Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
Di Fabrizio (del 08/11/2008 @ 09:28:59, in Italia, visitato 2251 volte)
Ricevo da Veniero Granacci
INCONTRO PUBBLICO DI RIFLESSIONE GIOVEDI 13 NOVEMBRE 2008 – Ore 21.00 a Metromondo: Via Ettore Ponti, 40 Milano "Il razzismo è un cancro dell'umanità" ESPERIENZE DIRETTE DI VITA A CONFRONTO... Partecipano: · HADIARA GUIEBRE, sorella di Abdoul, il giovane di origine del Burkina Faso ucciso a Milano; · PAOLA DELL’ERBA, artista-cantante, argentina; · DIJANA PAVLOVIC, attrice-mediatrice culturale, romnì serba. Conduce: PAP KOUMA, scrittore senegalese. L’incontro sarà preceduto dalla proiezione di un breve documentario a tema, a cura del collettivo Cineforum di Metromondo.
ARCI METROMONDO Via Ettore Ponti, 40 - 20143 Milano - tel./fax 0289159168 metromondo@tin.it www.metromondo.it IN COLLABORAZIONE CON ANPI BARONA http://anpibarona.blogspot.com/
Di Fabrizio (del 09/11/2008 @ 08:52:08, in Italia, visitato 2109 volte)
Ricevo da Flora (QUI
il file.pdf)
Università degli Studi di Firenze - Facoltà di Giurisprudenza
Da qualche secolo la coesistenza con "zingari", "nomadi", "Rom" è un problema
irrisolto della società europea. Inconciliabile "diversità culturale"?
Irriducibile
pregiudizio e intolleranza? Qualunque prospettiva si adotti, è inevitabile
osservare come l'azione politica si trovi a ricorrere agli strumenti del
diritto, confrontandosi con i suoi vincoli e limiti.
In otto incontri, aperti a tutti, chi voglia comprendere cosa gli Stati hanno
fatto, e possono fare, rispetto alla "questione zingara", avrà a disposizione
un'occasione di confronto con persone che, da vari punti di osservazione, hanno
cercato di interpretare fatti e contesti.
Gli incontri si svolgono presso il Polo delle Scienze Sociali di Novoli,
palazzina D5, aula 0.10.
Per informazioni:
Università degli Studi di Firenze
Dipartimento di Diritto Comparato
e Penale, via delle Pandette 35,
50127 Firenze
e-mail: francesca.mariani@unifi.it
LEZIONI APERTE
Venerdì 14 novembre, ore 12.00, "Modernizzazione giuridica e 'questione
zingara' nella formazione degli ordinamenti europei", lezione introduttiva di
Alessandro Simoni.
Sabato 15 novembre, ore 9.00, "L'identità rom nella prospettiva dei
giuristi: esiste una specificità italiana?", lezione introduttiva di
Alessandro Simoni.
Giovedì 20 novembre, ore 12.00, "Una libertà ripugnante? Mendicità, Rom e
politiche di 'legalità urbana' in Italia, Inghilterra, Francia e Stati Uniti",
lezione-discussione con Alessandro Simoni.
Venerdì 21 novembre, ore 12.00, "Una pregiudiziale antizingara nella
cultura delle istituzioni?", lezione-discussione con Eva Rizzin,
OsservAzione. Centro di ricerca azione contro la discriminazione di Rom e Sinti.
Sabato 22 novembre, ore 9.00, "Le ordinanze 'emergenza nomadi': diritto,
anti-diritto o politica?", lezione-discussione con Nazzarena Zorzella,
avvocato in Bologna, e Costanza Hermanin, Ricercatrice, Istituto Universitario
Europeo.
Giovedì 27 novembre, ore 12.00, "La mitologia antizingara e la macchina
del diritto", lezione-discussione a partire dal volume di Sabrina Tosi
Cambini, La zingara rapitrice. Racconti, denunce, sentenze (19862007), Roma,
CISU, 2008. Partecipano l'autrice e Carlotta Saletti Salza, antropologa,
Università di Torino.
Venerdì 28 novembre, ore 12.00, "La costruzione del 'problema zingaro' e
la partecipazione politica di Rom e Sinti", lezione-discussione con Nando
Sigona, ricercatore presso il Refugee Studies Centre, University of Oxford .
Sabato 29 novembre, ore 9.00, "I Rom e lo Stato. Una prospettiva
storico-antropologica", lezione-discussione con Leonardo Piasere,
professore di antropologia culturale nell'Università di Verona.
Di Fabrizio (del 09/11/2008 @ 09:25:42, in Italia, visitato 2375 volte)
(AGO PRESS) "La Zingara rapitrice" è il tema di una conferenza stampa che si terrà lunedì 10 ottobre (alle 12.30 ndr) a Roma presso la sala Marconi della Radio Vaticana. Promossa dalla Fondazione Migrantes, sarà l'occasione per presentare una ricerca commissionata al Dipartimento di Psicologia e Antropologia Culturale dell’Università degli Studi di Verona sui presunti tentati rapimenti, addebitati ai rom nell’arco di tempo che va dal 1986 al 2007 in Italia. I casi sono stati individuati e analizzati partendo dalle notizie fornite dalla stampa nazionale e esaminati attraverso la consultazione dei fascicoli nei diversi tribunali italiani. Il risultato principale che emerge dalla ricerca è che "non esiste alcun caso in cui viene commesso un rapimento. Nessun esito, infatti, corrisponde ad una sottrazione dell’infante effettivamente avvenuta e provata oggettivamente. Anche laddove si apre un processo, il fatto contestato viene sempre qualificato come delitto tentato e non commesso, le cui circostanze aprono ad una complessa valutazione - all’interno della quale possono a volte far capolino le categorie del senso comune - dell’esistenza o meno della volontà dolosa".
Durante la conferenza stampa saranno presentati anche i dati di un’altra ricerca volta a verificare quanti bambini figli di rom e sinti siano stati dati in affidamento e/o adozione dai tribunali dei minori italiani a famiglie "gagè", non zingare.
Di Fabrizio (del 10/11/2008 @ 09:46:49, in Italia, visitato 1501 volte)
Da
Chiesa Evangelica Zigana in Italia
L'Espresso- Repubblica di Sandro Mortari: Basta raduni dei sinti al
Migliaretto
Il Comune ha destinato l’area solo a manifestazioni sportive!
Basta mega raduni al Migliaretto con tanto di tendone sotto il quale si radunano
centinaia di persone, come ogni anno succede, sul finire dell’estate, con i
sinti evangelici. Porte sbarrate anche per i turisti che arrivando a Mantova in
camper decidessero di occupare le piazzole attrezzate con luce e acqua corrente.
D’ora in poi quell’area attigua ai campi di calcio, rugby, atletica e agli
impianti di tiro a segno e per il motocross avrà un uso esclusivamente sportivo.
L’unica eccezione sarà fatta per le roulottes e gli autocaravan degli esercenti
che installeranno le loro giostre, bancarelle e attrazioni varie al luna park
del Te, in occasione della fiera di Sant’Anselmo. Ma solo per quanto riguarda
l’occupazione dell’area attrezzata.
Tutto il resto dell’area (ad eccezione del sedime recintato, considerato
ancora aeroporto dall’Ente nazionale per l’aviazione civile) sarà off limits. O
meglio, potrà essere utilizzato solo in funzione delle manifestazioni sportive
che verranno organizzate dalle società che gestiscono gli impianti sportivi
nella zona.
Il giro di vite è stato deciso dalla giunta comunale dopo che il raduno della
missione evangelica zigana dello scorso settembre aveva costretto i dirigenti
del rugby Mantova e Viadana ad annullare il tradizionale torneo dei due fiumi.
La decisione da parte delle due società sportive era stata presa perché 200
camper e più di 400 persone arrivati da tutt’Italia per il raduno annuale degli
evangelici sinti avevano ridotto di molto gli spazi attorno agli impianti
sportivi, abitualmente utilizzati da chi li frequenta. Inoltre, vari
sopralluoghi della Polizia comunale avevano accertato la pericolosità per la
circolazione pedonale e veicolare. Una situazione che solitamente si prolunga
per due settimane, da metà a fine settembre. «Era un atto dovuto - dice
l’assessore allo sport Fabio Aldini -. Le esigenze delle società sportive
andavano salvaguardate. Se l’assemblea della missione evangelica zigana chiederà
di venire a Mantova anche l’anno prossimo troveremo un’altra area».
La delibera della giunta comunale parla chiaro: dopo aver stabilito «la
vocazione prevalentemente di natura sportiva e ricreativa» del Migliaretto,
viene vietato l’utilizzo di quell’area «per qualsiasi manifestazione che non
abbia carattere sportivo, ad eccezione dell’area attrezzata per la sosta dei
caravan e delle roulottes utilizzate dagli operatori esercenti lo spettacolo
viaggiante».
(02 novembre 2008)
Di Fabrizio (del 10/11/2008 @ 11:08:54, in Italia, visitato 1762 volte)
Ricevo da Tommaso Vitale
Il Coordinamento Rom (ACLI; Arci; Associazione Liberi; Associazione Nocetum; Associazione Oltre il Campo; Aven Amenza; Caritas Ambrosiana; CGIL
Milano; Comitato per le libertà e i diritti sociali; Comitato Rom e Sinti
Insieme; Comunità S.Egidio; Fondazione Casa della Carità; Gruppo Abele; Naga;
Opera Nomadi; Padri Somaschi) organizza un
Incontro con le associazioni e con gli operatori del diritto su:
Combattere la discriminazione strutturale contro i ROM: cause
strategiche e ruolo della società civile
con
Lilla Farkas Avvocato esperto in tutela dei diritti umani,
Componente del Network of Independent Experts in the Non-discrimination Field
della Commissione Europea e dell’ Hungarian Equal Treatment Authority
e
Mariana Berbec Rostas Associate Legal Officer for Legal Capacity
Development Program, Legal Aid and Community Empowerment Clinics della Open
Society Justice Initiative
Camera del Lavoro di Milano
corso di Porta Vittoria 43
Sala De Carlini
12 novembre 2008 Ore 19.30
L’incontro sarà l’occasione per riprendere la discussione sulla
costituzione a Milano di un Osservatorio sui diritti fondamentali, sui possano
aderire operatori del diritto, docenti ed esperti che intendono far valere gli
strumenti legali di lotta alla xenofobia, al razzismo e alle discriminazioni e
di tutela dei diritti fondamentali.
Di Fabrizio (del 10/11/2008 @ 14:09:33, in Italia, visitato 1856 volte)
Da
Il Secolo XIX
Uno dei ragazzini aveva subito un furto in casa e ha dato la colpa ai
circensi
I luoghi comuni, gli stereotipi sono difficili da cambiare. Un ragazzino di 16
anni giorni fa aveva subito un furto in casa. Con un’ardita associazione mentale
ha pensato immediatamente agli zingari. E quando ha visto il cartello
pubblicitario di un circo ha dato subito la colpa a loro. E, insieme ad un
amico, ha subito escogitato una vendetta: lanciare una molotov contro il
tendone.
E’ questa l’assurda motivazione data per “giustificare” una cosa tanto grave.
Poteva essere una strage, ma per fortuna non è andata così. Dopo la paura, i
lavoratori del circo parlano tranquillamente con i cronisti. «Non abbiamo avuto
problemi con nessuno, la gente del posto ci saluta con cordialità, i nostri
bambini da una settimana frequentano le scuole della città. Non è la prima volta
che veniamo a Sarzana è una città accogliente dove ci siamo sempre trovati bene
- racconta una giovane donna con l’aria spaventata che ben interpreta lo stato
d’animo dei circensi che poi continua - Questa bravata poteva costare davvero
cara: se la bomba fosse stata lanciata di notte avremo potuto bruciare tutti
quanti, insieme ai nostri bambini».
«Il nostro è un circo grande, una cittadella recintata - dice Francesca Karoli,
contitolare del circo - Quel gesto poteva distruggere le nostre vite, il nostro
lavoro di anni di sudore. Giriamo l’Italia da anni e anche i paesi vicini, non
ci è mai accaduta una cosa tanto grave. Siamo sconvolti!». Dopo il lancio delle
molotov nel recinto dei cavalli tra la gente del circo Karoli si respira un’aria
di paura. L’ ordigno è stato gettato poco prima dello spettacolo pomeridiano che
ospitava un gran numero di bambini e le loro famiglie. Solo per un caso la bomba
non è esplosa: nella stalla, poco distante il tendone già gremito di persone, si
trovavano una trentina di cavalli ed è facile immaginare che se i quadrupedi si
fossero spaventati per lo scoppio dell’ordigno, all’interno dell’area del circo
sarebbe stato il caos.
I responsabili del gravissimo gesto, sono due ragazzini di 16 anni uno residente
a Sarzana e l’altro a Vezzano. Entrambi sono subito stati individuati dai
carabinieri che li hanno fermati e denunciati al Tribunale dei minori di Genova.
La cronaca della terribile giornata ha avuto inizio poco prima delle ore 17,
quando i due con gli scooter, si erano fermati in via Silea, proprio dietro il
grosso parcheggio della variante Aurelia (ex “area Gerardo”) dove in questi
giorni fa tappa il circo Karoli. Uno dei due, acceso l’innesco di una bottiglia
incendiaria, l’ha lanciata nell’area delle scuderie, dove si trovavano una
trentina di cavalli.
Poi sono fuggiti a tutta velocità. L’azione però è stata vista da un testimone
che è riuscito ad annotare – seppur in maniera parziale e confusa entrambe le
targhe. Per un caso fortuito la bottiglia, rimbalzata sul tetto della stalla e
caduta sul cortile, proprio in mezzo ai cavalli, non s’è rotta e quindi la
benzina contenuta non è esplosa.
Uno degli stallieri, vista la fiammata, è subito accorso e ha prontamente spento
l’ordigno. Immediata la chiamata al 112. Diramate le ricerche, i due ciclomotori
sono stati presto trovati. Infatti, due mezzi corrispondenti alla descrizione e
con le targhe compatibili a quelle parziali riportate dal testimone, erano
parcheggiati, col motore ancora caldo, uno a fianco all’altro nel parcheggio di
Porta Romana. I giovani proprietari erano poco distante, come nulla fosse, a
chiacchierare con alcuni amici presso il monumento di piazza Garibaldi, in pieno
centro a Sarzana.
Accompagnati in caserma, i ragazzini hanno subito confessato, permettendo anche
di ritrovare il panno usato per l’innesco e l’accendino che, insieme alla
bottiglia e ai due motorini, sono stati sequestrati. In caserma sono arrivati
anche i genitori dei giovani: non volevano credere a quello che avevano fatto i
loro figli. I due sedicenni sono accusati di fabbricazione, detenzione e porto
materiale esplosivo e tentato incendio doloso.
Di Fabrizio (del 11/11/2008 @ 08:55:50, in Italia, visitato 1840 volte)
Da
Roma_Italia
Giovedì 20 novembre 2008 - Ore 10.00
Provincia di Viterbo
Palazzo Gentili - Sala Conferenze
Via Aurelio Saffi, 49 Viterbo (VT)
www.24marzo.it
COSTITUZIONE DELLA REPUBBLICA ITALIANA Principi Fondamentali - Art. 3:
Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla
legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di
opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale,
che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il
pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i
lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
RAZZA = RAZZISMO
Riflessioni a settant’anni dalle leggi razziali
Daniela Santucci, ricercatrice dell’Istituto Superiore di Sanità "La biologia delle razze animali"
Marcello Gentili, avvocato penalista "La legislazione razzista italiana del 1938"
Vera Vigevani Jarach, scrittrice e Madre di Piazza di Maggio "La via dell'emigrazione degli ebrei in Argentina"
Giulia Spizzichino, della Comunità ebraica di Roma "La vita nel ghetto di Roma: dalle persecuzioni, alle deportazioni, alle Fosse
Ardeatine"
Giorgio Bezzecchi, Presidente Vicario Nazionale dell'Opera Nomadi "Le persecuzioni dei zingari italiani: dalle schedature ad Auschwitz"
Maurizio Pagani, Presidente della Opera Nomadi di Milano "Le politiche pubbliche verso le minoranze zingare"
Di Fabrizio (del 11/11/2008 @ 09:00:49, in Italia, visitato 1823 volte)
Ricevo da RETE MIGRANTI MILANO
Nessuno escluso! Milano città per tutti
Milano è la città in cui viviamo, lavoriamo o studiamo, qualcuno da sempre,
altri da tempi più recenti.
E' una città ricca di storia e di cultura, fiorente di attività e piena di
opportunità. E’ una città al passo con i tempi, in cui si possono ottenere
ottime cure sanitarie e scegliere i migliori istituti educativi. Milano è
una bella città, ma per pochi... meglio se in salute e con un cospicuo conto in
banca.
Per il resto della popolazione, la grossa fetta dei non privilegiati a cui gli
immigrati appartengono di diritto, il presente è faticoso, precario, ed il
futuro sempre più chiuso.
In questa città è facile soccombere all'onda mediatica diffamatoria nei
confronti del diverso, dell’indifeso, del “senza diritto” perché senza documenti
(o viceversa). Non lo è altrettanto riconoscere la ricchezza e il contributo che
gli immigrati danno ovunque. Più di altri dovrebbero saperlo i milanesi che oggi
si avvalgono, sempre di più, delle prestazioni lavorative e delle qualità umane
della popolazione immigrata (contributo al PIL lombardo dei lavoratori stranieri
10,7% - dati Ismu, osservatorio regionale, rapporto regionale
sull’immigrazione 04/2008).
E' sufficiente immaginare un solo giorno senza migranti a Milano per avere la
percezione dell'ampiezza del fenomeno immigrazione e per rendersi conto della
paralisi che ne scaturirebbe.
C'è un profondo divario tra questa visione del migrante come elemento
imprescindibile per lo sviluppo dell'economia e della vita cittadina, e
dell'immigrato come reietto, ultimo nella scala sociale di una città che con gli
“ultimi” sa essere spietata. Senza renderci conto che “ultimi” sempre più
velocemente, stiamo per diventarlo tutti.
Le retate sui mezzi pubblici, le ronde notturne, l'espulsione dagli alloggi, le
campagne contro le moschee, gli sgomberi violenti, la schedatura etnica di Rom e
Sinti, l'esercito nelle strade, la reclusione nei Cpt (Cie), la
criminalizzazione degli irregolari, i pestaggi, sono modalità che non si
addicono a chi proclama di avere a cuore la sicurezza della comunità.
Coloro che amano davvero questa città sentono l’urgenza e la necessità di
costruire un’alternativa a una Milano per pochi e lottano perché il diritto alla
salute, all'educazione, alla casa, al lavoro, a un reddito dignitoso, siano
diritti di tutti e vengano applicati senza discriminazione.
La Rete Migranti Milano riunisce diverse associazioni di migranti, forze
sociali, politiche e sindacali che, superando i particolarismi, lavorano insieme
a partire dal rifiuto di questo modello di città.
La campagna aspira a mettere in moto azioni permanenti che puntino a ricostruire
il tessuto sociale cittadino, nel tentativo di aprire il futuro e costruire un
nuovo modello di città solidale.
Nessuno escluso!
Milano città per tutti
E’ una campagna di denuncia, controinformazione e sensibilizzazione che sveli
l’inganno mediatico e persecutorio nei confronti dell'immigrato, capro
espiatorio e diversivo perché i cittadini non si occupino della drammatica
situazione sociale ed esistenziale in cui si trovano.
Che parte dai quartieri per costruire una rete solidale tra persone,
associazioni, comunità di stranieri affinché nessuno debba più sentirsi solo di
fronte a questa nuova violenta ondata di intolleranza.
Che propone un dialogo tra le differenti culture presenti in una città già
multietnica, affinché si chiudano le porte al razzismo e alla xenofobia.
Un’azione antirazzista permanente, nonviolenta e quotidiana, perché non è con la
violenza,il controllo e la repressione, che questa città diverrà più sicura.
Di Fabrizio (del 12/11/2008 @ 09:36:32, in Italia, visitato 2639 volte)
Ricevo da Eugenio
Viceconte
(L'avevo anticipato
QUI)
(2008-11-10)- L’ampia ricerca "Adozione di minori rom/sinti e sottrazione di
minori gagé" commissionata dalla Fondazione Migrantes al Dipartimento di
Psicologia e Antropologia culturale dell’Università di Verona e alla direzione
del Prof. Leonardo Piasere, si articola in due studi volti a rispondere a
differenti ma complementari interrogativi.
L’uno –– in corso di pubblicazione presso CISU – volto a verificare quanti
bambini figli di rom o sinti siano stati dati in affidamento e/o adozione dai
Tribunali per i Minori italiani a famiglie gagé, condotto da Carlotta Saletti
Salza. L’altro – già edito dallo stesso editore col titolo "La zingara
rapitrice. Racconti, denunce, sentenze (1986-2007) – sui presunti tentati
rapimenti di infanti non-rom da parte di rom, condotto da Sabrina Tosi Cambini.
Il progetto di ricerca "Adozione dei minori rom e sinti" prevedeva la raccolta
il più esaustiva possibile di dati documentati relativi all’affidamento e
all’adozione di minori rom e sinti a famiglie non rom da parte dei tribunali dei
minori italiani, nel periodo compreso tra il 1985 e il 2005, nonché un’analisi
dei dati raccolti. La scelta è stata quella di condurre una ricerca
sull’affidamento e sull’adozione dei minori rom e sinti a partire dai dati
relativi alle dichiarazioni di adottabilità che sono registrati presso le sedi
dei tribunali minorili e dalle informazioni raccolte nei servizi sociali di
territorio, comunali e ospedalieri, in materia di allontanamento dei minori dal
nucleo famigliare. Quindi, sono stati raccolti i dati relativi alle
dichiarazioni di adottabilità presso otto (Torino, Bologna, Bari, Lecce, Trento,
Firenze, Venezia e Napoli) delle ventinove sedi dei tribunali minorili e sono
stati svolti colloqui con i servizi sociali di riferimento. Complessivamente, i
casi di minori rom e sinti dichiarati adottabili sono oltre duecento.
I dati raccolti in ciascuna delle sedi dove si è svolto il lavoro di ricerca
mostrano differenze rilevanti legate al contesto storico e sociale all’interno
del quale, nel corso degli anni, si sono inserite le differenti comunità rom e
sinte. Per fare un esempio, vi sono situazioni nelle quali troviamo una mancanza
di tradizione del lavoro dei servizi sociali (come a Lecce, dove assistiamo a
una pericolosa inversione di ruoli dal momento che l’Autorità Giudiziaria
minorile si sostituisce alla tutela sociale che dovrebbero invece esercitare i
servizi di territorio) e contesti nei quali invece i servizi sociali vantano una
sorta di specializzazione nel lavoro con le comunità rom (vedi il caso di
Firenze, Torino, Venezia), con una pericolosa stigmatizzazione della cultura da
parte dei differenti operatori coinvolti.
Nel complesso, l’analisi dei dati mostra la facilità con la quale, nelle diverse
realtà analizzate, la tutela sociale (dei servizi di territorio) e civile
(dell’Autorità Giudiziaria) scivolano nell’indifferenziare l’identità di un
minore rom con quella di un minore maltrattato. Come se la cultura "altra"
potesse fare del male al bambino. Questo è ciò che pensano molti degli operatori
incontrati. Tutti i minori rom, in quest’ottica diventerebbero dei bambini
maltrattati. L’intervento di tutela operato in molti contesti diventa quindi
quello di allontanare, togliere il minore dal suo contesto famigliare, per
educarlo, come se la cultura rom non avesse un modello educativo o, per lo meno,
come se la cultura rom non avesse un modello educativo valido. I concetti
impliciti che precedono questa riflessione propria di molti operatori così come
di molti magistrati minorili, vedono il bambino rom come soggetto di una
situazione di pregiudizio solo e proprio perché è rom o perché vive su quel
pezzo di terra dove si trova il "campo nomadi". Precisamente, i presupposti
impliciti di molti operatori sono che:
- la cultura rom è da considerarsi "mancante", sempre e comunque, con tutti i
bambini;
- nella cultura rom vi è un’assenza delle capacità genitoriali;
- da parte dei genitori e/o della famiglia rom vi è un’assenza della tutela
dell’infanzia.
Sono proprio questi i presupposti in funzione dei quali l’intervento di tutela
sociale e/o civile del minore rom diventa facilmente quello di tutelarlo dalla
sua famiglia o dalla sua cultura. Cosa accade allora ai minori rom? La ricerca
svolta evidenzia che la difficoltà di molti operatori nel riconoscere l’identità
del bambino rom, il suo modello educativo, porta a gravi situazioni in cui di
fatto il minore non viene tutelato. I circa duecento casi riscontrati di
dichiarazione di adottabilità, infatti, denunciano un grave "pregiudizio" (così
come inteso dal codice civile) nel quale si troverebbe questa volta non il
minore rom, ma il contesto istituzionale che ruota intorno a quella che dovrebbe
essere la tutela di qualsiasi minore. Una tutela dalla quale il minore rom,
paradossalmente, resta escluso.
Abbiamo quindi situazioni nelle quali i minori trovati in strada da soli o con
gli adulti di riferimento vengono allontanati dai genitori e poi inseriti in
comunità. Una volta in comunità il provvedimento del Tribunale dei Minorenni
dispone che i minori non possano più incontrare i propri famigliari, fino al
termine dell’istruttoria. Concretamente questo vuol dire che potrà accadere che
i bambini non possano più incontrare i propri genitori per lunghi mesi, con
gravi conseguenze nella loro relazione. Gli avvocati che seguono questi casi
affermano che, probabilmente, in questi casi, il reale interesse dei vari
operatori coinvolti è di trovare il maggior numero possibile di minori per le
famiglie non rom che fanno domanda di adozione. Come reagire di fronte a queste
gravi denunce? Oppure abbiamo casi in cui i minori vengono allontanati dalla
famiglia perché i servizi sociali valutano che le condizioni abitative del
nucleo, ovvero quelle del "campo nomadi", non sono adeguate alla tutela di un
minore. Ancora, molte volte ci troviamo di fronte a casi di allontanamento che
avvengono con molta violenza, sulla base del mero pregiudizio personale di un
operatore qualunque che scrive che quel minore non è tutelato perché "mangia con
le mani" o "non indossa il pigiama per andare a dormire". Con quale presunzione
noi non rom continuiamo a immaginare che il nostro modello di vita sia il
migliore e quello ideale? E, soprattutto, chi lavora nel sociale non dovrebbe
avere una formazione adeguata per lavorare con soggetti che appartengono a
culture differenti?
Talvolta la responsabilità della mancata tutela del minore viene data alla
cultura, talaltra alle istituzioni, che non sarebbero in grado di offrire a
questi nuclei situazioni abitative appropriate. In entrambi i casi, il risultato
è che non viene salvaguardato l’interesse del minore di vivere nella propria
famiglia. Accadrebbe lo stesso se si trattasse di minori italiani?
Non si vuole qui escludere che possano esserci situazioni di abbandono dei
minori rom, non si vuole accusare gratuitamente il lavoro degli operatori, ma si
vuole mettere in evidenza la contraddizione nella quale invece cadono in molti
(sia gli operatori sociali che della magistratura minorile), identificando
sempre il minore rom come abbandonato, potremmo dire, "alla" e "dalla" sua
cultura.
Possiamo aggiungere quindi che il tema attorno al quale si sviluppare questa
analisi è quello di tutela. Qual’é la nostra concezione tutela e qual’é quella
dei romá? Cosa accade al bambino rom mentre per l’operatore si sta verificando
una situazione di maltrattamento? Da questo interrogativo si apre una
riflessione su due aspetti:
- sulla definizione di quella che viene genericamente definita come la soglia in
funzione della quale l’operatore, genericamente inteso, stabilisce che il minore
si trova in una condizione di "pregiudizio". Una soglia viene banalmente
interpretata e descritta con un criterio di tolleranza personale: per qualcuno
sono i piedi scalzi, piuttosto che il furto o l’accattonaggio o l’appartenenza
alla cultura rom, senza riconoscere che il "pregiudizio" dovrebbe essere quello
ravvisato specificatamente nell’interesse di ciascun minore. Quello che accade è
che i minori rom verranno segnalati all’Autorità Giudiziaria in funzione del
grado di tolleranza personale degli operatori sociali, che, come quella di molti
cittadini, è molto bassa.
- L’altro aspetto riguarda l’applicabilità della norma giuridica italiana a un
contesto culturale differente, un tema che in Italia resta poco approfondito. Al
centro di quest’analisi vi è una discussione sulla definizione dei margini
dell’applicabilità della norma giuridica a un minore il cui contesto famigliare
potrebbe non riconoscere la stessa norma e le sue finalità. In funzione di quali
criteri potremo definire l’abbandono di fronte a un minore che appartiene a un
contesto culturale differente da quello nel quale è stata elaborata la norma
giuridica? Alcuni magistrati portano riflessioni interessanti a questo
proposito, affermando che di fronte al minore straniero occorre sempre
considerare e decodificare il contesto culturale dal quale proviene, ma il tema
resta ampiamente marginale nell’ambito della magistratura minorile. Il risultato
è che pochi magistrati minorili riconoscono la necessità di decodificare il
contesto culturale del minore e che in molti invece ritengono non opportuno
riconoscerne la specificità dettata dall’appartenenza culturale. Questo è quanto
emerge nell’ambito del lavoro di ricerca svolto.
Quale soluzione proporre? Frequentemente la cultura non-rom si presenta come
"egemone", più forte di quella dei romá, identificati come appartenenti a una
minoranza culturale. Se davvero si riconosce come tale, la nostra cultura
dovrebbe prendersi la responsabilità di assumere fino in fondo questo ruolo,
creando quegli strumenti che potrebbero anche tutelare il minore rom e la sua
famiglia. Questo vorrebbe dire disporre di quegli strumenti di conoscenza che si
avvicinino il più possibile al contesto culturale del minore, con il risultato
di mettere il minore in una condizione che lo veda tutelato da entrambe le
parti: per la magistratura minorile e per la sua famiglia.
Dovremo infine smettere di pensare alle cultura rom come una cultura statica e
immutabile, come se i minori fossero destinati alla povertà materiale e
culturale dei loro genitori. Se molti romá oggi vivono nei "campi nomadi" è
perché si tratta di una chiara scelta delle amministrazioni comunali di
mantenere queste comunità in una condizione di grave precarietà sociale e
civile. Se i minori rom oggi non sono tutelati e c’è un sistema giudiziario
minorile che non li tutela la responsabilità è solo nostra.
La seconda indagine "Sottrazione di minori gagé" originariamente copriva il
ventennio dal 1986 al 2005, ma per i fatti successivamente accaduti si è
protratta fino al 2007. I casi sono stati individuati e analizzati partendo
dall’archivio Ansa e arrivando alla consultazione dei fascicoli dei Tribunali,
adottando, oltre a quella giuridica, più prospettive: etnografica,
dell’antropologia giuridica ed etnometodologica.
Per dare un quadro del lavoro svolto, possiamo dire che la ricerca si è
strutturata in tre fasi: individuazione nell’archivio Ansa dei fatti di nostro
interesse; studio del corpus ricavato dall’archivio Ansa per individuare i casi;
lavoro sui casi: consultazione dei fascicoli processuali, ricostruzione,
comparazione. Quest’ultima fase – che partiva, appunto, dalle informazioni
contenute nelle notizie Ansa – ha avuto la sua attività principale nel contatto
con le Forze dell’ordine, Procure e Tribunali al fine di verificare se il fatto
avesse avuto un prosieguo significativo in termini penali. In caso affermativo,
si è cercato di ottenere i permessi per la visione dei fascicoli. Alcune volte,
è stato possibile avere un colloquio con il PM e con gli avvocati; in altre, la
distanza temporale ha complicato questi passaggi. Per molti è stato possibile
anche raccogliere gli articoli apparsi sui giornali e anche su Internet.
Nella nostra analisi prendiamo in considerazione ventinove casi, oltre undici di
sparizione di minori (dunque, 40 in tutto), sui quali è da subito opportuno
indicare il risultato principale della ricerca, e cioè che non esiste nessun
caso in cui sia avvenuta una sottrazione del bambino: nessun esito, infatti,
corrisponde ad una sottrazione dell’infante effettivamente avvenuta, ma si è
sempre di fronte ad un tentato rapimento, o meglio, ad un racconto di un tentato
rapimento.
Alla confusione che generano i media al momento della denuncia del fatto, dando
come provato e "vero" il tentato rapimento, se non vi è un arresto non
corrisponde quasi mai la notizia dell’esito dell’azione delle Forze dell’ordine.
Nei pochi casi in cui questo accade, la notizia non è per comunicare che i rom
non c’entrano niente, ma è perché l’esito scioglie in sé altri eventi: truffe,
fatti drammatici, situazioni che suscitano ilarità.
In maniera random si è cercato anche di verificare se per i casi in cui era
stata sporta denuncia, ma in cui i presunti rapitori si erano dati alla fuga, le
indagini avessero risolto la vicenda in qualche modo: si tratta di un ulteriore
accertamento rispetto al fatto che se non c’è stata più nessuna notizia in
merito questo ci può far dire che non si era poi svolto nessun arresto. D’altra
parte - come dicevamo e come alcuni casi dimostrano - laddove le Forze
dell’ordine tramite le proprie indagini verificano che è stato solo un equivoco,
una percezione errata della situazione, la stampa ne dà poca o nessuna notizia.
La comparazione dei casi ci ha aperto a strade particolarmente significative,
attraverso le quali si sono potuti individuare gli elementi cardine dei racconti
dei tentati rapimenti, che sono pochi e si ripetono come un frame, un canovaccio
concettuale con poche varianti: ad esempio, nella grande maggioranza, si tratta
di ‘donne contro donne’ ossia è la madre ad accusare una donna rom di aver
tentato di prendere il bambino; non ci sono testimoni del fatto, tranne i
diretti interessati; gli eventi accadono spesso in luoghi affollati come mercati
o vie commerciali; nessuno interviene in soccorso della madre; non di rado
appare la paura che vi sia uno ‘scopo oscuro del rapimento’ per cui la presenza
di alcuni mezzi e persone nelle vicinanze vengono interpretate dalle madri (o da
altre figure) come complici della zingara (ma i controlli lo smentiscono
regolarmente).
L’analisi comparativa dei casi, infine, ci porta a poter affermare che laddove
vi è la presenza di un infante, l’avvicinamento di una persona rom è subito
vissuto come un pericolo per il proprio figlio: lo stereotipo "gli zingari
rubano i bambini" risulta essere molto più potente di qualsiasi altro. Non si ha
paura, infatti, che sottraggano il portafogli o la borsa (secondo lo schema
mentale "gli zingari rubano"), ma che portino via il bambino.
Dai ventinove, estrapoliamo i sei casi che hanno portato all’apertura del
procedimento e dell’azione penale, che rappresentano il cuore del lavoro di
ricerca e che nel testo vengono presentati e discussi uno ad uno in particolar
modo attraverso i fascicoli processuali.
Si tratta di:
Desenzano del Garda (Brescia) 02/12/1996. Sentenza di colpevolezza [art. 56 c.p.
(delitto tentato) art.605 c.p. (sequestro di persona)].
Castelvolturno (Caserta) 18/01/1997. Sentenza di assoluzione perché il fatto non
sussiste.
Minturno (Latina) 30/08/1997. Archiviazione del caso.
Roma 10/10/2001. [Sentenza di colpevolezza art. 56 c.p. (delitto tentato) art.
574 c.p. (sottrazione di persone incapaci)].
Lecco 04/02/2005 (il procedimento penale è in corso – II grado).
Firenze 25/10/2005 (il procedimento penale è in corso – I grado, il PM
nell’ultima udienza del 17 ottobre 2008 ha chiesto l’assoluzione).
Lo sguardo critico proprio della disciplina antropologica fa emergere dalle
carte e dalle aule del tribunale l’utilizzo delle categorie del senso comune da
parte degli operatori del diritto come base attraverso cui adattare la
categorizzazione prevista nei codici alle circostanze del caso e la costruzione
della credibilità dei testimoni nella quale assume un forte peso la capacità
retorica delle due parti, intesa anzitutto come coerenza interna del discorso
quale testimonianza dell’accaduto. Il tutto retto anche da un ‘ragionevole’
assunto iniziale: la madre non avrebbe nessun motivo per accusare la zingara di
un atto non compiuto, in pratica non avrebbe alcun senso che la madre si fosse
inventata tutto, per cui quello che ella dice è di partenza da considerarsi in
qualche modo "vero". Non dobbiamo scordarci che ci troviamo davanti a persone
appartenenti a gruppi socialmente e giuridicamente deboli: non solo persone
immigrate, ma soprattutto e in primo luogo rom (ma chiamati sempre nomadi) e
nella maggior parte dei casi "sedicenti". Addirittura nella sentenza di Brescia
si legge che la pericolosità sociale della donna è "in una con la sua condizione
di nomade". Allo stesso modo per il caso di Roma, non ha nessun peso il fatto
che il certificato dei carichi pendenti dell’imputata risulti negativo: la sua
condizione di nomade sedicente basta – secondo il giudice - a renderla
pericolosa e capace di commettere azioni criminose. Il fatto di essere definite
nomadi, giustifica di per sé nei confronti delle imputate qualsiasi decisione a
tutela della collettività.
Infine, per quanto riguarda episodi di sparizione di bambini (11 casi
analizzati), nella maggioranza molto noti all’opinione pubblica, abbiamo
ricostruito i vari momenti in cui i rom e sinti entravano tra i soggetti
sospetti e gli esiti degli accertamenti che derivavo dall’attività investigativa
(sempre negativi). La drammaticità delle vicende di queste sparizioni si rende
ancora più acuta in quelle narrazioni di cui si conosce l’epilogo: l’opposizione
fra ciò che è accaduto realmente a questi bambini e l’immaginario stereotipico
del rapimento da parte dei rom emerge con una forza squassante. Questi bambini
sono stati vittime di una violenza brutale tutta interna ai contesti dove
vivevano: pedofili, conoscenti, parenti. Anche a partire da questo, il forte
invito è quello di allargare il nostro sguardo, interrogarci e riflettere
maggiormente su noi stessi (sempre che questo noi così netto esista...).
Le autrici della ricerca
Carlotta Saletti Salza, dottore di ricerca in Antropologia ottenuto presso la
Facultat de Ciències Humanes i Socials – Departament d’Història, Geografia i Art
– di Castellón de la Plana (Spagna). Svolge da svariati anni attività di ricerca
presso Fondazioni e Univeristà. Ha condotto ricerca etnografica tra le comunità
xoraxané a Torino e in Bosnia su tematiche relative all’educazione famigliare e
scolastica e sulla rappresentazione della morte.
Sabrina Tosi Cambini, dottore di ricerca in Metodologie della ricerca
etno-antropologica presso l’Università degli Studi di Siena, svolge da svariati
anni attività di ricerca presso Fondazioni, Istituti e Università; è stata
operatrice di strada e da tempo coordina progetti sperimentali di lavoro
sociale. Attualmente è docente a contratto di Antropologia culturale presso
l’Università degli Studi di Firenze e di Antropologia sociale presso
l’Università degli Studi di Verona. (10/11/2008-ITL/ITNET)
Di Fabrizio (del 13/11/2008 @ 09:50:56, in Italia, visitato 1942 volte)
Da
ReteRom
18 novembre - ore 17.30
TEATRO BIBLIOTECA QUARTICCIOLO
Via Castellaneta, 10 - Roma
Incontro con:
Beppe Rosso e Filippo Taricco, autori del libro La città fragile.
Najo Adzovic, autore del libro Il popolo invisibile.
Francesco Careri, autore del libro Walkscapes. Camminare come pratica
estetica.
Proiezione del video:
"Savorengo Ker: la casa di tutti" presentato alla XI Biennale Architettura di
Venezia nell'ambito della mostra L'Italia cerca casa - Padiglione italiano.
Regia e montaggio di Fabrizio Boni.
Immagini di Donatello Conti, Frediano Iraci Sareri, Aldo Innocenzi, Francesco
Careri, Azzurra Muzzonigro.
Beppe Rosso legge:
"Seppellitemi in piedi", primo capitolo del libro La città fragile. Zingari
romeni scappati dal loro villaggio in fiamme e accampati nella periferia di una
metropoli; ragazze albanesi rapite di casa e gettate sui marciapiedi; italiani
che vanno in rovina e sono costretti a vivere in strada. Vite consumate nella
violenza di uno spazio aperto con i tentativi di abitarlo, i gesti quotidiani e
il bisogno di ritrovare una dignità e un'ironia per stemperare il dramma.
Tre racconti in cui la città fragile si sovrappone alla città di sempre
collocandosi al centro della narrazione, e la vita, quella più vera e umana,
prende la parola al di sopra e dentro il brusio metropolitano.
Al termine scambio interculturale di sapori e saperi
INGRESSO LIBERO
TEATRO BIBLIOTECA QUARTICCIOLO
Via Castellaneta, 10 - Roma
info 0645460705
www.teatrobibliotecaquarticciolo.it
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