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Di Fabrizio (del 09/02/2006 @ 17:20:32, in Europa, visitato 1809 volte)
Da: Stranieri in Italia
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Abolite le sanzioni contro i "finti turisti"
Non perderà più il passaporto chi si trattiene per più di 90 giorni nello spazio Schengen. Ma per l'Italia rimane un immigrato irregolare

BUCAREST - Č tregua tra il governo di Bucarest e i "finti turisti": i cittadini romeni che senza aver chiesto un visto d'ingresso si tratterranno nello Spazio Schengen per più di 90 giorni, al ritorno in Romania non subiranno più la confisca del passaporto e il divieto ad uscire dal Paese per un periodo compreso tra uno e cinque anni. Chi negli scorsi mesi è già incorso in queste sanzioni (circa 50mila persone dal primo agosto a oggi) verrà "perdonato".

Ad abolire le contromisure adottate dal governo quest'estate, che avevano gettato nel panico migliaia di cittadini romeni sparsi per l'Europa, è stata la legge 248/2005 ("libera circolazione dei cittadini romeni all'estero"), entrata in vigore domenica scorsa.

I cittadini romeni possono entrare e circolare nell'area Schengen per turismo per 90 giorni ogni semestre, senza chiedere visti d'ingresso. Un'agevolazione sfruttata da un gran numero di persone che, passati i tre mesi, non rientrano in Romania, diventando degli "overstayers".

Secondo il capo dell'Ispettorato Generale della Polizia di Frontiera romena, Nelu Pop, il governo ha però preso atto che nel corso del 2005 "l'atteggiamento dei romeni all'estero è migliorato". "La maggior parte dei romeni che viaggiano all'estero - ha spiegato Pop - non creano problemi e questo è un fatto importante".

Controlli in uscita

Rimangono comunque in vigore alcune norme per controllare chi lascia il Paese per entrare nello spazio Schengen.

Oltre che il passaporto, si dovranno esibire alla polizia di frontiera un'assicurazione medica che copra tutto il periodo del viaggio, il biglietto di andata e ritorno o la carte verde della macchina (se si viaggia in auto) o 150 euro, somma ritenuta sufficiente a pagare il viaggio. Bisogna inoltre dimostare di avere 30 euro per ogni giorno che si passerà nello spazio Schengen e in ogni caso non meno di 150 euro (la somma necessaria ad un soggiorno minimo di 5 giorni).

Chi esce dal Paese dovrà infine mostrare anche documenti che giustificano lo scopo e le condizioni del soggiorno all'estero, come ad esempio le prenotazione in alberghi (valgono anche quelle fatte via internet o i voucher rilasciati dalle agenzie di viaggio autorizzate) o un invito da parte di una persona che lo ospiterà.

Secondo la nuova legge, la limitazione o la sospensione del diritto dei cittadini romeni di viaggiare nello spazio Schengen non potrà più essere deciso dalla polizia di frontiera, ma servirà la sentenza di un giudice e potrà essere adottata solo se il cittadino romeno è stato rimandato a casa da uno stato Schengen in base ai accordi di rimpatrio dei clandestini, o se la permanenza del soggetto in uno Stato straniero porterebbe gravi danni agli interessi della Romania o alle relazioni bilaterali tra la Romania e quel Paese.

E in Italia?

Il "rilassamento" delle norme sui viaggi all'estero, verrà probabilmente accolto con sollievo da molti cittadini romeni che si trovano irregolarmente in Italia e in questi mesi non sono tornati in patria proprio per non farsi sequestrare il passaporto.

Č ovvio però che le norme entrate in vigore in Romania, non influiranno in nessun modo sulla legislazione italiana: un "finto turista" romeno, scaduti i 90 giorni, è comunque un immigrato irregolare.

"Anche i cittadini romeni, che possono entrare in Italia per turismo senza chiedere alcun visto, sono tenuti a presentarsi in Questura entro otto gironi dall'ingresso per chiedere un permesso di soggiorno per turismo" spiega la dott.ssa Ledia Miraka, esperta in immigrazione a Stranieri in Italia. "Alla scadenza del permesso di soggiorno, che per turismo dura al massimo novanta giorni, sono tenuti a lasciare l'Italia, pena l'espulsione e il divieto a rientrare anche per dieci anni in tutto lo spazio Schengen".

Scarica:
LEGEA nr. 248 din 20 iulie 2005

(31 gennaio 2006)

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Di Daniele (del 10/02/2006 @ 08:31:58, in scuola, visitato 1694 volte)
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L'Ungheria chiede alla scuola di porre fine alla discriminazione dei rom.
Budapest, 27 gennaio 2006. L'Ombudsman (tutore dei diritti dei cittadini, ndt.) ungherese ha detto alla scuola primaria che deve porre fine alla discriminazione degli alunni rom dopo aver constatato che venivano separati dagli altri bambini e catalogati tutti come portatori di difficoltà di apprendimento.
La scuola di Kerepes, a circa 10 km ad est della capitale Budapest, ha costruito delle sbarre lungo un corridoio per segregare i bambini rom e sbarrato il loro accesso alle scale di sicurezza perché le usavano per marinare la scuola.
"Siccome non c'è nessuna base legale per la separazione, questa condotta si qualifica, essendo bandita dalla costituzione, come discriminazione negativa e separazione illegale," ha detto l'Ombudsman Jeno Kaltenbach in una dichiarazione resa disponibile venerdì.
La discriminazione contro il mezzo milione di rom ungheresi – conosciuti come cigàny – è diffusa e l'UE dice che l'Ungheria è fra i tre peggiori trasgressori dei 25 paesi in termini di segregazione abitativa.
La scuola era abituata ad elencare i nomi degli alunni cigàny separatamente, ma Kaltenbach ha detto di non aver intrapreso alcuna azione perché la scuola ha smesso questa pratica.
Ha anche trovato che la scuola aveva abusato dei suoi poteri non permettendo a certi alunni di partecipare alle manifestazioni della scuola e aveva violato i diritti degli alunni raggruppando tutti quelli con speciali bisogni di apprendimento, e di ambienti "svantaggiati" di una classe.
Gli alunni erano anche costretti a fare colazione in un intervallo di 10 minuti o riducendo le loro lezioni, e questo, ha detto, violava il loro diritto alla salute e ad una formazione appropriata.
L'Ungheria ha una delle più numerose comunità rom dell'UE. Bruxelles ha sollecitato i dieci stai più importanti dell'Europa orientale e centrale, che si sono uniti al blocco nel 2004, a migliorare i diritti e il trattamento delle minoranze rom, e adesso controlla i loro risultati.
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Di Fabrizio (del 10/02/2006 @ 09:47:49, in Kumpanija, visitato 2004 volte)
Ce n'è per tutti (o quasi, gli esclusi non se la prendano con me), lunar_rainbow e luludi hanno raccolto QUI oltre 200 icone di celebrità Romanì.

Fonte: Roma (Gypsies) and Friends
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Di Fabrizio (del 10/02/2006 @ 11:38:43, in Regole, visitato 2188 volte)

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Donna Gitana parteciperà alle elezioni al Congresso

Redacción Actualidad Étnica

Bogotá. Febrero 3 de 2006.

Por Claudia Grajales

Il potere, la forza e la magia della parola accompagneranno Dalila Gómez Baos nel suo itinerario verso il Senato. Ereditaria della conoscenza del suo clan, i mijháis-bolochock, e con la disinvoltura propria delle donne del secolo XXI, Dalila è protagonista di uno dei fatti più importanti nella recente storia della partecipazione delle minoranze all'esercizio democratico. Per la prima volta in Colombia e nel continente, una rappresentante del Popolo Rom (Kalé) si candida ad elezioni popolari. “Una ribelle tra i ribelli”, come la definiscono i suoi compagni di cordata, si presenta nel Polo Democrático Alternativo. Nell'intervista esclusiva ad Actualidad Étnica, Dalila ci parla delle sue proposte ed idee:

Come nasce l'idea di partecipare alle elezioni per il Senato?

Questo è il risultato di otto anni di continuo lavoro per le rivendicazioni del mio popolo, dopo aver indagato sulle nostre necessità ed interessi, ora siamo politicamente maturi per prendere la decisione di concorrere al senato. E' il frutto di un processo, un cammino tracciato passo per passo.

Qual'è stata la partecipazione del popolo gitano alla politica?

Il popolo gitano, contrariamente a quel che si può pensare, è politicizzato, ad esempio, per secoli abbiamo svolto una resistenza etnica. Oggi, con le dinamiche della globalizzazione dell'economia e della società, ci spingiamo a una partecipazione più diretta e attiva nel processo politico. Siamo parte di un movimento sociale emergente. Con la nostra esperienza e attraverso la prospettiva gitana, vogliamo arrivare a un ollettivo per rendere possibile un nuovo paese.

E' esattamente un lungo cammino per la Colombia che ha permesso a Dalila, giovane gitana, ingegnere industriale, specialista in gestione e pianificazione urbana e regionale, di conoscere più da vicino la realtà del paese. Sin da giovane, si è sempre integrata nelle comunità che visitava, senza perdere i propri costunmi, costruendosi una visione più larga e ricca integrando la propria cultura con gli apporti di altri gruppi sociali. Il suo sguardo sul paese le ha permesso di sviluppare un importante lavoro a favore delle etnie nel Departamento Nacional de Planeación, DNP.

Madre di Nikola, un bambino di otto anni, Dalida si è sempre caratterizzata per rompere i paradigmi, inclusi quelli sella sua stessa comunità, e questo ha generato più soddisfazioni che difficoltà.Un carattere fermo e la creatività propria dei gitani le sono serviti a superare gli ostacoli. Per questo, è convinta che l'importante sono le idee che generano benessere nella società, non importa se le idee arrivano da uomini o donne.

Per finire, cerchiamo di arrivare al congresso per dare visibilità al popolo gitano, imparare da questa esperienza accademica e pedagogica che per la prima volta ha luogo in Colombia e nelle Americhe. Partire dalla nostra esperienza per costruire una propoosta sociale che parta dai gitani verso gli altri gruppi etnici e gli esclusi del nostro paese.

Per esempio, se non difenderemo la Costiituzione, tra cinque o dieci anni saranno smontate una serie di garanzie volte al rispetto dei diritti fondamentali e quindi, gitani, indigeni, afrodiscendenti, colombiani, ne pagheranno tutti le conseguenze. Per questo, una delle nostre bandiere è la promozione della diversità nella prospettiva gitana. Noi abbiamo molto in comune con altri gruppi etnici, come il rispetto del valore della parola, il collettivo e il significato di territorio e di nazione, tutti assieme possiamo collaborare. In Colombia, dovrebbero imparare dagli indigeni, dagli afrodiscendenti, dai gitani.

Le nostre proposte sono la difesa e lo sviluppo della Costituzione Politica del 1991; la protezione e la promozione della diversità in tutte le sue espressioni: etnica, culturale, regionale, biologica, genetica, artistica; la costruzione della democrazia a partire dalle dinamiche dei movimenti sociali, il consolidamento di un'agenda che si opponga alla voracità dellemultinazionali e delle istituzioni finanziarie Così potremo raccogliere la voce dei senza voce, raccontare la storia di chi non ha storia, rivendicare per gli esclusi, dare spazio ai perseguitati e visibilità a chi è sempre stato invisibile.

Questo il lavoro che Dalila porta avanti da anni, a partire dall'esperienza organizzativa in seno al Proceso Organizativo del Pueblo Rom (Gitano) de Colombia (PROROM), non soltanto per rendere visibile il suo popolo, ma per sottolineare la necessità di generare prtiche comune per uno “Stato che riconosca e protegga la diversità etnica e culturale della Nazione colombiana”.

Come crede che da questi usi e costumi si possa creare questa società inclusiva?

Come gitani, abbiamo diverse forme per risolvere i conflitti, che potrebbero apportare al paese elementi utili nelle situazioni più difficili. Il valore della parola; il rispetto degli anziani; la visione collettiva e solidaristica nell'ambito della comunità; l'identità; il rispetto per la differenza; la creatività dell'adattarsi alla culture più diverse senza perdere la propria, sono tutti valori che ci hanno permesso di girare il mondo da oltre mille anni, quando partimmo dal nord dell'India e continuando tuttora. In Colombia ci sono circa 5.000 gitani, però il loro apporto all'arte, alla musica e alla letteratura è immenso.

Anche se siamo figli del vento, siamo anche figli della terra della Pacha Mama”. E' un pensiero che incide sul concetto di territorio, che non si riferisce ad uno spazio geografico, ma a qualcosa che portiamo con noi, nella lingua, negli usi e costumi, che è parte di noi stessi. Non fosse così, come saremmo sopravvissuti?

Questa forma di intendere e vivere il territorio può essere di soluzione alle problematiche sociali, ad esempio la proprietà e l'uso dei terreni. In questa prospettiva si rende necessaria la creazione di meccanismi per società nomadi e sedentarie, una legislazione flessibile che contenga questi concetti.

Dalila insiste sul suo impegno a lavorare in Senato per la rivendicazione dei diritti di tutti i gruppi etnici, delle minoranze e degli esclusi, non solo del suo popolo. Però tra i piùi nvisibili ci sono proprio i gitani.

Quali le urgenze del vostro popolo e cosa possono aspettarsi dal suo lavoro nel congresso?

La prima cosa su cui lavoreremo è la creazione di uno Statuto di Autonomia Culturale. Gli indigeni, gli afrodiscendenti, hanno una legislazione speciale contenuta nella stessa costituzione, e per noi non esiste nessuna legislazione speciale.

Uno dei temi che ci preoccupa di più è la scolarizzazione. Vogliamo la piena applicazione del decreto 804 della legge 115, che consenta ai nostri giovani un'educazione in armonia con la cultura della loro provenienza e che vi possano trovare riferimenti. L'indice di assenteismo scolastico è quasi del 90%, tra i gitani è minimo il numero dei professionisti, come possiamo constatare dagli studi condotti da PROROM. Inoltre, c'è la necessità che ai nostri giovani vengano forniti gli strumenti che permettano loro di farsi ascoltare, contrariamente il nostro popolo potrebbe estinguersi in una generazione.

Il disegno e la messa in cantiere di progetti produttivi concordi con i nostri usi e costumi, è un'altra delle priorità della nostra partecipazione al senato. Sono iniziative che debbono porsi in armonia con il neonomadismo dei gitani di oggi.

Il tintinnio dei gioielli accompagna le parole di Dalila che con entusiasmo elenca le proposte per la sua campagna: i colori accesi della sua gonna, hanno lo stesso colore dei suoi occhi.Particolari non secondari al momento di confrontarsi con scenari come quelli del congresso. I suoi slogan elettorali non potrebbero essere qualcosa di diverso da:”la magia del nostro popolo al servizio di un paese diverso; il nostro infiammato sentimento di libertà, un apporto alla democrazia, non ci basta leggere il futuro nella mano: vogliamo forgiarlo dalla nostra esperienza. E le sue mani, quasi parlano da sole, mentre riflette sulla sua condizione di donna e di gitana.

Per il nostro popolo le donne sono come fiori di un giardino: le generatrici di cultura. Nella nostra comunità esiste un profondo rispetto verso le donne. Senza dubbio ci sono da riconoscere le difficoltà date da una società patriarcale. Ma conto sull'appoggio della mia famiglia e del mio popolo in questo progetto, che è un'opportunità per le donne, per i gitani e la società. Già oggi possiamo contare sull'impegno di due donne che lottano per i diritti del nostro popolo e dei gruppi etnici: Sandra Cristo consigliera [del ministero] della Cultura e del Turismo e Nancy Nancy Gómez, [a quello] della Politica Sociale. Le donne sone quelle destinate ad essere protagoniste del cambiamento.

Esiste un fascino enigmatico attorno ai gitani, crede che questa “magia” che li circonda possa aiutare la sua campagna elettorale?

Per me, la magia è nel cuore di ognuno e ognuno le da un colore differente. La magia è amore, è nella ricerca dello spirituale e dell'equilibrio. La magia, il potere e la forza della parola mi hanno accompagnato sempre e continueranno ad essere tra i principali strumenti nel costruire nuovi progetti.

Un paese che deve la sua maggior ricchezza alla diversità etnica e culturale, deve garantire la partecipazione a tutti i gruppi sociali e mirare all'integrazione nella società in condizione di eguaglianza, ma nel rispetto delle rispettive differenze. Che una gitana eserciti il diritto di eleggere ed essere eletta, è un passo in più verso la costruzione di una società inclusiva dove ci sia spazio per ogni espressione, come pue per la magia di questo popolo che, grazie al ghiaccio, ai magneti, agli specchi e agli strumenti di navigazione, un giorno insegnò a José Arcadio Buendía che “Nel mondo stavano accadendo cose incredibili”


Ndr. per chi mastica lo spagnolo: il blog di Dalila Gomez

E per chi non lo mastica?

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Di Fabrizio (del 10/02/2006 @ 19:05:11, in Italia, visitato 2728 volte)
Segnalo questo COMUNICATO STAMPA, anche se ignoro tutto dei fatti descritti (purtroppo, non farò mai il callo a queste polemiche ricorrenti)
La vicenda a cui si riferisce è QUESTA, mentre chi ha firmato il comunicato scrive ha un blog e (presumo) possa essere contattata via mail.

URGENTE COMUNICATO STAMPA

“Roma Reale, Roma Plurale”: la grande farsa!

Venerdì dieci febbraio, presso la Discoteca di Stato, vi è stata l’assegnazione del premio “Amico Rom”. Grande esclusa: Valeria Brigida, vincitrice del 2° premio, nonché video reporter e paladina dei diritti dei Rom. Si perpetrano i soprusi verso i veri giornalisti?

Oggi, alle 10:00, sotto l’Alto Patrocinio del Presidente della Repubblica, nell’ambito dell’evento capitolino “Roma Reale, Roma Plurale”, organizzato dal Comune in collaborazione con L’Ufficio delle politiche della Multietnicità, si è consumata l’ennesima violazione dei diritti del cittadino, forse ad opera dei diretti responsabili dell'evento. Vittima inconsapevole, fino a poche ore prima della premiazione, Valeria Brigida, giornalista emergente che, nonostante la sua giovane età, è stata già protagonista di varie battaglie “ideologiche”, per la tutela dei diritti dei più deboli. Tra le sue inchieste “Cronaca di Roma, 14/15 Settembre 2005”, che narra la vera storia dello spostamento del più grande campo Rom del nord del mondo, ha destato particolare scalpore nell’ambito istituzionale.
Un video scomodo, come la sua autrice, che per mesi ha “urlato” la violazione dei diritti di un’intera Comunità Rom, di più di mille persone, tra cui ben 200 bambini (secondo i dati ufficiali…).
Forse per questo gli organizzatori della premiazione, che della Brigida sono amici, hanno dimenticato, o forse evitato volontariamente, di invitarla a ricevere il premio che già le era stato consegnato, mesi prima a Lanciano, dall’ Associazione “Thèm Romanò”.
E’ vergognoso che, in Italia, il prezzo da pagare per chi non si piega alla censura e vuole raccontare la sua verità sia quello di subire continui soprusi ed umiliazioni ed è vergognoso che la Presidenza della Repubblica sia stata inconsapevolmente coinvolta nella consegna di un premio che porta il nome di “Amico Rom”, escludendo ingiustamente la persona che forse, attualmente, meglio incarna questo concetto. Noi di Donnelibertadistampa, molti cittadini e giornalisti della “Free Lance International Press” siamo indignati di fronte a questi fatti ma, certi che a questo spiacevole episodio potrà porsi rimedio, attendiamo chiarimenti e speriamo vivamente che si sia trattato di un terribile malinteso.

Giulia Zanfino
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Di Daniele (del 11/02/2006 @ 10:44:35, in Kumpanija, visitato 1911 volte)
swiss-news
May Bittel e Daniel Huber si battono per i diritti dei nomadi svizzeri
May Bittel e Daniel Huber si battono per i diritti dei nomadi svizzeri (swissinfo)
Il presidente della Commissione federale contro il razzismo chiede alle autorità elvetiche di riconoscere appieno la cultura e i bisogni dei nomadi.
Facendosi portavoce del disappunto della comunità jenisch, Georg Kreis chiede più spazi di transito e soggiorno per l'unica minoranza nomade di nazionalità svizzera.
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«Siamo ancora molto lontani da un incoraggiamento attivo del modo di vita scelto dagli jenisch, che pure sono parte integrante della realtà svizzera», ha affermato senza mezzi termini George Kreis, presidente della Commissione federale contro il razzismo (CFR).

Davanti al Club svizzero della stampa, Kreis ha sottolineato che «mancano delle aree di transito e di soggiorno in numero sufficiente, manca un vero e proprio riconoscimento della cultura jenisch, una promozione della lingua, un sostegno alle donne e ai giovani».

«Abbiamo il diritto di viaggiare, ma non abbiamo più il diritto di fermarci», commenta dal canto suo May Bittel, fondatore del Forum dei Rom e dei nomadi.
L'esempio dei Grigioni
Per Bittel, pastore protestante di Ginevra che è tra i leader della comunità zingara svizzera, i nomadi sono confrontati con delle difficoltà in tutto il paese.

Solo un cantone, quello dei Grigioni, sembra aver trovato un terreno di dialogo con i nomadi. Secondo Daniel Huber, presidente della Radgenossenschaft, l'Associazione svizzera degli jenisch, nei Grigioni sono state attrezzate delle aree per i nomadi locali ed è stato messo a disposizione dello spazio per i nomadi in transito.

In altre parti della Svizzera, il dialogo è più difficile. «Quando ci fermiamo, spesso è l'inizio di una lotta», fa notare May Bittel.

Stando a Bittel, i problemi dei nomadi non sono affatto cambiati dagli anni Settanta, quando la Svizzera abbandonò la sua politica volta a "fermare" la comunità jenisch.
L'ombra del passato
Tra il 1926 e il 1973, seicento bambini jenisch sono stati strappati alle loro famiglie per essere affidati a chi li poteva allevare secondo uno stile di vita "più consono" alla Svizzera. Non si trattava solo di altre famiglie, ma anche di orfanotrofi e di asili psichiatrici. A spingere in questa direzione è stata la fondazione svizzera Pro Juventute.

Scosso dallo scandalo, il governo svizzero ha presentato le sue scuse nel 1986 per aver contribuito finanziariamente a questo tipo di operazioni.

Oggi, i circa 35'000 jenisch, di cui solo un decimo è ancora nomade, chiedono alle autorità svizzere di impegnarsi maggiormente per la loro causa.

Si aspettano dal governo elvetico un ripensamento del rifiuto di aderire alla convenzione 169 dell'Organizzazione internazionale del lavoro relativa ai popoli indigeni. Si tratta di una decisione che deve ancora essere confermata dal parlamento.
Difficoltà
Berna ritiene di non essere in grado di rispettare appieno alcune disposizioni contenute nella convenzione, come l'accesso alla scuola o la protezione della lingua jenisch.

«Per gli jenisch», sottolinea il loro avvocato Henri-Philippe Sambuc, «questa convenzione è il solo modo per ottenere un modello d'azione collettivo sul piano giuridico».

In attesa di un sostegno da parte delle autorità, gli jenisch non perdono la speranza. Tra i giovani della comunità, conclude May Bittel, si riscontra un rinnovato interesse nei confronti della vita nomade.

swissinfo, Frédéric Burnand, Ginevra
(traduzione e adattamento, Doris Lucini)
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Di Fabrizio (del 11/02/2006 @ 13:24:58, in Europa, visitato 2594 volte)

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TRANSITIONS ONLINE: Latvia: Walled Up
by Maija Pukite
6 February 2006

Cautela delle autorità lettoni nel finanziare le organizzazioni romani.

“Ci fosse una Zingarolandia da qualche parte, molti di noi probabilmente ci andrebbero. Ma non c'è,” racconta Vanda Zamicka, l'unica avvocata rom della Lettonia.
Per 500 anni questa terra è stata la madrepatria dei Rom lettoni. Qui la loro cultura ha messo radici, lo stesso per la lingua e lo stile di vita, conservando molte virtù che i Lettoni invece hanno perso. I Rom nella Lettonia oggi libera, spesso si sentono messi ai margini della società e tendono a rinchiudersi in se stessi. La maggior parte della gente ha conoscenza di questo popolo, peraltro fiero, solo tramite i rapporti della polizia o l'attenzione dei media sul disadattamento dei Rom.

Durante l'intervista, Vanda Zamicka fornisce prova dei suoi studi mentre il suo sguardo rimane fermo e penetrante. Ha 26 anni, si è laureata in legge e attualmente frequenta un master internazionale. Nel suo parlare, mischia parole russe, inglese e romanì. Parla quattro lingue e sta imparandone altre due: norvegese e francese. Demolisce gli stereotipi sui Rom nella società lettone, anche quelli dei suo colleghi, che rimangono di sasso apprendendo la sua origine.

E' riuscita a combattere la sua battaglia contro un cordone di preconcetti.

I PREGIUDIZI PROMUOVONO IL CRIMINE

“Gli stereotipi sono forti,” ammette Zamicka. “Quelli che vogliono mostrare di loro un lato migliore, sovente vanno a sbattere contro un muro.”

Non è passato molto tempo da quando una romnì scolarizzata e di buona famiglia non superò il colloquio di lavoro a causa della sua origine. Dopo essersi diplomata aveva anche frequentato con successo un corso professionale di decorazione floreale a Mosca. Come molte romnià, ha un senso artistico particolare. L'impiegato si era mostrato soddisfatto della prima intervista telefonica e del CV, ma quando la segretaria del principale se l'è trovata di fronte, ha improvvisamente addotto motivi per cui il suo capo non poteva incontrarla, neanche per un saluto di cortesia. Non è stato un caso isolato. Alla fine la giovane per dar da mangiare ai suoi figli, ha ripreso a spacciare droga.

Gli stessi Rom stanno iniziando a prendere le distanze dalla società. [Pensano] stiamo tra di noi, non abbiamo bisogno di integrarci,” aggiunge Zamicka . Anche i Rom che sono andati a scuola hanno difficoltà a superare i preconcetti, mentre quanti sono illetterati si trovano in una situazione insormontabile.

“La società che sta correndo il rischio di marginalizzare questa nazionalità, spingendo i Rom al margine,” spiega Irina Vinnik, direttrice dell'ufficio minoranze presso il Ministero per l'Integrazione Sociale. Eppure i sondaggi mostrano che i Lettoni sono tra i più tolleranti verso i Rom rispetto ai popoli dell'Europa [Centrale ed Orientale]: solo il 27% eviterebbe di aver un Rom come vicinodi casa, confrontato col 77% in Slovacchia, il 63% in Lituania e il 69% in Ungheria.

Però, anche in Lettonia la situazione può peggiorare.

LA LOTTA CONTRO L'INTOLLERANZA

“E' compito dello stato combattere l'intolleranza ed è priorità del nostro dipartimento, ma d'altra parte, gli stessi Rom devono curare la loro immagine.” dice Vinnik. Il suo ufficio sta elaqborando un piano nazionale sulla tolleranza e sta collaborando con la comunità romanì in questo difficile compito. “Vorremmo promuovere la discussione nella società e mostrare che [i Rom sono] una nazione incredibile e da ammirare.”

Sicuramente, la comunità romanì necessita di riguadagnare la fiducia presso una società più vasta. Cinque anni fa, Normunds Rudevics aveva la possibilità di farlo. “Possedeva autorità, notorietà e denaro. Cosa si voleva di più? Ma ha perso tutto.” dice Irina Vinnik. [nota di TOL: Normunds Rudevics (*) era il più noto attivista tra i Rom di Lettonia. Nel Parlamento dal 1998 al 2002, eletto nel partito di centro Via Lettone. Non venne ricandidato e fu espulso dal partito con le elezioni del 2002, accusato di abuso di privilegi parlamentari e di malversazione personale di fondi destinati all'organizzazione che dirigeva, la Società Socio-Culturale Rom.]

Sino a poco tempo fa, grazie ad una ritrovata unità, sembrava che i Rom lettoni potessero raggiungere un certo livello di autorappresentazione e di governance. Rudevics era il numero 8 della lista elettorale di Via Lettone. Lui stesso ricorda: “Davanti a me avevo solo l'ex primo ministro e i membri del governo”. Eletto con 20.000 voti – cifra di tutto rispetto in un paese con meno di 3 milioni d'abitanti – allora era pieno di speranze, e pensava che persino i Rom potevano vivere felicemente.

Le stesse autorità avevano preso coscienza del numero di problemi affrontati dai Rom e preso la decisione di destinare somme ingenti per affrontare la questione, dedicando l'intera responsabilità a Normunds Rudevics. Buone le idee e le premesse, ma Rudevics tuttora non ha dato conto dei 95000 lats ($. 160.000) stanziati in cinque anni.

Irina Vinnik afferma di non conoscere ancora come Rudevics ha impiegato i fondi destinati alla comunità romanì, perché a differenza dei rappresentanti di altre minoranze nazionali, non è arrivato alcun conto ufficiale sulle spese. Rudevics insiste nel dire che ha inviato un resoconto alla ragioneria di stato, ma Vinnik replica che se si fosse dimostrati che quei fondi fossero stati spesi, l'organizzazione avrebbe potuto richiedere nuovi finanziamenti.

DIVISIONE DELLA LEADERSHIP

“Sì, Rudevics ha amplificato l'immagine della Lettonia quando fu eletto in parlamento. Eravamo fieri di avere un deputato romanì ... ma è arduo rintracciare cosa ha speso,” ancora Vinnik.

Da quando Ravenics è caduto in disgrazia, non è emerso nessun altro leader nella comunità, anche se [...] esistono diversi leader potenziali nelle organizzazioni.

Anatolijs Berezovskis, a capo della locale associazione romanì di Tukums, infaticabile attivista che ha costruito collegamenti tangibili tra i Rom e diverse autorità municipali. Sotto la sua leadership, tutti i bambini rom di Tukums ora frequentano la scuola. Onesto, rispettato nella comunità. Da alcuni viene descritto come naif, ma è ritenuto una persona che sui diritti umani potrebbe fare molto.

Savina Kolomenska, insegnante alle superiori di Bene, l'unica accademica di storia in Lettonia di origine romanì, rispettata ed intelligente. Eccezionali qualità di leadership, ma non disposta a farsi carico del peso di diventare una leader comunitaria.

Vanda Zamicka [Zamicka-Bergendale], presidente di Ame Roma: giovane e talentuosa avvocato, con esperienza in diversi progetti educativi, culturali e sociali. Ritiene che i Rom non abbiano bisogno di un singolo leader, piuttosto debbano consolidare una leadership più amplia attraverso la partecipazione ai gruppi organizzati della società civile.

Leons Gindra, presidente di Gloss Romani: avrebbe l'ambizione del leader, ma si mormora che non sia affidabile sui temi economici. Si dice anche che non abbia la fiducia di molti Rom, per non aver protetto la sua famiglua dal disonore di essere associata al traffico di droga.

La parola allo stato, per bocca di Irina Vinnik: “Appoggeremo i progetti di differenti organizzazioni romani se saranno fattibili e se i conti [della Società Socio-Culturale Rom] saranno disponibili”.

This article originally appeared in the Riga weekly Kas Notiek, no. 17, 2005. The magazine has since ceased publication.

Translated by Aris Jansons.

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Di Daniele (del 11/02/2006 @ 15:06:56, in musica e parole, visitato 1919 volte)
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Per il suo terzo appuntamento la Stagione Concertistica Comunale di Senigallia ospita un violinista gitano d’eccezione: Roby Lakatos.
Domenica 12 Febbraio Auditorium San Rocco, ore 18,15 Gipsy.

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dal Comune di Senigallia
www.comune.senigallia.an.it

Il violinista gitano Roby Lakatos non è solo un sorprendente virtuoso, ma anche un musicista di straordinaria versatilità stilistica. Ugualmente a suo agio nel suonare musica classica, musica jazz, musica pop o musica folkloristica ungherese Lakatos, violinista gitano definito “l’archetto del diavolo”, è anche, insieme, un virtuoso classico, un improvvisatore jazz, un compositore e un arrangiatore.

In questo concerto Roby Lakatos ci propone materiali originali, se pure adattati al complesso, certamente collocabili nel genere della “musica ungherese” (ungheresi sono infatti autori Balogh, Csàmpai, Hubay, Weiner). Ma attraverso la magia della vitalità gitana ungherese, ci presenta rielaborazioni di materiali che parrebbero estranei a questa cultura e, persino, refrattari ad una rilettura così identificata (M. Legrand, J. Lewis, C. Corea, C. Trenet). Viene quasi automatico fare paragoni con Liszt e Brahms e la loro ‘musica ungherese’. Oppure anche con Bartok e il suo rapporto con la musica popolare. Ebbene, il cammino di Lakatos è molto diverso e, in alcuni casi, speculare a quelli. Liszt e Brahms nell’Ottocento hanno fatto conoscere al pubblico dei concerti di tutta Europa una tradizione considerata genericamente ‘ungherese’ e che invece era tzigana, cioè tipica delle popolazioni nomadi. Ma hanno compiuto questa operazione (raccogliendo, il primo le melodie che aveva ascoltato in gioventù e il secondo le melodie eseguite dai complessi popolari che lungo il Danubio erano giunti da Budapest a Vienna) adattando le musiche attraverso strumenti e linguaggi della cultura musicale occidentale europea.

Anche Bartok cerca e ripropone la musica ungherese (quella magiara, questa volta), ma la sua è un’operazione ancora diversa. Egli infatti utilizza le vere musiche popolari, quelle che adoperano modelli melodici, ritmici e armonici differenti da quelli della musica occidentale, per cambiare il linguaggio della musica colta del Novecento.
Lakatos e il suo ensemble compiono invece due operazioni differenti: la prima è quella di attingere ad autori ungheresi, di presentare la musica zingara, quella vera, quella senza mediazioni ‘commerciali’, proporre pagine originali della tradizione o riscritte sull’onda di quella tradizione e per gli organici di un’orchestra tzigana.
La seconda coinvolge direttamente il profondo spirito gitano di Lakatos e del suo gruppo che rileggono con un nuovo spirito pagine celeberrime di Trenet e di Corea, compiendo attraverso i modi di una tradizione popolare la rilettura di un patrimonio musicale ad essa estraneo.

ROBY LAKATOS
Nato nel 1965 nella leggendaria famiglia di musicisti gitani discendente da Janos Bihari, ha debuttato a nove anni come primo violino in una band gitana. Non ha però trascurato gli studi classici, diplomandosi nel 1984 in violino (conseguendo anche un premio) al Béla Bartók Conservatory di Budapest. Tra il 1986 e il 1996, lui e il suo ensemble si sono esibiti al "Les Atéliers de la grande Ile" di Bruxelles collaborando anche con Vadim Repin e Stéphane Grappelli e ottenendo l’approvazione incondizionata di Sir Yehudi Menuhin.
Nel marzo del 2004, Lakatos è apparso con grande successo insieme alla London Symphony Orchestra al festival per orchestre “Genius of the Violin” accanto a Maxim Vengerov. Si è esibito nelle più grandi sale concertistiche in America, in Europa e in Asia e incide in esclusiva per la Deutsche Grammophon..

ROBY LAKATOS ENSEMBLE
Kálman Cséki, pianista, nato nel 1962, inizialmente suonava il violoncello ma presto ha cambiato il suo strumento studiando piano classico con Lilly Wiedener e piano jazz con Attila Garay. Ha studiato al Béla Bartók Conservatory e ha passato otto anni girando il mondo con le pop band prima di tornate a Budapest ed insegnare alla Special Academy of Music.

Lászlo Bóni, secondo violino del gruppo, nato a Budapest nel 1968, ha studiato con il padre di Roby Lakatos, suonando nella sua orchestra e prendendo un diploma di violinista gitano nel 1987. Successivamente ha passato sei mesi in Giappone suonando con un trio gitano facendo anche un tour in tutta Europa. Dal 1991 al 1994 ha lavorato ad Anversa.

Ernest Bangó, nato nel 1968, è il figlio di un famoso esecutore di cimbalo. Prima che gli fosse permesso di studiare quello strumento, all’età di sette anni, suo padre ha insistito perché studiasse il violino e il pianoforte. Dopo gli studi classici al Béla Bartók Conservatory, dove tra i sui insegnanti c’era anche Ferenc Gerencsir, è passato alla musica gitana prendendo il diploma di solista nel 1986. Č apparso a Ginevra, Dusseldorf e Montréal.

Oszkár Németh, nato nel 1968 nella città ungherese di Eger aveva solo sei anni quando ha preso parte come violinista alla famosa Rajko Gypsy Orchestra. Č rimasto con il gruppo fino alla fine degli anni ’80 suonando per la Regina Elisabetta II, tra altre importanti personalità. Nel 1984 si è dedicato al contrabbasso prendendo un diploma nel 1987 e per i numerosi impegni lavorativi è rimasto a Budapest fino al 1992. è membro del Roby Lakatos's Ensemble dal 1991.

Attila Rontó, chitarrista, è nato nel 1969 a Miskolc in Ungheria e ha cominciato a studiare all’Accademia di musica all’età di nove anni. Contemporaneamente si è avvicinato alla musica gitana ed ad altri tipi di musica grazie al padre e al nonno e, dall’età di undici anni, ha suonato regolarmente in vari ensemble. Successivamente si è interessato alla musica jazz studiano per quattro anni al conservatorio e formando il suo gruppo specializzato in latin jazz e flamenco. Č apparso in numerosi festival e in televisione e ha al suo attivo numerose registrazioni. Fa parte del Roby Lakatos's Ensemble dal 1991.

Biglietto intero € 8, ridotto € 5 (meno di 25 anni e più di 65). I biglietti saranno posti in vendita al botteghino dell’Auditorium con inizio alle ore 17.

Prossimo appuntamento della Stagione: Domenica 26 Febbraio Auditorium San Rocco ore 18,15 Quartetto d’Archi della Scala Musiche di Mozart, Beethoven, Debussy

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Di Sucar Drom (del 12/02/2006 @ 13:00:02, in Italia, visitato 1947 volte)
E' allestita fino al 17 febbraio la mostra fotografica di Vittorio Dotti, alla Libreria Ponchielli di Cremona.

Alcune suggestioni dell'autore

Notre nature est dans le mouvement.
(Pascal)

Tutte le nostre attività sono legate all’idea di viaggio. E a me piace pensare che il nostro cervello abbia un sistema informativo che ci dà ordini per il cammino, e che qui stia l...


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Di Fabrizio (del 12/02/2006 @ 13:19:10, in Italia, visitato 2387 volte)
Dall'archivio di Pirori, un articolo di un anno fa che può tornare ancora utile:

Giovedi 17 Marzo 2005 ore 00:47:17
i signori lettori mi scuseranno se parlerò di politica e non del signor B.

Sfido chiunque non sia lombardo a parlare bene di Milano. So già cosa ne salta fuori: è una città grigia, è la tana della Lega, è pure la capitale politica del Berluska. Lo so, ci sono nato e ci vivo, e mi pare inutile ricordare che Milano ne ha per tutti i gusti: c'è la Lega e il Leonkavallo; qui hanno mosso i primi passi tanto il Berluska che quel Cofferati che sino a qualche tempo fa sembrava l'unico politico di sinistra capace di fare qualcosa di nuovo, qui c'è la città triste e qui lavorò Leonardo progettando soluzioni urbanistiche che sarebbero ancora oggi all'avanguardia...

Bisogna essere milanesi per conoscere gli spazi a misura d'uomo di questa città. Ad esempio, sino a una decina di anni fa, frequentavo a Monza, il giovedì mattina, la fiera del bestiame. Raggiungibile facilmente dalla tangenziale est e non lontana dalla stazione ferroviaria. Immaginate, in mezzo alla città, un grande recinto con tettoie metalliche, dove trovare cavalli, asini, pecore, capre, mucche, galline. Dove si potevano acquistare calessi, birocci e selle (di tipo inglese o americano). Con il mercatino nelle strade adiacenti, per chi cercasse coltelli, anfibi, giubbe militari, frustini, sottosella. Un residuato di campagna dove era bello andarci con i figli, che abituati alla città e alla televisione giravano con la bocca aperta (ma lo sappiamo che si divertono anche i genitori).
L'avevo scoperto (naturalmente) grazie ai Rom di Milano, eredi di una tradizione di allevatori di cavalli. Era la classica fiera dove potevi incrociare l'allevatore che parlava in Bresciano, il nobile che aveva la sua scuderia, e il Rom. Miscuglio di lingue e dialetti, ma i nomadi (rigorosamente maschi) ne facevano parte e ne erano fieri, perché non solo lavoravano, ma erano consci della loro arte. I ragazzi cominciavano a frequentarlo attorno ai dieci anni. Lì vicino, una piccola trattoria di quelle di una volta, dove concludere gli affari con vino e salamella.

Quel posto, l'ho conosciuto che era già in declino. Si sa, il progresso. Vorrei invitarvi ad andarci prima che sia troppo tardi e sparisca o si snaturi del tutto: è in via Mentana angolo Procaccini, a Monza.
Ora, capitemi bene, la mia non è nostalgia ma curiosità. Il progresso avanza anche fuori Italia, ma perché da noi queste "distrazioni" dal panorama urbano sono destinate a perdersi e in Francia ogni schifosa cantina di campagna diventa un museo? Perché negli Stati Uniti, in Inghilterra, Germania (per non parlare della Scandinavia) tengono alla loro storia e la valorizzano, mentre da noi la difesa delle tradizioni è sinomino di movimenti razzisti? Non sarebbe più interessante (anche economicamente, intendo) una grande città che oltre alle fiere, coltivasse il turismo anche per i suoi abitanti?

C'è una risposta logica: il declino di certe attività, tra cui l'allevamento e il commercio di cavalli.
Qualche riga fa, accennavo a quello che vedo quando sono fuori Italia. Anche voi amereste viaggiare, se foste nati come me tra la Pirelli, la Falck e la Marelli. Di quelle fabbriche, oggi non c'è rimasto niente. Al loro posto, altrettanto squallido, il nuovo polo universitario della Bicocca che, anche se firmato Renzo Piano, è solo una gettata di cemento con vari parallelepipedi. E Tronchetti Provera graziato dal Comune, che si ritrova tra le mani un capitale immobiliare favoloso. Oppure, capannoni industriali in disuso, a perdita d'occhio.
Capannoni che finché restano in disuso, saranno il rifugio di Ucraini, Moldavi, Rumeni e Rom arrivati qua con mezzi di fortuna. Per carità, non ce l'ho con loro! In 10 anni, quei capannoni ne han visto di tutte le razze, ma mentre si protesta perché dei poveri cercano un rifugio, nessuno trova niente da dire a chi li lascia lì inutilizzati.
Non occorre grande fantasia per capire che chi si rifugia lì non troverà un domani diverso, se non si è capaci di risolvere i problemi di chi è Rom, ma abita in questa città da 40 anni ed è alle prese con un'altrettanto grave crisi politica ed occupazionale epocale.
In quei fabbricati si lavorava il ferro e attorno c'era campagna. Non occorrerebbe neanche tanto spazio o tanta spesa, per riadattarne qualcuno a terreno di allevamento o piccola officina tradizionale, perché no, con scuola annessa. Con una convenzione regionale, riqualificando l'occupazione tradizionale di un popolo in crisi. E cominciando, nel contempo, ad operare positivamente contro l'abusivismo, degli occupanti e dei proprietari.

Eppure, scorro TUTTI i programmi elettorali, e quelle cose che ho così chiare in testa sembrano UTOPIA. Ma chi, se non gli amministratori pubblici, dovrebbe interessarsene?.
...ma, se non si trattasse di Rom, ma di confrontare gli appetiti immobiliari in Italia e le prassi che all'estero funzionano da 30 anni, mi capireste?


PS ad un certo punto, aggiungevo tra i commenti:
Era da un po' che volevo scriverne di quel posto a Monza, sapevo che non era in buone acque.
Stamattina ci son tornato per parlare con gli espositori e i negozianti. Troppo tardi. La Fiera ha chiuso. Eppure, oltre alle salamelle, si mangiava anche la trippa! Ma era chiusa anche la trattoria.
Comunque, per il mese prossimo ho in mente altre idee, sempre su questo argomento. Farò sapere.

PPS le altre idee ce le ho ancora... un po' di pazienza e le rimetto in ordine.
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