polizia la pista delle donne rom non è mai esistita. D'altra parte, la madre del bambino rapito ha detto da subito che l'infermiera parlava italiano molto bene. Resta da capire perché la "pista rom" sia arrivata sui mezzi di informazione e perché ci sia rimasta così a lungo.

L'ANSA non ha battuto alcun comunicato scrivendo dell'esistenza di una pista rom. Questa fa capolino invece in un dispaccio dell'Adnkronos delle 19,22, ma per essere smentita dalla voce di uno degli investigatori: "Dalle testimonianze raccolte, riteniamo che la donna che ha portato via il piccolo Luca fosse italiana e non una rom". E in effetti l'ANSA interviene poco dopo, prima per dare conto delle ricerche infruttuose dei poliziotti nei campi rom della zona (ma la pista c'era o no, allora?) e poi per dare la smentita definitiva, poco prima delle 21.

Qualcuno ha detto che si trattava di donne di etnia rom – controlli, senza esito, sono stati fatti in campi rom – ma in serata un identikit diffuso a tutte le forze dell'ordine e su tutto il territorio nazionale ha fatto chiarezza: si tratta di una donna giovane, di carnagione scura, capelli ondulati e lunghi, corporatura esile, altezza tra 1,70 e 1,75, nazionalità italiana perché ha scambiato parole con la mamma e con la nonna del bambino e ha dimostrato di conoscere bene la lingua.

Salvo poi battere un altro dispaccio intorno alle 22, poche ore prima che Luca Cioffi venisse ritrovato, con questo testo:

(ANSA) – ROMA, 7 GIU – Un traffico di neonati tra la provincia di Napoli e l'Agro Sarnese Nocerino venne scoperto due anni fa dai carabinieri della compagnia di Nocera Inferiore, gli stessi che oggi sono impegnati nelle ricerche del neonato rapito nell'ospedale della città. In quel caso, però, i bambini oggetto del traffico non erano stati precedentemente sequestrati, ma erano gli stessi genitori – dei nomadi rom – a metterli in vendita. I soldi venivano divisi tra la mediatrice, una donna del posto, che venne arrestata, e i genitori dei bambini, quattro romeni e due slavi. Nel corso dell'operazione fu anche recuperata una neonata di 21 giorni che era stata appena consegnata ad una coppia italiana. Le indagini erano partite da una denuncia per truffa presentata da una coppia di coniugi del beneventano. Avevano conosciuto alcuni mesi prima la mediatrice, che si era presentata come una benefattrice e aveva proposto loro un metodo "alternativo" per ottenere un figlio senza attendere le lungaggini della procedura per l'adozione. Alla coppia di Benevento la donna aveva anche rilasciato una ricevuta per 18 mila euro: "Per la consegna di due bambine", era specificato.

Insomma, un caso piuttosto diverso da quello di ieri – quello era un rapimento, questo era invece era un traffico di bambini venduti volontariamente – ma secondo l'ANSA abbastanza simile da essere messo in relazione coi fatti in corso.

Non si tratta affatto di un fenomeno nuovo. C'è il caso di Ponticelli, a seguito del quale una ragazza fu condannata per tentato sequestro. Un caso oggetto di un libro del giornalista del Corriere Marco Imarisio, che lo definì "una montatura": i giornali titolarono "rom tenta di rapire neonata", la ragazza in questione venne quasi linciata, nei giorni successivi diversi campi rom vennero dati alle fiamme, per vendetta. Dopo qualche giorno – nel silenzio quasi assoluto dei giornali, stavolta – in molti espressero dubbi sul fatto che si trattasse davvero di un tentativo di rapimento. In ogni caso, venne fuori che la ragazza non era nemmeno di etnia rom. Qualche anno prima ci fu un altro caso simile a Lecco, qualche tempo dopo accadde la stessa cosa a Catania: arresti per rapimento, grandi allarmi e titoloni sugli zingari che rapiscono i bambini, e poi assoluzioni per mancanza di qualsiasi elemento a carico dell'accusa.

Viviamo in un paese in cui – a causa di una singolare e inquietante commistione di psicosi collettive, razzismo e mitologia medievale – per ogni bambino rapito si trova sempre qualcuno pronto a tirar fuori e avvalorare presunte "piste rom". Un paese in cui una persona di etnia rom che si avvicina a un bambino è già un "tentativo di rapimento": al quale seguono – nel migliore dei casi – degli arresti; nel peggiore, dei linciaggi. Ma è molto peggio di così. Viviamo in un paese in cui dello stesso pregiudizio ignorante sono vittime a volte le stesse forze dell'ordine, o la magistratura: all'epoca del caso di Ponticelli il sostituto procuratore Alessandro Piccirillo disse in aula che "la Romania è entrata a far parte nella comunità europea, pertanto deve integrarsi con la nostra cultura. Il rapimento dei neonati non appartiene alla nostra cultura". Ma è molto peggio di così. Viviamo in un paese in cui – salvo qualche eccezione – l'informazione e il giornalismo non si lasciano scappare un'occasione per mettere nello stesso titolo la parola "rapimento" e quella "rom", anche quando i fatti suggerirebbero maggiore cautela, salvo poi scrivere lunghi articoloni indignati per gli effetti criminali e perversi delle campagne d'odio innescate con la loro complicità.

Mentre scriviamo alcuni giornali sono già saltati sul prossimo caso, stavolta a Prato: l'AGI scrive che "tre rom cercano di rapire un bambino". L'ANSA descrive la dinamica dei fatti e racconta quindi quello che oggi, in Italia, è considerato – dalle persone, dalla stampa, dai carabinieri – un "tentativo di rapimento".

Secondo quanto ricostruito dai carabinieri, sulla base della testimonianza di un vicino di casa della famiglia del piccolo, erano circa le 16 quando un uomo, con i baffi, si sarebbe avvicinato al muretto del terrazzino dove il bambino stava giocando da solo, mentre i genitori erano dentro casa. L'estraneo avrebbe teso le braccia al bimbo che avrebbe reagito immobilizzandosi. A notare tutta la scena il vicino di casa che, preoccupato anche per aver visto due rom nel posteggio condominiale, ha raggiunto l'uomo chiedendogli spiegazioni su cosa stava facendo. Lo sconosciuto, senza dire nulla, si sarebbe allontanato a piedi insieme alle due donne.

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Di Fabrizio (del 09/06/2010 @ 14:30:00, in musica e parole, visitato 1552 volte)

Succedono strane cose a Milano, a volte anche piacevoli.

Piccola premessa, ieri mi telefona Ernesto Rossi, dicendo che oggi (praticamente mentre sto scrivendo) partirà una sorta di maratona letteraria dedicata a Cent'anni di solitudine. A dare il via, sarà il sindaco, e questo procurava qualche prurito al buon Ernesto, che ricordava la figura (totalmente positiva) del quasi immortale zingaro Melquíades.

Qui termino, non prima di consigliarvi una breve citazione che scrissi 5 anni fa di quel romanzo.

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Di Fabrizio (del 10/06/2010 @ 09:16:18, in casa, visitato 1887 volte)

da martedì 15 giugno 2010 alle ore 16.30 a lunedì 21 giugno 2010 alle ore 19.00
Museo delle Arti e Tradizioni Popolari, Piazza Guglielmo Marconi, 8 (EUR) Roma, Italy

Evento collaterale della Festa dell'Architettura di Roma (http://www.indexurbis.it/).

L’Istituto Centrale per la Demoetnoantropologia (IDEA) / Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari ospita l'evento Campus Rom, c'era una volta Savorengo Ker, mostra multimediale che racconta due esperienze di ricerca realizzate dal collettivo Stalker ON in collaborazione con le comunità Rom della capitale. Due anni di lavoro, vissuti tra intese e malintesi, che hanno visto nascere progetti coraggiosi e sogni condivisi, narrati dalla mostra fotografica Campus Rom e dal documentario, presentato in anteprima assoluta, C'era una volta … Savorengo Ker, la Casa di Tutti, regia di Fabrizio Boni e Giorgio de Finis, prodotto da In Iride Sfoggio.

La mostra Campus Rom presenta le fotografie di: Simona Caleo, Giorgio de Finis, Max Intrisano, Massimo Percossi, Maria Stefanek, Maria Teresa Bovino, Hector Silva Peralta. Alessandro Imbriaco

Per informazioni e aggiornamenti sul programma:

Sito ufficiale dell’evento:
http://campusrom.wordpress.com/

Indirizzo email:
campusrom.indexurbis@gmail.com

in diretta streaming su http://www.irida.it/
Ingresso libero - l'evento su Facebook

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Di Fabrizio (del 10/06/2010 @ 09:50:05, in musica e parole, visitato 1538 volte)

Da federazioneromani.wordpress.com

Qualche settimana fa abbiamo comunicato un progetto editoriale promosso e deliberato dall’assemblea dei soci della Federazione romanì.

Un progetto ambizioso che si propone di promuovere la costituzione di una Editoria romanì che, attraverso la valorizzazione delle professionalità rom e sinte e di un comitato scientifico, diffonda la conoscenza diretta della cultura e dell’arte romanì con la produzione di saggi di letteratura, antologie letterarie, libri, storie, racconti, arte e cultura, ecc. fino alla produzione e distribuzione periodica di una rivista romanì.

Una editoria romanì quale strumento pedagogico, educativo e divulgativo della cultura e dell’arte romanì.

Lo scorso 28 Maggio l’assemblea dei soci ha definito il logo della Editoria romanì (allegato), in corso di registrazione.

Il primo lavoro dell’editoria romanì "O romanò gi" (L’anima romanì) è in fase avanzata di programmazione. Si tratta di un saggio di letteratura romanì per portare all’attenzione del lettore i commenti, le analisi, le critiche delle opere di autori rom, sinti, kalè, manousches, romanichels viventi e non. Un analisi sui testi in lingua romanì nei diversi dialetti in cui si ramifica la romanì chib o romanès.

L’opera "O romanò gi" è anche una strumento pedagogico che sarà utilizzato per il corso di lingua romanès che inizierà a settembre 2010.

L’opera sara un formato A5 composta di circa 160 pagine.

Chiediamo agli amici del popolo romanò di sostenere questa iniziativa con un contributo. I sostenitori saranno menzionati nell’opera che riceveranno copia in omaggio.

Contributi possono essere inviati al codice IBAN: IT 20 O 05387 03204 000001892874 intestato a Federazione romanì, causale: "O romanò gi"

Informazioni: federazioneromani@libero.it

Federazione romani - Il presidente Nazzareno Guarnieri

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Di Fabrizio (del 10/06/2010 @ 09:52:20, in Italia, visitato 1886 volte)

Triennale - sala teatro Agorà, viale Alemagna 6 Milano
Giovedì 17 giugno ore 10.00

Introduce:
Riccardo Bonacina, direttore editoriale di "Vita non profit"

Partecipano:
Susanna Camusso, segretaria nazionale CGIL
Aldo Bonomi, sociologo, direttore di AASTER
Gianni Tognoni, Fondazione Basso, segretario generale del Tribunale Permanente dei Popoli
Giovanni Negri, presidente del Circolo della Stampa di Milano
Sergio Segio, curatore del Rapporto, direttore di Associazione SocietàINformazione

Interviene in video:
Moni Ovadia, artista e scrittore

Gli interventi saranno accompagnati dallo spettacolo:
Via Padova, Rosarno, Italia

Performance artistiche e musicali di:
L'Orchestra di via Padova
Modou Gueye, attore
Dijana Pavlovic, attrice, con i Muzikanti

Immagini e filmati a cura di:
Chiara Bellosi, Rosario Cinque e Luca Guarneri

INFO
Associazione SocietàINformazione | info@dirittiglobali.it | www.dirittiglobali.it
Ufficio stampa Ediesse srl | Carla Pagani | tel. 06 44870286 | ufficiostampa@ediesseonline.it  | www.ediesseonline.it

Un progetto promosso da
CGIL, ARCI, ActionAid, Antigone, Associazione SocietàINformazione, CNCA, Fondazione Basso - Sezione Internazionale, Forum Ambientalista, Gruppo Abele, Legambiente

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Di Fabrizio (del 11/06/2010 @ 09:04:17, in Italia, visitato 1833 volte)

Stefania Cammarata, con la Svoboda Orchestra, tra poco suonerà al DADO di Torino, un'esperienza di cui si era scritto in passato anche qui.

Il DADO è una comunità nella quale vige una regola fondamentale “dare diritti e pretendere doveri”.
Da un anno a Settimo Torinese accanto alle comunità Rom.



Un anno fa si è realizzato un sogno. Un sogno iniziato nel novembre del 2009 quando una notte è andato a fuoco un campo ROM alle porte di Torino dove vivevano molte famiglie di origine romena scappate in seguito ad una delle tante alluvioni che ha martoriato la Romania. In quella notte l’unico contatto che le famiglie avevano eravamo noi, che in quel campo svolgevamo piccole attività di mediazione culturale, accompagnavamo i bambini a scuola, mediazione sanitaria e poco più. Quando il campo ha preso fuoco noi abbiamo accolto le famiglie, che si sono trovate a perdere i loro pochissimi averi, nei nostri uffici allestiti insieme alla Croce Rossa con brandine nei corridoi e al posto dei pc. Da quel momento è iniziato un lungo percorso che ha visto le famiglie prima ospiti di un campo di emergenza con le tende, poi roulotte. La nostra proposta però fu subito quella di non gestire solo l’emergenza come spesso accade in Italia, ma provando a dimostrare che la tematica rom può essere governata in modo diverso, portandola a sistema. Da questa esigenza è nato il DADO. Una comunità nata grazie ad una struttura messa a disposizione dal comune di Settimo Torinese, alle porte di Torino. La struttura è stata ristrutturata completamente dalle famiglie che oggi ci vivono, questo ha permesso loro di sentire la struttura come casa loro a tutti gli effetti. Le famiglie hanno vissuto il cantiere, sotto la guida esperta di professionisti, durante i mesi nel cantiere si sono creati una professionalità che gli ha permesso di essere inseriti in contesti lavorativi. Il DADO è una comunità nella quale vige una regola fondamentale “dare diritti e pretendere doveri”. Le famiglie che stanno al DADO hanno la possibilità di essere inseriti in contesti lavorativi, i bambini vanno tutti a scuola, ma vi sono delle regole alle quali non è possibile declinare. Il quartiere nel quale è inserito il DADO era certamente spaventato dal trovarsi vicino a casa un gruppo di “zingari” come spesso vengono definiti con aria dispregiativa. Molte le proteste nelle prime settimane. Dopo i mesi di cantieri, grazie anche al lavoro svolto dalla parrocchia dalla scuola e da tutto il territorio, all’inaugurazione un anno fa avevamo più di trecento persone che ne hanno festeggiato l’apertura. Oggi i bambini giocano nell’oratorio insieme ai bambini originari di Settimo, vanno nella stessa scuola e sono diventati compagni di classe e non “zingari”. Al DADO si è bucata la bolla mediatica del razzismo, siamo riusciti con gesti semplici e concreti a dimostrare che stando con le persone è possibile uscire dal pregiudizio.

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Di Fabrizio (del 11/06/2010 @ 09:40:00, in Europa, visitato 1848 volte)

Segnalazione di Orhan Tahir (per chi volesse approfondire l'argomento, ricordo QUI)

ConservativeHome | CentreRight posted by Daniel Hamilton

Poco meno di due mesi fa, sono tornato da una visita in Kosovo.

Intendevo scrivere sulle mie esperienze ed impressioni nella provincia, ma ogni volta che mettevo la penna sulla carta, non ne seguivano le parole.

Come in ogni zona di conflitto - soprattutto conflitti etnici del tipo visti in Kosovo - i punti di vista che si sentono dai locali sono troppo polarizzati, le emozioni espresse troppo forte ed i simboli molto umani delle distruzioni illustrate dalle case bruciate; e cumuli di macerie che ancora delimitano le strade nel nord del paese sono ancora troppo evidenti per trarre una conclusione equa riguardo i "diritti" e "torti" di ogni situazione.

Non mi dilungherò sulle politiche in corso riguardo il futuro del Kosovo come nazione, né discuterò sulle continue intimidazioni e le misere condizioni delle minoranze della provincia. Invece, intendo sottolineare una significativa lacuna della comunità internazionale: il trattamento e le condizioni di vita dei rifugiati rom nel paese.

Questo problema risale al conflitto nel Kosovo tra il 1998 e il 1999, quando l'Armata di Liberazione del Kosovo espulse dalle loro case 90.000 cittadini di etnia rom sulle basi delle paure nazionaliste albanesi che la comunità fosse al servizio di Slobodan Milosevic.

Tra questi c'era la comunità rom di Mitrovica, una città nel settentrione della provincia etnicamente divisa tra la maggioranza serba a nord del fiume Ibar e la più vasta città albanese a sud. In precedenza casa di una delle più vaste comunità rom nei Balcani, 8.000 Rom, Ascali ed Egizi, la "Mahalla" (comunità) sulle rive dell'Ibar fu rasa al suolo dalle forze ALK nel giugno 1999, a seguito della ritirata dell'esercito serbo.

Temendo per le proprie vite, i cittadini rom di Mitrovica sono stati numerosi tra le centinaia di migliaia di rifugiati - Albanesi, Serbi, Gorani, Turchi e Bosniaci - scappati dal Kosovo [...].

Dal 1999, la maggioranza dei 90.000 Rom espulsi sono tornati in Kosovo, anche se oltre 30.000 non son mai tornati nelle loro case. La maggior parte di questa diaspora, non vedendo alcun futuro sotto il ruolo dell'amministrazione quasi monopolizzata dai nazionalisti albanesi, sceglie piuttosto di rimanere nella Repubblica Serba o di restare vicino alle proprie ex case nei grotteschi campi per rifugiati nella zona controllata dai Serbi a Mitrovica Nord.

Benvenuti nel complesso minerario di Trepça, dove 650 uomini, donne e bambini vivono in condizioni che non accetterebbe neanche un maiale.

Ho visitato uno dei campi, Cesmin Lug, una nuvolosa domenica pomeriggio.

In un accatastarsi di cemento ricoperto di ruggine, macchinari abbandonati e pozze di acqua stagnante grandi come piscine, a fatica si può credere che una volta le miniere rappresentavano il 70% della produzione di minerali della Jugoslavia ed occupavano circa 25.000 persone del posto in quattro differenti pozzi. Sono passati oltre venti anni da quando Trepça era pienamente operativa, ma  rimane ancora nell'aria un leggero odore di zolfo. Graffiti coprono ogni centimetro di edifici abbandonati e colonne di fumo si alzano contro l'orizzonte. Arbusti occasionali a parte, le cui radici si attaccano tenacemente al suolo, la vegetazione è sparsa stranamente.

Secondo la mia guida, una donna serba di mezza età chiamata Jasna, vengono fatti sforzi occasionali per riattivare parti del complesso, sforzi che invariabilmente si arenano al primo ostacolo. L'elettricità scarseggia (l'intera provincia del Kosovo ottiene la sua energia da stazione appena fuori da Pristina) ed oltre un decennio di abbandono significa che gran parte del complesso minerario è ora irreversibilmente sott'acqua.

Mentre i macabri ricordi del passato industriale di Trepça si possono vedere tutt'attorno, oggi l'unico segno di vita sono le case dei residenti rom.

Entrando a Cesmin Lug, sono stato immediatamente colpito dal numero di case rom attaccate l'una all'altra, i loro vibranti muri colorati quasi interamente camuffati da una misto di fango e pile d'immondizia.

Prima della mia visita avevo sentito dei gravi problemi di salute sofferti da molti dei residenti, ma sono rimasto scioccato nel vedere bambini di non più di quattro o cinque anni, sguazzare in pozze di acqua scura ed arrampicarsi su attrezzature minerarie abbandonate come fossero un parco giochi locale.

Non oltre qualche centinaio di metri da Cesmin Lug c'è un  piccolo pozzo che sembra una specie di imbocco per una miniera. Qui si dice che questi ingressi servivano a smaltire i gas tossici delle miniere da anni considerate insalubri per l'esplorazione umana.

Non ho parlato con nessuno nel campo ed ho lasciato Cesmin Lug in fretta come ero arrivato, scomodo alla mia macabra osservazione della reale sofferenza umana.

Tornando a Pristina, anche la più rapida delle conversazioni coi locali rivelava una conoscenza diffusa dei problemi di salute patiti dai Rom. Le più comunemente citate sono state le relazioni e le voci di avvelenamento da piombo, insufficienza renale e deformazioni tra quanti vivono nei campi. Mentre lo scandalo delle miniere di Trepça può essere praticamente sconosciuto fuori dal Kosovo, tristemente è linguaggio comune nella provincia.

Il gruppo ambientale Miniere e Comunità, che ha fatto campagne mondiali per far crescere la consapevolezza del danno ambientale costituito dal settore minerario, ha offerto le seguenti osservazioni sul tipo di rischi alla salute posti a quanti vivono nelle immediate vicinanze di miniere come Trepça:

"Il piombo può entrare nel corpo attraverso: inalazione, ingestione del suolo stesso o di cibo contaminato dal suolo, ed attraverso la placenta per il feto nel grembo materno. Nutrizione, igiene, rapporto di grasso corporeo, l'assunzione di fibre, età e in generale la condizione fisiologica, tutto può influire sulla velocità con la quale il corpo assorbe il piombo. I bambini sino a sei anni sono i più vulnerabili, in quanto sono nei primi stadi della crescita e dello sviluppo. L'avvelenamento da piombo colpisce tutto il corpo con conseguenze sulla salute gravi e permanenti. Potenziali sintomi dell'esposizione al piombo, anche a bassi livelli, includono la perdita dell'appetito, letargia, alta pressione sanguigna, problemi di fertilità per uomini e donne, parti prematuri, difficoltà nella crescita, danni all'udito e neurologici, convulsioni, dolori e/o paralisi alle gambe, perdita di coscienza, anemia, aggressività, crampi allo stomaco, vomito. Gli effetti più significativi ed irreversibili sono al livello di QI. Un aumento dei livelli del piombo nel sangue da 10 a 20 microgrammi per decilitro, è stato associato con la decrescita di 2,6 punti di QI, ma qualsiasi aumento oltre i 20 riduce i livelli di QI"

In misura diversa, ognuno se non tutti questi sintomi sono stati osservati nei campi dei rifugiati rom nel Kosovo settentrionale.

Nessuno potrebbe ritenere che un posto simile sia desiderabile o appropriato per ospitare gente a lungo termine. A dire il vero, l'Ufficio dell'Alto Commissario ONU per i Rifugiati (UNHCR) ha giudicato che questi campi per rifugiati dovevano essere semplicemente una misura temporanea per garantire a breve termine la sicurezza dei residenti rom a Mitrovica sud.

Nonostante i pochi sforzi della comunità internazionale per rialloggiare i rifugiati rom, i campi  sono rimasti operativi per oltre un decennio. I Rom, che hanno ancora terrore dopo la loro esperienza nel conflitto del 1999, hanno ripetutamente declinato l'opportunità di tornare a Mitrovica sud controllata dagli Albanesi.

Dovrebbe essere una ragione di vergogna per l'Unione Europea e la più ampia comunità internazionale che i campi rom di Trepça rimanga operativo ad appena 300 miglia da Budapest e a 75 da Skopje - la capitale di un aspirante stato membro UE.

I campi per i rifugiati rom adiacenti al complesso minerario di Trepça devono essere chiuse alla prima opportunità possibile, dopo aver identificato un sito appropriato dove alloggiare la comunità rom. Purtroppo la lodevole volontà della comunità internazionale di realizzare comunità etnicamente miste nel settore albanese a sud del fiume Ibar rimarrà impraticabile per decenni. Le emozioni sono troppo forti e la memoria troppo viva.

Tale sito dovrebbe essere trovato nelle aree sotto il controllo della Serbia nella provincia settentrionale della Kosovska Mitrovica. Mentre diversi governi - incluso quello del Regno Unito - riconoscono solo la sovranità della Repubblica del Kosovo, anche sulle aree controllate dai Serbi, l'acquisizione di questo sito richiederebbe la costruttiva cooperazione della Repubblica di Serbia e e dell'Assemblea della Comunità Serba di Kosovo e Metohija. In pratica, richiederà l'offerta di un importante incentivo finanziario alle autorità serbe.

La comunità internazionale deve anche riconoscere che, a causa della sua mancanza di un'azione affermativa, centinaia di persone stanno ora soffrendo seri problemi di salute che potranno avere conseguenze mortali nei prossimi anni. Devono essere fornite cure mediche immediate a quanto hanno vissuto nei campi di Trepça. Attualmente trattamenti specialisti simili non sono disponibili né in Serbia o in Kosovo e dovranno quindi avvenire in un appropriato paese terzo, i candidati più prossimi potrebbero essere Romania o Bulgaria.

La storia è piena di esempi tragici sui maltrattamenti della comunità rom; dall'abbattimento del 25% del loro popolo nelle camere a gas naziste durante la II guerra mondiale all'onda crescente di attacchi razzisti in Europa centrale.

Non contribuiamo ulteriormente ad un altro tragico capitolo della loro storia ed agiamo oggi per risolvere questa crisi umanitaria.

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Di Fabrizio (del 12/06/2010 @ 09:21:29, in Regole, visitato 1544 volte)

Da Roma_Francais (ed una notizia gemellata)

Mendicare con un bambino: è autorizzato

La mendicità con un bambino, può essere scioccante o commovente. Eppure, secondo la corte d'appello di Bruxelles, questa pratica non è illegale. La legge autorizza i mendicanti a prendersi cura dei loro piccoli. E' lo sfruttamento dei bambini ad essere illegale.

Tendere la mano per chiedere una moneta è autorizzato dalla legge. L'accattonaggio per strada e negli spazi pubblici quindi non è illegale. E mendicare con un bambino? Anche se questa pratica può scioccare o commuovere, è lo stesso autorizzata. Secondo una decisione della corte d'appello di Bruxelles, in effetti è permesso mendicare con dei bambini, sopratutto con i propri. Secondo il giornale Le Soir, questo dovrebbe costituire un precedente giudiziario.

Verbalizzata un giovane rumena

Il caso riguardava una giovane rumena di 20 anni, che chiedeva l'elemosina a Bruxelles accompagnata dai suoi figli di 3 anni e 7 mesi. Loredana non beneficiava di alcun reddito fisso e le era stato rifiutato l'aiuto del CPAS. Come spiegato dai suoi avvocati al giornale "Le madri rom non possono concepire di separarsi dai loro figli prima che siano scolarizzati". E' stata sanzionata dalla polizia in varie riprese tra il gennaio 2007 e marzo 2008. Se il delitto di mendicità è stato abrogato nel 1993, nel 2005 è stata votata una nuova legge per rafforzare la lotta contro la tratta ed il traffico di esseri umani.

Condannata in prima istanza, assolta in appello

Nella prima istanza, il tribunale l'aveva condannata a 18 mesi di prigione ed una multa di € 4.125. Giudizio ribaltato in appello. "E' una comprovata nullatenente che mendicava con uno dei suoi bambini nelle Stazioni du Nord e du Midi, l'accusata non ha 'assunto', 'esercitato', 'deviato' o 'scelto' nessuno per 'consegnarlo alla mendicità' o 'incitarlo a mendicare'," indica la sentenza.

"La circostanza che una giovane mendicante avesse dei bambini di età molto giovane a cui accudire, ancorché sollecitare la generosità dei passanti, ed approfittare dei benefici della loro presenza per suscitare pietà, di certo non è una scusante, ma non costituisce infrazione penale", ha aggiunto la camera costituzionale, che ha assolto la giovane donna.

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