Segnalazione di Roberto Malini
Da
Il Post
Anche ieri, nel caso del neonato rapito, si è parlato per ore di una
presunta e inesistente pista rom
Il pregiudizio razzista contro i rom ha già fatto molti danni, e
l'informazione non aiuta a combatterlo
Le cronache di ieri si sono occupate molto del rapimento di un neonato
all'ospedale "Umberto Primo" di Nocera Inferiore: una donna si era travestita da
infermiera e aveva portato via con una scusa Luca Cioffi, nato appena poche
ore prima. Il caso si è concluso bene, fortunatamente, intorno a mezzanotte: i
poliziotti hanno fatto irruzione in un appartamento poco distante dall'ospedale,
hanno ritrovato Luca Cioffi e hanno arrestato la donna responsabile del suo
rapimento. La donna si chiama Annarita Buonocore e fa effettivamente
l'infermiera, ma in altro ospedale di Nocera.
A caso chiuso, neonato al sicuro e colpevole non più in grado di nuocere,
forse è il caso di ragionare su un'altra cosa che è successa ieri, relativamente
al rapimento di Luca Cioffi. Per buona parte del pomeriggio, infatti, diversi
giornali hanno raccontato che la pista sulla quale stavano investigando i
poliziotti portava a una o due donne di etnia rom.
"Caccia a due donne rom su Fiat Verde", ha
scritto l'AGI. "Si cerca una Fiat Punto di colore verde con due donne rom a
bordo", ha
scritto il Tempo. Diversi altri siti di notizie hanno rilanciato la notizia,
e la "caccia a due donne rom" è stata a lungo il titolo degli articoli che
raccontavano la vicenda del rapimento. Oggi sappiamo che la responsabile del
rapimento è una donna bianca (di nazionalità italiana) e poco dopo il
ritrovamento del bambino il questore di Salerno ha detto che "avevamo una
traccia precisa e abbiamo seguito una sola pista". Insomma, secondo la polizia
la pista delle donne rom non è mai esistita. D'altra parte, la madre del bambino
rapito ha detto da subito che l'infermiera parlava italiano molto bene. Resta da
capire perché la "pista rom" sia arrivata sui mezzi di informazione e perché ci
sia rimasta così a lungo.
L'ANSA non ha battuto alcun comunicato scrivendo dell'esistenza di una pista
rom. Questa fa capolino invece in un dispaccio dell'Adnkronos delle 19,22, ma
per essere smentita dalla voce di uno degli investigatori: "Dalle testimonianze
raccolte, riteniamo che la donna che ha portato via il piccolo Luca fosse
italiana e non una rom". E in effetti l'ANSA interviene poco dopo, prima per
dare conto delle ricerche infruttuose dei poliziotti nei campi rom della zona
(ma la pista c'era o no, allora?) e poi per dare la smentita definitiva, poco
prima delle 21.
Qualcuno ha detto che si trattava di donne di etnia rom controlli,
senza esito, sono stati fatti in campi rom ma in serata un identikit
diffuso a tutte le forze dell'ordine e su tutto il territorio nazionale ha
fatto chiarezza: si tratta di una donna giovane, di carnagione scura,
capelli ondulati e lunghi, corporatura esile, altezza tra 1,70 e 1,75,
nazionalità italiana perché ha scambiato parole con la mamma e con la nonna
del bambino e ha dimostrato di conoscere bene la lingua.
Salvo poi battere un altro dispaccio intorno alle 22, poche ore prima che
Luca Cioffi venisse ritrovato, con questo testo:
(ANSA) ROMA, 7 GIU Un traffico di neonati tra la provincia di Napoli
e l'Agro Sarnese Nocerino venne scoperto due anni fa dai carabinieri della
compagnia di Nocera Inferiore, gli stessi che oggi sono impegnati nelle
ricerche del neonato rapito nell'ospedale della città. In quel caso, però, i
bambini oggetto del traffico non erano stati precedentemente sequestrati, ma
erano gli stessi genitori dei nomadi rom a metterli in vendita. I soldi
venivano divisi tra la mediatrice, una donna del posto, che venne arrestata,
e i genitori dei bambini, quattro romeni e due slavi. Nel corso
dell'operazione fu anche recuperata una neonata di 21 giorni che era stata
appena consegnata ad una coppia italiana. Le indagini erano partite da una
denuncia per truffa presentata da una coppia di coniugi del beneventano.
Avevano conosciuto alcuni mesi prima la mediatrice, che si era presentata
come una benefattrice e aveva proposto loro un metodo "alternativo" per
ottenere un figlio senza attendere le lungaggini della procedura per
l'adozione. Alla coppia di Benevento la donna aveva anche rilasciato una
ricevuta per 18 mila euro: "Per la consegna di due bambine", era
specificato.
Insomma, un caso piuttosto diverso da quello di ieri quello era un
rapimento, questo era invece era un traffico di bambini venduti volontariamente
ma secondo l'ANSA abbastanza simile da essere messo in relazione coi fatti in
corso.
Non si tratta affatto di un
fenomeno nuovo. C'è il caso di Ponticelli, a
seguito del quale una ragazza fu condannata per tentato sequestro. Un caso
oggetto di
un libro del giornalista del Corriere Marco Imarisio, che lo definì
"una montatura": i giornali
titolarono "rom tenta di rapire neonata", la ragazza
in questione venne quasi linciata, nei giorni successivi diversi campi rom
vennero dati alle fiamme, per
vendetta. Dopo qualche giorno nel silenzio quasi
assoluto dei giornali, stavolta in molti espressero
dubbi sul fatto che
si
trattasse davvero di un tentativo di rapimento. In ogni caso, venne fuori che la
ragazza non era nemmeno di etnia rom. Qualche anno prima ci fu
un altro caso
simile a Lecco, qualche tempo dopo accadde la stessa cosa a Catania:
arresti per
rapimento, grandi allarmi e titoloni sugli zingari che rapiscono i bambini, e
poi assoluzioni per mancanza di qualsiasi elemento a carico dell'accusa.
Viviamo in un paese in cui a causa di una singolare e inquietante
commistione di psicosi collettive, razzismo e mitologia medievale per ogni
bambino rapito si trova sempre qualcuno pronto a tirar fuori e avvalorare
presunte "piste rom". Un paese in cui una persona di etnia rom che si avvicina a
un bambino è già un "tentativo di rapimento": al quale seguono nel migliore
dei casi degli arresti; nel peggiore, dei linciaggi. Ma è molto peggio di
così. Viviamo in un paese in cui dello stesso pregiudizio ignorante sono vittime
a volte le stesse forze dell'ordine, o la magistratura: all'epoca del caso di
Ponticelli il sostituto procuratore Alessandro Piccirillo
disse in aula che "la
Romania è entrata a far parte nella comunità europea, pertanto deve integrarsi
con la nostra cultura. Il rapimento dei neonati non appartiene alla nostra
cultura". Ma è molto peggio di così. Viviamo in un paese in cui salvo qualche
eccezione l'informazione e il giornalismo non si lasciano scappare
un'occasione per mettere nello stesso titolo la parola "rapimento" e quella
"rom", anche quando i fatti suggerirebbero maggiore cautela, salvo poi scrivere
lunghi articoloni indignati per gli effetti criminali e perversi delle campagne
d'odio innescate con la loro complicità.
Mentre scriviamo alcuni giornali sono già saltati sul prossimo caso, stavolta
a Prato: l'AGI
scrive che "tre rom cercano di rapire un bambino". L'ANSA
descrive la dinamica dei fatti e racconta quindi quello che oggi, in Italia, è
considerato dalle persone, dalla stampa, dai carabinieri un "tentativo di
rapimento".
Secondo quanto ricostruito dai carabinieri, sulla base della
testimonianza di un vicino di casa della famiglia del piccolo, erano circa
le 16 quando un uomo, con i baffi, si sarebbe avvicinato al muretto del
terrazzino dove il bambino stava giocando da solo, mentre i genitori erano
dentro casa. L'estraneo avrebbe teso le braccia al bimbo che avrebbe reagito
immobilizzandosi. A notare tutta la scena il vicino di casa che, preoccupato
anche per aver visto due rom nel posteggio condominiale, ha raggiunto l'uomo
chiedendogli spiegazioni su cosa stava facendo. Lo sconosciuto, senza dire
nulla, si sarebbe allontanato a piedi insieme alle due donne.