Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
Da
Roma_Francais
Le Parisien Giudicato per aver pulito la baraccopoli Julien
Heyligen | Publié le 09.09.2011, 07h00
Villabé, il 27 marzo. Serge Guichard (a sinistra), con l'aiuto dei volontari e
degli abitanti della baraccopoli, aveva pulito il campo rom di Moulin-Galant.
Oggi è accusato di "deposito o abbandono sulla strada pubblica di rifiuti e
altri materiali". | (lp/louise combet.)
Nel mese di marzo scorso, Serge Guichard presidente di un'associazione di
sostegno ai rom, aveva aiutato a pulire il campo di Villabé. Una spazzata che
gli costa una denuncia per "deposito di rifiuti su suolo pubblico".
"La solidarietà non è un delitto" Serge Guichard, presidente
dell'Associazione di solidarietà in Essonne, con le famiglie rumene e rom (ASERFF),
lo dice ad alta voce da sempre.
Oggi, la sua frase prende una risonanza del tutto particolare. Il volontario
dovrà comparire davanti al Tribunale di Evry il 22 settembre alle 14.00
"E' totalmente assurdo. Ho pulito il campo rom tra Ormoi, Corbeil e Villabé in
accordo con le autorità e preavvisando gli uffici comunali interessati. Mi
ritrovo oggi denunciato..." dice sospirando. I fatti rimproverati al volontario
risalgono a marzo. Quel mese, con l'aiuto di altri volontari e degli abitanti
del campo, pulisce il campo rom di Moulin-Galant. E' urgente. I ratti invadono
le casupole. Il fiume Essonne, che scorre a due passi, incomincia ad essere
inquinato dall'immondizia. Il consiglio generale, proprietario del terreno,
fornisce i sacchi. In poche ore, circa duemila ne sono riempiti. Prima di
toglierli, la spazzatura viene sistemata lungo la strada. Il consiglio generale
finanzia la raccolta realizzata dai servizi della comunità dell'agglomerato Evry
Centre Essonne (CAECE), del quale dipende Villabé, dove si trova ubicato la
maggiore parte del campo. Un container viene posizionato. Da allora è utilizzato
dai rom ed è regolarmente svuotato dalla CAECE. "Funziona piuttosto bene"
attesta Serge Guichard.
Una petizione di 800 firme.
A luglio, il presidente dell'ASEFRR riceve la chiamata di un ufficiale
giudiziario. Deve andare a prendere una convocazione per il Tribunale. Serge
Guichard, incuriosito, pensa a un "eccesso di velocità un po' elevato". Scoprendo
la verità, casca dalle nuvole. I sostegni del volontario si organizzano. Con una
petizione sono state raccolte finora 800 firme.
Varie associazioni, come la Lega per i diritti dell'Uomo, e associazioni
politiche, come il Partito Comunista, sostengono l'accusato. Alcuni confinanti
con il campo, anche se non ancora pronti a firmare la petizione, sono piuttosto
soddisfatti dell'operazione di pulizia. "E' certamente più pulito di prima. Ora
ciò che occorrerebbe sono dei servizi igienici...." dice una vicina.
Nel frattempo, l'origine della denuncia resta un mistero. Malgrado le sue
richieste, Julie Bonnier-Hamon non ha avuto ancora accesso al fascicolo. "Che
passi così velocemente in aula dopo la denuncia di un confinante mi sorprende.
Potrebbe anche essere che il procuratore abbia fatto tutto lui. Ma l'operazione
era sostenuta da istituzioni importanti. Francamente, questo fascicolo non ha
nessun senso. Pulire un campo rom, non vedo dove sia il male."
Di Fabrizio (del 04/10/2011 @ 09:13:19, in Europa, visitato 2866 volte)
10 e 11 Ottobre 2011 Università Torino, Fac. Lingue e Letterature
straniere - Via Verdi 10
XXIV CONVEGNO NAZIONALE A.I.Z.O. rom e sinti
in occasione del 40° anniversario dell'Associazione Italiana Zingari Oggi.
Organizzato in concomitanza con le celebrazioni dei 40 anni
dell'Associazione, il convegno, a cui parteciperanno studiosi da tutta Europa,
intende ricordare una tragedia, il genocidio di rom e sinti durante la II guerra
mondiale, troppo spesso dimenticata, attraverso testimonianze e resoconti
storici. Il convegno darà modo, inoltre, di riflettere sulle nuove intolleranze
che stanno emergendo nella società odierna.
PROGRAMMA:
10 ottobre I PARTE h. 09,00
Saluto delle autorità
- Dott. Piero Fassino, Sindaco di Torino
- Dott.ssa Paola Bragantini, Presidente Circoscrizione 5
- Prof. Paolo Bertinetti, Preside Facoltà Lingue e Letterature
Straniere, Università di Torino
Presentazione del Convegno: Jonko Jovanovic, vice presidente nazionale
A.I.Z.O.
Presiede: Maria Teresa Martinengo, La Stampa 40 anni di fondazione
A.I.Z.O., una storia da raccontare, una passione da trasmettere
Testimonianze Kuse Mancini
h. 13,00 Pranzo
II PARTE h. 14,30
Ripresa lavori
Presiede: dott.ssa Stefanella Campana, giornalista, Vicepresidente
Paralleli Istituto Euromediterraneo del Nord Ovest
- Lo sterminio dei rom e sinti d’Europa prof. Rajko Djuric,
scrittore già presidente Romani Union International
- Il Gypsy Camp ad Auschwitz e la presenza dei rom nei lager ebrei,
prof. Slawomir Kapralski sociologo, studioso dello sterminio rom
(Polonia)
- Le persecuzioni in Romania Luminita Cioaba, presidente fondazione
"Ion Cioaba" (Romania)
- "Qui non ci sono bambini" (gli esperimenti dei medici nei lager) prof.
Erasmo Maiullari, docente di chirurgia pediatrica, Università di
Torino
- I crimini jugoslavi sotto il regime degli Ustasha dott. Haliti Bajram,
scrittore rom (Kosovo)
- Jasenovac, Donja Gradina, Ustica dott. Saša Aćić Coordinatore
della C.I. per la verità su Jasenovac
11 ottobre III PARTE h. 9,00
- Un viaggio nel dolore, l’esile filo della memoria dott.ssa Carla
Osella, Presidente A.I.Z.O.
- I luoghi della memoria, il Porrajmos in Polonia prof. Adam Bartosz,
direttore musei di Tarnow (Polonia)
- Il caso dei bambini jenish rapiti dalla Pro Juventute dott.ssa
Silvana Calvo, Svizzera ricercatrice
- Il mio nome è Uschi Uschi Waser, Svizzera
- La tendenza a minimizzare il Porrajmos prof. Jan Hancock, membro
del Consiglio del memoriale dell’Olocausto negli USA Università di
Austin, Texas
- Lo sterminio della mia famiglia m.o. Jovica Jovic
- L’internamento di una minoranza durante il fascismo dott.ssa Giovanna
Boursier, storica e giornalista Rai
- Il conflitto bellico in ex Jugoslavia e gli aspetti etnici dott.
Jovan Damjanovic, Deputato Repubblica di Serbia
- Rapporto dell’indagine sulla condizione di rom, sinti e caminanti in
Italia, on. Letizia De Torre Commissione Cultura, Scienza e
Istruzione Camera dei Deputati
h. 13,00 Pranzo
h. 14,30 Ripresa lavori.
Presiede: dott. Gabriele Guccione, giornalista
- I ghetti mentali prof. Maria Teresa Mara Francese Università di
Torino
- Una comunità sotto assedio dott.ssa Gabriella De Luca presidente
A.I.Z.O. di Catanzaro
- L’intervento dell’UNAR a tutela della parità di trattamento di rom e
sinti Avv. Olga Marotti, UNAR
Testimonianze
Dall’esclusione alla cittadinanza prof. Marcella Delle Donne, Università
La Sapienza di Roma
h. 18,00 CHIUSURA CONVEGNO
Durante il Convegno sarà proiettato il documentario della regista Cioaba "Roma
tears" (Lacrime rom).
Nei locali dell’Università sarà allestita nei giorni del Convegno una mostra
fotografica: "Rom e sinti, il genocidio dimenticato"
Per raggiungere la sede del Convegno:
Dall’Autostrada Torino-Milano: uscire all’ultima uscita, imboccare Corso Giulio
Cesare e proseguire verso il centro.
Dalla stazione F.S. Porta Nuova: linee GTT 68 direzione Cafasso o 61 direzione
Mezzaluna, scendere alla fermata Via Po.
Per partecipare al Convegno è necessario iscriversi scrivendo a:
aizoonlus@yahoo.it
Fax: 011740171
Per info: 0117496016 - 3488257600
Il Convegno è realizzato grazie al contributo della Compagnia di San Paolo
di Torino.
Il servizio di catering è offerto da Nova Coop e Meeting Service.
Di Fabrizio (del 11/10/2011 @ 09:35:12, in Europa, visitato 1610 volte)
Da
Czech_Roma Non ci sono solo le manifestazioni violente in Repubblica Ceca (QUI
e
QUI le cronache più recenti), ma un atteggiamento generale che fa da
corollario
Romea.cz Praga, 3.10.2011 21:07, David Tišer: un club praghese non ci fa
entrare, lo boicotteremo David Tišer, translated by Gwendolyn Albert
Le opinioni pubblicate nella sezione Commenti non riflettono necessariamente
il punto di vista o le opinioni dei giornalisti del server news Romea.cz o
dell'associazione civica ROMEA
David Tišer: Rom ed attivista per i diritti dei gay
Sei di noi - due ragazzi e quattro ragazze - recentemente hanno tentato
di entrare nel club "Retro", quartiere praghese di Vinohrady. Stavamo passando
attraverso il ristorante, dove era seduto il proprietario, quando un buttafuori
è corso sulle scale. Il buttafuori ha dato un occhio alla nostra
identificazione, gli è occorso un attimo per accorgersi che eravamo in sei.
Quando ebbe in mano la carta d'identità di una ragazza di Pilsen, cominciò a
lamentarsi che le persone di quella città la settimana prima avevano creato
confusione nel club. Gli abbiamo chiesto cosa centrassimo noi. Gli ho anche
fatto capire che tutti gli altri erano praghesi.
Il buttafuori ha iniziato a fare commenti "discreti" sul nostro conto, ad
esempio: "Ci sono stati molti ladri qui ultimamente", ecc. Ha rifiutato di farci
entrare. Non ha detto direttamente che lo faceva perché eravamo Rom, ma era
chiaro dalle sue giustificazioni che la nostra etnia ne era il motivo. Mentre
era occupato con noi, la gente entrava ed usciva continuamente, nessuno di loro
era Rom.
Sono andato a lamentarmi al bar, ma la barista mi ha detto che era tutto
inutile e dovevamo andarcene. Volevo che chiamasse il proprietario, che era
seduto al bar, ma lui ci ha fatto sapere di non avere tempo per noi.
Ho chiamato la polizia, l'ufficiale che è arrivato sin dall'inizio ha
affermato che non c'era nulla da fare. Ci ha accompagnato per negoziare col
buttafuori, che improvvisamente ha iniziato a sostenere che non poteva farci
entrare, perché era in corso una festa privata di compleanno. Gli ho detto che
se lo stava inventando, perché altri miei amici erano già dentro e non sapevano
niente di questa festa. La sua risposta: "Bene, se hai degli amici lì, non
lamentarti che non vi vogliamo perché siete Rom."
Ho risposto: "I miei amici non sono Rom - abbiamo molti amici che non lo
sono."
Il buttafuori insisteva che non potevamo entrare. Il poliziotto ci diceva che
non poteva fare nulla perché il club era privato.
Mentre il poliziotto era presente, il buttafuori non ha permesso a nessun
cliente (tutti non-Rom) di entrare nel club, per attenersi alla sua storia di
una festa privata di compleanno. Dopo chela polizia se n'è andata, ha lasciato
passare nel club tutti i "bianchi". Ce ne siamo andati anche noi.
Sono arrabbiato perché ci sono stati diversi eventi che si sono tenuti al
club "Retro", organizzati sia da associazioni rom che pro-rom.
Ovviamente, il proprietario è stato pagato per l'uso dello spazio. E' chiaro che
per lui i soldi odorino di buono - ma quando la gente rom vuole entrare nel suo
club per divertirsi come chiunque altro, d'improvviso non andiamo più bene.
La prossima volta il Retro non ci andrà più bene. Singoli ed associazioni non
devono più tenere lì i loro eventi. A Praga ci sono abbastanza imprese che
sapranno apprezzare sia i soldi che le persone che li offrono, Rom inclusi.
Di Fabrizio (del 29/10/2011 @ 09:52:32, in Europa, visitato 1831 volte)
Da
Chiara-di-notte.blogspot.com su Ungheria e non solo
Sono preoccupata. No, niente che minacci la mia persona, ma il fatto e' che le
cose, qui, sono sempre state viste in due modi differenti: dagli ottimisti e dai
pessimisti. Io ero un'ottimista, credevo che col tempo le cose sarebbero
migliorate per il mio popolo. Oggi, pero', sto passando dall'altra parte perche'
vedo che gli avvenimenti precipitano e mi accorgo che i problemi non sono solo
quelli dati dall'intolleranza dei gadje', ma le incomprensioni che ci sono fra
noi rom.
Ovvero, divisioni di vario tipo ci sono sempre state fra Romungro, cioe' rom di
lingua ungherese, e chi parla solo Romanes. Ma non e' solo una questione
linguistica. E' proprio un fatto culturale. Una frattura che esiste fra chi ha
fatto di tutto per integrarsi e chi, invece, non ha mai voluto far niente,
restando attaccato alle proprie tradizioni anche quando queste sono entrate in
contrasto palese con la realta' circostante. Come si puo' voler vivere
sott'acqua ad ogni costo senza usare maschera, boccaglio e bombola d'aria?
I matrimoni combinati fra anziani e bambine, i test di verginita' a cui le
adolescenti sono obbligate, la sottomissione totale della moglie al marito, sono
cose che, ormai, chi ha avuto modo di studiare ed evolvere culturalmente, non
accetta piu'. Mentre sono pratiche assai diffuse fra chi ancora vive ai margini,
in poverta', nei ghetti, prima di tutto penalizzato dal non aver voluto imparare
la lingua del paese in cui vive, nonostante i suoi antenati ci siano arrivati
secoli fa, rifiutando ostentatamente di adeguarsi al fatto che se non si fanno
compromessi si rischia di essere cancellati per sempre dalla Storia. Il
multiculturalismo che serve a tutelarci non e' solo qualcosa che gli altri
devono avere nei nostri confronti, ma e' anche un impegno nostro a migliorarci,
e si basa sul rispetto che dobbiamo avere anche noi per gli altri, oltre che per
noi stessi.
Non si puo' togliere dagli studi una bambina solo perche', con la puberta',
rischia di perdere la verginita' a causa di qualche compagno di scuola. Non si
puo' imporre a quella stessa bambina di sposare un uomo di trent'anni piu'
vecchio e non si puo' pretendere di fare la serva tutta la vita, sfornando un
figlio dopo l'altro. Tutto cio' e' un crimine contro di lei, ma e' ancor piu' un
crimine contro tutta la nostra gente. Chi non studia, chi non vuole evolvere,
chi soprattutto obbliga anche i propri figli a fare altrettanto, non rende
deboli e vulnerabili solo loro - una romni' che non sa leggere non potra'
difendersi sia quando le faranno firmare un foglio di sgombero, sia quando le
faranno firmare una carta liberatoria in cui accetta di farsi sterilizzare - ma
ci rende deboli e vulnerabili tutti. Incapaci di reagire, di contare qualcosa,
di costruire un futuro migliore.
Da una parte devo riconoscere che, forse, c'e' un po' di "spocchia" - e qui mi
ci metto anche io - in chi si sente superiore perche' ha studiato, conosce le
cose e le sa analizzare in modo piu' accurato, meno influenzato dalla
superstizione. Dall'altra, lo capisco, c'e' il risentimento provato verso chi si
pensa abbia tradito la propria gente, la propria storia; verso chi si e'
adeguato ad una vita piu' comoda e privilegiata che non va d'accordo con
l'antica cultura dei padri. I primi dicono: “E chi se ne frega dell'antica
cultura dei padri? Se non cambiassimo mai le cose l'umanita' sarebbe ferma alle
caverne e al fuoco acceso con lo sfregamento dei legnetti”. I secondi, invece,
sono convinti che, se non si rispettano certe regole e non si seguono le antiche
tradizioni, si smarrisce la propria identita', e il nostro popolo svanisce.
Sono queste due anime che con difficolta' hanno sempre convissuto e coesistono,
finora senza troppi strappi, ma che sempre piu' entrano in tensione. Soprattutto
adesso che la poverta' sta aumentando, le possibilita' di lavoro sono quasi
nulle, e il risentimento e la rabbia diventano qualcosa di inevitabile. Si passa
cosi' da cio' che e' sempre stata una questione culturale a una questione che
riguarda la sopravvivenza personale.
In Ungheria, oggi, quasi un rom su dieci e' disoccupato. Vive di espedienti, di
malaffare, di furto o come meglio puo'. Il governo ha deciso, in parte, di
tollerare i reati meno gravi perche' non ha i mezzi per arginare il fenomeno -
li chiama "reati di sopravvivenza" - ma questo fatto scatena l'inevitabile
rabbia dei gadje' e le critiche da parte di chi, come me, vorrebbe che non si
prestasse il fianco alle inevitabili strumentalizzazioni, fornendo il pretesto
ai razzisti e agli xenofobi per arrivare alla violenza fisica. Che poi, si sa,
violenza genera violenza e su questo c'e' chi fa conto per sguazzarci
politicamente.
Ma capisco anche che non e' possibile arginare un fiume in piena se continua a
piovere ininterrottamente. Dopotutto che fanno questi giovani che non trovano
lavoro? Come vivono? Tutto il giorno non hanno altro da fare che odiare e
affilare il coltello. E siccome molti non hanno studiato, non hanno le basi per
costruirsi un'etica e una morale piu' alta e non hanno grandi valori da
condividere, si affidano all'unico vero valore che conoscono bene: il denaro
facile. Perche' col denaro si puo' far tutto, anche diventare delle persone
rispettabili (e rispettate) e non importa con quali mezzi lo si ottiene.
E' logico che i gadje' si sentano minacciati e non mi illudo che con le buone
intenzioni si possa riuscire a far capire loro che non tutti siamo uguali. Che
non tutti rubiamo, spacciamo, ci ubriachiamo e ci abbandoniamo all'indolenza
tipica di chi sente di non aver piu' alcuna speranza. D'altro canto non ho
neppure la forza per convincere chi delinque a non farlo, perche' se fossi
indigente e disperata, se abitassi nei ghetti ai margini dei villaggi dove le
case fatiscenti stanno su per miracolo e dove si vive in quindici in appena tre
stanze, forse anch'io coverei risentimento, odio e rassegnazione.
Sono quindi nel mezzo. Da una parte capisco gli uni, ma non posso condannare gli
altri, e cio' mi crea un corto circuito a cui, ovviamente, non do modo di
esprimersi in pubblico, ma che in privato si ripercuote intimamente sul mio
umore. A tutto questo si aggiunge il fatto che, per via della crisi, i soldi
sono sempre di meno. Il governo ha operato numerosi tagli, soprattutto al
welfare e ai fondi destinati alla tutela dei piu' deboli, e si arriva cosi' ad
una situazione che e' tipica nelle navi che affondano: ognuno per se'.
Volevo scrivere un articolo che illustrasse bene tutto questo. Volevo spiegare
perche' da ottimista sono passata ad essere pessimista. Volevo fosse chiaro che
questo mio cambiamento di umore non dipende dalla crescente ondata xenofoba che
esiste un po' in tutta Europa, che' quella era prevedibile, ma ha a che fare con
qualcosa di interno alla stessa mia etnia. Una problematica che prima o poi
doveva esplodere e della quale, forse, io sono anticipatrice.
Adesso non so se lo faro' piu'. Non so se scrivero' ancora quell'articolo. Sento
di avere, infatti, un dovere verso la mia gente che ha gia' innumerevoli
problemi. Non posso infierire facendo emergere un'immagine che mostra come, in
fondo, non ci sia unita' fra noi. Abbiamo troppo bisogno della solidarieta'
degli altri per gettarla via con un atto di mera sincerita'. Sono certa che chi
leggesse le mie parole direbbe: "Vedi? Anche fra loro si detestano. Perche'
dovremmo giustificarli noi?". Ci sarebbe chi per ignoranza non capirebbe le mie
ragioni ed anche chi con malafede le userebbe come strumento di propaganda. Ma
le crescenti fratture che si vengono a creare all'interno della comunita' rom in
Ungheria sono una realta'. Non si possono ignorare. Le organizzazioni che si
occupano dei diritti dei rom tacciono perche', come me, sanno che si perderebbe
una fetta di solidarieta' della gia' poca che abbiamo.
Ecco, mi rendo conto adesso che, se tutto cio' avviene in un paese come il mio
dove siamo integrati e facciamo parte della cultura nazionale - la stessa musica
ungherese non esisterebbe senza di noi -, dove abbiamo convissuto in pace fra
noi e con gli altri per oltre cinque secoli, immagino quale debba essere la
situazione altrove, nei paesi in cui le popolazioni locali ci vedono come
qualcosa di estraneo, invasivo, apportatori di sporcizia e malavita. E capisco
anche che nostri nemici non sono solo coloro che non ci conoscono e che di noi
hanno paura, ma cio' che dobbiamo temere alloggia soprattutto dentro noi stessi.
Sono i nostri fantasmi di sempre, la nostra rassegnazione, il nostro non
sentirci come gli altri, la nostra incapacita' di farci accettare perche', in
fondo, forse, non vogliamo essere davvero accettati, ne' vogliamo accettare
nessuno.
Scusate lo sfogo. Non era previsto, ma e' venuto giu', cosi', una parola dietro
l'altra.
Di Fabrizio (del 31/10/2011 @ 09:12:10, in Europa, visitato 2138 volte)
Per chi mastica l'inglese, l'articolo
sul sito della BBC di mercoledì scorso che fa il bilancio ad una settimana
dallo sgombero di Dale Farm e sempre della stessa emittente,
QUI si può scaricare la trasmissione, sempre di settimana scorsa, che in Gran Bretagna
ha mandato sulle furie molti benpensanti.
La parola passa al blog di Nando Sigona, un italiano che risiede in Inghilterra.
Nel frattempo...
Postcards from... Dale Farm e l'urbanistica del disprezzo
(immagine da Dale
Farm Solidarity)
"Abbiamo messo il sito in sicurezza", dice Tony Ball, il sindaco di Basildon.
Decine di giornalisti giunti da tutto il mondo lo circondano. Telecamere, cavi,
microfoni, macchine fotografiche e riflettori sono in postazione da giorni,
insolita scena in questo paesone della contea di Essex. Basildon è una new town
nata nel dopoguerra dalla fusione di tre villaggi, architettura modernista a
basso costo per i pendolari della trasbordante Londra. Tony Ball, uno dei tanti
conservatori che governano l'Inghilterra non metropolitana, è un politico di
provincia che una vicenda di abusi edilizi ha portato sorprendentemente alla
ribalta internazionale.
La vicenda in questione si può riassumere in due righe: ottantasei famiglie
hanno costruito e abitato abusivamente su terreni di loro proprietà per dieci
anni tentando ripetutamente, ma senza successo, di condonare gli abusi post
facto. Una vicenda, tutto sommato, di ordinaria amministrazione che però ha
intercettato, per caso o per astuta pianificazione, interessi e dibattiti che
avevano luogo in altre sedi – a Westmister, a Brussels, a New York. Ed è così
che Tony Ball si è trovato lo scorso 19 Ottobre a commentare in diretta sui
media di mezzo mondo lo sgombero violento di alcune piazzole di Dale Farm,
un'area di sosta privata abitata complessivamente da un migliaio di cittadini
britannici appartenenti alla minoranza legalmente riconosciuta degli Irish
Travellers.
Mentre Tony Ball rassicurava il mondo sul positivo svolgimento dello sgombero,
la sua voce era offuscata dall'incessante rumore del elicottero della polizia
che per ore ha sorvolato e filmato l'area dello sgombero. Intanto a poche decine
di metri dalla sala di comando dove si svolgeva l'intervista, centocinquanta
poliziotti in tenuta anti-sommossa facevano irruzione nel perimetro non
autorizzato di Dale Farm. Impalcature e barricate messe su nelle settimane
precedenti si sono sbriciolate in pochi minuti. I poliziotti in gruppi serrati
urlavano e battevano i manganelli contro la plastica degli scudi, come
suggerisce i manuale di istruzioni sullo sgombero perfetto. Attivisti e
volontari di varia provenienza che per settimane sono stati accampati a Dale
Farm in segno di solidarietà hanno provato ad interporsi, a rallentare
l'avanzata, ma i poliziotti procedono inesorabilmente alla ‘bonifica' per
lasciare spazio alle ruspe e allo squadrone di duecento ufficiali giudiziari e
operai che mettono su teli e nastri colorati, delimitano le piazzole, leggono
delibere e iniziano la demolizione.
Alcune famiglie hanno trasportato le loro case mobili in terreni di parenti e
amici nei giorni precedenti per evitare la distruzione ‘accidentale' della loro
casa, altri hanno traslocato i loro oggetti più cari nella parte autorizzata
dell'insediamento, altri ancora aspettano non avendo altro posto dove andare.
I giornali popolari di destra hanno attizzato l'opinione pubblica per mesi,
facendo diventare Dale Farm l'inferno in terra, ‘il più grande insediamento di
zingari d'Europa': un'assurdità, ma molto efficace. Questa campagna si è
intensificata quando la vicenda ha iniziato ad assumere rilievo internazionale.
Quando, in particolare, un discreto numero di agenzie e organizzazioni europee
ed internazionali per i diritti fondamentali, umani e delle minoranze ha
iniziato a protestare, facendo giungere le proprie perplessità sulla gestione
della vicenda al governo Cameron. L'intervento esterno ha incrinato il supporto
che i conservatori erano riusciti a creare per il loro approccio ‘law and order'
(incluse alcune frange di lettori del progressista Guardian). La risposta del
governo a queste critiche è stata quella di chiudersi a riccio, accusando la
comunità internazionale di interferenze indebite. Un tipico esempio di due pesi
due misure da parte della Gran Bretagna.
Nel silenzio dei politici laburisti, una delle poche voci critiche nel panorama
politico inglese è stata quella di Lord Avenbury, un liberal democratico con una
storia di battaglie per i diritti umani e le minoranze. In un interrogazione
alla Camera dei Lord, ha chiesto: "Onorevoli colleghi, cosa pensate della
decisione di spendere £117000 per famiglia per sgomberare queste persone da Dale
Farm considerando il fatto che non ci sono aree alter aree disponibile nel paese
dove indirizzarli?".
Purtroppo l'intervento di Lord Avebury non ha cambiato il percorso della
vicenda. Un'altra indicazione delle relazioni di forza nell'attuale governo di
coalizione conservatori-liberal democratici.
Ai contrbuenti britannici l'operazione di sgombero di Dale Farm è costata quasi
venti milioni di sterline oltre a mettere sulla strada quattrocento persone che
ora dovranno trovare altre aree di sosta dove fermarsi. Ma le aree di sosta che
non ci sono come ben sanno il comune di Basildon e il governo britannico. Il
precedente governo aveva elebarato un piano che prevedeva l'individuazione di
quattromila nuove piazzole, non sufficienti per coprire il bisogno abitativo di
tutti, ma un passo avanti. Purtroppo come spesso accade negli interventi a
sostegno di queste comunità la volontà politica si è dissolta prima che il piano
diventasse progetti concreti, con qualche eccezione. Il comune di Bristol ha
allestito due aree sosta per Travellers all'interno dei suoi programmi di
edilizia popolare per una cinquantina di famiglie per un costo totale di tre
milioni di sterline. Quando è arrivato il governo conservatore il piano dei
laburisti è stato relegato in un cassetto. Niente di personale e certamente non
si tratta di razzismo, hanno più volte ripetuto i politici conservatori. Bisogna
dare più potere di scelta alle municipalità, non si possono imporre interventi
del genere dall'alto è la giustificazione che echeggia il programma ‘localista'
del nuovo governo.
C'è però anche un'altra parte del programma di governo che i rappresentati
istituzionali hanno astutamente omesso di richiamare durante gli accessi
dibattiti che hanno preceduto lo sgombero, cioè quella che prometteva la riforma
radicale della normativa sull'urbanistica e di attuare una devolution della
materia per dare ai cittadini (e agli imprenditori edilizi) maggiore libertà di
edificare, rivedendo anche le norme che riguardano la protezione delle cinture
verdi (green belt) che circondano le aree urbane. Strano che nessun conservatore
si sia ricordato di questa decennale battaglia durante la vicenda Dale Farm.
Infatti, la colpa imperdonabile compiuta dai Travellers è stata proprio quella
di aver costruito su terreni di loro proprietà ma non edificabili perché
all'interno della green belt di Basildon.
Infine, vale la pena ricodare che i conservatori hanno un'enorme responsabilità
per aver creato i presupposti che hanno portato agli abusi edilizi di Dale Farm.
Nel 1994 fu infatti proprio il governo conservatore di John Major ad abolire il
Caravan Sites Act del 1968 che imponeva ai comuni di predisporre aree per la
sosta dei viaggianti e destinava fondi nazionali a tali progetti, incoraggiando
inoltre i Travellers ad acquistare pezzi di terra da adibire alla sosta (sul
modello della Thatcher che aveva messo in vendita il patrimonio di case popolari
pochi anni prima), e i comuni ad essere più flessibili nella valutazione delle
richieste per permessi edilizi dei Travellers visto il loro oggettivo
svantaggio. Il primo insediamento a Dale Farm è parte di questa storia, così
come il suo successivo allargamento. Purtroppo però il comune di Basildon,
sebbene conservatore, non ha mantenuto la sua parte di promessa.
Oxford-based researcher on migration, asylum and
minority issues. "Postcard from..." collects thoughts, images, and variously
assorted memorabilia related to my research interests.
...il mondo va avanti, si sa, ma stavolta sembra che
questo sgombero non sia
passato come al solito come acqua sulla sabbia. Qualcosa è rimasto.
Diario del Web - Occupy Wall Street non si ferma, altro weekend di
protesta | Pubblicato venerdì 28 ottobre 2011 alle 21.16
LE PROTESTE DEGLI INDIGNATI NEL MONDO
La mobilitazione culminerà con una marcia a favore dell'introduzione della Robin
Hood tax. A Londra si dimette il canonico di Saint Paul: non voglio violenza
NEW YORK - Occupy Wall Street non si ferma. Anche il prossimo sarà un
weekend di mobilitazione per gli occupanti di Zuccotti Park. Si comincia da
venerdì, quando ci sarà una marcia sotto i quartier generali di Bank of America,
Morgan Stanley, Wells Fargo, Citigroup e JpMorgan Chase. Durante la
manifestazione, i dimostranti organizzeranno «un enorme lancio di aeroplani di
carta», fatti piegando le migliaia di lettere ricevute dal movimento in cui i
cittadini americani esprimono la loro insoddisfazione verso le istituzioni
finanziarie di Wall Street.
Sempre venerdì, si terrà una riunione informativa a Zuccotti Park in
preparazione della Robin Hood march, prevista in tutto il mondo per il
giorno successivo. La nuova giornata di manifestazione internazionale, che Adbusters - la rivista canadese che quest'estate ha dato il via alla protesta -
ha organizzato a pochi giorni dal nuovo vertice del G20 a Cannes, in Francia. La
marcia servirà per chiedere l'introduzione di una tassa dell'1% (la Robin Hood
tax appunto) su tutte le transazioni finanziarie e gli scambi di valuta. Alle 12
dello stesso giorno, ci sarà una marcia da City Hall, il municipio di New York,
a Zuccotti Park a sostegno dei diritti civili. Per l'occasione, Occupy Wall
Street sarà affiancato da una serie di sigle sindacali e di gruppi a favore dei
diritti delle minoranze.
Domenica è il proverbiale giorno di riposo anche per i manifestanti. Nel
tardo pomeriggio, sempre a Zuccotti Park, ci sarà un cineforum, seguito da
un'assemblea generale. Vista la concomitanza con i festeggiamenti per Halloween
verrà proiettato «La notte dei morti viventi» di George Romero. Halloween
s'intreccerà con le proteste anche il giorno successivo quando Occupy Wall
Street prenderà parte alla tradizionale parata di Halloween che si tiene nel Village, una delle più grandi di tutti gli Stati Uniti.
A Londra si dimette il canonico di Saint Paul: non
voglio violenza - Il reverendo Giles Fraser ha lasciato la Cattedrale di
Saint Paul perché non avrebbe potuto sopportare l'idea di una «Dale Farm sui
gradini di Saint Paul». Lo spiega lo stesso canonico in un'intervista rilasciata
al Guardian, in cui ricorda lo sgombero del campo nomadi Dale Farm, in Essex,
avvenuto all'inizio del mese con violenti scontri.
La polizia londinese si sta infatti preparando a intervenire contro i
manifestanti che da 13 giorni sono accampati davanti alla cattedrale e che negli
ultimi giorni hanno più volte respinto gli inviti a lasciare la City. Saint Paul
ha chiuso la scorsa settimana, per motivi igienici e di sicurezza, ma riaprirà
oggi.
«Non posso tollerare l'idea che ci possa essere Dale Farm sui gradini di Saint
Paul - ha detto Fraser - avrei voluto poter trattare sulla grandezza del campo,
e chiedo a quelli che sono lì di aiutarci a far andare avanti le attività della
cattedrale, e se questo significava riconoscere loro un diritto legale di
rimanere allora è questa la posizione che avrei assunto. Penso che si sia
intrapresa una strada che potrebbe portare dove io non voglio andare».
Di Fabrizio (del 01/11/2011 @ 09:15:22, in Europa, visitato 2428 volte)
Da
Czech_Roma NdR Calmatesi le violenze esplose in Bulgaria a fine settembre
(anche perché domenica scorsa s'è svolto il primo turno delle
elezioni presidenziali), il clima rimane "caldo" in Repubblica Ceca.
Le segnalazioni di scontri etnici ormai sono così numerose, che non
faccio in tempo a tradurle. Allora, può essere utile illustrare il clima di "pace
armata" che si respira lì, per cercare di capire da dove nasce la violenza
di oggi, sapendo che potrebbe accadere altrove...
translated by Gwendolyn Albert
Ancora una voce allarmistica contro le minoranze, sta circolando nella
Repubblica Ceca via email. Il ministero del lavoro e degli affari sociali ha
già emesso una smentita.
Queste voci si diffondono su internet sempre più frequentemente. La più
recente accusa le "minoranze" di non essere tenute a pagare le prescrizioni in
farmacia. La notizia ha scatenato reazioni stupite, dibattute in un'ampia serie
di discussioni nei forum telematici, sulla veridicità o meno del caso.
Questo il titolo della mail: "Shock in farmacia - INFORMATE TUTTI!" in
cui un anonimo afferma: "Sono entrato in farmacia per comprare ai miei figli
delle medicine per la tosse ed il naso. Gli [appartenenti alla] minoranza erano
davanti a me, hanno scelto le loro medicine e poi hanno tirato fuori un pezzo di
carta del dipartimento sociale... il farmacista ha annuito e se ne sono andati.
Ho chiesto di che si trattasse e mi ha risposto che lo stato pagava le medicine
agli svantaggiati socialmente. Mi sono parecchio stupito, io ho dovuto pagare
500 corone e sono tornato a casa arrabbiato. Lavoro, pago l'assicurazione
sociale, l'assicurazione sanitaria e lemie tasse, e tutto ciò per loro e quelli
come loro. CONDIVIDETE CON GLI ALTRI. DOBBIAMO FARE QUALCOSA!"
Ora sono in tanti a sfruttare questa comunicazione anonima, ingannevole ed
allarmista, allo scopo di manipolare gli altri verso le proprie attività,
cause ed opinioni online. Nel frattempo, un esperto del ministero del lavoro e
degli affari sociali ha già emesso la seguente dichiarazione, che nega
l'esistenza di queste "pratiche": "Quanti sono riconosciuti a vivere in
difficoltà materiali, e che usufruiscono dei benefici disponibili (contributi di
sussistenza, all'alloggio, oppure aiuto straordinario immediato) sono, in base
alla legge sull'assicurazione sanitaria pubblica, esonerati dall'obbligo di
pagare le tasse regolamentari. Tuttavia, la stessa legge non li esonera
dall'obbligo di pagare le medicine! Se queste persone devono accedere alle
medicine che tutti gli altri pazienti pagano normalmente, o contribuiscono alla
spesa, dovranno pagare come chiunque altro! Il ministero della sanità comunica
che i medici hanno la possibilità di prescrivere medicine per ogni malattia
senza alcun sovrapprezzo per l'emissione della ricetta. Nei casi in cui una
medicina non possa essere prescritta per ragioni sanitarie, l'erogante può in
casi eccezionali, pagare l'assistenza sanitaria senza richiedere ulteriori
rimborsi, essendo questa l'unica possibilità di cura, dato lo stato di salute
della persona. L'erogazione di tale assistenza sanitaria nella maggior parte dei
casi dipende da precedenti accordi tra il medico curante ed il paziente. Il
testo di questa catena email e la sua conclusione -ho pagato 500 e lui niente-
distorce la realtà appena descritta. Non funziona così! Anche un destinatario
dell'assistenza dovrebbe pagare 500 corone, escluso il costo della ricetta".
Non è chiaro quale sia la "minoranza" coinvolta nel caso dell'esperienza di
grande ingiustizia in farmacia denunciato dall'anonimo estensore. E' invece
chiaro che questi non abbia capito bene come funzioni il sistema sanitario ed
assistenziale ceco.
Di Fabrizio (del 07/11/2011 @ 09:02:48, in Europa, visitato 1578 volte)
Chiara-di-notte.blogspot.com
Per cercare di comprendere il perche' delle gravi tensioni che esistono fra rom
e non rom, pero', non basta solo attribuire la responsabilita' a certe frange
estremiste dei gadje', che sono sicuramente il problema principale e piu'
immediato, ma non l'unico. Occorre anche individuare cio' che e' legato alle
diverse appartenenze all'interno della comunita' tzigana e, cosa importante,
tener conto della storia recente dell'Ungheria, che come quasi tutti i paesi
dell'est Europa ha attraversato decenni di regime comunista.
Sebbene, quando si parla di tzigani, ci si riferisca spesso ad un'unica entita'
linguistica e culturale, le cose stanno in verita' in modo un po' diverso,
poiche' le anime che compongono la comunita' sono almeno tre. Ci sono i Romungro,
i rom di lingua ungherese, che rappresentano circa il 70% degli tzigani nel
paese, i cui antenati hanno vissuto in Ungheria da cosi' tanto tempo da
diventarne elemento culturale integrante e che includono la maggior parte degli
artisti e degli intellettuali. Ci sono poi i Vlach (20% del totale), discendenti
degli zingari fuggiti dalla Romania dov'erano tenuti schiavi nel XIX secolo, che
parlano la lingua Lovari. Infine, i Beas (10%) che parlano un antico dialetto
rom, giunti in terra magiara due secoli fa.
Tutto questo crea inevitabili incomprensioni perche' non e' solo la lingua che
differenzia le varie anime che compongono la comunita', ma e' la stessa
concezione di "appartenenza". I Romungro si sentono sia tzigani che ungheresi.
Un mix di due culture in cui credono di aver assorbito il meglio di entrambe,
essendosi da tempo spogliati di tutto cio' che ritenevano in contrasto con una
convivenza civile con i gadje'. I Vlach e i Beas, invece, respingono
generalmente qualsiasi tipo di integrazione, rimanendo attaccati agli usi e alle
tradizioni degli antenati, rifiutandosi in molti casi di imparare la lingua ed
essendo refrattari a dare un'istruzione ai loro figli.
Ma a parte il fattore che riguarda le strade separate percorse dai vari gruppi,
come molte altre cose, i problemi in Gyöngyöspata e non solo in Gyöngyöspata,
hanno origine dal comunismo, ovvero dal suo crollo. Nel periodo comunista, tutti
dovevano lavorare. Chi non lo si faceva, andava in prigione. Il regime comunista
non ha mai voluto considerare gli zingari come minoranza, ma piuttosto come un
problema sociale. Nel 1961, il Partito Socialista Ungherese dei Lavoratori,
scriveva: "Nonostante alcune caratteristiche etniche, i Rom non costituiscono
una nazionalita'. Coloro che lo affermano preservano la segregazione degli
zingari e rallentano la loro integrazione nella societa'". Gli zingari erano
dunque, come tutti gli altri, semplicemente dei proletari che avevano bisogno di
essere costretti nel sistema, solo piu' indisciplinati.
Sono stati di conseguenza relegati in soluzioni abitative di scarsa qualita' e
costretti alla fatica, come tutti gli altri. La maggior parte dei Rom lavorava
nelle citta', nelle fabbriche o nei cantieri edili. Quelli di campagna
lavoravano in aziende agricole di piccole dimensioni o nei villaggi, impiegati
nella raccolta della frutta o scavando nei campi. Il regime non voleva che
ottenessero una maggiore istruzione, perche' aveva bisogno di manodopera non
qualificata e a buon mercato. Cosi', gli tzigani, come comunita' e come etnia,
sono scomparsi per lungo tempo, assorbiti e diluiti nel sistema socialista.
Ma quando quel sistema e' collassato in modo quasi improvviso nel 1989, il
problema dei Rom, come molti altri a cui il comunismo aveva promesso risposte
definitive, si e' riproposto in modo, per molti versi, piu' acuto di prima.
Quando le fabbriche e gli impianti produttivi hanno chiuso alla rinfusa, sono
stati i lavoratori non qualificati e di basso livello - rom in particolare - ad
essere maggiormente penalizzati e a restare praticamente senza niente di cui
vivere. La crisi economica successiva, poi, ha fatto il resto. Si consideri che,
negli ultimi due anni, la disoccupazione rom e' aumentata dal 15% all'85%. E
oggi sembra che gli tzigani siano entrambe le cose: sia una minoranza etnica che
un problema sociale.
In assenza di lavoro, i poveri si sono affidati al welfare. La mungitura del
sistema e' diventata cosi' una strategia per sopravvivere. I sussidi di
disoccupazione, di maternita', l'assegno per figli e molti altri piccoli
benefici, davano almeno la possibilita' di vivere. Non certo per diventare
ricchi, ma per uno stile di vita accettabile, e non solo per chi era tzigano, ma
per chiunque si trovasse in condizione di profonda poverta'.
Cio' e' durato per quasi vent'anni. Per tenere bassa la tensione sociale e'
stato scelto di dedicare sempre piu' fondi al welfare, senza far nulla per
creare occupazione o ricostruire un tessuto produttivo nel quale tutte queste
persone povere potessero trovare occupazione. Tutti i governi che si sono
succeduti da allora, sia di sinistra che di destra, hanno scelto l'immobilismo e
di non fare niente al riguardo. Cosi' lo Stato si e' indebitato sempre di piu',
arrivando al punto, oggi, da non poter piu' sostenere la spesa sociale. Di
questo, cioe' dell'impoverimento del paese, nonostante ad usufruire del welfare
siano e siano stati soprattutto i non rom - gli zingari sono solo un terzo delle
famiglie in poverta' assoluta - sono ciononostante i rom ad essere accusati, in
quanto individuati come i soli ad aver "munto" lo stato.
C'e' inoltre la questione della criminalita'. Esistono due linee di pensiero
ovviamente in antitesi fra loro: c'e' chi considera gli zingari solo delle
vittime, colpevoli di nient'altro se non di essere quello che sono, ed e' l'idea
per cui lottano gli attivisti e le organizzazioni che si occupano della difesa
dei diritti delle minoranze etniche e culturali vestendo i panni di difensori
della comunita' rom, e chi, invece - praticamente la stragrande maggioranza
degli ungheresi -, la pensa in modo diametralmente opposto.
Cio' genera odio in entrambe le comunita' e la gente ha esperienza quotidiana di
questo conflitto. A scuola, molti sono i bambini non rom in conflitto con i loro
compagni rom. E' quindi qualcosa che si radica nelle coscienze fin dall'infanzia
e spesso sono i genitori stessi ad indicare ai propri figli l'altro come un
probabile pericolo. Non sono piu' isolati ormai i casi in cui ci sono
aggressioni, sia da parte che dall'altra. Si formano gruppi e bande di giovani
al cui naturale conflitto che anima un po' tutti gli adolescenti, si aggiunge
anche l'odio etnico. Sono a volte episodi terribili fatti di faide anche cruente
in cui a farne le spese, spesso, sono sempre le persone piu' deboli. I bambini e
le donne. Gadje' o rom che siano. In mezzo a tutto cio', non mancano pero'
manifestazioni di civile convivenza, in cui le due parti si incontrano e si
rispettano, ma perche' cio' sia possibile e' necessario che alla base ci sia una
educazione, civile ed etica, possibile solo con la scolarizzazione piu' ampia
che istruisca i giovani e li sottragga alla strada ed alle attivita' illecite.
Uno dei reati che piu' fa infuriare i gadje' di Gyöngyöspata e' il furto di
frutta e verdura dai loro giardini. Gli alberi da frutto sono sempre stati una
risorsa per la popolazione locale, ma nessuno si preoccupa piu' di prendersene
cura perche', ogni volta che i frutti arrivano a maturazione, gli alberi vengono
saccheggiati. D'altro canto non si puo' neppure impedire a chi non ha un lavoro
e non sa come nutrire i figli, di appropriarsi di qualcosa che gli e' necessario
alla sopravvivenza, anche se appartiene a qualcun altro. Il conflitto e' dunque
fra chi possiede qualcosa, anche se poco, e chi non ha davvero niente.
E' quello che le autorita' chiamano reato di sopravvivenza, che in qualche modo
e' diventato accettabile e la polizia generalmente tollera. Ma anche se e' cosi'
a livello politico, cio' non rispecchia la realta' quotidiana, e non fa altro
che aumentare l'intolleranza della gente comune, sempre piu' arrabbiata, verso i
rom che vengono considerati "protetti" nei loro reati, anche se si tratta di
reati di misera entita'. Tutto questo senza che qualcuno abbia il coraggio di
porsi la domanda: se le parti fossero invertite le cose andrebbero diversamente?
Di Fabrizio (del 13/11/2011 @ 09:17:07, in Europa, visitato 1250 volte)
"Siamo nomadi, non criminali"
Il Resto del Carlino di Tommaso Moretto
Il capo della carovana dei gitani che si sono fermati a Villamarzana "In Italia ci trattano male"
Rovigo, 8 novembre 2011 - Sono tornate le carovane di nomadi vicino al casello
dell’autostrada a Villamarzana. Quelli che c’erano la settimana scorsa si erano
spostati poi a Costa di Rovigo, ma domenica se ne sono andati di nuovo, non si
sa verso dove. La gente del posto ha ricominciato preoccupata a chiamare il
sindaco Valerio Galvan. Questa volta non sono più di cinque o sei roulotte. Per
capire chi sono questi zingari che nelle loro peregrinazioni si fermano in
Polesine siamo andati a conoscerli ieri mattina. Appena siamo scesi dalla
macchina e ci siamo avvicinati si è fatta sotto una donna con un grembiule a
fiorellini come quelli delle contadine di una volta. Pochi denti in bocca ma il
sorriso stampato. Stava mescolando una zuppa in un pentolone e ci è venuta
incontro. «Siamo del Resto del Carlino, vogliamo conoscervi e farvi qualche
domanda». Prima ancora di stringerci la mano ci hanno chiesto dei soldi: «Quanto
avete in tasca? Dateci qualcosa per dar da mangiare ai bambini e vi facciamo
fare l’intervista».
Da dove venite?
«Dalla Spagna come origini, ma stiamo spesso in Francia. La maggior parte della
nostra comunità sta in Francia».
Come mai siete qui nei pressi di Rovigo?
«Siamo venuti per i morti, abbiamo dei parenti a 50 chilometri di distanza». E
pronuncia il cognome della famiglia ma non si capisce bene se sia Braidi, Bradi
o Bradic.
Lei come si chiama?
«Cueves, Ivanovic Manolo Cueves». Chiestogli di scriverlo su un foglio non siamo
sicuri che abbia scritto Cueveces, Cueves o qualcos’altro. Allora lo abbiamo
scritto noi in stampatello perché lo leggesse e ci desse conferma: «Non so
leggere» è stata la risposta. Il capo della carovana però era il più ben
disposto nei nostri confronti: si è fatto fotografare senza chiedere soldi,
mentre l’uomo più giovane che gli stava di fronte proponeva la foto di gruppo
per 20 euro. «Noi siamo gitani, zingari. Ma gli zingari non sono tutti cattivi o
tutti ladri. Qui in Italia ci trattano sempre male. Ci cacciano dappertutto, ma
noi non facciamo male a nessuno», ci tiene a far sapere. «Noi siamo una famiglia
che gira in tutta l’Europa. Esistiamo da 2.000 anni, prima giravamo con i
cavalli, ora ci siamo un po’ modernizzati e giriamo con le roulotte, ma siamo
sempre noi».
In quanti siete, del vostro gruppo?
«Siamo 10.000 roulotte in tutta Europa, stiamo tanto in Francia perché in Italia
ci mandano via».
Qui a Villamarzana come vi siete trovati?
«Bene, il sindaco e i carabinieri sono stati gentili».
In Francia vi aiutano?
«Sì, lo Stato ci dà dei soldi. A me, per la mia famiglia, moglie e due figli, mi
danno 800 euro al mese. E poi Sarkozy ha obbligato ogni comune sopra i 5.000
abitanti ad attrezzare un campo nomadi».
Tommaso Moretto
Di Fabrizio (del 14/11/2011 @ 09:33:42, in Europa, visitato 1329 volte)
Chiara-di-notte.blogspot.com
La situazione e' drammaticamente peggiorata dopo il 2008. In passato, una
famiglia rom di cinque persone avrebbe potuto, con i sussidi, arrivare fino al
14 del mese. Poi, una volta finito il denaro, avrebbe potuto ottenere un credito
presso i negozi del luogo e gli uomini, con i loro lavori occasionali,
costruzione di muri, riparazione di tetti, eccetera, sarebbero riusciti a
guadagnare il necessario per far sopravvivere la famiglia l'altra meta' del
mese.
Ma con la crisi finanziaria, la gente ha smesso di spendere soldi per questi
lavoretti e i negozi non fanno piu' credito. Anche se gli tzigani piu' poveri
sono riusciti a sopravvivere - a stento - negli ultimi vent'anni, oggi con la
crisi economica sono davvero in una situazione tragica, ed e' gia' da tempo che
si inizia ad osservare un fenomeno che per chi e' rom e' davvero sintomo di
disperazione: figli che, per mancanza di mezzi di sussistenza, vengono
abbandonati agli orfanotrofi nella speranza che almeno trovino un piatto caldo e
un tetto.
Inutile che stia qui a raccontare quanto sia dura la vita in un orfanotrofio. In
mezzo a centinaia di bambini tutti disperati, e trascurati da chi si dovrebbe
prendere cura di loro, che per menefreghismo e indolenza vengono lasciati e se
stessi, senza regole, si forma una generazione di violenti pronti a tutto pur di
conquistarsi uno spazio di sopravvivenza, nel tentativo di emergere sugli altri
e non esserne a loro volta annientati, cosi' da perdere completamente il senso
stesso di appartenenza ad una comunita'. Anche se qualcuno, di tanto in tanto,
diverso per carattere o per particolare capacita', riesce poi ad emergere non
con la forza ma con l'intelletto, ed accede a qualcosa di piu' elevato,
riscoprendo il valore della cultura e della solidarieta' fra persone.
“Mentre nella maggior parte dell'Europa occidentale la questione rom e'
marginale, in Ungheria, a causa delle dimensioni della comunita', delle
conseguenze disastrose del comunismo e del fallimento delle politiche degli
ultimi vent'anni, tale questione e' diventata centrale.” E' cio' che dichiara
Balog Zoltán, per dieci anni pastore protestante prima di diventare ministro e
il piu' fidato fra i consiglieri di Orban Viktor, il premier ungherese.
Magro, barba grigia, il cinquantatreenne Balog, oggi e' visto come la vera
coscienza del governo conservatore ungherese. E' colui che e' stato dietro alla
decisione del governo, durante il suo semestre di presidenza dell'Unione
europea, di portare il problema dell'integrazione dei rom a livello europeo come
una priorita' assoluta.
Per Balog - che ha dato al suo governo tre anni di tempo per affrontare il
problema in modo efficace e risolverlo preannunciando in caso contrario il
disastro - questa esplosione del fenomeno dei vigilantes in divisa in ghetti di
Gyöngyöspata e di molte altre localita' ungheresi, e' il sintomo di una crisi
nazionale molto profonda, ma non perche' presagisce l'ascesa dei neo-nazisti. Il
problema e' secondo lui ancor piu' serio.
"La vera differenza tra il nostro problema rom e quello dell'Europa
occidentale”, dice Balog “sta nel grado di rischio. In Italia e in Spagna si
parla di integrare un gruppo marginale, piccolo, quindi e' tutto sommato
esclusivamente una mera questione di diritti umani. Ma in Ungheria si tratta di
una questione di strategia nazionale che riguarda tutto il paese. I rom hanno il
doppio del tasso di natalita' degli altri ungheresi. La maggioranza della
popolazione ungherese sta invecchiando, mentre circa la meta' della popolazione
rom e' sotto i vent'anni. Nelle citta' del nord-est, fra dieci anni, ogni due
bambini che nasceranno, uno sara' rom. Ma la disoccupazione per i rom e'
dell'85%, e un terzo dei bambini non finiscono neppure la scuola elementare.
Quindi questo non e' un problema come gli altri, ma e' il problema principale.”
Come le altre minoranze in Ungheria, la rumena, la tedesca e gli altri gruppi
etnici, gli tzigani hanno una certa autonomia nella gestione dei propri affari,
attraverso quello che e' l'Autogoverno Nazionale Rom. Per Balog, la risposta
alla crisi spetta alle sia alle autorita' nazionali ungheresi, sia a quelle rom
per creare, insieme, centomila nuovi posti di lavoro, a partire dai lavori
pubblici da effettuare nelle comunita' in cui gli stessi rom vivono, e al tempo
stesso aumentando massicciamente gli standard educativi dei giovani, avviandone
il prossimo anno ventimila alla formazione professionale e preparandone altri
cinquemila, dei piu' brillanti, per l'universita'.
Tutto cio' dovrebbe iniziare a mostrare i primi risultati in tre anni. La
speranza di Balog e' che sul lungo periodo i rom si trasformino da problema
sociale in un vantaggio per l'economia ungherese. Infatti, se il loro tasso di
occupazione salisse fino a raggiungere la media regionale, cio' potrebbe
significare una crescita compresa tra il 4 e il 6 per cento del prodotto interno
lordo tale da poter innescare di nuovo un efficiente sistema di welfare.
Questo progetto, nonostante niente sia verificato e si tratti soprattutto di
“proiezioni” che dovrebbero essere poi confermate dai risultati, e'
controbattuto ed osteggiato da entrambe le parti. Balog e' sotto attacco da chi
difende i rom per l'approccio autoritario del suo governo, ma anche dai gadje',
soprattutto dai rappresentanti dei piu' poveri, che vedono "ancora una volta" un
favore fatto ai rom.
Ma per Balog la necessita' principale e' quella di mandare un chiaro messaggio
politico alla maggioranza degli ungheresi per far capire quanto la questione sia
importante per tutti e come cio', piu' che per gli tzigani, sia un vantaggio per
l'intera nazione. “Se infatti questi cambiamenti non saranno fatti” dice ancora
Balog, “l'intera nostra struttura sociale, economica e del mercato del lavoro
crollera', portando l'Ungheria sull'orlo del baratro e del conflitto civile. La
questione rom, dunque, e' un problema di sopravvivenza nazionale".
A una trentina di chilometri da Gyöngyöspata c'e' un altro villaggio:
Tarnabod.
Abbandonato dopo il comunismo, e lasciato in balia dei piu' disperati (rom e
non-rom) che non avevano un posto dove andare, e' stato preso in mano da giovani
operatori sociali, uomini e donne, tzigani e gadje' di provenienza anche
straniera. Oggi, in un'antica stalla riadattata a capannone, si possono vedere
dozzine di persone al lavoro mentre smontano vecchi computer e altri apparecchi
tecnologici obsoleti per il riciclarne i pezzi. Tutti percepiscono il salario
minimo nazionale.
In altri edifici di Tarnabod, riadattati e restaurati, sono state create una
scuola materna, una mensa per bambini e genitori, un centro di cultura con una
sala proiezioni, un centro di insegnamento dopo scuola, un'infermeria, un centro
sportivo. Ovunque i pavimenti sono stati sostituiti, le pareti ridipinte, i
tetti riparati. C'e' una chiesa, una squadra di calcio, un gruppo teatrale. In
biblioteca gli scaffali, tutti allineati, sono pieni di libri che vengono dati
in prestito e sul muro campeggia il ritratto del primo e finora unico santo rom:
Ceferino Giménez Malla.
Oltre settecento persone, uomini donne e bambini, a Tarnabod, vivono come una
grande famiglia. Alcune sono rom, altre no e non esiste un modo facile per
distinguerle. Ci sono voluti sette anni per arrivare a questo, ma dopo la
poverta' e la disperazione di Gyöngyöspata, Tarnabod rappresenta l'altra faccia
della medaglia, un'oasi felice in cui, a volte, confuso in mezzo alla gente, non
e' difficile incontrarvi anche Choli Daróczi József, il piu' famoso scrittore
rom ungherese vivente.
Come sostiene chi dirige il progetto, tale lavoro per avere successo su scala
nazionale ed essere esportato anche in altre citta' e villaggi, creando nuovi
posti di lavoro partendo proprio dalle comunita' tzigane, come appunto auspica
anche Balog, deve avere il sostegno totale del governo ungherese e
dell'Autogoverno Nazionale Rom. Solo cosi' non arriveranno piu' vigilantes
vestiti di nero a terrorizzare la gente, e ai razzisti saranno tolti gli
argomenti con i quali, oggi, si aizzano le persone le une contro le altre.
Questo il mio commento all'articolo originale:
Vorrei capire meglio il ruolo dell'Autogoverno Nazionale Rom.
In Italia ne ho sentito parlare qualche volta da "esperti" ed
"intellettuali" (due parole di cui istintivamente mi fido poco) ungheresi,
con toni diversi.
La mia impressione da profano, è che un organismo del genere in tempi di
vacche grasse ha contribuito a diffondere l'immagine di Ungheria come paese
all'avanguardia nell'integrazione di Rom.
Ma che col sopraggiungere della crisi, soprattutto dato la sua composizione,
veda il proprio ruolo compromesso e rischi di elargire qualche piccola
regalia agli "amici degli amici", senza riuscire ad essere un interlocutore
"politico" affidabile.
La risposta:
Avevo iniziato a scriverti la risposta. Poi la tastiera mi ha preso la
mano ed e' venuto un commento talmente lungo che forse merita farne un post.
Tu che ne pensi?
Il suo nuovo articolo lo trovate
QUI, lo riprenderò in Mahalla tra qualche giorno
Di Fabrizio (del 15/11/2011 @ 09:12:13, in Europa, visitato 1647 volte)
DA PS, IL 10 NOVEMBRE 2011
La Corte europea dei diritti dell'uomo ha emesso una sentenza contro lo Stato
della Slovacchia nel caso della presunta sterilizzazione forzata di una donna
rom nell'ospedale di Presov nel 2000, ha informato ieri il Centro di consulenza
per i diritti civili e umani con un comunicato a tutti gli organi di stampa.
«Accogliamo con favore il verdetto. La Corte ha confermato ciò che il Centro di
consulenza andava sostenendo sin dalla sua costituzione un anno fa: donne rom
hanno subito una sterilizzazione forzata negli ospedali senza il loro consenso
informato», ha dichiarato Vanda Durbakova, avvocato di Barbara Bukovsky, la
donna rom che ha fatto la denuncia.
La Bukovsky avrebbe presumibilmente firmato un modulo di consenso per la
sterilizzazione nel reparto maternità dopo che, alla nascita del suo bambino, le
sarebbe stato detto che lei o il prossimo figlio rischiavano la morte se non si
fosse proceduto alla sterilizzazione. La donna ha affermato che all'epoca non
sapeva cosa si intendesse con il termine "sterilizzazione".
La Corte europea dei diritti dell'uomo ha respinto l'affermazione che la
sterilizzazione si sarebbe dovuta fare a causa di "motivi di salute", dato che
questo tipo di procedura non è classificata come "salva-vita". La Corte ha anche
assegnato alla donna il compenso di 31.000 euro oltre ad altri 12.000 per
coprire le spese relative al processo.
(La Redazione)
NdR: il
comunicato
(.pdf in inglese) di Poradňa pre občianske a ľudské práva che sollevò il caso
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