Rom e Sinti da tutto il mondo

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Di Fabrizio (del 17/06/2008 @ 11:44:30, in Kumpanija, visitato 1879 volte)

Ricevo da Maria Grazia Dicati

La rivincita gitana : Col circo capirete la nostra anima

Repubblica - 13 giugno 2008 - PARIGI

Roulotte sgangherate e tutte con le porte aperte. Una capra legata a un albero. Bambini che sgambettano ovunque. Due ragazzi lavano una automobile assai più nuova delle loro case su ruote. Sullo sfondo, un silenzioso tendone di circo. Nel piccolo campo nomadi alla Porte de Champerret - nord ovest di Parigi, a pochi minuti di automobile dai Campi Elisi - si entra spostando una transenna di ferro. Ci viene incontro Delia, la quarantina con un viso di venti, capelli lunghi e denti d' oro. È la moglie di Alexandre Romanès, poeta, ex acrobata e domatore, ex liutista barocco con la passione di Monteverdi, creatore e direttore del circo che porta il suo nome. Un vero circo tzigano, con veri musicisti tzigani, con acrobati e giocolieri tzigani. Zingari con le stesse facce di quelli che, da noi, se si avvicinano ci allontaniamo.

Dal 14 al 22 giugno il piccolo campo del Cirque Romanès si installerà a Brescia perché il nuovo spettacolo "La regina delle pozzanghere" sarà ospite della nona edizione della Festa Internazionale del Circo Contemporaneo.

Dal 26 al 29 si sposterà a Mantova, nella rassegna "Teatro - Arlecchino d' oro".
Nel paese che vuole cacciare gli zingari, in terra di Lega, i bambini delle province più ricche si delizieranno sotto il tendone rattoppato e allegro di tessuti indiani; applaudiranno bambini come loro che però non vanno a scuola e già hanno un mestiere; e alla fine dello spettacolo - un gioiello di semplicità e poesia - chiederanno alla mamma un bombolone appena uscito fresco di frittura da una roulotte, e la mamma penserà che per una volta va bene dare soldi agli zingari, perché hanno lavorato e se li sono meritati.

«Quello che sta accadendo nel vostro paese ha un colpevole: l' Europa" esordisce Alexandre Romanès.

Sputa fuori il concetto e si vede che lo rimugina da tempo. «Dal 1989, anno della caduta del Muro, tutti i governi della Comunità sapevano che prima o poi la Romania e la Bulgaria sarebbero entrate in Europa. Hanno avuto decenni per mettersi d' accordo tra loro e dirsi: sappiamo che in questi due paesi ci sono due minoranze che versano in condizioni terribili.

Un problema così non di risolve nel momento in cui si pone. E adesso la casa brucia perché i responsabili politici di destra e di sinistra non sono stati previdenti: potevano comprare estintori e non l' hanno fatto».

Alexandre Romanès appartiene alla grande famiglia circense dei Bouglione, gitani piemontesi francesizzati (si pronuncia Boug-lione). «Veniamo dall' India, poi Afghanistan, Turchia, Grecia: siamo della tribù dei Sinti piemontesi e il cognome Bouglione l' abbiamo preso in Italia.

Quasi tutte le famiglie circensi italiane sono gitane». Romanès lascia il circo di suo padre («Mi sembrava un hangar, avevamo quaranta camion, e tutti in famiglia avevano diamanti al dito e Rolls Royce. Non era per me») poco più che adolescente e si mette a fare l' acrobata sulle "scale libere" per la strada. A vent' anni incontra una poetessa francese, Lydie Dattas: per lei e grazie a lei impara a leggere e scrivere, e inizia a leggere la poesia. Un giorno del '77, mentre sta facendo il numero in equilibrio sulle scale a pioli, lo avvicina Jean Genet. Insieme progettano un circo poetico. Avrebbe dovuto durare quattro ore. Genet voleva un cavallo arabo e un cigno nero. «Non l' abbiamo mai montato, quel circo: era troppo presto per me, dopo il rifiuto del tendone di mio padre. Di Genet sono stato amico, mai amante. Fino alla fine, quando l' accompagnavo a Villejuif, nell' ospedale dei tumori. E' morto a 76 anni nell' 86».

Nel frattempo Alexandre Romanès comincia a scrivere poesie. Nel '98 esce "Un peuple de promeneurs", un popolo di "passeggiatori". Nel grande e disperato campo nomadi di Nanterre (oggi smantellato) ha incontrato Delia, gitana rumena-ungherese, che ha già tre figli da un marito che se ne è andato.

Avranno altre due bambine e Alexandre adotterà gli altri tre. Nel '94 montano un tendone dietro alla Place Clichy (per sei anni e fino alla morte il terreno glielo darà gratis una ricca aristocratica signora, madame Carmignani) e il piccolo Cirque Romanès inizia ad essere un punto di incontro di artisti. «Di molti non voglio fare nomi» dice Alexandre Romanès, «ma posso dire che Yehudi Menuhin veniva spesso e una volta mi disse: "Fino all' ultimo dei miei giorni non smetterò di pensare a voi"». Verso il 2003 Romanès invia a Gallimard un quaderno con le sue poesie scritte a mano. «Hanno riunito una commissione straordinaria di lettori.

Ben quattro. Erano poesie di uno zingaro!». Nel 2004, la grande casa editrice le pubblica con il titolo "Paroles perdues" e la prefazione di un altro poeta amico: Jean Grosjean (morto due anni fa).

Nel prossimo inverno uscirà una nuova raccolta. «Se non si crede nella poesia, se non si ha un' idea poetica della vita, allora non si potranno mai capire i gitani» dice Romanès. - LAURA PUTTI

Se volete saperne di più visitate il sito: www.festadelcirco.it 

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Di Fabrizio (del 17/06/2008 @ 10:09:43, in Kumpanija, visitato 1658 volte)

Ricevo da Marta Pistocchi

ciao,
questa è una lettera aperta a tutti gli amici dei Muzikanti ed in particolare di Jovica Jovic.
Fatela girare se lo ritenete opportuno e se credete che possa aiutarci.

Alcuni di voi già sanno che Jovica sta attraversando un difficile periodo della sua vita nel quale, tra le altre cose, sta cercando di regolarizzare la propria posizione in Italia.
Il momento politico, ahinoi si sa, non è è favorevole e le difficoltà che il nostro fisarmonicista sta incontrando sono molte; nonostante ciò crediamo nella possibilità di riuscire nel nostro intento.
La richiesta inoltrata tempo fa al Ministero della Cultura per avere il musicista Jovica in Italia è difatti andata a buon fine e il ministero ha rilasciato il Nulla Osta che permette l'ingresso alla frontiera italiana; questo ottimo risultato viene vanificato però da un altro provvedimento nei confronti di Jovica, un mandato di espulsione dovuto all'accertamento della sua posizione irregolare sul territorio italiano, precedente al Nulla Osta.

Per proseguire sulla strada della regolarizzazione Jovica ha bisogno del sostegno di uno studio legale, il che implica delle alte spese che la sua famiglia non può permettersi.
Per questo ci stiamo rivolgendo a voi, nella speranza di riuscire a creare una rete di persone che vuol bene a Jovica, che ne riconosce il valore di uomo e musicista ed è disponibile a dare il proprio contributo (economico ma non solo) per sostenere la causa del miglior fisarmonicista serbo di Milano.
Vi propongo di venirci a trovare venerdì 20 giugno (questo) alle Pecore -via fiori chiari 21- noi suoneremo dalle 22, ma vi aspettiamo anche da prima. Sarà un'occasione per incontrarci, informarci, raccogliere suggerimenti e forze, ed infine ringraziarvi a suon di musica e balli.
Per chi non potesse venire venerdì ma vorrebbe comunque aiutare Jovica, e per tutti quelli che vogliono saperne di più e meglio vi invito a scrivere a questo indirizzo: Ivana ivanak011@tiscali.it, che come sempre ci aiuta e ci sostiene e ci ama e che io ringrazio con tutto il cuore.
Spero di avere una calorosa risposta da tutti voi
a venerdì
marta

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Di Fabrizio (del 17/06/2008 @ 09:24:06, in scuola, visitato 1492 volte)

Da Roma_Shqiperia

http://www.fibre2fashion.com/news/daily-textile-industries-news/newsdetails.aspx?news_id=57891

Il 12 giugno è [stato] il Giorno Mondiale Contro il Lavoro Minorile e si è tenuto sotto il tema "La Scolarizzazione è la Giusta Risposta al Lavoro Minorile". In Albania, dove oltre 40.000 bambini lavorano invece di frequentare scuola, un progetto guidato da due unioni di insegnanti ha dimostrato come mettere in risalto l'importanza dell'istruzione per ottenere risultati concreti.

I membri delle due associazioni riconoscono che il loro lavoro non si limita al semplice insegnamento e che hanno anche responsabilità verso i bambini nel tempo extra-scolastico. Grazie a questo progetto, se i bambini non frequentano scuola o smettono di farlo, i genitori vanno a casa loro e discutono le ragioni coi genitori. Tentano assieme di trovare soluzioni, e convincerli sull'importanza vitale della scolarizzazione per il futuro dei bambini e delle famiglie.

L'autorità morale raggiunta dagli insegnanti nella comunità di solito li aiuta nel convincere i genitori. Oltre 2.400 bambini, inclusi parecchi della comunità rom,  sono ora tornati a scuola o sono stati salvati dall'abbandono scolastico grazie a questo progetto sindacale.

L'intero movimento sindacale albanese sta ora osservando il successo del progetto delle unioni di insegnanti, come un esempio degli sforzi per combattere il lavoro minorile. Durante una tavola rotonda tenuta dalla Confederazione Sindacale Internazionale a Tirana il 26 aprile 2008, alcuni sindacati hanno lanciato un appello per avere appoggio internazionale nella lotta contro il lavoro minorile nella fabbricazione dell'esportazione.

Il problema riguarda i settori dell'abbigliamento e delle calzature, dove le ditte subappaltano esternamente parte della produzione, ed alcune si avvalgono dell'uso di bambini, rendendo difficile la loro continuità scolastica. I prezzi indecenti che i compratori internazionali impongono alle ditte albanesi vanno un certo senso verso la spiegazione di questo sfruttamento e dell'esigenza di azione internazionale del sindacato.

International Trade Union Confederation

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Di Fabrizio (del 17/06/2008 @ 09:13:44, in Europa, visitato 1399 volte)

Segnalato da Maria Grazia Dicati

RAZZISMO SELVAGGIO IN ITALIA - Perdono sempre gli stessi

I gitani italiani, specialmente, e molti altri gruppi gitani del resto del mondo, si stanno rivolgendo a noi chiedendo aiuto. La maggioranza sono messaggi angosciati di una comunità allarmata davanti al sopraffacente trionfo della coalizione politica - alcuni dei partiti che la compongono sono di estrema destra - guidata da Silvio Berlusconi. Alcuni giorni prima che si producessero le inqualificabili aggressioni patite dai gitani di Ponticelli (Napoli), per mano di alcuni scalmanati che han dato fuoco alle loro umili baracche, un'organizzazione gitana italiana ci diceva: "Noi gitani siamo in pericolo in Italia. Abbiamo paura delle deportazioni dei gitani in Italia. Per favore - mi dice - inviate un comunicato al Governo italiano perché rispetti le Direttive comunitarie".

A nostro parere la paura che esprime il nostro interlocutore non è infondata. Le ultime dichiarazioni dei nuovi governanti italiani prefigurano ogni tipo di precarietà. Giudicate voi se non è così: Il nuovo sindaco di Roma, il post-fascista Gianni Alemanno, annunciò lunedì scorso che la sua prima misura come sindaco sarebbe stata demolire gli accampamenti gitani. "Procederemo a smantellare gli accampamenti nomadi che a Roma sono 25": Però i napoletani di Ponticelli si sono portati avanti. Niente da smantellare. Fuoco purificatore che è più rapido di montare camere a gas in stile nazi! Umberto Bossi, il leader della Lega Nord, è euforico. Questo soggetto parla di "caccia" . "Dobbiamo cacciare i clandestini", ha detto, provocando la sconfitta sinistra italiana. Come qualsiasi bullo di quartiere ha lanciato il suo proclama di guerra: "Non so cosa vorrà fare la sinistra, noi siamo pronti. Se vogliono lo scontro, i fucili sono caldi. Abbiamo 300.000 uomini, 300.000 martiri, pronti a combattere. E non stiamo giocando. Non siamo quattro gatti".

Però la cosa più triste è che Silvio Berlusconi, il rieletto presidente del Governo italiano, al vedere i suoi giovani esultanti salutando in stile fascista, ha confessato: "A vederli, ho pensato: la nuova falange romana siamo noi".

Alla vista della gravità dei fatti la UNION ROMANI, riconoscendo il sentire maggioritario dei gitani spagnoli e per la rappresentazione che si ostenta nella UNION ROMANI INTERNACIONAL, si propone iniziare le seguenti azioni:

Primo, Denunciare la gravità degli attentati sofferti dai gitani europei residenti in Italia e chiedere la solidarietà dei cittadini di qualsiasi paese di fronte alla violenza cieca ed assassina dei razzisti. Per questo chiediamo che si scrivano lettere dirette al Presidente del Governo italiano, inviandole direttamente alla sua residenza nel Quirinale (Roma) o alle ambasciate italiane in ogni paese. (L'indirizzo dell'Ambasciata italiana in Spagna è il seguente: Calle Lagasca, 98. Código postal 28006 Madrid)

Secondo: Sollecitare il Ministro degli Esteri di Spagna perché si interessi alla situazione dei gitani residenti in Italia, esprimendo la preoccupazione della comunità gitana spagnola per la situazione in cui possano trovarsi i gitani espulsi dalle loro dimore incendiate. Il nostro Governo è legittimato a fare questa consultazione in base a quanto previsto dalla Direttiva 2004/38/CE del Parlamento e del Consiglio Europeo relativa al diritto dei cittadini dell'Unione e dei membri delle sue famiglie a circolare e risiedere liberamente nel territorio degli Stati membri. Effettivamente, trattandosi di una Direttiva e non dimenticando che ogni Stato membro può determinare la miglior forma di applicare le disposizioni del Diritto comunitario, è obbligatorio esercitare un lavoro critico e di vigilanza dei Governi perché le misure adottate nei distinti Stati membri conducano ad una applicazione del Diritto comunitario con la stessa efficacia e rigore con cui si applicano le norme interne dei suoi rispettivi Diritti nazionali.

Terzo: Chiedere alla Commissione delle Petizioni del Parlamento Europeo che, con carattere d'urgenza, inizi un'inchiesta sulla situazione che ha portato la comunità italiana di Ponticelli (Napoli) allo stato di contrapposizione che soffrono i gitani che vivono in quel luogo.

Quarto: Sollecitare i Gruppi Parlamentari del Parlamento Europeo che formulino, con carattere d'urgenza, le precise iniziative parlamentari che obblighino il Consiglio a chiedere nella Sessione Plenaria di Strasburgo e Bruxelles sulle misure che il Governo italiano possa aver preso per porre freno a queste aggressioni e per condannare i colpevoli delle stesse.

Quinto: L'Unión Romaní è convinta che l'immensa maggioranza dei cittadini italiani - inclusi i votanti di Berlusconi - rifiuta la violenza, venga da dove venga. Per questa ragione, attraverso la Unión Romaní Internacional, si propone stabilire, con le organizzazioni gitane italiane, un programma di mutua collaborazione al fine di mettere in campo le misure adeguate che garantiscano la difesa di questi cittadini europei che non hanno commesso alcun delitto se non quello di essere "poveri e gitani".

Sesto: Oggi stesso abbiamo avuto notizia che il Governo italiano si propone di indurire i mezzi contro l'immigrazione di modo tale che l'essere "clandestino" sarà un delitto compreso nel Codice Penale. In questo senso, Roberto Calderoli, nuovo Ministro italiano proveniente dalla Lega Nord, ha dichiarato che per non essere "clandestino": "Bisogna dimostrare se si è onesti, altrimenti, li si espelle dall'Italia".

Come Unión Romaní inizieremo i procedimenti per interporre una denuncia contro il Governo italiano per non adempimento della Direttiva 2004/38/CE del Parlamento e del Consiglio Europeo relativa al diritto dei cittadini dell'Unione e dei membri delle sue famiglie a circolare e risiedere liberamente nel territorio degli Stati membri. Quando venne promulgato a Maastricht, nell'anno 1992, il Trattato che porta il nome della famosa città olandese, i Capi di Stato e del Governo approvarono la Dichiarazione 19 al fine di chiarire le incertezze sull'applicazione del Diritto comunitario. I massimi dirigenti europei non avevano alcun dubbio che "per la coerenza e l'unità del processo di costruzione europea, è essenziale che tutti gli Stati membri traspongano integralmente e fedelmente nel loro Diritto nazionale le direttive comunitarie di cui siano destinatari nei luoghi disposti alle stesse".

Le Direttive sono lo strumento armonizzatore per eccellenza del Direttivo Comunitario perché tramite loro si realizza, dice l'art. 94 del Trattato, l'approccio delle disposizioni legali, regolamentari ed amministrative degli Stati membri, che incidano direttamente nella stabilità o nel funzionamento dell'Unione Europea.

Settimo: Per terminare proponiamo di elevare la nostra preoccupazione per la magnitudine e la gravità di questi accadimenti di fronte alle istanze internazionali più rappresentative. Così faremo di fronte al Consiglio d'Europa, davanti all'Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OCSE) e davanti alla Commissione per i Diritti Umani delle Nazioni Unite.

Una volta ancora reclamiamo la solidarietà di tutti i democratici di Spagna e d'Europa. Nessuno può farsi giustizia da solo, perché quando ciò succede perdono sempre gli stessi: i più poveri, i più indifesi, quelli per cui non ci sono diritti, nella maggioranza dei casi, di essere lettere stampate su carta bagnata. Abbiamo bisogno del calore umano della società,per questo domandiamo l'appoggio di tutti i democratici europei a difesa dei Diritti Umani di quanti, essendo innocenti, si vedono aggrediti, vilipesi e stigmatizzati per delitti che non hanno commesso. Per terminare, come proprio riconosce la Commissione, ogni espulsione "deve essere motivata dalla situazione individuale" di persone specifiche, e non "deve significare un'espulsione di gruppo" di collettivi rispetto alle loro origini geografiche.

Speriamo che il fuoco di Ponticelli purifichi ed elimini l'odio e l'intolleranza che tante volte sono stati il germe delle più gravi tragedie nella storia d'Europa.

JUAN DE DIOS RAMÍREZ HEREDIA - Presidente de la Unión Romaní

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Di Fabrizio (del 16/06/2008 @ 10:13:44, in Italia, visitato 1541 volte)

Ricevo da Ivana

Vi informiamo che la seguente lettera, preparata da Jasmina Radivojevic su iniziativa di una ventina di persone, è stata mandata alle varie associazioni, organizzazioni, stampa e altri media, ansa, liste on-line e privati. Vi preghiamo di inoltrarla anche ai vostri contatti. Grazie!

Cari amici,

è terribile quello che deve capitare alle persone all'inizio del Terzo millennio! Sul continente europeo, nel paese fondatore della Comunità Europea.
Quando l'europarlamentare Rom ungherese Viktoria Mohacsi ha obbiettato la mancanza della banca dati riguardante la comunità Rom in Italia, non ha certo pensato a questi risvolti e alla schedatura. Ma alla possibilità di accedere ai fondi EU per l'integrazione dei Rom.

Questa necessità di censire viene strumentalizzata dalle Istituzioni italiane per una aperta discriminazione delle persone, il che è intollerabile. Appartenere ad un'etnia diversa non è ne mai potrebbe essere la prerogativa ne al comportamento deviante ne a quello virtuoso.

Ci troviamo davvero davanti al paradosso che questa situazione possa alimentare:
1) il divario tra Rom e Sinti italiani e Rom di altra cittadinanza o apolidi;
2) il divario tra gli italiani di diverse etnie;
3) la legittimazione del razzismo.

Esprimiamo la nostra piena solidarietà alle famiglie che sono sottoposte a questa barbarie e diamo pieno appoggio ad una richiesta dell' Osservatore esterno tipo OSCE o di un altra associazione/organizzazione che nutre la fiducia nella popolazione per poter raccogliere i dati anagrafici assieme alle Istituzioni italiane.
Noi siamo indissolubilmente legati alla popolazione Rom, abbiamo sofferto spesso insieme nella storia. Il campo di concentramento di Jasenovac, dove sono morte alcune centinaia di migliaia di persone, è solo uno degli esempi che ci lega per sempre. Anche nell'ultima guerra contro la Jugoslavia, condotta dalla Nato, gli amici Rom e Sinti in Italia erano al nostro fianco a protestare contro la guerra. Molti di loro erano fuggiti dal nostro paese in Italia proprio scappando da questa guerra.
Oggi, in questo momento particolarmente triste per tutti noi nel vedere la storia ripetersi, siamo solidali con i nostri fratelli Rom e Sinti. Oggi noi dobbiamo e vogliamo essere a loro fianco.

Comunità serba di Milano

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Di Fabrizio (del 16/06/2008 @ 10:10:17, in Regole, visitato 2022 volte)

Ricevo da Ernesto Rossi

Egregi Signori, Direzione di Hydromania,

leggo casualmente sul web la notizia, secondo la quale nel vostro parco acquatico sarebbe stato vietato l’ingresso ad una famiglia, presentatasi allo sportello per pagare l’entrata, in quanto ‘zingari’.

La notizia è riportata dal quotidiano la Repubblica di sabato 7 giugno scorso (lettera firmata) e non risulta smentita.

Naturalmente sono cose che possono sfuggire all’attenzione, e dunque spero di fare cosa gradita per il vostro buon nome, segnalandovela.

Quello che non può sfuggire è –se vero- il fatto.

Vi prego dunque, compiuti i doverosi accertamenti , se ancora non fossero stati eseguiti, sul comportamento del vostro personale, di smentire, o informare sui provvedimenti presi, il quotidiano e coloro che vi scrivono per protestare.

Si tratterebbe infatti di un comportamento vergognoso prima ancora che illegale e tale da mettere in forse la vostra licenza di esercizio. Infatti in questo paese non è consentito, a differenza di quanto avveniva nella Germania nazista, per fare un esempio, impedire l’accesso ad un esercizio pubblico sulla base di discriminazioni relative all’aspetto delle persone, alla nazionalità o ad altre caratteristiche individuali.

Appartenere ad un popolo è un fatto di natura, non un reato.

Nell’attesa di vostre informazioni, grazie per l’attenzione.

Ernesto Rossi

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Di Fabrizio (del 16/06/2008 @ 09:43:37, in casa, visitato 1799 volte)

Da Roma_Daily_News

9 giugno 2008 By PELIN TURGUT - Time.com

All'ombra dei merli bizantini, un gruppo di ragazze ridenti va avanti e indietro fra le case cadenti, smettendo occasionalmente di vibrare le loro anche e di roteare i loro polsi. Sono inseguite da diversi ragazzi urlanti, che le afferrano e le spingono "in prigione" verso un angolo. I bambini del quartiere impoverito di Sulukule a Istanbul - patria della più antica comunità rom del mondo - chiamano questo gioco Poliziotti e Ballerine, versione locale di Guardie e Ladri emendata per riflettere sulla loro esperienza di essere nati in una vita di danza e caccia dalla polizia.

E' giovedì pomeriggio presto e i bambini giocano per strada invece di essere a scuola. La ragione della loro assenza ingiustificata, d'altra parte, è la paura. "I bambini sono spaventati," dice Dilek Turan,  uno studente di psicologia volontario a Sulukule. "Non vogliono andare a scuola perché sono preoccupati di tornare a casa e non trovarla più." C'è una ragione: il piano cittadino di demolire le loro case parte di un controverso progetto di rinnovamento urbano in vista di Istanbul Capitale Culturale Europea nel 2010.

Fu in era bizantina che gli antenati dei bambini rom di Sulukule si accamparono per la prima volta su questo particolare pezzo di terra, accanto al Corno d'Oro e appena fuori dalle mura del V secolo della vecchia Costantinopoli. La prima registrazione della comunità, circa nel 1050, si riferisce ad un gruppo di persone, che si riteneva provenissero dall'India (dove, per la verità, molti storici credono siano originari i Rom), accampati in tende nere fuori dalle mura cittadine. Dopo la conquista ottomana di Costantinopoli, alla comunità fu garantito il permesso ufficiale del sultano Sultan Mehmet II di avere dimora in quello che ora è Sulukule.

Per secoli la comunità rom si è guadagnata da vivere come indovini e ballerini per la corte ottomana, e più tardi per i Turchi - una tradizione portata sullo schermo nel film di James Bond Dalla Russia con Amore. Le loro fortune ebbero una svolta negativa negli anni '90, quando le loro "case d'intrattenimento" - abitazioni private dove le famiglie zingare cucinavano e ballavano per i loro concittadini benestanti - furono chiuse con l'accusa di gioco d'azzardo e prostituzione.
I Rom di Istanbul sono molto poveri, guadagnano in media circa $250 al mese, ma la terra che abitano, una volta periferica e senza importanza, è ora un bene immobiliare molto apprezzato a pochi minuti dal centro città. Se gli appaltatori ed il comune locale hanno il loro senso, l'intero quartiere di Sulukule  - che ha 3.500 residenti - verrà raso al suolo entro la fine dell'anno per far posto a 620 case signorili in stile neo-ottomano.

"Ogni giorno, ci domandiamo quale casa verrà demolita," dice Nese Ozan, volontario della Piattaforma Sulukule, una coalizione di architetti, attivisti e lavoratori sociali contro la demolizione. Ogni tre o quattro case derelitte di un blocco, una è stata ridotta ad un mucchio di residui e di metallo ritorto. Una X rossa segna le prossime, quelle in prima linea per le squadre di demolizione.

Mustafa Demir, sindaco della municipalità conservatrice di Fatih che sponsorizza il programma di demolizione, dice che c'è bisogno di un progetto di rinnovamento sociale "per rimpiazzare i tuguri". Il Primo Ministro Recep Tayyip Erdogan ha chiamato Sulukule "terribile" ed espresso stupore per le proteste anti-demolizione. Che il quartiere abbia un disperato bisogno di risanamento è chiaro, ma i critici accusano le autorità di aver mancato di includere una delle più antiche comunità nei piani per lo sviluppo. Invece, ai Rom sono state offerte due opzioni: possono vendere le loro proprietà a basso prezzo (o doversi trovare di fronte all'esproprio), o traslocare nel quartiere popolare di Tasoluk, a circa 25 miglia dalla città, e pagare un'ipoteca di oltre 15 anni che pochi possono permettersi.

"La municipalità non capisce che se intende rinnovare quest'area, c'è bisogno di fare in maniera che permetta alla comunità di continuare a vivere qui," dice Ozan. "Non possono limitarsi a sgomberare tutti, radere l'area la suolo e costruire un sobborgo. Questa è una comunità storica."

Il ricercatore rom britannico Adrian Marsh vede un programma più scuro al lavoro. "Quello che abbiamo è la municipalità più religiosa del paese che si confronta con quello che ritiene storicamente il gruppo più irreligioso ed immorale," dice. "Se rigenerassero la comunità in maniera inclusiva, avrebbero 3.000 voti extra, ma non stanno agendo così. Perché? Perché considerano la comunità di Sulukule irrecuperabile." Soluzioni a lungo termine come permettere ai Rom di impiantare music halls legali ed ottenere un guadagno, non sono gradite alle autorità locali dominate dagli islamisti, perché non intendono promuovere questo tipo di intrattenimento, ragiona Marsh.

Questo è molto più certo: disperdere la comunità rom di Sulukule distruggerà la loro cultura, che è legata alla vita comunale. Famiglie estese condividono case e forme musicali, usando le strade come estensione delle loro stanze. "Sulukule presenta un modo di vita unico," ha concluso un gruppo di ricerca sul design urbano dell'University College di Londra. "Questo dev'essere tenuto in conto e preservato quando viene introdotto un nuovo sviluppo per l'area."

La Piattaforma Sulukule ha richiesto un'ingiunzione del tribunale contro la demolizione ed il parlamento ha ha nominato un comitato di studio. Ma i bulldozer non aspettano. Il gioco di Poliziotti e Ballerine non sta andando bene per lo spettacolo.

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Di Fabrizio (del 16/06/2008 @ 09:37:46, in Italia, visitato 2020 volte)

http://www.redattoresociale.it/

18.09 - 12/06/2008 I dati raccolti dalle Forze dell'ordine durante le operazioni di schedatura nei campi andranno a finire in un archivio speciale. E' quanto emerso dall'incontro tra Michele Tortora, rappresentante del Prefetto, e alcune associazioni

MILANO – I dati raccolti dalle Forze dell'ordine durante le operazioni di schedatura nei campi rom andranno a finire in un archivio speciale, custodito presso la Prefettura. È quanto emerso oggi dall'incontro tra Michele Tortora, rappresentante del Prefetto, e alcune associazioni tra cui Opera nomadi, OsservAzione, Federazione Rom e Sinti insieme, Romanodrom (vedi lancio nel notiziario di ieri).
 
“È una decisione che conferma le nostre preoccupazioni -commenta Maurizio Pagani, presidente dell'Opera nomadi-. La creazione di un archivio a carattere etnico è un provvedimento di cui non possiamo conoscere il passo successivo”. Amareggiato anche Giorgio Bezzecchi, rom e vice-presidente dell'Opera Nomadi: “Sia io che mio padre Goffredo (ex deportato nel campo di Lipari durante il fascismo, ndr) siamo stati profondamente umiliati -dice-. La mia battaglia continua, anche con l'appoggio di varie associazioni tra cui l'Anpi, l'Unione delle comunità ebraiche italiane e gli ex deportati”.
 
I promotori dell'incontro hanno fatto due richieste al rappresentate del Prefetto: rivedere le modalità con cui viene fatto il censimento nei campi e coinvolgere preventivamente le associazioni che operano nei campi e i rom. La risposta è attesa entro due o tre giorni. Alla discussione hanno partecipato anche alcuni esponenti politici tra cui l'eurodeputato Vittorio Agnoletto e il consigliere regionale di Rifondazione Comunista Luciano Muhlbauer. “Lunedì presenterò un'interrogazione alla Commissione europea -ha detto Vittorio Agnoletto- per sapere se la creazione di un archivio speciale per i cittadini rom è compatibile con la Carta dei diritti dell'Unione”.
 
Al presidio che ha preceduto il confronto in Prefettura ha partecipato anche Giorgio Vallery, ex presidente di Opera Nomadi che negli anni Sessanta e Settanta ha lavorato a Palazzo Marino per la gestione della questione rom. “Il Comune si è fatto sfuggire di mano il problema -commenta-: non lo ha seguito con lo stesso impegno che aveva messo all'inizio quando aveva iniziato un percorso d'integrazione vero”. (Ilaria Sesana)
© Copyright Redattore Sociale

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Di Sucar Drom (del 15/06/2008 @ 09:18:27, in blog, visitato 1662 volte)

Lettera aperta al Sindaco Cacciari
Gentile Sindaco, la ringraziamo per l’impegno che sta ponendo per la realizzazione di un habitat dignitoso a favore delle famiglie Sinte veneziane. Le polemiche che si sono sviluppate in questi giorni sono un’evidente strumentalizzazione ad un problema a...

Lettera aperta a Santino Spinelli
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Venezia, i Sinti: "questo villaggio lo abbiamo accettato e concordato con la giunta comunale oltre dieci anni fa"
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Milano, si vuole negare ai Rom il diritto di manifestare
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Togli pure la mano
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Di Fabrizio (del 15/06/2008 @ 08:53:44, in Europa, visitato 4198 volte)

Da Osservatorio sui Balcani

11.06.2008 scrive Tanya Mangalakova [Български]

A maggio, sulla "Gora", in Kosovo, l'aria risuona di tamburi e zufoli. E' "Djuren", la festa più sentita nella comunità dei gorani, slavi di religione islamica. Gli emigranti ritrovano parenti e amici, per i giovani, veri protagonisti della festa, è il momento di cercare la propria "dolce metà"
Foto di Tanya Mangalakova

Ermina ha diciassette anni. Bella come un quadro, vive tra la capitale macedone Skopje e la cittadina di Petrich, in Bulgaria meridionale. I suoi genitori sono gorani del villaggio di Brod, nella regione della Prizrenska Gora, in Kosovo. La famiglia ha ereditato la professione di pasticcieri, tipica dei gorani del Kosovo. Nel 2006 hanno aperto una loro pasticceria nel centro di Petrich; prima lavoravano a Skopje, come fa almeno la metà degli abitanti di Brod. Ermina studia a distanza in un istituto superiore di Skopje, e aiuta i propri genitori in pasticceria. Suo fratello, Almir, 24 anni, è già famoso a Petrich per la qualità del suo “burek”.

Per tutto l'anno Ermina ed Almir aspettano con impazienza che arrivi il mese di maggio, quando sulla “Gora” si festeggia la grande festa di “Djuren”, il nome con cui i gorani chiamano la festa originariamente dedicata a San Giorgio. Il 3 maggio i ragazzi viaggiano attraverso la Macedonia per andare a Brod, villaggio dall'aspetto caratteristico disteso su un altopiano alle falde della Sar Planina. E' il padre, Bilgaip, che rimane a Petrich per tenere aperto il negozio, dando così l'opportunità ai giovani, che nel frattempo hanno riempito il bagagliaio dell'auto fino all'orlo di vestiti all'ultima moda, di festeggiare “Djuren” sulla “Gora”. Per tre giorni Ermina ed Almir sfileranno sul “corso” del paese, indossando tutti i propri vestiti più belli. Sul “corso” nascono storie d'amore, che di solito finiscono col matrimonio. E' “Djuren”!

"Djuren"
Donna gorana
“Djuren” è sicuramente la festa più importante, per i gorani, una festa che unisce in modo eclettico elementi cristiani ed islamici. Dal 4 all'8 di maggio, secondo un'antica tradizione, gli emigranti gorani tornano nei propri villaggi della “Gora”, che durante l'inverno restano quasi disabitati. Ogni anni, in questa occasione, la Sar Planina si riempie del suono di zufoli e tamburi, che la trasformano, dandole un'atmosfera mistica, quasi fossimo in Tibet. Le donne vestono i “noshni”, abiti tradizionali cuciti a mano. Aspettano tutto l'anno per poter mostrare gli abiti, arricchiti da grosse monete d'oro. Ci si trucca per ore, fino a che il viso non diventa una maschera preziosa.

“Djuren” comincia il 5 maggio, detto “travke”. Nella mattina di questo giorno si raccolgono erbe (travke, appunto) che vengono poi immerse nell'acqua con cui si lavano i bambini. Quest'anno a Brod c'erano due fidanzamenti ufficiali, il che significa festa per tutto il villaggio. In serata, musicanti da Prizren hanno suonato per alcune ore, sia nella parte superiore che in quella inferiore di Brod. Le strette stradine fervevano di vita, giovani e vecchi ballavano lo “horo” (o “kolo” ballo tradizionale comune in tutti i Balcani), sul “corso” faceva mostra di se tutta la gioventù di Brod. I giovani che ancora non hanno trovato una “verenica” (fidanzata) facevano mostra delle proprie possibilità, spandendo denaro per far sì che i musicanti rom suonassero senza fine.

Il 6 maggio i gorani si danno appuntamento sui prati della “Vlaska”, località vicina al villaggio di Vranista. Quasi ogni villaggio gorano ha un luogo particolare dove festeggiare “Djuren”. Il 7 si festeggia in un campo vicino a Rapca, il 9 a Brod, il 10 non lontano da Restelica.

Il 6 maggio sulla “Vlaska”
"Sul corso"
Il 6 maggio i gorani festeggiano all'aperto sulla “Vlaska”. Si raccolgono ramoscelli di salice, si ballo lo “horo” al suono di tamburi e zufoli, si arrostisce l'agnello. Nonostante il tempo brutto, anche quest'anno le ragazze e le donne gorane hanno indossato i propri “noshni” e scarpe bianche abbellite da migliaia di perline di vetro. Da Brod la gente è scesa prima in direzione di Dragas per poi arrivare sulla “Vlaska”, dove il sole ha iniziato a far capolino tra le nuvole. “Il 'corso' sulla 'Vlaska' è il più bello di tutta la 'Gora'”, dicono convinti i gorani. Qui le giovani sfilano nei propri preziosi vestiti, ma sempre accompagnate da un cavaliere, marito o fidanzato che sia. “Dal colore del vestito”, raccontano le sorelle Javahida di Vraniste, “si può capire chi è sposata e chi è libera”. Le donne sposate portano vestiti neri, quelle libere invece indossano colori chiari, come fanno anche le ragazze fidanzate. Le donne più anziane, come le sorelle Javahida, portano vestiti semplici, sempre neri. Le donne più giovani impreziosiscono invece il proprio abbigliamento con seta, broccato, ricami, ed indossano gioielli in abbondanza. Le donne gorane si coprono la testa con la “basrama”, un grande e bello scialle, ornato anche questo da migliaia di perline.

La tradizione vuole che le ragazze, durante il lungo inverno, tessano da sole il proprio vestito, “per diventare da belle ad ancora più belle”. Oggi soltanto una piccola minoranza ha conservato quest'arte. Vajda, 64 anni, ancora adesso cuce e orna i “noshni”. Le giovani, comprano proprio da donne come lei. Un vestito può costare anche più di mille euro, ma indossare gli abiti tradizionali durante la festa di “Djuren” è obbligatorio. Le monete d'oro, anche queste parte del completo da sfoggiare, vengono invece ereditate di generazione in generazione. Vajda ricorda con nostalgia la propria giovinezza. Suo marito è insegnante a Vraniste, sono sposati da 44 anni, quando ancora non c'era alcun “corso” sul quale ragazzi e ragazze potessero scambiarsi sguardi ed innamorarsi. “Il 'corso' è nato quando i giovani hanno cominciato a lavorare in città”, racconta. “Dopo aver visto come si passeggiava a Belgrado, hanno portato qui questa abitudine”.

La festa di “Djuren” è strettamente legata al modo tradizionale di vita dei gorani: gli uomini in giro nei Balcani dove lavorano alla produzione artigianale di dolci e “burek”, le donne a casa per badare ai figli. La tradizione vuole quindi che a “Djuren” gli uomini tornino nei propri villaggi di origine, per incontrare parenti ed amici. Gli scapoli, poi, tornano per trovare la propria “dolce metà”.

Durante il periodo di festa, i caffè di Brod sono pieni di giovani. Anche oggi, i gorani rispettano le antiche regole, che prevedono che alle donne non sia permesso mettere piede in questi locali. Almir, come tutti gli altri giovani, va a dormire solo a notte inoltrata, si sveglia tardi, cammina per le strade di Brod come drogato di felicità. “Ho solo tre giorni a disposizione, e voglio utilizzare ogni minuto, ogni secondo, per stare insieme ai miei amici. Viviamo dispersi e lontani, chi a Skopje, chi a Nis, chi a Belgrado, chi in Bulgaria. 'Djuren' e l'unico momento in cui riusciamo a riunirci tutti, e a stare insieme sulla nostra 'Gora'”.

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