Di Fabrizio (del 22/12/2012 @ 09:09:10, in Italia, visitato 1289 volte)
Con i migliori auguri da: Gruppo sostegno
Forlanini, Consulta Rom e Sinti, Naga, European Roma Rights Centre (ERRC).
Milano, 20.12.2012 -
Gentili tutti,
in merito all'insediamento informale di via Dione Cassio, temiamo che l'avvenuto
accordo con la proprietà per la messa in sicurezza dell'area una volta
allontanati gli attuali abitanti sia la prova dell'accelerazione delle procedure
di sgombero dello stesso insediamento.
Come già in passato, esprimiamo forti perplessità sulla procedura utilizzata,
soprattutto per quel che riguarda il futuro dei soggetti sottoposti a sgombero.
Vi proponiamo pertanto le seguenti considerazioni e domande.
Non ci risulta che si sia proceduto ad alcuna comunicazione
preliminare dei tempi di questa operazione.(1)
Non ci risulta sia stata fatta alcuna comunicazione
preliminare delle destinazioni dei singoli e dei nuclei
familiari. Non riteniamo né civilmente accettabile né
operativamente efficace procedere per via imperativa a questa
comunicazione nello stesso momento dello sgombero. Si è già
verificato in numerose precedenti occasioni – e tra l’altro
anche con gli stessi soggetti coinvolti in questo caso – come la
proposizione contestuale allo sgombero di una sistemazione
alternativa si riveli inutile(2)
Sempre in base ai fallimenti passati, crediamo che questa comunicazione avrebbe
una ricezione certamente diversa se fosse effettuata da soggetti differenti
dagli agenti della polizia locale, che gli abitanti del campo conoscono solo per
la loro opera di sorveglianza e controllo (funzioni, sia ben chiaro, legittime),
talvolta espletata con modalità fortemente invasive come quelle dei controlli
notturni, alla luce delle torce elettriche. Essi sono percepiti - sulla scorta
di una lunga esperienza, che risale alle scorse amministrazioni - come esecutori
degli sgomberi, e tutt’al più come interlocutori in casi conflittuali o critici.
Per questo motivo tali operatori non si prestano, indipendentemente dalla loro
condotta, a essere inquadrati come referenti utili alla relazione/comunicazione
e quindi ad una soluzione positiva. Non essendo d’altra parte lecito delegare
implicitamente o esplicitamente tale compito alle associazioni attive in quel
campo, occorrono invece figure competenti sul piano della mediazione sociale e
culturale che abbiano ottenuto col tempo una riconoscibilità autonoma in quel
contesto.
L'unica sistemazione alternativa attualmente prevista per chi ha subito gli
sgomberi sarebbe quella di via Barzaghi, non fosse che in realtà questa
struttura da un lato è già stracolma e dall'altro è caratterizzata da una
cronica non-soluzione delle problematiche dei singoli e dei nuclei lì ospitati,
come ben sanno gli abitanti dei campi. Quindi ci domandiamo, posto che la
soluzione di via Barzaghi pare impraticabile, se ve ne sia un’altra credibile.
Se per ipotesi tutti gli abitanti volessero aderire ad una proposta di alloggio
alternativa, dove sarebbero ospitati?
Riteniamo inoltre inammissibile l’idea che il Comune possa evitare di offrire un
alloggio alternativo giustificandosi col fatto che queste famiglie non avevano
accettato l’offerta di sistemazione nella struttura di via Barzaghi in occasione
dello sgombero del luglio 2012 dall’insediamento di via Gatto/via Cavriana,
poiché proprio le modalità di quello sgombero minarono irrimediabilmente la
credibilità della proposta.
La ricaduta prevedibile di un allontanamento privo di alternative praticabili
perché non convincenti, in un periodo climaticamente pessimo, non può che essere
una sicura, ulteriore dispersione degli insediamenti, con conseguente sensibile
peggioramento delle condizioni di vita e sconvolgimento degli esili margini di
socializzazione positiva conquistati attraverso la scolarizzazione - pur
precaria - tentata con alcuni minori.
Cosa accadrà ai rom che non lasceranno spontaneamente l’area occupata?
Come è emerso da recenti riunioni dedicate al tema sicurezza in zona
Ungheria-Mecenate, e ricordando il totale fallimento di una squallida
manifestazione neofascista a ciò dedicata, siamo sicuri che quello della
presenza dei rom non sia il problema prioritario per la vivibilità della zona né
tantomeno l’unico, ma semmai il più immediato e facile “capro espiatorio”.
Davanti a tali prospettive, vi proponiamo queste riflessioni, certi che essi
pongano fortemente in dubbio il carattere risolutivo di provvedimenti come
quelli a cui vi state apprestando in termini di civiltà ed efficacia.
Senza voler negare le gravi condizioni sanitarie ed ambientali
dell’insediamento, la considerazione di questi aspetti critici e l'acuta
consapevolezza della difficile situazione climatica ci spingono invece a
proporvi una gradazione nel tempo dello sgombero, con l'immediata attivazione,
invece, di specifici e civili dispositivi di “riduzione del danno”, come la
connessione all'acqua, l'installazione di servizi igienici, l'attivazione di un
servizio di ritiro dell'immondizia, la fornitura di coperte e generi di
conforto. Vi invitiamo a riflettere sul fatto che la situazione di illegalità di
un insediamento non può né deve impedire procedure analoghe a quelle attivate
per altri soggetti nel contesto di un piano antifreddo.
Quanto sopra detto per il campo informale di via Dione Cassio viene inoltre
chiesto anche per gli altri insediamenti informali presenti a Milano. Ci
risultano infatti sgomberi eseguiti la scorsa settimana nella zona di Bacula
senza la presenza di assistenti sociali né l’offerta di proposte alternative per
le famiglie.(3)
Confidiamo che questi argomenti trovino ascolto e ci mettiamo a disposizione per
un incontro, insieme alle rappresentanze stesse dell'insediamento.
Se la situazione dovesse precipitare, prenderemo pubblicamente una posizione
ferma, sulla base delle considerazioni qui avanzate.
Grazie dell'attenzione
Un saluto cordiale
Gruppo sostegno Forlanini, Consulta Rom e Sinti, Naga, European Roma
Rights Centre (ERRC).
Lettera indirizzata a:
Giuliano Pisapia sindaco di Milano
Marco Granelli assessore alla Sicurezza e coesione sociale
Pierfrancesco Majorino assessore alle Politiche sociali
Mirko Mazzali presidente Commissione sicurezza e coesione sociale
Marco Cormio presidente Commissione politiche sociali
Anita Sonego presidente Commissione pari opportunità
taz.deIN BICICLETTA NELLO SLUM DEI ROM Pornopovertà illuminata? I Rom della Slovacchia orientale erano chiaramente sopraffatti
dall'invasione ciclistica. Perché, nonostante tutto, l'incontro di un giro
ciclo-politico può dirsi riuscito. Von PAUL
HOCKENOS
Lunik IX: il complesso residenziale alla periferia di Kosice è stato
costruito tra gli anni '60 e '70. Immagine: imago/ecomedia/Robert Fishman
"Turisti tedeschi verranno in bici a visitare le baraccopoli dei Rom" mi
diceva al telefono la mia amica Juliana da Kosice. "Questa è la goccia che fa
traboccare il vaso!" mi sono alterato. Mi aspettavo le loro critiche, ma non
così in fretta. "Però, sono un giornalista," ho ribattuto, "e ci scriverò sopra.
Questa è la differenza fondamentale - o no?"
Dietro il viaggio di una settimana a tema "Tra letargia e abbandono,
rassegnazione ed auto-organizzazione: un viaggio politico in bicicletta nella
patria dei Rom nella Slovacchia orientale" c'è l'organizzazione berlinese "Politische Radreisen".
La spedizione faceva parte del "turismo politico" sempre di moda. Viaggi
istruttivi su temi politici spuntano come funghi, in particolare quelli pittati
da sinistra. Invece di sorseggiare cocktail a Maiorca o sull'Adriatico,
visitiamo baraccopoli in Honduras o le misere capanne dei lavoratori migranti in
Malesia.
L'offerta dei taz ai "Viaggi nella civiltà" si è notevolmente allargata negli
ultimi anni. Comprende dai viaggi nei luoghi dei massacri di Srebenica/Bosnia-Herzegovina,
alla guerra nella dilaniata Gaza sino al Ruanda (La vita dopo il genocidio"),
tutti sotto la guida di un taz-corrispondente esperto che risiede in loco.
One-man event
I "Viaggi politici in bici" sono un evento one-man. L'operatore è Thomas
Handrich, politologo ed già presidente della Fondazione Heinrich-Böll nell'ex
Germania dell'Est. Questo cinquantunenne ha lavorato come consulente per una OnG,
il cui scopo era permettere ai giovani Rom di prendere in mano i propri
interessi.
Il viaggio di una settimana aq piedi sui Carpazi costò 800 euro a ciascuno dei
partecipanti - senza noleggio delle biciclette. 50 euro erano destinati a gruppi
locali di giovani rom.
A differenza della mia amica Juliana ho dovuto mettermi in viaggio per iniziare
a capire che questa spedizione potesse essere corretta, ma che ciò dipendesse da
molti fattori.
Solo alcuni punti critici
La prima domanda era se il nostro viaggio fosse un voyeuristico depravato "Pornopovertà",
o avrebbe permesso un incontro reale. Alla fine del viaggio mi sono convinto che
la nostra spedizione aveva giustificazione - con alcuni limiti, alcuni punti
critici.
Sono state le motivazioni dei partecipanti ad eliminare molti dei miei dubbi.
Nell'eterogeneo gruppo c'era un componente della frazione di sinistra del gruppo
parlamentare, un docente e ricercatore sull'antiziganismo della Alice-Salomon-Hochschule,
una studentessa di sociologia che ha lavorato sul tema dei Rom migranti da
Romania e Bulgaria, un pastore la cui chiesa si occupa di rifugiati, tre
giornalisti, un berlinese di 17 anni di origine rom e un appassionato di moto,
poco interessato ai Rom.
Spiegava uno squatter di Kreuzberg che voleva affrontare i propri pregiudizi nei
confronti dei Rom. Aveva trovato lavoro come custode in un campo profughi, dove
vivono molti Rom.
Il fattore di disturbo: un grande gruppo
Anche se nessuno nel gruppo era alla ricerca di brividi a buon mercato, la prima
visita in un quartiere rom a Kosice si è dimostrata difficile. Con
l'organizzatore, i traduttori ed un operatore sociale slovacco eravamo circa 20
persone - troppe.
Siamo giunti nell'angusto ufficio del sindaco o dentro una lodevole OnG con le
nostre biciclette ed i caschi in mano, come il proverbiale elefante nel negozio
di porcellane.
Asilo nel complesso residenziale Lunik IX. Immagine: imago/ecomedia/Robert
Fishman
Una barriera insormontabile
Il muro tra "noi" e "loro" sembrava almeno di due metri di spessore. I Rom delle
campagne dell'est erano chiaramente sopraffatti dall'invasione straniera.
Chi era questa gente? E cosa volevano qui? Naturalmente, non si erano mai visti
così tanti tedeschi rivestiti di goretex ad invadere la loro scuola
professionale o il loro circolo giovanile.
Tuttavia i Rom hanno risposto a molte delle nostre domande, nella maniera più
completa. Certo, abbiamo fotografato molto - finché i Tedeschi sono
rimontati sulle loro biciclette verso l'appuntamento successivo in programma.
Ciclisti, beninteso, che non erano soddisfatti delle risposte ricevute. Un
interprete slovacco ha espresso chiaramente il disagio per la situazione. A ciò
sono seguite discussioni, critiche, autocritiche - molto pazienti, accurate,
tutto molto tedesco.
Informazioni mancanti
E' apparso chiaro che a molti partecipanti mancavano informazioni necessarie
alla comprensione. La distanza tra noi e i Rom ci metteva a disagio. Sarebbero
stati necessari maggior dialogo e sensibilità.
Il resto del viaggio è andato meglio - con poche eccezioni. L'interprete di cui
sopra si è rifiutata di tradurre alcune domande che giudicava inappropriate.
Come quando uno dei giornalisti aveva chiesto ad un Rom disoccupato come
passasse le sue giornate.
Gli stessi Rom non ci sono sembrati infastiditi. Ad una nostra domanda
specifica, ci hanno risposto che erano grati perché qualcuno da fuori si
interessava sulle loro condizioni.
Ed una sera, ben pieni di birra e salsicce alla griglia, pedalando attraverso un
insediamento rom, i bambini ci hanno applaudito come se passasse il
Tour de France.
Il gruppo mostra qualcosa di sé
Alcuni ragazzi rom hanno improvvisato uno spettacolo di danza per gli ospiti, le
truppe in velocipede si sono vendicate con alcune canzoni. La nostra performance
è stata parecchio al di sotto del loro livello - ma avevamo infranto, almeno
stavolta, il nostro ruolo passivo e mostrato qualcosa di noi.
Il momento più difficile del viaggio è stata la visita a Lunik IX. La discesa
dalla torre posta alla periferia di Kosice verso il quartiere rom, simile a come
poteva essere Manchester al tempo del primo capitalismo industriale.
Lunik IX è il più rande ed oscuro slum nell'Europa centrale. 9.000 Rom in
condizioni di assoluta povertà vivono in edifici senza finestre. L'elettricità
ed il riscaldamento sono stati tagliati da anni.
Rispetto della privacy
A Lunik IX c'erano così tanti giornalisti, che il distretto avrebbe potuto
aprire un proprio ufficio turistico, scherzava la mia amica Juliana. O vendere i
biglietti.
Per rispetto il nostro gruppo si è mantenuto fuori dagli edifici. Abbiamo invece
visitato l'asilo locale e lasciato le le aule con i regali fatti a mano dai
bambini. Uno di questi regali adorna ora la porta del mio frigorifero.
Il complesso residenziale è stato concepito per oltre 50.000 persone. Foto:
imago/Pius Koller
E' da lodare l'organizzatore del tour, perché non solo ci ha guidato nei punti
caldi, come nella tipica due giorni giornalistica nella regione. Abbiamo
incontrato Rom di diverse classi sociale e diversi stili di vita.
I nostri partner si sono presi il tempo per spiegarci l'eterogeneità della
questione rom. Abbiamo parlato con diverse persone, dagli assistenti sociali ai
creativi, i cui punti di vista ci hanno permesso di comprendere meglio la
complessa realtà di vita dei Rom.
Quando siamo andati in visita al vice-sindaco di Kosice, sapevamo molto di più
rispetto all'inizio del nostro viaggio. Abbastanza, comunque, da fargli diverse
domande spiacevoli. Così tante, che uno degli attivisti rom che ci accompagnava
durante l'incontro, ha iniziato a difendere il sindaco.
La loro OnG lavora quotidianamente con gli amministratori, che sono stati eletti
da poco. Forse il nostro intervento spiritoso avrebbe potuto danneggiarli, senza
che lo volessimo [...].
Gruppi più piccoli
Da un progetto pilota - cioè il primo viaggio ciclistico-politico tra i Rom
della Slovacchia orientale - certo non ci si aspetta che tutto funzioni. Tutti i
partecipanti concordano sul fatto che la prossima spedizione avrà bisogno di
un'introduzione migliore - prima di visitare un insediamento rom. E che i gruppi
debbano essere più piccoli.
E' stato troppo breve anche l'introduzione del tema delle politiche regionali e
politiche negli ultimi anni, intervenute nel bel mezzo del Decennio EU
dell'Integrazione dei Rom.
La prossima volta andranno discusse e aggiunte regole sulle fotografie da
scattare, sulle domande scomode e sul ruolo dei giornalisti. Questi ultimi,
devono aggregarsi come gli altri giornalisti? O per loro vale il codice adottato
per gli altri turisti politici?
Da turisti a moltiplicatori
Per me questi viaggi sono un successo. Ogni viaggiatore, tutti i viaggiatori,
hanno oggi una visione più chiara del complesso quadro dei Rom e di uno dei
problemi più gravi d'Europa, di quanto potrebbero ottenere da uno sguardo sulla
globalità dei media.
Quasi tutti hanno appreso qualcosa, che sarà utile al proprio lavoro politico o
professionale. Siamo partiti tutti come turisti - e ritornati come
moltiplicatori.
Cosa può significare, in generale, per il turismo politico? Dipende da come
funziona. E da chi. E perché. In ogni caso, sono necessarie molte discussioni su
questi temi.
Il progetto chiamato "Rinfrescarsi la mani col riciclo", curato dal comune e
dall'università di Yalova, dal dipartimento di polizia e da İŞ-KUR adn ÇEVTEM,
ha lo scopo dichiarato di migliorare lo stato delle famiglie rom che vivono
nel quartiere Bağlarbaşı di Yalova (Marmara, Turchia). Le famiglie campano della
raccolta di cartoni e rottami sperano di essere informati con più precisione su
vantaggi e svantaggi del progetto.
La sua prima presentazione si è svolta nell'aula assembleare del comune.
Secondo le dichiarazione, nessuno sarà obbligato a prendere parte al progetto.
Chi lo farà, consegnerà cartoni e metalli agli incaricati comunali del
quartiere, invece di rivenderli ai negozi. Saranno pagati in contanti e
giornalmente.
Sono molte le famiglie rom in tutta la Turchia a vivere di queste raccolte.
E' un lavoro che si svolge in condizioni difficili. Queste famiglie sottolineano
di essere aperte ad ogni offerta che permetta il miglioramento delle loro
condizioni, purché l'offerta venga spiegata completamente.
L'arte puo' cambiarti la vita: anche se abiti in una baracca, in un campo rom.
Parola di una giovane pittrice, Rebecca Covaciu.
A giudicare dall'accoglienza che riceve quando presenta il suo libro e dai nomi
delle persone che lo presentano con lei (Lella Costa, Lorella Zanardo, Don Gino
Rigoldi...), si direbbe che fa piu' per la cultura rom questa ragazzina di 16 anni
che un qualunque giornalista, scrittore, antropologo. Rebecca Covaciu e' nata in
Romania, ha vissuto in Sud America e in Spagna, poi con la famiglia e' approdata
a Milano, dove per anni ha dormito dove capitava: in una baracca, all'aperto.
Quando si e' presentata al liceo artistico Boccioni per iscriversi, ha portato
con se'
un quaderno pieno di disegni colorati, ognuno dei quali accompagnato da
qualche parola: il suo diario. Lo ha consegnato al preside e ora questo piccolo
capolavoro e' stato pubblicato, accompagnato da un testo che racconta la sua
vita: si intitola L'arcobaleno di Rebecca (UR editore, euro 11,70, sito:
www.rebeccacovaciu.it).
Rebecca dipinge e vende i suoi lavori sui Navigli, studia, va a parlare nelle
scuole, rilascia interviste ai media. Parla con la saggezza di un'adulta,
sorride con la spontaneita' una bambina.
Che effetto ti fa essere intervistata, applaudita...
"Sono molto felice, perche' finalmente una ragazza rom riesce a parlare della
propria cultura, a dire che anche noi siamo esseri umani. Essere applaudita mi fa
sentire al cuore un'emozione positiva. Anche i miei genitori sono contenti: loro
non hanno studiato e sono molto fieri di me".
Com'e' il tuo rapporto con i compagni di scuola?
"Alle medie e' stata dura perche' non mi hanno accolto bene, dicevano che ero una
zingara e rubavo. Io mi sentivo male, mi chiedevo: perche' devo essere
discriminata perche' sono nata cosi'? Ma adesso al liceo artistico va bene, perche'
tutti gli artisti hanno una parte buona nel cuore... ".
Come descriveresti i tuoi coetanei italiani?
"Sono aperti, semplici... in Romania gia' a 14 anni i ragazzi hanno una mentalita'
quasi da adulti, pensano a lavorare. Qui fanno una vita piu' ricca, sono puliti,
hanno vestiti di marca, l'iPod...".
Cosa rispondi quando ti chiedono di dove sei?
"A volte dico che vengo dalla Romania, perche' e' piu' facile che dire di essere
rom... I rom non hanno stabilita', non hanno una terra. Pero' io mi sento una rom di
Romania".
Come ti piacerebbe che cambiasse l'atteggiamento degli italiani nei confronti
del tuo popolo?
"Vorrei che fossero piu' pazienti, specie nei confronti dei bambini. Che
comunicassero con loro, prima di giudicare".
Molti pensano che ai rom non piaccia abitare nelle case.
"Non e' cosi': chi li vede nelle baracche crede che vogliano stare li'. Ma la verita'
e' che arrivano dalla Romania, dalla Spagna, non hanno un soldo in tasca,
e dove posso andare? Sarebbe diverso se la legge prevedesse l'assegnazione di
una casa. Noi in Romania ne avevamo una, ma a Milano abbiamo sempre abitato
nelle baracche. Da poco, abbiamo una casa: ma mancano le finestre, il
riscaldamento, le piastrelle per terra. Non e' facile viverci, ma sono contenta
che Dio ci abbia dato un tetto sulla testa, per non provare piu' la pioggia e il
freddo".
Un tempo chiedevi anche tu l'elemosina...
"Chiedere aiuto ti fa vergognare: all'inizio e' difficile, poi ti ci abitui.
Spesso, pero', non ti aiuta nessuno. E a volte ti gridano: "Vai a lavorare, non
ti vergogni?" e in quel momento tu non sai cosa dire, perche' hai bisogno e sei
obbligato fare l'elemosina. A me spiace in particolare per quelli che fanno
l'elemosina perche' non hanno le gambe... al posto di dargli una moneta, sarebbe
bello che qualcuno gli desse una casa, che ci fosse un posto dove potessero
vivere: gli servirebbe anche ad aprire la mente, perche' loro pensano che l'unica possibilita' che hanno
e' la strada".
Tu come l'hai aperta la tua mente?
"Con la fede in Dio e nel Vangelo. Da noi non vieni battezzato da piccolo:
quando sei adulto sei libero di scegliere la tua religione. Io ho scelto quella
Evangelica Pentecostale".
Parliamo di pittura: cosa rappresenta per te?
"La mia arte e' semplice come una preghiera. I colori sono importanti per
mostrare la tristezza e la felicita': quando uso quelli scuri significa che sono
triste, quelli chiari esprimono gioia. Quando dipingo e' come se entrassi dentro
al quadro, penso a delle cose felici e vorrei che quello che disegno succedesse
nella realta'. Mi sento piu' rilassata".
Cosa pensano i tuoi amici rom di quello che ti sta accadendo?
"Di miei coetanei, a Milano, ne sono rimasti pochi: sono tutti partiti perche'
non avevano un posto dove dormire. Ma i ragazzi piu' grandi che vivono ancora qui
sono contenti che io parli della nostra cultura. Nel nostro cortile, poi, ci
sono tanti africani e quando mi hanno visto al Tg3 mi hanno detto: "Brava che
hai parlato di tutti gli stranieri!". Quasi piangevano dalla gioia. E questo mi
ha reso felice".
I colori della vita. La storia di Rebecca Covaciu a "Nel cuore dei
giorni"
Il teatro come strumento di inclusione sociale. E' questo il tema sul quale ha
lavorato quest'anno il festival "Fuori dagli schemi" di Belgrado. Affrontando la
tensione tra il promuovere l'integrazione dei gruppi marginali e il rischio che
la loro 'rappresentazione' possa invece rafforzare lo stigma
Van okvira, fuori dagli schemi. Si chiama così il
festival regionale del teatro
sociale che si è svolto in questi giorni a Belgrado. È un nome che si presta a
un curioso bisticcio linguistico, che è ricorso spesso nei discorsi di contorno
suscitando più di qualche risolino. 'Nell'ambito del festival Van okvira' si
dice infatti 'u okviru festivala Van okvira', che è una specie di contraddizione
in termini, traducibile come 'nella cornice del festival Fuori dalla cornice'.
È un bisticcio rivelatore, perché mette in luce la tensione fondamentale sottesa
al teatro sociale: quella tra la volontà di promuovere l'integrazione dei gruppi
marginali della società e il rischio che la loro 'rappresentazione' possa invece
contribuire a rinsaldare i margini e rafforzare lo stigma. Una questione che le
persone coinvolte nel festival hanno avuto la saggezza e il coraggio di
affrontare apertamente.
Persone con invalidità, non-vedenti e ipovedenti, sordomuti, utenti di servizi
psichiatrici, veterani delle guerre jugoslave, minoranze etniche (tra cui i
rom), individui LGBT, anziani, lavoratrici sessuali, donne vittime di violenza.
Sono queste le categorie di persone con cui gli organizzatori e le
organizzatrici del festival Van okvira di quest'anno hanno provato a elaborare
il tema del teatro come strumento e campo di inclusione sociale.
L'incontro tra arte e marginalità ha preso varie forme. Ovviamente quella
teatrale, con spettacoli che hanno visto la partecipazione di persone
appartenenti ai suddetti gruppi emarginati. Ma anche quella didattica e
informativa, con lezioni e presentazioni tenute da esperti sia locali che
internazionali. E infine quella esplorativa, con un ciclo di incontri
partecipativi sulle forme attuali e possibili dell'arte socialmente impegnata
nella regione post-jugoslava.
'La sensualità delle vite disperate'
Gli spettacoli messi in scena nell'ambito di Van okvira sono soprattutto
produzioni indipendenti, nate dalla collaborazione tra professionisti del teatro
e le associazioni e i movimenti che rappresentano gruppi soggetti ad esclusione
sociale.
Lo spettacolo Cabaret dietro lo specchio (Kabare "Iza ogledala"), ad esempio, ha
come protagoniste delle lavoratrici sessuali transgender di Belgrado, e si
propone di descrivere senza eufemismi le norme sociali, ma anche politiche e
legali, che determinano la loro esistenza e ne influenzano il benessere. SS e
più in alto ancora (SS and above) rappresenta invece le sfide con cui le persone
con invalidità si confrontano ogni giorno, a partire dalla difficoltà di entrare
in una relazione alla pari con le persone cosiddette 'normali'. I due
personaggi, un uomo e una donna, si muovono a fatica sotto lo sguardo clinico di
un osservatore esterno e invisibile, come due cavie da laboratorio. Prendono
gradualmente confidenza con il proprio corpo, e poi con il corpo altrui, ma
l'agognato incontro finale, invece che essere liberatorio, genera ancora più
sofferenza e frustrazione.
Lo spettacolo Maschioni (Muškarčine), vero successo di pubblico, vede otto
ragazzi poco meno che ventenni prendersi gioco delle definizioni di 'maschio
vero' dominanti nella società serba. La trasgressione è rappresentata come un
continuo entrare e uscire da degli scatoloni di cartone, i gender box.
Alla leggerezza e al tono canzonatorio di Maschioni fa da contrappunto la forte
inquietudine che suscita la rappresentazione Spettacolo (che non s'intitola
fighe con le palle girate) [Predstava (koja se ne zove "pičke u kurcu")]. Due
ragazze sedute a un tavolo leggono composte un testo femminista. All'improvviso
una delle due ribalta il tavolo, e la situazione degenera in una spirale di
sfoghi emotivi, oscenità corporee e momenti disturbanti. Ciò che lo sguardo
conformista tende a congedare come 'scenata isterica' qui diventa confronto
ineludibile con la natura problematica della posizione della donna nella società
attuale. E quando alla fine dello spettacolo si spengono le luci, le cose non
sono più come prima.
Il teatro sociale è, per propria natura e vocazione, un teatro 'senza censura',
proprio perché ambisce a rendere visibili e mettere in discussione proprio le
forme di censura e discriminazione cui sono soggetti tutti coloro che si
discostano dalla 'tirannia della normalità'. Tuttavia, portare in scena la
marginalità e la 'stranezza' (ovvero ciò che non aderisce alle convenzioni)
porta con sé un pericolo. Quello che la rappresentazione diventi attrazione (da
parata o da circo), e che all'intento pedagogico e politico si sostituisca la
curiosità morbosa del pubblico. Ed è forse proprio qui che entra in gioco
l'arte, chiamata a mediare tra la volontà di esprimere un messaggio e il rischio
che la visibilità si riduca a voyeurismo.
Marko Pejović, uno degli ideatori di Van okvira, mi invita a considerare anche
un altro aspetto: 'Sono successe cose che non ci aspettavamo. Ad esempio una
lavoratrice sessuale transgender, protagonista del primo spettacolo in scaletta,
era presente tra il pubblico degli spettacoli dei giorni seguenti. Questo
significa che qui si è sentita al sicuro, al riparo dalle discriminazioni'. Come
a dire che l'inclusione avviene anche, e forse soprattutto, fuori dai
riflettori.
Il teatro sociale nel contesto post-jugoslavo
Chiedo a Marko quale sia per lui il senso di fare teatro sociale. In
particolare, lo invito a riflettere proprio sul rischio che la rappresentazione
della marginalità possa avere effetti controproducenti, in un contesto segnato
da forti discriminazioni come quello post-jugoslavo. La sua risposta è lucida e
misurata: 'La società si evolve per gradi. Il primo passo è l'identificazione
del problema, ovvero la consapevolezza dell'esclusione sociale e della
privazione di diritti. Noi ci troviamo ancora in questa fase. In questo senso,
il festival ha come proposito quello di offrire ai gruppi emarginati uno spazio
per esprimersi artisticamente. Nel passato siamo riusciti a dimostrare che anche
una persona paraplegica può fare danza contemporanea. È quello che questo
festival fa anche oggi: rompe le barriere'.
Il progetto Van okvira coinvolge persone ed associazioni provenienti da vari
paesi della regione, in particolare Croazia e Bosnia Erzegovina. Mi interessa
sapere se ci siano energie sufficienti per stabilire una collaborazione efficace
a livello regionale. O se invece la dimensione regionale del festival non sia
soprattutto l'effetto delle politiche dei donatori, che spesso la impongono come
requisito imprescindibile.
Marko precisa subito che la decisione di coinvolgere soggetti provenienti da
altri paesi non è il risultato di una pressione esterna, ma scaturisce invece
dalla volontà di raccogliere esperienze diverse. Ammette poi che nell'ambito del
teatro sociale le reti di collaborazione non sono molto sviluppate. Ma aggiunge:
'Non sono particolarmente interessato alle produzioni teatrali socialmente
impegnate che si sono già 'istituzionalizzate' e che circolano per la regione.
Trovo più interessanti le iniziative minori e indipendenti, le organizzazioni
che raccontano cose nuove e fresche, e che anzi spesso non sanno neanche bene
che cosa raccontano. È a loro che ci rivolgiamo'.
Come avviene il cambiamento?
Prima di congedarci, Marko mi spiega cosa lo ha portato ad occuparsi della
promozione del teatro sociale. La sua passione è nata a seguito di due eventi:
un'operazione agli occhi, che lo ha costretto a un periodo di cecità temporanea
durante il quale si è accorto degli enormi ostacoli che segnano la vita delle
persone non-vedenti. E un incontro con dei veterani delle guerre degli anni '90
(anche il fratello di Marko è un veterano) che hanno espresso il desiderio di
esprimersi attraverso il teatro. Due momenti che per Marko hanno costituito una
specie di illuminazione.
C'è un concetto, sviluppato dalla filosofa sociale Nomy Arpaly, che descrive
bene l'esperienza di Marko: dawning (alba, epifania). Scrive Arpaly (2003):
'L'epifania è forse il modo principale in cui le persone cambiano idea,
specialmente riguardo ai temi che ritengono importanti. [...] Sono poche le
persone che abbandonano pregiudizi razzisti, per esempio, a seguito di un
processo di deliberazione. È più frequente che l'irrazionalità dei loro
pregiudizi appaia loro 'come un'alba' dopo aver trascorso abbastanza tempo con
persone della razza in questione, ed essersi accorti, passo a passo, di
assomigliarsi molto'.
Il senso del teatro sociale è forse soprattutto questo: creare occasioni di
incontro tra persone che 'normalmente' conducono esistenze separate e spesso
segregate. E favorire così il manifestarsi di qualche piccola alba.
Di Fabrizio (del 17/12/2012 @ 09:11:00, in Kumpanija, visitato 1626 volte)
Arriva il 2013, con un regalo da MAHALLA
E' un libro che nessuno ha voluto, e non avevo voglia di inseguire altri possibili editori. A vostro rischio quindi, potete leggerlo come, quando, dove e perché vorrete. Non ho fretta.
Cocci, un po' perché ultimamente mi sento sempre più a pezzi (ma non sono l'unico, vedo), un po' perché è fatto da pezzetti di articoli disseminati lungo tutto il 2012 che volge al termine, e volevo vedere se riuniti assieme questi cocci potevano avere una logica. Non è detto: magari sono soltanto degli spunti, o neanche quello.
Sono circa 40 pagine, l'introduzione è di Alberto Maria Melis. Dite cosa ne pensate, suggerite, criticate (sono accette anche le critiche più feroci, non sono accetti i TROLL), QUA (magari leggetelo prima, però)
Buona lettura a chi ci darà un occhio, a tutti gli altri (e anche a chi lo leggerà) BUON ANNO e BUONE FESTE.
Budapest, Hungary, 3.12.2012 17:17, Spiegel: la retorica dell'estrema
destra ha toccato il fondo
Czech Radio, translated by Gwendolyn Albert
La radio ceca ha pubblicato una traduzione dal tedesco in ceco di un articolo
messo online dalla rivista der Spiegel, riguardo l'estrema destra in Ungheria
(QUI
l'originale in tedesco, ndr.).
Secondo la rivista il parlamentare ungherese Márton Gyöngyösi del partito di
estrema destra "Movimento per un'Ungheria Migliore" (Jobbik) ha dichiarato
settimana scorsa in parlamento che, dato che i cittadini di origine ebraica
rappresentano un "rischio alla sicurezza", si dovrebbe compilare un elenco
nazionale dei loro componenti. Riporta der Spiegel: "Le sue dichiarazioni hanno
sollevato un'enorme ondata di indignazione, ma il governo del primo ministro
Viktor Orbán ha preso le distanze molto lentamente dal parlamentare."
Secondo il settimanale, ogni tentativo di discussione con Gyöngyösi si muta
in un'estenuante maratona di relativismo. "Non sono un antisemita," rivendica,
"ma dovete riconoscere, che quegli ebrei..." ecc. "Non sono neanche contro il
popolo romanì, ma conoscete gli zingari... e non sono nemmeno un estremista che
opera per una dittatura, ma dovete ammettere che la liberaldemocrazia ha
fallito..." Sono le argomentazioni di questo economista trentatreenne, ex
consulente fiscale. Der Spiegel riferisce che non è un estremista di destra.
Gyöngyösi è vice-presidente del gruppo Jobbik in parlamento. Il partito ha
ottenuto un abbondante 17% alle elezioni del 2010. Oggi il partito, nel paese è
il terzo per grandezza, conta 47 seggi sui 386 in parlamento.
I genitori di lavoravano per ua società ungherese di commercio con l'estero.
Il nazionalista di oggi ha passato la sua infanzia in Afganistan, Egitto India e Iraq. Jobbik
come conseguenza l'ha reso il proprio portavoce sulla politica estera.
"Gyöngyösi a volte nasconde malamente il suo piacere nella tattica di non
rispondere alle domande. Evidentemente si considera l'asso diplomatico nel suo
partito," riporta der Spiegel.
Però, la sera di lunedì scorso ha finalmente deciso di parlare in parlamento
in modo chiaro ed intelleggibile. Nel corso di un dibattito sull'offensiva
israeliana nella striscia di Gaza, ha suggerito la registrazione di tutti gli
ebrei ungheresi. Ha poi chiarito, che "gli ebrei, specialmente se sono al
governo o nel parlamento, devono essere considerati un potenziale rischio alla
sicurezza dell'Ungheria." Rivolgendosi al vice ministro agli esteri, Zsolt
Németh, ha detto: "Ritengo che una lista simile sarebbe importante soprattutto
per l'Ungheria." Németh, diplomatico di carriera nel partito di governo FIDESZ,
non ha risposto né con critico né con rifiuto a questa sfida, e neanche sembrava
molto infastidito. Ha soltanto detto che "il numero di ebrei nel parlamento
ungherese non ha niente a che fare col grave conflitto in Medio Oriente."
"Alla camera s'è svolto un dibattito puramente nazionalsocialista," ha
dichiarato da Budapest lo storico Krisztián Ungváry. Secondo lui, Jobbik si è
identificato completamente coi dogmi razzisti del nazismo. Altri partiti
estremisti in Europa non scoprono le loro carte così facilmente.
Rappresentanti delle organizzazioni ebraiche, politici ed attivisti civili
hanno reagito alle dichiarazioni di Gyöngyösi con enorme indignazione. Martedì
scorso diverse centinaia di manifestanti si sono riuniti di fronte al
parlamento, indossando stelle gialle per dimostrare contro il "fascismo
strisciante" nel parlamento ungherese. Slomó Köves, presidente del Consiglio
Unito delle Comunità Ebraiche di Ungheria, è convinto che Gyöngyösi debba essere
perseguito per le sue dichiarazioni.
Non sarebbe la prima volta che il controverso politico si scontra con la
legge. La scorsa primavera Attila Mesterházy (capo del Partito Socialista),
aveva sporto denuncia nei suoi confronti per aver negato l'Olocausto. Gyöngyösi
rigetta l'esistenza di qualsiasi legame tra le posizioni del suo partito e
l'ideologia nazista. Der Spiegel riferisce che mente clamorosamente quando fa
affermazioni simili.
Ad esempio, nell'archivio online della televisione N1, c'è un filmato in cui
alcuni membri di Jobbik chiamano Adolf Hitler "uno dei più grandi statisti del
XX secolo". La scorsa primavera, un altro parlamentare di quel partito ha
ricordato in parlamento il centotrentesimo anniversario del presunto omicidio da
parte degli ebrei di una ragazza cristiana di 14 anni nel villaggio di Tiszaeszlár.
Allora lo scandalo scioccò l'Austria-Ungheria e nella regione ci furono pogrom
periodici tra il 1882 e il 1883. L'estate scorsa venne escluso da Jobbik il
deputato Csanád Szegedi, apertamente antisemita ma di cui erano venute alla luce
le sue origini ebraiche.
Ungváry ha detto a Spiegel che le dichiarazioni di Gyöngyösi non lo
sorprendono. "Ho insistito per anni sul fatto che Jobbik fosse un partito
neonazista, nella tradizione delle Frecce Incrociate, il partito nazista che
governò l'Ungheria ai tempi di Horthy alla fine della II guerra mondiale. Il
punto chiave della nostra scena politica, tuttavia, e la mancanza di volontà da
parte del governo di fare qualcosa su Jobbik. L'atteggiamento del governo è
codardo, passivo e scandaloso," ritiene lo storico. Secondo lui esistono diverse
frange di neonazismo nell'Europa centrale, ma la maggior parte delle nazioni
stanno prendendo le distanze da tendenze simili. Tuttavia, in Ungheria i partiti
politici non hanno agito, fino a quando le organizzazioni ebraiche non hanno
iniziato a protestare con forza martedì scorso. Ricorda der Spiegel che le loro
reazioni ricordano troppo una superficiale penitenza.
I blogger che scrivono sul portale di notizie più letto in Ungheria, index.hu,
hanno sottolineato che le parole di condanna usate in questo caso, sono
esattamente le stesse adoperate in molti altri casi recenti. Nessuno del governo
si è preso il tempo per formulare una nuova dichiarazione. Secondo gli esperti
della politica lo stesso Fidesz, il partito più forte, sta spostandosi a destra
- comprensibili i suoi sforzi per attrarre i votanti di Jobbik, ma il prezzo
politico che stanno pagando è troppo alto.
Lo scorso settembre il premier Orbán di fronte agli storici monumenti nel
villaggio di Ópusztaszer ha tenuto un discorso, in cui faceva appello alla
sacrosanta natura del sangue e della terra ungheresi. Der Spiegel specifica che
le opere di autori antisemiti sono state recentemente aggiunte alla lista di
letture obbligatorie nelle scuole.
Nel corso della settimana scorsa, Jobbik ha cercato di correggere la portata
dello scandalo causato dal suo parlamentare, sostituendo la parola "ebrei" col
termine "Israeliani". Gyöngyösi ha inviato una dichiarazione ai media,
affermando che non intendeva che si compilasse una lista dei membri ebrei nel
governo e nel parlamento, ma una lista di quanti avessero contemporaneamente la
cittadinanza ungherese e quella israeliana. Ha quindi porto la mano ai
concittadini ebrei, chiedendo perdono. Antal Rogán, presidente del gruppo degli
eletti Fidesz, ha intanto compiuto i passi preliminari per introdurre sanzioni
contro future dichiarazioni simili.
In realtà, Jobbik non ha intrapreso alcuna inversione ideologica. Subito dopo
lo scoppio dello scandalo, Elöd Novak (parlamentare Jobbik) ha chiesto le
dimissioni della collega Katalina Ertsey, che ha la doppia cittadinanza
ungherese ed israeliana. Secondo le notizie odierne, Novak si è lamentato
tramite una conferenza stampa tenutasi a Budapest che "Israele ha più
parlamentari nel parlamento ungherese che alla Knesset". L'attacco alla
parlamentare, che fa parte del partito ambientalista "Un'Altra Politica è
Possibile" è avvenuto a soli quattro giorni dalla ripugnante iniziativa di Gyöngyösi.
Questa settimana Novak ha inviato una mail a tutti i parlamentari, invitandoli a
schierarsi pubblicamente contro l'opzione della doppia cittadinanza.
Inoltre, i parlamentari di Jobbik intendono pubblicare una lista dei posti in
Ungheria dove sono stati investiti "capitali israeliani". Chiedono
anche che vengano tivelati gli importi di questi investimenti. Il partito
dell'estrema destra intende anche pubblicare i trattati interstatali stipulati
con Germania e Polonia. Il capo di Jobbik, Gábor
Vona, nato Gábor Zázrivecz e di origini slovacche, sostiene che in questi
trattati esistano postille segrete tra Berlino, Budapest e Varsavia, per
chiedere a mezzo milione di ebrei residenti in quei territori di sgomberare in
caso di emergenza.
Riporta der Spiegel: "I rappresentanti delle organizzazioni ebraiche
intendono protestare domani in parlamento contro il crescente antisemitismo.
Chiedono che i parlamentari si uniscano a loro."
Di Fabrizio (del 16/12/2012 @ 09:09:47, in media, visitato 1569 volte)
"La Sangaj Rom" Est Ovest 09-12-2012.
Servizio di Nada Cok e Renato Orso su "Sangaj", un film sloveno che di cinese
non ha nulla tranne il richiamo nel titolo, eppure è pervaso da un forte
elemento esotico radicato nella cultura europea: i rom. � la storia di una
famiglia, che attraverso l'ingegnosità del suo capo, che avrà qualche interesse
di cuore e di affari, riuscirà a creare un villaggio dal nome Sangaj. Girato
interamente in lingua rom, il film diretto da Marko Nabersnik ha vinto il premio
per la miglior sceneggiatura al festival di Montreal e sta riempendo le sale
cinematografiche slovene e dell'ex Iugoslavia. A breve sarà distribuito anche in
Francia e Germania.
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