Rom e Sinti da tutto il mondo

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Gli Zingari fanno ancora paura?

La redazione
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Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
 
 
Di Fabrizio (del 15/12/2012 @ 09:04:57, in media, visitato 1151 volte)

La notizia e' di qualche giorno fa ma, scusate, e' piu' forte di me... : - D

Osservatorio 21 luglio La "giubba rom" della Gazzetta di Modena - 6 dicembre 2012 - Fonte: La Gazzetta di Modena

L'articolo in questione, che tratta di un furto in abitazione, stabilisce un nuovo "parametro" dal quale il giornalista presuppone l'appartenenza del ladro alla comunita' rom: "Una signora ha visto la fuga e ha dato l'allarme, ma ormai i ladri (quello entrato in casa indossava una giacca rossa, probabilmente si tratta di un nomade) si erano allontanati". La divagazione del giornalista, oltre a stabilire un nesso che lascia sconcertati, e' priva del supporto di qualunque dato fattuale e difficilmente di rilievo ai fini dell'informazione, con l'esito di contribuire ad alimentare un clima ostile e veicolare stereotipi negativi e penalizzanti per le comunita' rom.

L'Osservatorio accoglie positivamente il messaggio di scuse del direttore della Gazzetta di Modena.

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Di Fabrizio (del 15/12/2012 @ 09:05:32, in casa, visitato 1656 volte)

Progetto sperimentale di smantellamento dei campi nomadi tramite l'autocostruzione di alloggi in muratura.

Il progetto di autocostruzione "Villaggio della Speranza" nasce dalla necessitĂ  espressa dai Sinti residenti presso il campo comunale di via Tassinari 32, di migliorare le proprie condizioni di vita, uscire dall'emarginazione e proseguire nel percorso di integrazione giĂ  iniziato con l'inserimento scolastico dei minori.
L�Opera Nomadi di Padova-Onlus, che da anni persegue la politica dello smantellamento dei campi nomadi comunali attraverso l'individuazione di alternative abitative dignitose, si è fatta portavoce delle esigenze dei Sinti con cui ha ideato e scritto il progetto e ha trovato nell'Assessore ai Servizi Sociali Claudio Sinigaglia un convinto sostenitore.
La creazione del Villaggio della Speranza coniuga infatti le disponibilità dell'Amministrazione Comunale con il rispetto delle tradizioni sinte, ovvero la volontà di vivere con le rispettive famiglie allargate. La linea della condivisione e della responsabilizzazione dei sinti non si è fermata con la definizione del progetto ma ha previsto la partecipazione della comunità, rappresentata da un mediatore sinto, a tutti gli incontri tecnici con i Referenti del Comune di Padova durante tutto l'iter del progetto.
Incaricata dal Comune come "soggetto promotore", l'Opera Nomadi ha provveduto a:
- individuare l�impresa per la costruzione degli alloggi e delle opere connesse, previa approvazione del Settore Infrastrutture del Comune di Padova,
- seguito i Sinti nella partecipazione al corso di formazione professionale per muratori e nella fase concreta dell�autocostruzione.



Il Settore Infrastrutture del Comune di Padova si è fatto carico della necessaria attività di alta sorveglianza, ai fini della regolare esecuzione dell�opera, della contabilità generale e dei conseguenti pagamenti. Sono stati costruiti alloggi, quattro per ciascuna delle tre palazzine di due piani. Ogni alloggio è costituito da un locale soggiorno-cottura, due camere da letto e un bagno, il tutto per una superficie calpestabile di circa 50 mq con giardinetto di pertinenza e posti auto coperti realizzati in struttura leggera. Il cantiere si è aperto nel luglio 2008 e si è chiuso a novembre 2009 e la consegna delle abitazioni è stata effettuata a dicembre 2009.
L�area e gli alloggi sono di proprietà del Comune di Padova e sono stati assegnati in affitto alle famiglie sinte. A differenza di quanto non accade in tutti i campi nomadi comunali in cui domina la legge dell'assistenzialismo, i singoli nuclei hanno stipulato i contratti delle utenze a proprio nome, pagando le relative bollette.



Per approfondire:
Renata Paolucci in "Politiche possibili. Abitare le cittĂ  con i rom e i sinti" a cura di Tommaso Vitale, Carrocci Editore.

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Di Fabrizio (del 16/12/2012 @ 09:08:45, in musica e parole, visitato 1476 volte)

Domenica 23 Dicembre 2012, ore 21
Coop. Soc. Circolo Familiare di Unita' Proletaria - viale Monza 140- Milano (salone al primo piano) -
Ingresso 5,00 euro

Iniziò tutto dieci e più anni fa. Suonavano nella metropolitana, raccontarono la loro storia nel film "Miracolo alla Scala", rappresentarono l'Italia ad un concorso europeo in Grecia. Furono i primi a far conoscere le storie e la musica dei Rom rumeni a Milano. Poi, come succede spesso, il gruppo si divise: qualcuno andò a lavorare in campagna, qualcuno tornò in Romania, altri continuarono a girare tra campi rom sempre più malmessi. Altri cammineranno sul percorso tracciato da loro.

Ma non puoi fermare la passione che scorre nelle vene di un musicista, la necessità di mettersi in gioco ancora una volta. Eccoli allora, a presentare brani del repertorio romanì e del folklore rumeno, e scoprire le tante radici che legano questo popolo alla nostra cultura dell'800 e del '900. Una serata per ballare - certo, per riflettere - forse, per conoscersi e stare insieme nella magica atmosfera del nostro circolo.

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Di Fabrizio (del 16/12/2012 @ 09:09:47, in media, visitato 1570 volte)

"La Sangaj Rom" Est Ovest 09-12-2012.

Servizio di Nada Cok e Renato Orso su "Sangaj", un film sloveno che di cinese non ha nulla tranne il richiamo nel titolo, eppure è pervaso da un forte elemento esotico radicato nella cultura europea: i rom. � la storia di una famiglia, che attraverso l'ingegnosità del suo capo, che avrà qualche interesse di cuore e di affari, riuscirà a creare un villaggio dal nome Sangaj. Girato interamente in lingua rom, il film diretto da Marko Nabersnik ha vinto il premio per la miglior sceneggiatura al festival di Montreal e sta riempendo le sale cinematografiche slovene e dell'ex Iugoslavia. A breve sarà distribuito anche in Francia e Germania.

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Di Sucar Drom (del 16/12/2012 @ 09:10:49, in Italia, visitato 1186 volte)
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Di Fabrizio (del 17/12/2012 @ 09:08:19, in Europa, visitato 1451 volte)

da Czech_Roma

Budapest, Hungary, 3.12.2012 17:17, Spiegel: la retorica dell'estrema destra ha toccato il fondo Czech Radio, translated by Gwendolyn Albert

La radio ceca ha pubblicato una traduzione dal tedesco in ceco di un articolo messo online dalla rivista der Spiegel, riguardo l'estrema destra in Ungheria (QUI l'originale in tedesco, ndr.). Secondo la rivista il parlamentare ungherese Márton Gyöngyösi del partito di estrema destra "Movimento per un'Ungheria Migliore" (Jobbik) ha dichiarato settimana scorsa in parlamento che, dato che i cittadini di origine ebraica rappresentano un "rischio alla sicurezza", si dovrebbe compilare un elenco nazionale dei loro componenti. Riporta der Spiegel: "Le sue dichiarazioni hanno sollevato un'enorme ondata di indignazione, ma il governo del primo ministro Viktor Orbán ha preso le distanze molto lentamente dal parlamentare."

Secondo il settimanale, ogni tentativo di discussione con Gyöngyösi si muta in un'estenuante maratona di relativismo. "Non sono un antisemita," rivendica, "ma dovete riconoscere, che quegli ebrei..." ecc. "Non sono neanche contro il popolo romanì, ma conoscete gli zingari... e non sono nemmeno un estremista che opera per una dittatura, ma dovete ammettere che la liberaldemocrazia ha fallito..." Sono le argomentazioni di questo economista trentatreenne, ex consulente fiscale. Der Spiegel riferisce che non è un estremista di destra.

Gyöngyösi è vice-presidente del gruppo Jobbik in parlamento. Il partito ha ottenuto un abbondante 17% alle elezioni del 2010. Oggi il partito, nel paese è il terzo per grandezza, conta 47 seggi sui 386 in parlamento.

I genitori di lavoravano per ua società ungherese di commercio con l'estero. Il nazionalista di oggi ha passato la sua infanzia in Afganistan, Egitto India e Iraq. Jobbik come conseguenza l'ha reso il proprio portavoce sulla politica estera.

"Gyöngyösi a volte nasconde malamente il suo piacere nella tattica di non rispondere alle domande. Evidentemente si considera l'asso diplomatico nel suo partito," riporta der Spiegel.

Però, la sera di lunedì scorso ha finalmente deciso di parlare in parlamento in modo chiaro ed intelleggibile. Nel corso di un dibattito sull'offensiva israeliana nella striscia di Gaza, ha suggerito la registrazione di tutti gli ebrei ungheresi. Ha poi chiarito, che "gli ebrei, specialmente se sono al governo o nel parlamento, devono essere considerati un potenziale rischio alla sicurezza dell'Ungheria." Rivolgendosi al vice ministro agli esteri, Zsolt Németh, ha detto: "Ritengo che una lista simile sarebbe importante soprattutto per l'Ungheria." Németh, diplomatico di carriera nel partito di governo FIDESZ, non ha risposto né con critico né con rifiuto a questa sfida, e neanche sembrava molto infastidito. Ha soltanto detto che "il numero di ebrei nel parlamento ungherese non ha niente a che fare col grave conflitto in Medio Oriente."

"Alla  camera s'è svolto un dibattito puramente nazionalsocialista," ha dichiarato da Budapest lo storico Krisztián Ungváry. Secondo lui, Jobbik si è identificato completamente coi dogmi razzisti del nazismo. Altri partiti estremisti in Europa non scoprono le loro carte così facilmente.

Rappresentanti delle organizzazioni ebraiche, politici ed attivisti civili hanno reagito alle dichiarazioni di Gyöngyösi con enorme indignazione. Martedì scorso diverse centinaia di manifestanti si sono riuniti di fronte al parlamento, indossando stelle gialle per dimostrare contro il "fascismo strisciante" nel parlamento ungherese. Slomó Köves, presidente del Consiglio Unito delle Comunità Ebraiche di Ungheria, è convinto che Gyöngyösi debba essere perseguito per le sue dichiarazioni.

Non sarebbe la prima volta che il controverso politico si scontra con la legge. La scorsa primavera Attila Mesterházy (capo del Partito Socialista), aveva sporto denuncia nei suoi confronti per aver negato l'Olocausto. Gyöngyösi rigetta l'esistenza di qualsiasi legame tra le posizioni del suo partito e l'ideologia nazista. Der Spiegel riferisce che mente clamorosamente quando fa affermazioni simili.

Ad esempio, nell'archivio online della televisione N1, c'è un filmato in cui alcuni membri di Jobbik chiamano Adolf Hitler "uno dei più grandi statisti del XX secolo". La scorsa primavera, un altro parlamentare di quel partito ha ricordato in parlamento il centotrentesimo anniversario del presunto omicidio da parte degli ebrei di una ragazza cristiana di 14 anni nel villaggio di Tiszaeszlár. Allora lo scandalo scioccò l'Austria-Ungheria e nella regione ci furono pogrom periodici tra il 1882 e il 1883. L'estate scorsa venne escluso da Jobbik il deputato Csanád Szegedi, apertamente antisemita ma di cui erano venute alla luce le sue origini ebraiche.

Ungváry ha detto a Spiegel che le dichiarazioni di Gyöngyösi non lo sorprendono. "Ho insistito per anni sul fatto che Jobbik fosse un partito neonazista, nella tradizione delle Frecce Incrociate, il partito nazista che governò l'Ungheria ai tempi di Horthy alla fine della II guerra mondiale. Il punto chiave della nostra scena politica, tuttavia, e la mancanza di volontà da parte del governo di fare qualcosa su Jobbik. L'atteggiamento del governo è codardo, passivo e scandaloso," ritiene lo storico. Secondo lui esistono diverse frange di neonazismo nell'Europa centrale, ma la maggior parte delle nazioni stanno prendendo le distanze da tendenze simili. Tuttavia, in Ungheria i partiti politici non hanno agito, fino a quando le organizzazioni ebraiche non hanno iniziato a protestare con forza martedì scorso. Ricorda der Spiegel che le loro reazioni ricordano troppo una superficiale penitenza.

I blogger che scrivono sul portale di notizie più letto in Ungheria, index.hu, hanno sottolineato che le parole di condanna usate in questo caso, sono esattamente le stesse adoperate in molti altri casi recenti. Nessuno del governo si è preso il tempo per formulare una nuova dichiarazione. Secondo gli esperti della politica lo stesso Fidesz, il partito più forte, sta spostandosi a destra - comprensibili i suoi sforzi per attrarre i votanti di Jobbik, ma il prezzo politico che stanno pagando è troppo alto.

Lo scorso settembre il premier Orbán di fronte agli storici monumenti nel villaggio di Ópusztaszer ha tenuto un discorso, in cui faceva appello alla sacrosanta natura del sangue e della terra ungheresi. Der Spiegel specifica che le opere di autori antisemiti sono state recentemente aggiunte alla lista di letture obbligatorie nelle scuole.

Nel corso della settimana scorsa, Jobbik ha cercato di correggere la portata dello scandalo causato dal suo parlamentare, sostituendo la parola "ebrei" col termine "Israeliani". Gyöngyösi ha inviato una dichiarazione ai media, affermando che non intendeva che si compilasse una lista dei membri ebrei nel governo e nel parlamento, ma una lista di quanti avessero contemporaneamente la cittadinanza ungherese e quella israeliana. Ha quindi porto la mano ai concittadini ebrei, chiedendo perdono. Antal Rogán, presidente del gruppo degli eletti Fidesz, ha intanto compiuto i passi preliminari per introdurre sanzioni contro future dichiarazioni simili.

In realtà, Jobbik non ha intrapreso alcuna inversione ideologica. Subito dopo lo scoppio dello scandalo, Elöd Novak (parlamentare Jobbik) ha chiesto le dimissioni della collega Katalina Ertsey, che ha la doppia cittadinanza ungherese ed israeliana. Secondo le notizie odierne, Novak si è lamentato tramite una conferenza stampa tenutasi a Budapest che "Israele ha più parlamentari nel parlamento ungherese che alla Knesset". L'attacco alla parlamentare, che fa parte del partito ambientalista "Un'Altra Politica è Possibile" è avvenuto a soli quattro giorni dalla ripugnante iniziativa di Gyöngyösi. Questa settimana Novak ha inviato una mail a tutti i parlamentari, invitandoli a schierarsi pubblicamente contro l'opzione della doppia cittadinanza.

Inoltre, i parlamentari di Jobbik intendono pubblicare una lista dei posti in Ungheria dove sono stati investiti "capitali israeliani". Chiedono anche che vengano tivelati gli importi di questi investimenti. Il partito dell'estrema destra intende anche pubblicare i trattati interstatali stipulati con Germania e Polonia. Il capo di Jobbik, Gábor Vona, nato Gábor Zázrivecz e di origini slovacche, sostiene che in questi trattati esistano postille segrete tra Berlino, Budapest e Varsavia, per chiedere a mezzo milione di ebrei residenti in quei territori di sgomberare in caso di emergenza.

Riporta der Spiegel: "I rappresentanti delle organizzazioni ebraiche intendono protestare domani in parlamento contro il crescente antisemitismo. Chiedono che i parlamentari si uniscano a loro."

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Di Fabrizio (del 17/12/2012 @ 09:11:00, in Kumpanija, visitato 1627 volte)

Arriva il 2013, con un regalo da MAHALLA

E' un libro che nessuno ha voluto, e non avevo voglia di inseguire altri possibili editori. A vostro rischio quindi, potete leggerlo come, quando, dove e perché vorrete. Non ho fretta.

Cocci, un po' perché ultimamente mi sento sempre più a pezzi (ma non sono l'unico, vedo), un po' perché è fatto da pezzetti di articoli disseminati lungo tutto il 2012 che volge al termine, e volevo vedere se riuniti assieme questi cocci potevano avere una logica. Non è detto: magari sono soltanto degli spunti, o neanche quello.

Sono circa 40 pagine, l'introduzione è di Alberto Maria Melis. Dite cosa ne pensate, suggerite, criticate (sono accette anche le critiche più feroci, non sono accetti i TROLL), QUA (magari leggetelo prima, però)

Buona lettura a chi ci darà un occhio, a tutti gli altri (e anche a chi lo leggerà) BUON ANNO e BUONE FESTE.

scarica il file .pdf

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Di Fabrizio (del 18/12/2012 @ 09:05:53, in media, visitato 1279 volte)

Osservatorio Balcani e Caucaso di Federico Sicurella | Belgrado 14 dicembre 2012 (in foto: Off-frame www.off-frame.org)

Il teatro come strumento di inclusione sociale. E' questo il tema sul quale ha lavorato quest'anno il festival "Fuori dagli schemi" di Belgrado. Affrontando la tensione tra il promuovere l'integrazione dei gruppi marginali e il rischio che la loro 'rappresentazione' possa invece rafforzare lo stigma

Van okvira, fuori dagli schemi. Si chiama così il festival regionale del teatro sociale che si è svolto in questi giorni a Belgrado. Č un nome che si presta a un curioso bisticcio linguistico, che è ricorso spesso nei discorsi di contorno suscitando più di qualche risolino. 'Nell'ambito del festival Van okvira' si dice infatti 'u okviru festivala Van okvira', che è una specie di contraddizione in termini, traducibile come 'nella cornice del festival Fuori dalla cornice'.
Č un bisticcio rivelatore, perché mette in luce la tensione fondamentale sottesa al teatro sociale: quella tra la volontà di promuovere l'integrazione dei gruppi marginali della società e il rischio che la loro 'rappresentazione' possa invece contribuire a rinsaldare i margini e rafforzare lo stigma. Una questione che le persone coinvolte nel festival hanno avuto la saggezza e il coraggio di affrontare apertamente.
Persone con invalidità, non-vedenti e ipovedenti, sordomuti, utenti di servizi psichiatrici, veterani delle guerre jugoslave, minoranze etniche (tra cui i rom), individui LGBT, anziani, lavoratrici sessuali, donne vittime di violenza. Sono queste le categorie di persone con cui gli organizzatori e le organizzatrici del festival Van okvira di quest'anno hanno provato a elaborare il tema del teatro come strumento e campo di inclusione sociale.
L'incontro tra arte e marginalità ha preso varie forme. Ovviamente quella teatrale, con spettacoli che hanno visto la partecipazione di persone appartenenti ai suddetti gruppi emarginati. Ma anche quella didattica e informativa, con lezioni e presentazioni tenute da esperti sia locali che internazionali. E infine quella esplorativa, con un ciclo di incontri partecipativi sulle forme attuali e possibili dell'arte socialmente impegnata nella regione post-jugoslava.

'La sensualità delle vite disperate'
Gli spettacoli messi in scena nell'ambito di Van okvira sono soprattutto produzioni indipendenti, nate dalla collaborazione tra professionisti del teatro e le associazioni e i movimenti che rappresentano gruppi soggetti ad esclusione sociale.



Lo spettacolo Cabaret dietro lo specchio (Kabare "Iza ogledala"), ad esempio, ha come protagoniste delle lavoratrici sessuali transgender di Belgrado, e si propone di descrivere senza eufemismi le norme sociali, ma anche politiche e legali, che determinano la loro esistenza e ne influenzano il benessere. SS e più in alto ancora (SS and above) rappresenta invece le sfide con cui le persone con invalidità si confrontano ogni giorno, a partire dalla difficoltà di entrare in una relazione alla pari con le persone cosiddette 'normali'. I due personaggi, un uomo e una donna, si muovono a fatica sotto lo sguardo clinico di un osservatore esterno e invisibile, come due cavie da laboratorio. Prendono gradualmente confidenza con il proprio corpo, e poi con il corpo altrui, ma l'agognato incontro finale, invece che essere liberatorio, genera ancora più sofferenza e frustrazione.
Lo spettacolo Maschioni (Muškarčine), vero successo di pubblico, vede otto ragazzi poco meno che ventenni prendersi gioco delle definizioni di 'maschio vero' dominanti nella società serba. La trasgressione è rappresentata come un continuo entrare e uscire da degli scatoloni di cartone, i gender box.
Alla leggerezza e al tono canzonatorio di Maschioni fa da contrappunto la forte inquietudine che suscita la rappresentazione Spettacolo (che non s'intitola fighe con le palle girate) [Predstava (koja se ne zove "pičke u kurcu")]. Due ragazze sedute a un tavolo leggono composte un testo femminista. All'improvviso una delle due ribalta il tavolo, e la situazione degenera in una spirale di sfoghi emotivi, oscenità corporee e momenti disturbanti. Ciò che lo sguardo conformista tende a congedare come 'scenata isterica' qui diventa confronto ineludibile con la natura problematica della posizione della donna nella società attuale. E quando alla fine dello spettacolo si spengono le luci, le cose non sono più come prima.
Il teatro sociale è, per propria natura e vocazione, un teatro 'senza censura', proprio perché ambisce a rendere visibili e mettere in discussione proprio le forme di censura e discriminazione cui sono soggetti tutti coloro che si discostano dalla 'tirannia della normalità'. Tuttavia, portare in scena la marginalità e la 'stranezza' (ovvero ciò che non aderisce alle convenzioni) porta con sé un pericolo. Quello che la rappresentazione diventi attrazione (da parata o da circo), e che all'intento pedagogico e politico si sostituisca la curiosità morbosa del pubblico. Ed è forse proprio qui che entra in gioco l'arte, chiamata a mediare tra la volontà di esprimere un messaggio e il rischio che la visibilità si riduca a voyeurismo.
Marko Pejović, uno degli ideatori di Van okvira, mi invita a considerare anche un altro aspetto: 'Sono successe cose che non ci aspettavamo. Ad esempio una lavoratrice sessuale transgender, protagonista del primo spettacolo in scaletta, era presente tra il pubblico degli spettacoli dei giorni seguenti. Questo significa che qui si è sentita al sicuro, al riparo dalle discriminazioni'. Come a dire che l'inclusione avviene anche, e forse soprattutto, fuori dai riflettori.

Il teatro sociale nel contesto post-jugoslavo
Chiedo a Marko quale sia per lui il senso di fare teatro sociale. In particolare, lo invito a riflettere proprio sul rischio che la rappresentazione della marginalità possa avere effetti controproducenti, in un contesto segnato da forti discriminazioni come quello post-jugoslavo. La sua risposta è lucida e misurata: 'La società si evolve per gradi. Il primo passo è l'identificazione del problema, ovvero la consapevolezza dell'esclusione sociale e della privazione di diritti. Noi ci troviamo ancora in questa fase. In questo senso, il festival ha come proposito quello di offrire ai gruppi emarginati uno spazio per esprimersi artisticamente. Nel passato siamo riusciti a dimostrare che anche una persona paraplegica può fare danza contemporanea. Č quello che questo festival fa anche oggi: rompe le barriere'.



Il progetto Van okvira coinvolge persone ed associazioni provenienti da vari paesi della regione, in particolare Croazia e Bosnia Erzegovina. Mi interessa sapere se ci siano energie sufficienti per stabilire una collaborazione efficace a livello regionale. O se invece la dimensione regionale del festival non sia soprattutto l'effetto delle politiche dei donatori, che spesso la impongono come requisito imprescindibile.
Marko precisa subito che la decisione di coinvolgere soggetti provenienti da altri paesi non è il risultato di una pressione esterna, ma scaturisce invece dalla volontà di raccogliere esperienze diverse. Ammette poi che nell'ambito del teatro sociale le reti di collaborazione non sono molto sviluppate. Ma aggiunge: 'Non sono particolarmente interessato alle produzioni teatrali socialmente impegnate che si sono già 'istituzionalizzate' e che circolano per la regione. Trovo più interessanti le iniziative minori e indipendenti, le organizzazioni che raccontano cose nuove e fresche, e che anzi spesso non sanno neanche bene che cosa raccontano. Č a loro che ci rivolgiamo'.

Come avviene il cambiamento?
Prima di congedarci, Marko mi spiega cosa lo ha portato ad occuparsi della promozione del teatro sociale. La sua passione è nata a seguito di due eventi: un'operazione agli occhi, che lo ha costretto a un periodo di cecità temporanea durante il quale si è accorto degli enormi ostacoli che segnano la vita delle persone non-vedenti. E un incontro con dei veterani delle guerre degli anni '90 (anche il fratello di Marko è un veterano) che hanno espresso il desiderio di esprimersi attraverso il teatro. Due momenti che per Marko hanno costituito una specie di illuminazione.
C'è un concetto, sviluppato dalla filosofa sociale Nomy Arpaly, che descrive bene l'esperienza di Marko: dawning (alba, epifania). Scrive Arpaly (2003): 'L'epifania è forse il modo principale in cui le persone cambiano idea, specialmente riguardo ai temi che ritengono importanti. [...] Sono poche le persone che abbandonano pregiudizi razzisti, per esempio, a seguito di un processo di deliberazione. Č più frequente che l'irrazionalità dei loro pregiudizi appaia loro 'come un'alba' dopo aver trascorso abbastanza tempo con persone della razza in questione, ed essersi accorti, passo a passo, di assomigliarsi molto'.
Il senso del teatro sociale è forse soprattutto questo: creare occasioni di incontro tra persone che 'normalmente' conducono esistenze separate e spesso segregate. E favorire così il manifestarsi di qualche piccola alba.

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Di Fabrizio (del 18/12/2012 @ 09:09:16, in Italia, visitato 1688 volte)

Corriere Immigrazione 18 novembre 2012 Gabriella Grasso - Foto di Anita Piroddi

L'arte puo' cambiarti la vita: anche se abiti in una baracca, in un campo rom. Parola di una giovane pittrice, Rebecca Covaciu.

A giudicare dall'accoglienza che riceve quando presenta il suo libro e dai nomi delle persone che lo presentano con lei (Lella Costa, Lorella Zanardo, Don Gino Rigoldi...), si direbbe che fa piu' per la cultura rom questa ragazzina di 16 anni che un qualunque giornalista, scrittore, antropologo. Rebecca Covaciu e' nata in Romania, ha vissuto in Sud America e in Spagna, poi con la famiglia e' approdata a Milano, dove per anni ha dormito dove capitava: in una baracca, all'aperto. Quando si e' presentata al liceo artistico Boccioni per iscriversi, ha portato con se' un quaderno pieno di disegni colorati, ognuno dei quali accompagnato da qualche parola: il suo diario. Lo ha consegnato al preside e ora questo piccolo capolavoro e' stato pubblicato, accompagnato da un testo che racconta la sua vita: si intitola L'arcobaleno di Rebecca (UR editore, euro 11,70, sito: www.rebeccacovaciu.it).
Rebecca dipinge e vende i suoi lavori sui Navigli, studia, va a parlare nelle scuole, rilascia interviste ai media. Parla con la saggezza di un'adulta, sorride con la spontaneita' una bambina.

Che effetto ti fa essere intervistata, applaudita...
"Sono molto felice, perche' finalmente una ragazza rom riesce a parlare della propria cultura, a dire che anche noi siamo esseri umani. Essere applaudita mi fa sentire al cuore un'emozione positiva. Anche i miei genitori sono contenti: loro non hanno studiato e sono molto fieri di me".

Com'e' il tuo rapporto con i compagni di scuola?
"Alle medie e' stata dura perche' non mi hanno accolto bene, dicevano che ero una zingara e rubavo. Io mi sentivo male, mi chiedevo: perche' devo essere discriminata perche' sono nata cosi'? Ma adesso al liceo artistico va bene, perche' tutti gli artisti hanno una parte buona nel cuore... ".

Come descriveresti i tuoi coetanei italiani?
"Sono aperti, semplici... in Romania gia' a 14 anni i ragazzi hanno una mentalita' quasi da adulti, pensano a lavorare. Qui fanno una vita piu' ricca, sono puliti, hanno vestiti di marca, l'iPod...".

Cosa rispondi quando ti chiedono di dove sei?
"A volte dico che vengo dalla Romania, perche' e' piu' facile che dire di essere rom... I rom non hanno stabilita', non hanno una terra. Pero' io mi sento una rom di Romania".

Come ti piacerebbe che cambiasse l'atteggiamento degli italiani nei confronti del tuo popolo?
"Vorrei che fossero piu' pazienti, specie nei confronti dei bambini. Che comunicassero con loro, prima di giudicare".

Molti pensano che ai rom non piaccia abitare nelle case.
"Non e' cosi': chi li vede nelle baracche crede che vogliano stare li'. Ma la verita' e' che arrivano dalla Romania, dalla Spagna, non hanno un soldo in tasca, e dove posso andare? Sarebbe diverso se la legge prevedesse l'assegnazione di una casa. Noi in Romania ne avevamo una, ma a Milano abbiamo sempre abitato nelle baracche. Da poco, abbiamo una casa: ma mancano le finestre, il riscaldamento, le piastrelle per terra. Non e' facile viverci, ma sono contenta che Dio ci abbia dato un tetto sulla testa, per non provare piu' la pioggia e il freddo".

Un tempo chiedevi anche tu l'elemosina...
"Chiedere aiuto ti fa vergognare: all'inizio e' difficile, poi ti ci abitui. Spesso, pero', non ti aiuta nessuno. E a volte ti gridano: "Vai a lavorare, non ti vergogni?" e in quel momento tu non sai cosa dire, perche' hai bisogno e sei obbligato fare l'elemosina. A me spiace in particolare per quelli che fanno l'elemosina perche' non hanno le gambe... al posto di dargli una moneta, sarebbe bello che qualcuno gli desse una casa, che ci fosse un posto dove potessero vivere: gli servirebbe anche ad aprire la mente, perche' loro pensano che l'unica possibilita' che hanno e' la strada".

Tu come l'hai aperta la tua mente?
"Con la fede in Dio e nel Vangelo. Da noi non vieni battezzato da piccolo: quando sei adulto sei libero di scegliere la tua religione. Io ho scelto quella Evangelica Pentecostale".

Parliamo di pittura: cosa rappresenta per te?
"La mia arte e' semplice come una preghiera. I colori sono importanti per mostrare la tristezza e la felicita': quando uso quelli scuri significa che sono triste, quelli chiari esprimono gioia. Quando dipingo e' come se entrassi dentro al quadro, penso a delle cose felici e vorrei che quello che disegno succedesse nella realta'. Mi sento piu' rilassata".

Cosa pensano i tuoi amici rom di quello che ti sta accadendo?
"Di miei coetanei, a Milano, ne sono rimasti pochi: sono tutti partiti perche' non avevano un posto dove dormire. Ma i ragazzi piu' grandi che vivono ancora qui sono contenti che io parli della nostra cultura. Nel nostro cortile, poi, ci sono tanti africani e quando mi hanno visto al Tg3 mi hanno detto: "Brava che hai parlato di tutti gli stranieri!". Quasi piangevano dalla gioia. E questo mi ha reso felice".


I colori della vita. La storia di Rebecca Covaciu a "Nel cuore dei giorni"

Video Tv2000it

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Di Fabrizio (del 19/12/2012 @ 09:08:10, in lavoro, visitato 1190 volte)

MEDIAROMA Progetto di una ricicleria a Yalova

Il progetto chiamato "Rinfrescarsi la mani col riciclo", curato dal comune e dall'università di Yalova, dal dipartimento di polizia e da İŞ-KUR adn ÇEVTEM, ha lo scopo dichiarato di migliorare lo stato delle famiglie rom che vivono nel quartiere Bağlarbaşı di Yalova (Marmara, Turchia). Le famiglie campano della raccolta di cartoni e rottami sperano di essere informati con più precisione su vantaggi e svantaggi del progetto.

La sua prima presentazione si è svolta nell'aula assembleare del comune. Secondo le dichiarazione, nessuno sarà obbligato a prendere parte al progetto. Chi lo farà, consegnerà cartoni e metalli agli incaricati comunali del quartiere, invece di rivenderli ai negozi. Saranno pagati in contanti e giornalmente.

Sono molte le famiglie rom in tutta la Turchia a vivere di queste raccolte. E' un lavoro che si svolge in condizioni difficili. Queste famiglie sottolineano di essere aperte ad ogni offerta che permetta il miglioramento delle loro condizioni, purché l'offerta venga spiegata completamente.

Source: İHA

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