Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Di Fabrizio (del 10/01/2008 @ 09:35:53, in Italia, visitato 2226 volte)
Da
Vita.it
di Sara De Carli (s.decarli@vita.it)
Si terrà a Roma, il 22 e il 23 gennaio, la prima conferenza internazionale
sui Rom. Sarà promossa dal Ministero dell'Interno e si svolgerà presso la Scuola
Superiore dell'Amministrazione dell'Interno, in via Veientiana. A riportarlo è
il sito Amalipe Romano, Amicizia Rom.
La Conferenza è in gestazione da mesi, visto che già il primo ottobre il
professore Alexian Santino Spinelli aveva riferito a Vita di un primo incontro
organizzativo per questo evento, ed è poi stata annunciata ufficialmente da
Amato il 6 novembre, al termine di un incontro col vice segretario generale del
Consiglio d'Europa, Maud de Boer Buquicchio.
Alla Conferenza parteciperanno Thomas Hammarberg, commissario per i diritti
umani del Consiglio d'Europa; Dana Varga, consigliera personale del primo
ministro rumeno per la problematica dei Rom; Maud de Boer Buquicchio, Vice
segretario generale del Consiglio d'Europa.
Claudio Marta, dell'Università Orientale di Napoli, farà una ricorstruzione
storica della presenza di Rom e Sinti in Italia, mentre Renato Mannheimer
presenterà una nuova ricerca. Nel pomeriggio del 22 ci sarà una tavaola rotonda
con diversi politici locali (da Formigoni a Chiamparino, dal prefetto Mosca al
prefetto Pansa), con Rosy Bindi e Marcella Lucidi.
Il 23 sarà dedicato al dialogo con la società civile, sulle tre aree
fondamentali di Casa, Scuola, Lavoro. Ci saranno Opera Nomadi, Sant'Egidio, Aizo,
Unirsi, Sucar Drom, Gruppo specialisti Rom, Comunità di Capodarco, Centro studi
zingari, Caritas e Arci Nazionale. Dopo uno sguardo europeo, chiuderanno i
lavori il ministro Ferrero e il ministro Amato.
Di Fabrizio (del 11/01/2008 @ 21:06:04, in Europa, visitato 2252 volte)
Una lunga segnalazione di Marco Brazzoduro
di Alessio Marchetti
Il collasso del comunismo ha lasciato nei paesi dell’ex blocco sovietico una
serie di tensioni etniche e sociali che la nuova Europa allargata ad est si
trova ora a dover affrontare. L’ingresso dei dieci nuovi paesi nell’Unione
Europea, ha portato con sé, di riflesso, anche un undicesimo silenzioso paese
che nazione non è, senza confini né governo, senza bandiera né inno nazionale:
quello dei Rom.
La questione della minoranza etnica della popolazione Rom, infatti, una volta
isolata nell’est europeo e quasi completamente sconosciuta in occidente, dallo
scorso primo maggio è diventato un problema dell’intero continente. Gli zingari,
come volgarmente vengono chiamati anche se loro preferiscono il nominativo di
Rom, contano, nell’Europa centro - orientale, qualcosa come 6 milioni di
individui su un totale calcolato intorno agli 8-9 milioni di presenza
complessiva su tutto il Vecchio Continente (il censo della popolazione nomade è,
per evidenti motivi, non di semplice determinazione).
Alla vigilia del primo maggio 2004, data dell’allargamento dell’Europa a 25, la
minaccia di una migrazione di massa dei Rom verso quei paesi occidentali, Gran
Bretagna e Irlanda in testa, che avevano promesso l’apertura immediata delle
frontiere ai lavoratori dei nuovi paesi, ha messo in movimento un tam tam di
notizie allarmistiche sulla stampa britannica, la quale, riferiva di orde di
zingari provenienti dall’est Europa che a decine di migliaia, se non addirittura
a milioni (Daily Express) erano pronte a invadere il Regno Unito.
La notizia della clamorosa iniziativa “minacciata” dai Rom, che ha naturalmente
spaventato molti governi e opinioni pubbliche europee e che si è rivelata
infondata, voleva provocatoriamente denunciare la situazione di estrema
difficoltà economica e sociale che questa minoranza vive nei paesi
centro-orientali.
Malgrado la questione in occidente sia quasi del tutto sconosciuta, già da tempo
la Commissione Europea lavora per ottenere dai governi locali rassicurazioni su
una soluzione del problema, tanto da averlo posto a suo tempo come una delle
discriminanti per l’ingresso di Polonia, Repubblica Ceca, Repubblica Slovacca,
Slovenia e Ungheria nell’UE. Anche Bulgaria e Romania, paesi di prossimo accesso
nei cui territori è concentrata una presenza di oltre due milioni e mezzo di
nomadi, dovranno affrontare lo stesso esame molto presto.
Un recente rapporto delle Nazioni unite, infatti, ha descritto le condizioni di
vita dei Rom del centro-est Europa come “più vicine a quelle delle popolazioni
dell’Africa Sub-Sahariana che non a quelle degli standard europei”, a causa
della miseria in cui vivono, caratterizzata dal basso tasso di scolarità e
dall’altissima disoccupazione. Sempre secondo questo studio, inoltre, almeno un
nomade ogni sei è in costante stato di fame, mentre il 40% vive in abitazioni
senza acqua corrente e servizi igienici.
Quale sia l’esatta origine storico-geografica dei Rom è ancora in discussione,
ma sembra che il loro arrivo in Europa, provenienti dalle lontane regioni
dell’India attraverso la Persia, possa essere fatto risalire attorno al VII-X
secolo. Arrivati dalla lontana India in Europa nel lontano XIV secolo (secondo
altre fonti anche prima), non cristiani, scuri di carnagione, senza terra ne
nazione, fortemente indipendenti e orgogliosi della propria cultura, senza mai
una vera volontà di integrazione, nella loro forte idea di mantenere una
distanza tra rom e “gadjé” (non rom), si scontrarono subito con il pregiudizio
di una cultura europea troppo diversa dalla loro.
Gli zingari tedeschi chiamano se stessi Sinti. La maggior parte di essi si
stabilì nell’Europa centro-orientale, mentre altri proseguirono il loro viaggio
verso la Germania, la Francia, l’Italia e soprattutto la Spagna. I Rom non hanno
mai tentato di costruire un loro proprio Stato, preferendo vivere sempre nelle
zone di frontiera, orgogliosamente a difesa della loro specificità culturale e
sociale, ottenendo però come risultato l’emarginazione e la discriminazione
della maggioranza. Fin dal loro primo arrivo in Europa i nomadi sono stati
percepiti dagli Stati come un problema da risolvere, attraverso l’assimilazione,
il contenimento, l’esclusione o l’espulsione. Dai secoli di schiavitù in Romania
tra il XV e il XIX secolo alla strage di oltre mezzo milione di Rom nei campi di
concentramento nazisti durante la seconda guerra mondiale, la loro storia
nell’est europeo è caratterizzata da repressione e discriminazione. In Germania,
come un po’ in tutta l’Europa centro-orientale, le persecuzioni iniziano ben
prima del periodo nazista: già nel 1721 l’imperatore Carlo IV ordinò lo
sterminio dei rom, con una legge che depenalizzava l’assassinio di uno zingaro.
Nel XIX secolo “studiosi” tedeschi definivano zingari ed ebrei come razza
inferiore e “escremento dell’umanità”. Una ricerca sulla popolazione nomade in
Germania del 1905 condotta dallo studioso tedesco Alfred Dillmann stabiliva che
i rom erano una “piaga” e una “minaccia” e che la Germania doveva difendersi da
essa, evitando una possibile e pericolosa commistione tra le due razze.
La grande differenza tra i Rom dell’Europa centro–orientale e quelli occidentali
consiste nello stile di vita ormai quasi definitivamente sedentario dei primi.
La politica di integrazione iniziata da Maria Teresa d’Asburgo alla fine del
XVIII secolo, volta a eliminare il nomadismo e a incoraggiare la sedentarietà, è
stato solo il primo passo verso l’assimilazione completa a cui sono giunti i
regimi comunisti circa due secoli più tardi.
Quella dei rom, comunemente chiamati zingari, è stata l’unica altra popolazione,
insieme agli ebrei, ad essere obbiettivo di uno sterminio su basi razziali
programmato nella logica della “Soluzione Finale” del Nazismo. La storia
dell’olocausto rom, “Porrajmos” secondo la lingua zingara, è forse una delle
pagine della seconda guerra mondiale meno conosciute ed analizzate.
Su una popolazione che, secondo il censo molto approssimativo del 1939 del
partito nazista, contava circa 2 milioni di individui, sparsi in 11 paesi
d’Europa, ne furono sterminati almeno 500 mila.
La particolarità della cultura rom rende le cifre molto imprecise: si tratta di
una popolazione nomade, largamente analfabeta, conservatrice di una tradizione
orale trasmessa da padre a figlio. Da qui la mancanza di fonti scritte dirette,
di testimonianze difficilmente reperibili. C’è anche da aggiungere che il
Porrajmos fu organizzato in maniera molto meno organizzata e meticolosa rispetto
all’olocausto ebraico, per cui anche da parte nazista non abbiamo quel gran
numero di fonti, documenti e informazioni che invece ci hanno permesso di
ricostruire la tragedia ebrea.
Il fatto che i rom siano degli stranieri, comunque e ovunque, che fossero alieni
ed estranei in qualsiasi luogo si muovano, ha permesso la forte crescita del
pregiudizio nei loro confronti, che è duro a morire anche nei nostri giorni.
Durante gli anni ’20, in piena e democratica Repubblica di Weimar, ai rom era
già proibito di entrare nei parchi e di usare i bagni pubblici. Una
pubblicazione di quegli anni di Karl Binding e Alfred Hoche riprendeva una
definizione coniata 60 anni prima da Richard Liebich che definiva i rom “non
meritevoli di vivere” e classificati sotto la categoria dei “malati mentali
incurabili”. La stesa frase comparve in una legge ad hoc emanata dal partito
nazista qualche anno più tardi. Dunque tutto inizia prima delle leggi di
Norimberga per la difesa della razza del 1935, che va a colpire,
specificatamente, ebrei, neri e rom.
Tutti noi sappiamo della notte dei cristalli che segnò simbolicamente la
persecuzione degli ebrei. Ma nello steso anno, 1938, esattamente nella settimana
tra il 12 e il 18 giugno un altro evento segnò l’inizio della fine: la
cosiddetta settimana della pulizia zingara.
Nel gennaio 1940 ha luogo il primo genocidio di massa con l’uccisione di 250
bambini, che vennero utilizzati come cavie nel campo di concentramento di
Buchenwald per testare il tristemente famoso Zyklon – B, il materiale usato
nelle camere a gas. Himmler fu convinto dell’idea di risparmiare la vita ad
alcuni di loro per poterli utilizzare come strumento per studiare la genetica di
questi “nemici dello Stato”, ma alla fine il regime respinde l’idea.
L’8 dicembre 1938, il primo riferimento alla “Soluzione finale alla questione
zingara” apparve in un documento firmato dallo stesso Himmler. E’ ancora Himmler
, il 16 dicembre 1940, a ordinare la deportazione di tutti gli zingari d’Europa
ad Auschwitz-Birkenau. Qui tra l’1 e il 2 agosto 1944, nella notte degli
zingari, furono gasati 2897 tra uomini, donne, vecchi e bambini in una sola
azione. I forni crematori impiegarono giorni a smaltire la moltitudine di
cadaveri.
Molto spesso, specialmente nelle terre orientali ed in Polonia, i rom non
venivano portati nei lager ma uccisi sul luogo. Dopo aver fatto scavare le fosse
con le loro mani li allineavano sul bordo per l’esecuzione. Operazione questa
non semplice, secondo un rapporto delle SS. Uccidere un ebreo era, infatti,
molto più facile, in quanto rimaneva dritto e stabile, mentre “gli zingari
piangono, si lamentano, si muovono costantemente, anche quando sono già in linea
per l’esecuzione. Alcuni di essi saltano addirittura nella fossa prima che venga
sparato il colpo, facendo finta di essere morti”.
Era lo stesso Adolf Eichmann ad organizzare la logistica delle spedizioni ai
campi, come descritto in un suo telegramma diretto alla direzione della Gestapo,
in cui parla di vite umane come di merce da trasporto: “Riguardo al trasporto
degli zingari bisogna sapere che venerdì 20 ottobre 1939, il primo carico di
ebrei lascerà Vienna. A questo carico devono essere attaccati 3-4 vagoni di
zingari. Treni successivi partiranno da Vienna, Mahrisch-Ostrau e Katovice. Il
metodo più semplice è attaccare alcuni vagoni di zingari a ogni carico. Perché
questi carichi devono seguire un programma, per cui ci si aspetta una rapida
esecuzione del problema”.
Sui rom vennero eseguiti esperimenti di ogni sorta: a Sachsenhausen si cercò di
provare che il loro sangue era diverso da quello tedesco; le donne vennero
inizialmente sterilizzate in quanto “non meritevoli di riproduzione umana” per
poi essere uccise. La legge sulla cittadinanza tedesca emanata nel 1943 non
menziona neanche la popolazione rom. D’altronde perché nominare un’etnia che da
lì a breve sarebbe dovuta scomparire dalla faccia della terra?
Nel resto d’Europa il destino dei rom variò a seconda del paese.
Il regime collaborazionista francese di Vichy internò 30.000 rom, molto dei
quali finirono nei campi di Dachau, Ravensbruck e altri. Gli ustascia croati ne
uccisero circa 26.000, molte migliaia furono uccisi dai serbi, altri furono
deportati dagli ungheresi, dei 6.000 zingari cecoslovacchi ne sopravvisse solo
un decimo.
In Italia, inizialmente, le leggi razziali del 1938 dimenticarono gli zingari,
ma ben presto una circolare del Ministero dell’Interno del 11 settembre 1940
rimediò alla dimenticanza decretando l’internamento dei rom italiani e,
successivamente, anche di quelli stranieri.
I nomi di questi campi ci sono assolutamente poco familiari: Pedasdefogu in
Sardegna, Monopoli Sabina, Tossica, vicino Teramo, Pieve (Viterbo), Isole
Tremiti e Collefiorito. E’ vero che pochi degli internati italiani furono
deportati nei campi di sterminio. La precedenza veniva, infatti, concessa agli
ebrei. Dopo la guerra la discriminazione contro i Sinti in Germania e i rom nel
resto d’Europa continuò.
Nella Germania Occidentale, fino agli anni ’60, i tribunali acconsentirono a
risarcire e a riconoscere gli zingari come vittime della follia nazista solo per
i fatti che avvennero dopo il 1943. Nessuno fu chiamato a testimoniare per conto
delle vittime rom al Processo di Norimberga e nessuna riparazione di guerra è
mai stata pagata ai rom come popolazione. Perfino gli Stati Uniti, sempre così
attenti alle vittime dell’Olocausto, non hanno fatto nulla per assistere i rom
durante e dopo gli anni dello sterminio. Solo il 10% delle centinaia di milioni
di dollari, per i quali il Governo americano era stato dichiarato responsabile
della distribuzione, resi disponibili dall’ONU per i sopravvissuti, è stato dato
ai non-ebrei, e nessuna parte di quel fondo è finita ai sopravvissuti rom.
Alla fine della seconda guerra mondiale, conclusasi con un bilancio di oltre
mezzo milione di Rom trucidati nei campi di sterminio nazisti, la parola
d’ordine nei nuovi Stati socialisti era, infatti, proprio “assimilazione”. La
ricerca dell’uguaglianza e l’eliminazione di ogni differenza etnica e sociale
condusse i regimi comunisti di Polonia, Cecoslovacchia, Bulgaria, Ungheria e
Romania a ricercare un programma di urbanizzazione forzata e di occupazione
lavorativa a largo raggio. Le abitazioni ambulanti dei Rom furono bandite tanto
che in alcuni casi compito della polizia era addirittura quello di rimuovere le
ruote dalle roulottes. In Cecoslovacchia la legge del 1958 sulla “sistemazione
permanente della popolazione nomade e seminomade” li costrinse a stabilirsi
negli agglomerati urbani dei giganteschi quartieri dormitorio delle periferie
cittadine. Molti di essi vennero trasferiti a forza dalla Slovacchia orientale
alla Boemia occidentale per rimpiazzare i Sudeti, i cittadini di origine tedesca
cacciati dopo la seconda guerra mondiale. Tra gli anni ‘70 e ’80 in Bulgaria il
governo abolì la speciale identità culturale Rom costringendoli a bulgarizzare
il nome e proibendo l’uso della lingua; in Romania, negli anni ’80, Ceausescu
condusse una violenta campagna per l’urbanizzazione che vide la costruzione dal
nulla di interi nuovi villaggi.
Nel complesso si può affermare che, per certi versi, durante il periodo
comunista la situazione dei Rom era in qualche modo migliorata, se non altro per
le aumentate opportunità di accesso allo studio e al lavoro. I bambini erano
obbligati a frequentare le scuole cosi come a ricevere le vaccinazioni, gli
adulti avevano un lavoro e non si veniva picchiati per strada dalla violenza
xenofoba degli skin-heads. Allo stesso tempo però l’assimilazione forzata portò
alla nascita di tensioni sociali e razziali nella popolazione maggioritaria
locale destinate destinata ad esplodere non appena la coperta di bugie dei
regimi fosse stata tolta.
La violenza e la discriminazione razzista nei confronti dei Rom è documentata
fin dal 1990 un po’ in tutta l’Europa centro–orientale. L’improvvisa insicurezza
sociale ed economica in cui le fasce deboli delle nuove democrazie dell’est si
sono venute a trovare contribuirono all’apprensione per la ricerca di un nuovo
nemico che portò alla rapida formazione di movimenti razzisti di estrema destra.
Attacchi violenti di matrice etnico–razziale si sono verificati ovunque nel
corso di questi ultimi quindici anni, facendo anche numerose vittime. Appena lo
scorso anno, in Repubblica Ceca, furono registrati ben 364 attacchi di natura
xenofoba, una media di uno al giorno, senza tener conto che il record è
indubbiamente sottostimato a causa della reticenza della polizia ad archiviare
le violenze come razziste.
Nel 1999 la stampa internazionale puntò i suoi riflettori su una sconosciuta
cittadina industriale del nord della Boemia, a poche decine di chilometri da
Praga, Usti nad Labem. La città, che conta centomila abitanti, vede la presenza
di circa ventimila Rom, quasi tutti disoccupati. Con la sola eccezione di una
graziosa chiesa barocca restaurata di recente, Usti nad Labem combina una serie
di grigie mostruosità architettoniche sul modello del realismo socialista a
edifici del XIX secolo. Il teatro della vicenda è Matični ulice (via Matični),
una strada popolare composta da blocchi di piccoli appartamenti statali forniti
ai cittadini in difficoltà economica, che vede contrapposte famiglie ceche da un
lato della strada e alcune decine di famiglie Rom dall’altro; per far fronte
alle proteste di alcuni cittadini che lamentavano la sporcizia e il chiasso dei
vicini Rom, accusati anche, in questo caso giustamente, di non pagare l’affitto,
il sindaco della città, Ladislav Hruska, fece erigere un muro alto quattro metri
che dividesse le due popolazioni.
Dopo alcune proteste da parte dei comitati Rom fu lo stesso governo ceco a
intervenire sulla municipalità locale per impedire la costruzione del muro, che
non avrebbe di certo contribuito a dare un’immagine positiva al paese in vista
di un suo futuro accesso nell’UE. Sia la Commissione Europea, che la CSCE e le
associazioni per i diritti umani, avevano mandato i loro emissari a controllare
la situazione, la quale era finita sulle pagine dei giornali cechi e
internazionali (se ne è occupato anche il Washington Post).
Alla fine il muro fu eretto lo stesso, sotto la sorveglianza di decine di
poliziotti che avevano l’ordine di vigilare sulla costruzione ventiquattro ore
al giorno. Il sindaco Hruska per giustificare l’opera commentò laconicamente:
“Vogliamo solamente separare la gente decente da chi decente non è”.
Qualche mese più tardi dopo varie pressioni governative il muro fu finalmente
abbattuto, nonostante la solidarietà espressa da più parti, pubbliche e private,
alla municipalità.
In Slovacchia, in questi anni, la discriminazione è andata anche oltre. I casi
di violenza razzista si sono, infatti, spesso incrociati a provvedimenti
governativi imbarazzanti, ritirati quasi all’ultimo momento dalle aule del
Parlamento. Tra gli altri, tanto per citarne uno, quello del 2002 dove fonti del
Ministero della Cultura davano per applicabile l’idea di istituire degli
appositi campi di rieducazione per Rom dove gli ospiti, secondo le parole di
Edana Marash-Borska dell’allora partito di governo ANO, avrebbero dovuto
“lavorare secondo le loro abilità”. I Rom inoltre, in questi campi, non
avrebbero avuto bisogno di soldi poiché “ognuno avrebbe ricevuto quanto dovuto:
un pacchetto di sigarette al giorno, sapone, shampoo, dentifricio, caffè, the e
dolci per i bambini”.
La questione Rom è nuovamente saltata alle cronache lo scorso anno, nel febbraio
2004, in seguito a una clamorosa protesta da parte di alcune centinaia di
zingari nella Slovacchia orientale. Qui, infatti, i tagli fino al 50% disposti
sui fondi per il sostentamento delle fasce più deboli decisi dal governo di
centro-destra, ha scatenato la furia dei nomadi i quali, vedendo in tale
decisione l’ennesimo atto discriminatorio nei loro confronti, hanno preso
d’assalto negozi e saccheggiato supermercati. Il governo slovacco ha risposto
schierando oltre ventimila uomini tra polizia ed esercito e sparando acqua dai
cannoni contro i civili, fatto che non accadeva addirittura dalla Rivoluzione di
Velluto del 1989, ferendo anche donne e bambini.
La piccola Repubblica Slovacca, che conta una delle più alte concentrazioni
della minoranza Rom in percentuale alla popolazione (circa il 10%), così come la
cugina Repubblica Ceca, è stata più volte ammonita dalle organizzazioni
internazionali per la salvaguardia dei diritti umani, le quali accusano non solo
la magistratura di “sottovalutare” il problema ma addirittura la polizia stessa
di compiacenza con gli atti discriminatori e razzisti. Clamoroso il caso di
Karol Sendrei che nel 2001 morì, in Slovacchia, in una stazione di polizia
incatenato a una stufa dopo essere stato picchiato nel corso della notte.
Lo scorso anno, nel maggio 2004 Amnesty International ha presentato un nuovo
rapporto che denunciava ancora due casi di abusi da parte della polizia ceca nei
confronti di Rom: il primo faceva riferimento a un episodio accaduto a Cheb
(città natale di Pavel Nedved, a circa 100 km a ovest di Praga) dove un uomo, di
nome Karel Billy, fermato durante un normale controllo stradale, è stato fatto
scendere dalla propria auto, costretto a salire nella macchina della polizia e
condotto in un boschetto fuori città. Qui, una volta al riparo da occhi
indiscreti i poliziotti lo hanno assalito con pugni e calci, umiliandolo con
frasi razziste e cospargendolo, infine, di urina.
Il secondo caso si riferiva a un episodio accaduto nella cittadina di Popovice,
dove cinque ufficiali in tenuta antisommossa hanno fatto irruzione
nell’abitazione di una famiglia nomade accusando i presenti di aver rubato nel
ristorante di proprietà proprio di uno degli stessi poliziotti coinvolti e
insultandoli con frasi razziste.
Il rapporto di Amnesty International va ad aggiungersi a quelli già elaborati
dalle apposite commissioni dell’ONU nel gennaio 2005 e, precedentemente,
nell’agosto 2003, le quali intendevano sottolineare la mancanza di programmi
governativi veri che potessero apportare un qualche miglioramento alle
condizioni di vita della popolazione Rom, attenuando allo stesso tempo le
discriminazioni nei loro confronti. Amnesty ha riscontrato una sorta di
reticenza a punire i colpevoli delle aggressioni da parte degli organi
giudiziari preposti, i quali molto spesso ammettono con gran fatica la natura
razzista degli attacchi minimizzando il problema.
Altro problema di non facile soluzione e che accomuna un pò tutti i paesi dove
la presenza nomade è sensibile è quello del numero della popolazione Rom che
cresce in maniera inversamente proporzionale a quello della maggioranza locale.
Il tasso di natalità tra i nomadi è molto alto ed è naturalmente destinato ad
influenzare l’equilibrio etnico di molte regioni. I Rom sono già circa il 10%
della popolazione totale in Bulgaria, Macedonia, Slovacchia e Romania, paese,
quest’ultimo, che ne conta la maggior presenza calcolata in circa 2 milioni di
individui. Già durante gli anni dell’assimilazione comunista i regimi si
imbatterono nella questione demografica, cercandone, a loro modo, una soluzione.
In Cecoslovacchia, ad esempio, durante gli anni ’70 e ’80, il governo condusse
una politica di riduzione delle nascite controllata attraverso l’uso sistematico
della sterilizzazione. Le donne Rom vennero in pratica obbligate ad accettare
questa pratica sotto la minaccia, in caso di rifiuto, di vedersi togliere i
benefici sociali dallo Stato.
Da sempre si era considerata la coercizione delle donne Rom alla sterilizzazione
come conclusa con la caduta del regime. Secondo un documento della CSCE (la
“Commissione sulla Sicurezza e la Cooperazione in Europa”, promossa dal
Congresso americano nel 1976 per vigilare sulla difesa dei diritti umani) la
pratica in Repubblica Ceca e Slovacca sembra essere continuata ancora dopo il
1989.
La CSCE cita, infatti, un documento intitolato “Body and Soul: Forced
sterilization and other assaults on Roma reproductive freedom”, pubblicato a New
York nel gennaio del 2003 dal CRR (“Center for Reproductive Rights”) e dal
“Centro Slovacco per i Diritti Umani e Civili” (Poradna). Gli autori di questo
studio identificano circa 110 casi avvenuti di sterilizzazione su donne Rom,
senza il loro consenso, dopo il 1990 in ospedali pubblici slovacchi.
Significativa in tal senso la dichiarazione del Ministro della Sanità, Lubomir
Javorsky, il quale nell’ottobre del 1995, durante una celebrazione a Kosice
dichiarò che “il governo farà tutto il necessario per assicurare che più bambini
bianchi vengano dati alla luce a scapito dei bambini Rom”.
La discriminazione e il pregiudizio nei confronti dei Rom è, dunque, una
componente molto presente nelle società dell’Europa dell’est, le quali vedono
questa minoranza come un qualcosa di esterno, di diverso e, spesso, di cui
vergognarsi. Lo stile di vita calmo, compito, rispettoso, quasi silenzioso delle
società di influenza asburgica contrasta in maniera stridente con la
chiassosità, l’animosità, l’inadattabilità e l’indolenza rom.
Gli esperti sono concordi nell’affermare che la segregazione e la povertà dei
Rom è sicuramente in larga parte dovuta alla scarsa qualità, se non addirittura
alla totale mancanza, dell’educazione scolastica dei giovani. Basti pensare che
in Bulgaria, ad esempio, solo il 20% dei bambini inizia la scuola elementare
mentre appena il 2% finisce le superiori. In Romania, se possibile, la
situazione è ancora più grave: su una popolazione zingara di un milione e mezzo
di individui almeno uno su tre è analfabeta. Qui, come in molti altri paesi
dell’area i bambini Rom frequentano scuole separate da quelle dei loro coetanei
romeni; spesso sono proprio gli stessi direttori delle scuole a prendere questa
decisione basando il loro giudizio semplicemente sul colore della pelle,
ovviamente in aperta violazione della legge. In Repubblica Ceca si stima che
circa il 75% dei bambini Rom non sono ammessi nelle scuole pubbliche e vengono
dirottati in classi speciali di più basso livello educativo riservate ai bambini
con difficoltà di apprendimento, con ovvie gravi conseguenze sulla loro
formazione superiore; in Bulgaria, spesso, sono costretti a frequentare scuole
per handicappati mentali semplicemente perché non parlano il bulgaro.
Nonostante le nuove democrazie abbiano adottato costituzioni con ampi
riconoscimenti per le minoranze etniche, i soli a non averne beneficiato, molto
anche per colpa loro, sono stati i Rom, a causa dell’incapacità di provvedere da
soli alla difesa dei propri diritti e al carattere sospettoso che li porta,
spesso, a rifiutare aiuti dall’esterno.
A causa delle pressioni di Bruxelles, comunque, la situazione sembra andare
verso un lento miglioramento, tanto che nelle scuole romene è ora possibile
studiare anche la letteratura Rom. In Ungheria il governo ha promesso di
eliminare le classi speciali entro il 2008, in Bulgaria ci si sta orientando
verso l’integrazione grazie alla creazione di classi miste, mentre a Praga hanno
pensato di fornire borse di studio ai giovani Rom che vogliono proseguire lo
studio superiore.
Da salutare come un importante passo avanti, inoltre, l’elezione della prima
deputata di origine Rom al Parlamento Europeo, Livia Jaroka, 29 anni, eletta
nelle ultime votazioni europee in Ungheria tra le fila del partito di
opposizione di centrodestra Fidesz – Unione Civica Ungherese.
Rimane a questo punto da sperare che il sondaggio elaborato dal Centro di
Statistica Ceco apparso a giugno 2004, subito dopo l’ingresso nell’Europa Unita,
e che riporta la nascita di una nuova coscienza solidale tra i giovani cechi sia
solo il segnale di un primo cambiamento che la nuova Europa a 25 ha saputo
portare: allargamento non solo dei confini ma anche delle mentalità.
Di Fabrizio (del 12/01/2008 @ 17:38:26, in Europa, visitato 1904 volte)
Da
Mundo_Gitano
IL PARLAMENTO EUROPEO, RISPONDENDO ALLA PETIZIONE DI UNION ROMANI, HA RIVOLTO
UNA SANZIONE POLITICA AL COMMISSARIO FRANCO FRATTINI, PER LE SUE DICHIARAZIONI
VESSATORIE CONTRO IL POPOLO GITANO
Il Presidente del Parlamento Europeo, Hans-Gert Pötttering, si è rivolto
al Presidente di Unión Romaní, Juan de Dios Ramírez Heredia, dando risposta alla
petizione a cui risponde asserendo che faciliterà qualsiasi iniziativa
parlamentare che moderi il contenuto del Decreto promulgato dal Governo
italiano, in relazione all'espulsione immediata dal suo territorio dei gitani
provenienti dalla Romania.
Il presidente di Unión Romaní insiste sul contenuto della Direttiva
2004/38/CE del Parlamento e del Consiglio Europeo del 29 aprile 2004, relativo
al diritto dei cittadini dell'Unione e dei membri della propria famiglia a
circolare e risiedere liberamente nel territorio degli Stati membri, ricordando
che "i gitani europei sono la miglior espressione della cittadinanza europea dal
momento che sono una comunità estesa in tutto il territorio dell'Unione e che
hanno saputo combinare l'appartenenza al paese dove sono nati con la comune
condizione di riconoscersi cittadini dell'Europa e del mondo."
Quello però che allarma maggiormente furono le parole pronunciate da Franco
Frattini, Commissario della Giustizia e dei Diritti del Cittadino, che dichiarò:
"Quello che si deve fare è semplice: si va in un campo nomadi a Roma, ad esempio
sulla Cristoforo Colombo, e a chi sta lì si chiede: tu di che vivi? se quello
risponde: 'non lo so', lo si prende e lo si rimanda in Romania. Così funziona le
direttiva europea. Semplice e senza scampo".
Il Presidente del Parlamento Europeo è stato molto sensibile alla richiesta,
quando si dice "Siamo preoccupati che un così alto rappresentante politico
dell'Unione Europea possa dire"prendeteli ed inviateli in Romania". "Prendeteli"
ci porta il ricordo della più triste e nera storia d'Europa. "Prendeteli" han
sempre detto i dittatori. "Prendeteli" dicevano i nazisti per portarli ai campi
di concentramento e poi alle camere a gas. "Prendeteli" è quel che piace dire
all'estrema destra così evidentemente rappresentata in questo Parlamento.
Come conseguenza della petizione, Hans-Gert Pötttering ha affermato quanto
segue:
Il Parlamento Europeo ha inviato una sanzione al Commissario della
Giustizia e dei Diritti del Cittadino ed ha considerato, nel testo parlamentare
del giorno 15 novembre 2007, che le parole pronunciate dal Signor F. Frattini
sono "contrarie allo spirito e alla lettera" della Direttiva 2004/38/CE relativa
al diritto dei cittadini dell'Unione e dei membri delle sue famiglie a circolare
e risiedere liberamente nel territorio degli Stati Membri.
Con questa risoluzione adottata con 306 voti a favore, gli eurodeputati
hanno anche invitato la Commissione Europea perché presenti, senza indugio, una
valutazione esaustiva dell'applicazione della direttiva 2004 nei 27 Stati
Membri.
Di Fabrizio (del 13/01/2008 @ 09:19:33, in scuola, visitato 2174 volte)
Dal
Corriere della Sera
ROMA - Apartheid su via Palmiro Togliatti? Ieri il consiglio del VII
Municipio di Roma, uno dei caposaldi «rossi» della cintura a cavallo tra
Prenestina e Casilina, ha approvato a maggioranza una mozione presentata da
Rifondazione comunista (votata da Sinistra democratica, più tutto il centro
destra, contrario il Pd) in cui si chiede all'assessore comunale alla scuola di
valutare la richiesta di tornare a separare i bimbi rom dagli altri bimbi sugli
scuolabus, richiesta avanzata da un gruppo di genitori mobilitati dopo un
litigio avvenuto tra ragazzini. Secca la replica dell'assessore Maria Coscia (Pd):
«Sapevo che nel VII Municipio c'era stato qualche problema, ma pensavo che fosse
stato governato. Nel senso di includere e non di escludere... Mica possiamo
tornare ai tempi di Rosa Louise Parks...». Eppure da quel comprensorio di case
popolari e di ex borgate che si chiamano Centocelle, Prenestino, Quarticciolo,
Alessandrino o La Rustica, insomma la settima circoscrizione della città,
rischia di spuntare all'alba del 2008 un po' grottescamente quell'autobus giallo
del '55 a Montgomery. Epicentro è il 117 circolo didattico di Roma, alla
Rustica. Ad accendere la miccia nel parlamentino del VII retto da un presidente,
Roberto Mastrantonio, unico rappresentante dei Comunisti Italiani tra i
diciannove minisindaci di Roma, è stato Lucio Conte di Rifondazione Comunista.
Più cautamente Mastrantonio si è tenuto alla larga dall'auletta al momento
della votazione, comportamento adottato anche dalla consigliera verde
Mariani. Presi in contropiede i rappresentanti del Pd, costretti poi in sei, i
presenti al momento della votazione, a restare in minoranza. Due i punti messi
nero su bianco: col primo si chiede di valutare la richiesta avanzata dai
genitori di rivedere il sistema attuale di trasporto, il secondo suggerisce
invece di contribuire a un migliore sostegno scolastico dentro la scuola per i
bimbi rom. «Premesso che durante il trasporto il comportamento vivace di alcuni
bambini rom nei confronti degli altri bambini ha determinato le proteste dei
loro genitori — recita la mozione approvata — e che anche la presenza sul
pullman di due accompagnatori non ha fatto rientrare le preoccupazioni dei
genitori che hanno chiesto di far portare a scuola i loro figli su un pullman
senza la presenza dei bambini rom, visto che i genitori hanno chiesto che questa
situazione venga rimossa e si torni alla situazione degli anni precedenti in cui
si raggiungeva la scuola su pullman diversi... il Consiglio del Municipio VII
chiede al Presidente di sottoporre all'assessore comunale alla scuola
nell'ambito della prevista valutazione dello stato del progetto di trasporto
scolastico la richiesta dei genitori del 117 circolo...». Seguono poi le
richieste di un maggior sostegno scolastico all'insegna dei «diritti universali
riconosciuti a tutti i bambini».
«Mozione imbarazzante? E perché mai...— reagisce il consigliere del Prc
—. I problemi vanno affrontati, i cittadini sentiti. Oltre a quel litigio tra
bambini qua si è messo in moto qualcosa di più. Così sono andato dal presidente
e con lui ho concordato questa mozione...». Il capogruppo del Pd Marinucci
allarga le braccia. Dice: «Se è per questo ha avuto anche l'adesione dei due di
Sinistra Democratica. E poi si è sentita la capogruppo di An che diceva: "Ma
perché non l'abbiamo proposta noi?". Qua, se non stiamo attenti, torniamo alle
carrozze in treno per soli negri...». Il presidente Mastrantonio obietta. «Io
sono per il mantenimento del servizio, certo, ma se si determinano condizioni di
ingovernabilità che facciamo?».
Paolo Brogi
12 gennaio 2008
Di Sucar Drom (del 14/01/2008 @ 10:07:51, in blog, visitato 1654 volte)
Firenze, convegno sulle discriminazioni etnico-razziali
COSPE il 18 gennaio 2007 a Firenze (ore 14.30 - 18.30, Sala delle miniature,
Palazzo Vecchio) presenta il rapporto 2007 RAXEN dell’Agenzia per i Diritti ...
Brescia, uno spettacolo contro il razzismo
Domani, sabato 12 gennaio 2008 dalle ore 20.30, siete invitati tutti a Brescia,
presso il ristorante Guillaume (Galleria Teatro Sociale, piazza Boni - C.da del
Cavalletto) per part...
Roma, conferenza europea su Rom e Sinti
Oggi il Ministero dell’Interno e il Ministero della Solidarietà Sociale
hanno ufficialmente spe...
Ferrara, corso di formazione sui processi di interazione tra le culture
E’ iniziato il 10 febbraio a Ferrara il corso di formazione “i Rom, i Sinti, i
Gage. Un'interazione possibile?”, promosso dall’Opera Nomadi ferrarese, la Coop...
Prato, le famiglie sinte italiane saranno cacciate se i bambini non vanno a
scuola
La proposta messa a punto dall'Amministrazione di destinare alcune aree, contigu...
MERCOLEDI 16 GENNAIO ORE 21
CENTRO CIVICO GIORGIELLA P:zza Giovanni XXIII Corsico (Milano)
"PORRAJAMOS-LA DEPORTAZIONE DELLA COMUNITA' ROM IN ITALIA NEI CAMPI DI
STERMINIO"
Accompagnamento musicale di Iovic Iovica , Rom Khanjarja.
Presentazione filmato con la partecipazione di Maurizio Pagani OPERA NOMADI
MILANO.
ANPI CORSICO
Di Fabrizio (del 16/01/2008 @ 09:01:10, in scuola, visitato 1912 volte)
Da
Primonumero
Si è concluso lunedì nella sartoria di via
Ruffini il corso di taglio e cucito per ragazze di etnia rom finanziato dal
Comune di Termoli al posto del sussidio di mantenimento. Le partecipanti, tutte
giovani, ne approfittano per raccontare qualcosa di se stesse e della comunità
‘zingara’ di Termoli, che conta circa 200 persone. “Ci sentiamo termolesi, e
rispetto alle nostre madri abbiamo altri desideri, come aprire una sartoria di
moda qui in città”. Un progetto dalla duplice finalità: favorire l’integrazione
sociale e creare una possibilità occupazionale salvando un mestiere in via di
estinzione
di Monica Vignale
Termoli. C’è un antico detto cinese che recita così: “Dai un pesce a
un uomo e lo farai mangiare per un giorno. Insegna a pescare a un uomo e l’avrai
sfamato per tutta la vita”. E’ più o meno quello che ha cercato di fare il
Comune di Termoli quando ha finanziato il corso di taglio
e cucito per ragazze di etnia rom invece di erogare, come ogni anno, un
sussidio sociale alle loro famiglie. Niente soldi in mano, ma piuttosto
un’occasione per imparare un «mestiere in via di estinzione», come ricorda
l’insegnante Maria, che da quarant’anni, armata di pazienza e di una discreta
dose di severità («che fa sempre bene») tramanda conoscenze tecniche e metodi di
sartoria a giovani apprendiste.
Lunedì 14 gennaio, nei centralissimi locali di via Cleofino Ruffini, le dieci
iscritte hanno sostenuto gli esami e ottenuto i diploma della scuola Sitac. Un
anno di lezioni, due volte a settimana, divise fra il tavolo da cartamodello,
righe, squadre e centimetri, forbici e macchine da cucire. Il risultato è appeso
sulle quattro pareti della stanza centrale: abiti da sera
con inserti di paillettes, gonne lunghe e svolazzanti di chiffon, corpetti
ricamati, camicette a motivi floreali, giacche con inserti decorati. Il
gusto e lo stile sono quelli dei rom, i colori sgargianti testimoniano
l’abbigliamento etnico che caratterizza il popolo degli zingari, come qualche
volta, con un accenno di biasimo, vengono definite le famiglie rom.
A Termoli la comunità è grande: duecento persone circa,
divise in 25 nuclei familiari. Con un problema, più o meno diffuso fra
tutti: non lavorano e, di conseguenza, non sono abbastanza integrati con il
tessuto sociale. Una limitazione non da poco, per la quale il progetto
sponsorizzato dall’Assessore alle Politiche Sociali
Antonio Russo vuole essere un tentativo di risposta. Lui, accompagnato dal
consigliere Giuditta e dall’assistente sociale del Municipio, viene accolto con
un applauso e subito s’informa sui progressi delle ragazze, che non si fanno
ripetere due volte le domande e si lanciano in un racconto entusiastico
dell’avventura sartoriale, iniziata il 16 gennaio dell’anno scorso. Due volte a
settimana lezioni di cartamodello e cucito: per tutte un’opportunità di
acquisire gli strumenti di un mestiere prezioso e sempre meno diffuso.
Per molte anche l’unica occasione per uscire di casa
durante la settimana, come racconta con garbo Giovina,
una delle partecipanti, che non ha problemi a parlare della mentalità rom e
cerca di far quadrare l’affetto per i genitori, ancora molto legati alla
tradizione, con la voglia di sentirsi termolese a tutti gli effetti e quindi
sicuramente più indipendente. « All’inizio non è stato per
niente facile convincere mio padre a darmi il permesso di frequentare questo
corso. Eppure io faccio parte di una delle famiglie più aperte fra quelle rom, e
frequento addirittura l’università! (è iscritta a Giurisprudenza a Campobasso,
ndr). Poi però, un po’ alla volta, ha capito... e adesso è molto contento per
me». Complice il coraggio di questa venticinquenne, che si è messa in testa di
‘educare’ i genitori a una maggiore apertura verso la società, «perchè magari
mamma e papà temono che quando esco di casa posso incorrere in tanti pericoli, e
invece le cose sono sicuramente più tranquille. Termoli è un paese...» Un paese
dove i rom, anche quelli di seconda o terza generazione, sono ancora visti con
un po’ di sospetto.
«Questa scuola di cucito ci dà finalmente la possibilità di dimostrare che anche
noi sappiamo fare qualcosa di buono!» si sfoga Giusy,
anche lei – come tutte del resto – con occhi scuri e lunghi capelli neri che
scendono sulle spalle. Si chiamano Giovina, Giusi,
Donatina, Antonietta, Loredana, Rosetta, Fernanda, Antonella, Barbara, e ancora
Antonietta. I cognomi sono sempre quelli: Cirelli, De Rosa, De Guglielmo. Le
storie personale cambiano di poco: tutte nate a Termoli, sono cresciute nella
famiglie allargate dei rom, destinate a sposarsi e a mettere al mondo figli
esattamente come le loro madri. «Ma noi abbiamo altre aspirazioni – interviene
Antonella, al quarto anno di scuola di confezione,
ormai stilista esperta – Il mio per esempio è aprire una sartoria, con l’aiuto
magari di altre ragazze. Voglio lavorare,e voglio fare quello che faccio oggi:
creare abiti».
Un sogno nel cassetto che accomuna diverse ragazze. Tanto che la richiesta
all’assessore Russo è unanime: premere perchè il Comune continui a finanziare il
corso.
«All’inizio c’è stata un po’ di resistenza da parte della Giunta – ammette
l’assessore, mentre ammira un abito da sposa in miniatura – perchè era difficile
da capire la finalità del progetto. Di solito per il taglio e cucito ci sono i
corsi professionali, e gli altri assessori non si spiegavano come mai dovesse
essere il Comune a finanziarli». Fuori dai microfoni, quando arriva anche il
direttore generale Petrosino, che Russo presenta alle ragazze come «il vero capo
del Comune, perchè è quello che sgancia i soldi», c’è tempo per ricordare che la
delibera di finanziamento del corso taglia e cuci è dovuta approdare tre volte
in Giunta prima di avere l’ok. Un aneddoto che diverte il segretario: «Bisogna
riconoscere che l’oggetto, quel ‘taglia e cuci’ scritto in grassetto sotto lo
stemma del Comune, faceva sorridere...».
«Il fatto è – spiega l’assistente sociale – che queste ragazze non avrebbero mai
potuto sostenere la selezione per un corso professionale. Molte di loro non
hanno nemmeno la terza media, e non hanno alcuna conoscenza di matematica». E
l’insegnante Maria ricorda di quando, un anno fa, si è armata di santa pazienza
per insegnare alle allieve a fare le addizioni e le moltiplicazioni, «se no,
come facevano a prendere le misure e a fare i cartamodelli?».
Magari coi numeri non ci vanno troppo d’accordo, ma
sull’attualità sono ferrate. Rispondono senza esitazione ai quesiti
dell’assessore Russo, che indaga sulle loro conoscenze politiche e sulle
preferenze partitiche. Diplomatiche, ma senza esagerare. «Prodi o Berlusconi?
Veltroni o Casini? Meglio farebbero tutti a mantenere le promesse che fanno agli
italiani!».
Fernanda ne approfitta per ricordare che «anche il Comune ci ha fatto una
promessa, ha detto che ci avrebbe aiutato. Per ora l’ha mantenuta, ma
ricordatevi di finanziare anche il secondo anno di scuola!»
E mentre si scartano piatti di dolci rigorosamente preparati in casa dalle
ragazze, si chiacchiera sulla fattibilità di avviare una cooperativa di sarte.
La moda, coi suoi meccanismi creativi e leggeri, svincolata dai pregiudizi assai
più che altri ‘rami occupazionali’ per quell’estro poliedrico che la
caratterizza, si presta a favorire l’integrazione. Magari tra qualche anno
vedremo le dame della borghesia termolese indossare abiti scintillanti lungi
alla caviglia e ragazze rom girare in minigonna. Un capo che, almeno per il
momento, è rigorosamente bandito dal ventaglio di creazioni stilistiche di via
Ruffini. Ma non è detta l’ultima parola.
Le immagini nella galleria fotografica
Di Fabrizio (del 17/01/2008 @ 09:15:33, in lavoro, visitato 2640 volte)
Riassumo un lungo articolo da
Romaworld.ro
Se non verranno fatti presto investimenti per i Rom marginalizzati, la più
grande minoranza d'Europa rimarrà in un trappola di povertà. Per le strade del
ghetto Rom di Sofia, il catrame è un ricordo. Le baracche, costruite con fango e
mattoni. sono allineate lungo la strada. L'odore del fango spunta dalle
grondaie. I collegamenti tra le famiglie seguono le linee elettriche illegali
che collegano le loro capanne. Qui, il concetto reale di infrastruttura è
estraneo come l'astrofisica, mentre "municipalità" è una parolaccia.
Può sembrare un quadro da Terzo Mondo, ma siamo a Faculteta, quartiere della
capitale bulgara, e le stesse scene si replicano attraverso il paese e nella
vicina Romania, entrambe membri dell'Unione Europea dal gennaio 2007. Il recente
boom ha visto la disoccupazione nei due paesi praticamente eliminata dalla
richiesta saettante di lavoro. Ma questo trend benigno ha toccato a malapena i
Rom. Razzismo, mancanza di scolarizzazione e qualificazione li hanno tenuti
ermeticamente al margine dei cambiamenti economici raggiunti dai loro
compatrioti.
Niente sta cambiando. Al contrario, anche se la maggioranza dei 45.000
residenti di Fakulteta è senza impiego, la Bulgaria intende importare lavoratori
stranieri per alimentare la sua crescita economica piuttosto che mobilitare la
minoranza Rom nel mercato lavorale.
Ufficialmente, la Bulgaria conta 370.000 Rom. Ma le OnG ritengono questa
cifra molto inferiore al reale, che sarebbe di 800.000, il 10% della
popolazione.
Negli ultimi 15 anni, molti Rom dalle povere aree rurali sono migrati in
città in cerca di una vita migliore. Ammassati in quartieri poveri e
sovraffollati, che si sono mutati in ghetti virtuali. Circa il 54% dei Rom vive
ora in queste mahali, come sono conosciute in bulgaro. Circa i 3/4 non le
hanno mai lasciate dopo la nascita.
Georgi Krastev, capo dell'Unità d'Integrazione del Ministro del Lavoro e
delle Politiche Sociali, concorda che il paese si trova di fronte ad un problema
di severa segregazione economica. Dice "Oltre il 90% dei disoccupati [in
Romania] sono Rom."
In agosto, il suo ministero ha riportato che il tasso di disoccupazione era
arrivato al record del 7% , ma i così in basso, e le previsioni sono che il
trend continuerà. A Sofia, gli unici adulti disoccupati sono Rom, di cui il 60%
è senza lavoro, secondo l'NSI, Istituto Nazionale di Statistica.
Assorbiti da altri problemi del periodo di transizione e paurosi di
promuovere i diritti di una minoranza impopolare, nessuno dei governi
post-comunisti ha preso misure sostanziali per migliorare la mobilità economica
tra i Rom.
Qui e negli altri nuovi stati membri, molti ora si rammaricano che di più non
sia stato fatto delle possibilità offerte dalla fase di pre-accesso alla UE
per aumentare le azioni di pressione. E mentre Bruxelles insiste che
l'integrazione dei Rom deve rimanere una priorità per Bulgaria e Romania - in
pochi ritengono che l'ammontare dei fondi disponibili possano rimuovere gli
ostacoli che impediscono la mobilità tra i Rom. Le comunità Rom nei paesi
balcanici cheserano di unirsi presto alla UE ne prendono nota.
Un problema regionale, con radici storiche
I politici bulgari non sono i soli a mettere la testa nella sabbia. Scene
simili a quelle di Faculteta si possono trovare attraverso l'Europa Centrale e
del Sud Est. In Ungheria, dove i Rom sono dal 6 all'8% su di una popolazione di
circa 10 milioni, circa il 50% sono disoccupati, comparati alla media nazionale
del 7%, secondo un rapporto del 2005 di Magyar Agora. Oltre il 50% dei Rom in
Ungheria vive sotto la soglia di povertà, comparati alla media nazionale
dell'8%.
La situazione è simile in Serbia, dove oltre il 60% dei 300.000 Rom è
considerato molto povero, comparato al 6% della popolazione, secondo un rapporto
ufficiale sull'inclusione Rom del 2006. Il tasso di disoccupazione per i Rom di
tutte le fasce d'età e a tutti i livelli scolastici è di tre volte superiore
alla media della popolazione non-Rom.
Nella Repubblica Ceca, oltre il 70% dei Rom sono senza lavoro,
comparato al 10% nazionale, secondo un rapporto 2005 della Commissione Europea.
In Romania, dove i 2 milioni di Rom sono circa l'8% su una popolazione di 22
milioni, il 75% di quanti sono in età lavorativa è disoccupato, secondo una
inchiesta compilata dall'UNPD e dall'Organizzazione Internazionale del Lavoro.
Le radici di questi problemi datano secoli, dice Rumyan Sechkov, storico
dell'Accademia Bulgara delle Scienze e presidente del gruppo per l'Alternativa
Civica. La curiosità inizialmente sollevata negli Europei dai Rom migrati nel XV
secolo dal subcontinente indiano si è mutata rapidamente in ostilità autentica,
racconta, spiegando "che il rifiuto dei Rom ha le sue radici in profondità
indietro in quell'era."
Molti hanno cercato riparo nelle terre europee dell'Impero Ottomano, dove non
erano benvenuti ma d'altronde nemmeno sterminati. Ma secondo gli storici durante
la II Guerra Mondiale, circa mezzo milione di Rom furono uccisi dai nazisti e
dai loro alleati locali nei nuovi stati dell'Europa Centrale e dell'Est.
I sopravvissuti si trovarono di fronte ai tentativi di assimilazione forzata
dei regimi comunisti che avevano preso il potere. In Bulgaria, il romanés venne
soppresso, la loro musica bandita in pubblico e lo stile di vita nomadico finì
nel 1957 con una legge che ordinava a tutti i cittadini di registrarsi ad u
indirizzo fisso. Ancora peggio, in Cecoslovacchia, alcune donne Rom furono
sterilizzate come parte di una politica statale per ridurre il loro numero.
Nei primi anni '90, con i cambiamenti politici ed economici che arrivavano
nelle terre del vecchio blocco orientale, i Rom ottennero riconoscimento come un
distinto gruppo etnico. Da un punto di vista fu un sviluppo positivo. Ma questo
coincise col collasso di molte istituzioni sociali e, come il gruppo più
vulnerabile economicamente, i Rom videro aumentare il loro distacco dal resto
della società.
Ignoriamo il problema
Nel gennaio 2007, con la Romania e la Bulgaria che raggiungevano la UE, i Rom
divennero la più grande minoranza etnica dell'area, tra gli 8 e i 10 milioni. Ma
il numero non significa potere, e nei nuovi stati membri, i Rom rimangono in un
distinto svantaggio, legati ad un circolo di discriminazione, negligenza ed
esclusione.
"Io non dico che tutti i Rom sono pericolosi, ma la maggior parte lo sono,"
dice Anton
Ivanov, 22 anni di Krasna Poliana, un quartiere che confina con Fakulteta. Ad
agosto, cinque uomini sono stati seriamente feriti quando un gruppo di Rom ha
iniziato una ronda perché un loro ragazzo era stato malmenato.
Il quartiere è noto per le tensioni etniche, anche se ufficialmente il problema
non esiste. Dice Marko Popov, 17 anni abitante a Fakulteta, "Viviamo normalmente
con i Bulgari di Krasna Poliana," aggiungendo che "normalmente" sottintende
anche tensioni quotidiane.
Ma le autorità negano che incidenti simili nascano dal razzismo,
classificando gli eventi di agosto come disturbi di routine. Similarmente, un
altro incidente ad agosto quando un ragazzo rom di 17 anni fu malmenato da
Bulgari nella città di Samokov, venne descritto dalla polizia come
"combattimenti tra gangs giovanili".
Nel frattempo, i pregiudizi dei giovani come Ivanov forniscono terreno fertile
per la crescita dell'estrema destra. Bojan Rasate, capo dell'Unione Nazionale
Bulgara, è diventato l'eroe di Ivanov, avendo istituito una squadra di volontari
nazionali per "proteggere" la popolazione bulgara "dalla minaccia rom e dai
disastri naturali".
Era ora che qualcuno prendesse misure contro di loro, e siamo molto grati a Bojan
Rasate," dice Ivanov con gli occhi che brillano dall'entusiasmo.
Come altri nuovi stati membri dell'Europa Orientale, la Commissione Europea ha
fatto pressione a Romania e Bulgaria per implementare una politica a tolleranza
zero contro il razzismo prima di raggiungere la UE. Secondo Katharina von Schnurbein,
portavoce di
Vladimir Spidla, Commissario per gli Affari Sociali, che conta le tematiche rom
nel proprio portfolio, che include "l'aggiornamento legale degli incidenti che
capitano negli insediamenti rom e la lotta al cattivo trattamento".
Ma gli effetti sono scarsi ed ammette che il razzismo esiste e rimane un tabù.
Questo, assieme ad una negligenza cronica, ha reso lettera morta le politiche
delle autorità bulgare, come "Il Decennio dell'Inclusione Rom" o "il 2007 Anno
Europeo delle Pari Opportunità per Tutti".
Una passeggiata a Stolipinovo conferma questa impressione. Alla periferia di
Plovdiv, seconda città della Bulgaria, con i suoi 35.000 abitanti è il secondo
ghetto rom della Bulgaria. All'ora di pranzo di un giorno qualunque della
settimana, tutti sono all'aperto e le strade sono piene di clamori. I bambini
giocano nel fango, gli uomini sono riuniti a piccoli gruppi e le donne lavano di
fronte ai loro blocchi di appartamenti.
Ma gli abitanti sono cronicamente deprivati e soffrono di cattiva salute. "Non
abbiamo avuto acqua corrente per dieci anni," si lamenta una donna piccola, gli
occhi blu e i capelli riuniti in una crocchia. "Come risultato tutti i miei tre
figli hanno avuto l'epatite l'estate scorsa."
Continua: "Hanno i pidocchi nei capelli perché non posso lavarli. Qualcuno mi
accusa di non mandare i bambini a scuola. Come posso mandarli a scuola in questo
stato? Non li manderò!"
I problemi di sanità e sicurezza così visibilmente presenti a Stolipinovo sono
replicati a Marchevo, un villaggio noto per le povere condizioni nelle montagne Rodope
del sud, vicino alla città di Garmen. Le sue origini datano al 1960, quando un
clan di intrecciatori di cesti vi si impiantò a seguito del decreto del 1957.
Per lungo tempo è stato fonte di epidemie locali a causa delle scarse condizioni
sanitarie. "Mancano soltanto 500 metri di tubature perché la mahala abbia
assicurato il rifornimento idrico," dice Kalina Bozeva, capo della Iniziativa
Inter-Etnica per i Diritti Umani in Bulgaria. "La responsabilità era del
municipio, ma è stato fatto solo recentemente, come risultato di un progetto di
OnG."
Petar Dikov, capo architetto di Sofia, spiega che le aree popolate dai Rom sono
di solito elencate nei piani urbani come aree industriali, così da esentare i
comuni dal costruire le infrastrutture.
E' lo stesso al di la del confine in Romania dove, secondo Magda
Matache capo dell'OnG Romani CRISS con sede a Bucarest, i villaggi e gli
insediamenti di solito non hanno acqua corrente. "Lì la gente può soltanto
sognare un sistema di tubature," dice. "Devono camminare per miglia ogni giorno
per portare a casa l'acqua per le loro famiglie."
Il fallimento inizia a scuola
Tra i molti errori ed omissioni del governo bulgaro riguardo i Rom, nessuno è
così cruciale o devastante come viene affrontata la tematica scolastica. Una
politica di effettiva segregazione ha deprivato generazioni di Rom della
possibilità di avanzare verso una pari partecipazione nel mercato lavorale.
Nel periodo comunista, i Rom potevano studiare soltanto in scuole periferiche
create per formare forza operaia o per altri lavori sotto-qualificati. Erano
omesse materie delle scuole "normali", come storia e matematica.
"Si produssero generazioni di persone con bassa educazione," dice Krasimir Kunev,
capo del Comitato di Helsinky bulgaro. Oggi circa il 70% dei bambini rom
continua a studiare de facto in scuole segregate, secondo un rapporto del 2006
del Comitato di Helsinky bulgaro. Ciò, spiega, rende anche i Rom il gruppo più
vulnerabile alla depressione economica e alla disoccupazione nella transizione
post-comunista. Ed anche se lo stato si è reso conto del problema attorno alla
metà degli anni '90, ha fatto poco per intervenire.
"E' stato un grande fallimento, - dice Rumyan Sechkov - era la soluzione più
facile, gente senza qualificazione rimane sotto-qualificata e marginalizzata."
Nel frattempo, secondo lo storico, i bulgari ordinari hanno trovato i versamenti
ingiusti, cosa che incita le tensioni sociali.
La scala del problema ha continuato a crescere, intrecciando una cultura di
dipendenza. "Ora siamo di fronte ad un problema nazionale, perché un'intera
generazione di Rom è cresciuta senza mai vedere i propri genitori alzarsi la
mattina per andare a lavoro," continua Sechkov.
Nel 2006, il 58% dei Rom hanno ricevuto qualche forma di aiuto sociale, secondo
il ministero del lavoro.
Ma qualcosa sta cambiando. Dal 1 gennaio 2008, ci sono nuove regole che limitano
il periodo in cui chiunque può ricevere questo aiuto a 18 mesi. Decisione presa
per ridurre gli abusi del sistema, i critici insistono che gli sviluppi saranno
vani se non accompagnati da politiche rivolte alla scarsa scolarizzazione e alla
disoccupazione.
Roza Tzvetanova, 54 anni, è seduta di fronte alla sua casa a Stolipinovo.
La sua testa è coperta da un foulard rosa e lei arrotola una sigaretta mentre
descrive come lei ed i cinque figli sopravvivono coi benefici sociali, lei senza
lavoro, il marito in prigione. Quando sente che il suo assegno sarà presto
tagliato, diventa furiosa: "Ma sono pazzi? Stanno cercando di sterminare i miei
figli e me! Nessuno vuole dare lavoro ad una cinquantenne con la licenza
elementare. Non lo vedono?"
La Bulgaria non è sola nella regione nel mancare di offrire ai Rom un'educazione
decente. Nelle recenti decadi, gli standards sono rimasti poveri nell'Europa del
sud-est, offrendo poche possibilità di fuggire dalla povertà e partecipare alla
società su basi egualitarie. Ma se gli altri paesi della regione hanno percorso
i primi passi per rompere il circolo vizioso, in Bulgaria si continuano a negare
i fatti.
Secondo il censimento 2001, il 20% dei Rom di 20 anni in Bulgaria sono
totalmente illeterati. Ma anche se questo numero sta crescendo, il Ministero
dell''Educazione non pare avere nessuna strategia per affrontare il problema.
Nel 2002, per esempio, il governo promulgò un atto per cui igli studenti delle
minoranze andavano integrati, mai comuni non collaborarono. E secondo il
rapporto Kunev del 2006, le cose non sono cambiate.
Le autorità rumene sono maggiormente pro-attive e dal 1993 hanno adottato azioni
affermative per aumentare il coinvolgimento dei Rom nelle scuole superiori e
nelle università. Come risultato, 400 studenti rom sono stati ammessi nell'anno
accademico universitario 2005-06.
Magda Matache descrive l'azione politica affermativa della Romania come di
successo, citando rapporti che indicano come i Rom frequentino le scuole e si
diplomino. I risultati saranno visibili nel lungo termine, ma i primi effetti
stanno emergendo, in quanto chi riceve un'educazione di qualità funziona come
modello per la propria comunità o rimangono in città trovando lavoro. "Lavorano
nelle istituzioni o nel settore della società civile [piuttosto che negli
affari], ma è già un passo avanti," insite Matache.
Anche in Serbia vengono prese misure affermative. Secondo il censimento del
2002, circa il 62% dei Rom serbi non ha completato la scuola elementare, meno
dell'8% la scuola media e un minuscolo 0,3% la scuola superiore. D'altra parte,
il governo ha recentemente allocato un budget extra per borse di studio per gli
studenti rom.
I risultati sono eclatanti, soprattutto se si paragonano i dati di due anni
consecutivi. "Nel 2005-06 abbiamo avuto 88 studenti rom iscritti alle superiori,
nel 2006-07 il loro numero era cresciuto a 260," dice Ljuan Koka, direttore del
Segretariato per la Strategia Rom in Serbia.
Una fonte non battuta di lavoro
Gli esperti concordano che la principale precondizione per migliorare le
prospettive socio-economiche tra i Rom è tagliare l'alto tasso di disoccupazione.
L'ironia è che paesi come la Bulgaria cerchi altrove dei lavoratori. Infatti,
secondo un recente rapporto della Banca Mondiale sull'Europa dell'est, la
Bulgaria rischia un rallentamento nello sviluppo economico se non richiama la
relativa scarsità sia del lavoro specializzato che non qualificato. E mentre
suggerisce una migliore utilizzazione e formazione dei lavoratori locali
"attraverso la riforma del sistema educativo e l'aumento della mobilità interna"
stabilisce che si dovrebbero importare lavoratori dall'estero.
Evgeni Ivanov, della Confederazione Impiegati ed Industriali di Bulgaria, dice
che è insensato cercare lavoratori esteri ignorando la domanda interna.
Puntualizza: "La Bulgaria ha tutte le risorse finanziare ed umane di cui c'è
bisogno perché i Rom si integrino nel mercato lavorale".
Ivanov predice che il ministro del lavoro avrà a disposizione 1 miliardo di EU
dei Fondi Strutturali UE da spendere per programmi indirizzati ai Rom. "Ma non
abbiamo informazioni che il ministro ci stia lavorando," aggiunge. "Si parla
solo del futuro prossimo."
Secondo Ivanov la comunità economica dovrebbe appoggiare misure proattive per
aiutare i Rom nel lavoro. "Come lavoratori, non importa l'etnicità o la
nazionalità, è la capacità che è importante."
Ma sono pochi i segni dei governi regionali realmente impegnati a migliorare le
prospettive della comunità Rom. In Serbia, Bulgaria e Romania,le autorità hanno
fallito nel trovare una formula per migliorare le loro possibilità.
leggi tutto l'articolo (in inglese)
This article was produced as part of the Balkan Fellowship for Journalistic
Excellence, an initiative of the Robert Bosch Stiftung and ERSTE Foundation, in
cooperation with the Balkan Investigative Reporting Network, BIRN.
Di Fabrizio (del 18/01/2008 @ 08:55:23, in casa, visitato 2767 volte)
Campagna per la preservazione del quartiere rom di Sulukule
Appello Urgente
Un appello urgente per sollecitare un sostegno ai Rom di Sulukule
I Rom di Sulukule sono espulsi dalla città!
Gli abitanti di Sulukule, la comunità Rom più antica del mondo, sono contrari
a lasciare il loro quartiere.
Il quartiere di Sulukule, situato nella penisola storica d’Istanbul, è
minacciata dal nuovo progetto urbano del sindaco portato in nome del
rinnovamento urbano. Le autorità locali sembrano ben decise a mettere in opera
questo progetto, che non tiene conto ne dell'interesse degli abitanti del
quartiere ne delle reazioni della società civile. Gli enti locali non sono
pronti neppure a lavorare con ONGs, le università o anche le camere
professionali (di architetti, di urbanisti...).
Questo progetto di rinnovamento urbano prevede d'esiliare a 40 km. dalla
città vecchia i Rom di Sulukule, che vivono qui da oltre 1000 anni. Inoltre, gli
affitti che sono imposti loro superano di gran lunga le loro capacità di
rimborso - esponendoli a lungo termine ad una situazione d'indebitamento
eccessivo.
C'è bisogno di un sostegno urgente per fermare un progetto urbano che prevede
la scomparsa e l'assimilazione della cultura Rom a Sulukule.
I Rom hanno una Storia di 1000 anni a Sulukule.
I Rom lasciarono l'India nell'XI secolo ed arrivarono ad Istanbul in epoca
bizantina. Da qui si dispersero nelle altre regioni del mondo. Dopo la presa di
Istanbul da parte dei Turchi nel 1452 e le politiche urbanistiche di Fatih
Sultan Mehmed, i Rom si sono installati accanto alle mura bizantine a Sulukule
ed a Ayvansaray vicino a questo quartiere. Sulukule è da secoli un centro di
pellegrinaggio per i Rom di tutto il mondo. E' il centro culturale della musica
e della danza rom. Questa cultura della musica ed una danza ha un'irradiazione
nel mondo intero.
- Il progetto di rinnovamento urbano di Sulukule non è un progetto
partecipativo,
- Il progetto di rinnovamento urbano di Sulukule non rispetta la
convenzione del patrimonio culturale immateriale (The
Convention for the Safeguarding of the Intangible Cultural Heritage),
- Il progetto di rinnovamento urbano di Sulukule non tiene in conto il
Memorandum di Vienna e la convenzione del patrimonio mondiale e dei siti
naturali (Convention Concerning the Protection of the World Cultural and
Natural Heritage), dato che Sulukule si trova all'interno di mura storiche
classificate patrimonio mondiale dall'UNESCO,
Per evitare l'esilio dei Rom di Sulukule,
Per proteggere il patrimonio storico e l'eredità culturale di IStanbul
classificata patrimonio mondiale dall'UNESCO.
Con il desiderio che manifesterete la vostra opposizione al progetto di
rinnovamento urbano di Sulukule alle personalità politiche seguenti:
Abdullah Gül
Presidente della Repubblica di Turchia
Mail Address:
T.C. Cumhurbaskanligi
Cankaya-Ankara
Turkey
e-mail:
cumhurbaskanliği@tccb.gov.tr
Recep Tayyip Erdoğan
Primo Ministro
Mail Address:
Basbakanlik
Kızılay
Ankara
Turkey
Ertuğrul Günay
Ministro della Cultura e del Turismo
:T.C. Kultur ve Turizm Bakanligi
Ataturk Bulvari No. 29
06050 Opera
Ankara
Turkey
e-mail: ertugrul.gunay@kulturturizm.gov.tr
Kadir Topbaş
Sindaco d’Istanbul
Istanbul Buyuksehir Belediye Baskanligi
Sarachane
Istanbul
Turkey
e-mail: baskan@ibb.gov.tr
Mustafa Demir
Sindaco del quartiere di Fatih
Büyük Karaman Cad.
No. 53
Fatih
Istanbul
e-mail: mustafademir@fatih.bel.tr
Contatti: La Piattaforma di Sulukule
Hacer Foggo (hacerfoggo@gmail.com )
Derya Nüket Özer (deryanuket@gmail.com
)
Viki Ciprut Izrail (vikichco@hotmail.com
)
Di Sucar Drom (del 19/01/2008 @ 17:13:18, in blog, visitato 1963 volte)
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