Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
Roma
Press Agency
(lunghetto, da leggersi a puntate oppure offline. Chi
sopravvive alla lettura, lo aspetto ai commenti ndr.)
Il tradizionale modo di
vita dei Rom cancella il confine tra vita privata e pubblica
by: Kristína
Magdolenová
Intervista con Anina
Botošová, consulente del Ministero del Lavoro,
Affari Sociali e Famiglia della Repubblica Slovacca e coordinatrice
per i progetti governativi sui Rom
Per la popolazione
maggioritaria i legami ed i rapporti in una famiglia tradizionale Rom
sono protetti da un velo di segretezza. Come sono in una famiglia
“classica” Rom?
Famiglia è
un termine ricco di significati. Rappresenta l'unità sociale
di base. Assicura l'educazione, protegge i singoli e ovviamente,
produce bambini. Non è possibile immaginare una famiglia rom
senza un gran numero di individui. E' un'unità singola nei
confronti del mondo circostante. Affronta collettivamente i
conflitti, le relazioni individuali diventano relazioni tra famiglie,
e ogni componente agisce sempre a nome della propria famiglia.
L'errore di un singolo è valutato come commesso da tutta la
famiglia. Un bambino ben educato mostra grande rispetto verso i
propri genitori, i nonni e i componenti più anziani, sino a
quando non sarà il tempo di sposarsi.
E poi?
Se la sposa entra nella famiglia di un giovane, dopo il matrimonio
accetta le tradizioni della famiglia che l'ha accolta. Se un uomo si
sposa in una nuova famiglia, mantiene i propri costumi e
occasionalmente li estende alla nuova famiglia. Se la nuova famiglia
non lo accetta, può lasciarla e tornare dai suoi genitori.
La posizione di madre
o di padre, comporta una responsabilità di come viene
percepita la famiglia nella società maggioritaria?
Capofamiglia
è il padre. La madre ha il compito di assicurare cibo alla
famiglia, ruolo verso cui i Rom esprimono grande rispetto. I nonni
sono tenuti in alto riguardo e rispettati, nella famiglia rom
tradizionale la loro parola è presa in seria considerazione e
rispettata. Grande attenzione viene dedicata al primogenito. La
maggioranza dei Rom non intende il matrimonio in una maniera
“formale” come la nostra. Se un ragazzo è attratto
da una ragazza e mostra serio interesse in lei, i due si promettono
fedeltà (si fidanzano). Iniziano a convivere di solito verso i
sedici anni. La madre del ragazzo ha un proprio ruolo nel selezionare
la futura sposa. Se questa non dovesse aggradarle, il futuro della
giovane coppia verrebbe messo in discussione dal fatto che il giovane
si mostrerebbe incerto nel suo proprio amore. Tenderebbe a rendere
gradevole la sua amata alla madre e viceversa a spiegare alla
fidanzata come rendersi piacevole alla genitrice, così che sua
madre cambi opinione. Può così succedere che la madre
concordi col figlio e lo rende soddisfatto e felice. ( sui vari
usi e costumi, cfr. QUI
ndr.)
Può portare degli
esempi?
Conosco
diversi casi: ad esempio, un giovane si era fidanzato con una ragazza
di un diverso gruppo familiare, che parlava un'altra lingua. Nella
famiglia del giovane si parlava ungherese e a casa della ragazza solo
slovacco. La madre del giovane non volle conoscere la ragazza e non
era d'accordo con la scelta del figlio. Così la coppia di
separò. Nella famiglia tradizionale il figlio dipende
dall'opinione della madre.
Oggi è cambiato
qualcosa?
I giovani
sono di opinioni più aperte, hanno tralasciato alcune
tradizioni, ma ancora i ragazzi attendono il parere della madre,
prima di decidere come comportarsi con una ragazza.
Il fatto che la famiglia
abbia una grande influenza tra i Rom è ben noto. Nella
pratica, questo cosa comporta?
La
famiglia assicura il suo stesso rinnovamento, la crescita dei bambini
e soprattutto la protezione dei singoli. Tra i Rom hanno grande
importanza le origini del proprio padre o della madre. Se incontrano
qualche Rom che non conoscono, si presentano così: sono
figlio/a di ... Mio zio/mia zia è ... Nel contempo, si
presentano attraverso il più noto o il più anziano dei
parenti, per esempio: Mi chiamo Jozef Horváth, sono figlio di
Horváth il fabbro (o il musicista) più conosciuto del
villaggio. Nel contempo, la famiglia si distingue per dimensioni e
abitudini.
Una
famiglia rom comprende una vasta comunità di due o tre
generazioni. Ogni famiglia conta diversi membri. A queste famiglie
estese appartengono anche quelle donne che hanno preso marito da un
altro gruppo familiare o quelle che hanno sposato gli uomini di
famiglia. Nel dispiegarsi della famiglia estesa sono inclusi:
fratelli/sorelle, cognati/e, cugini/e, anche quando tra loro non ci
sono legami di sangue.
Tutto ciò, come
viene mostrato nella vita di tutti i giorni?
Ad
esempio, facendosi visita senza bisogno di annunciarsi, viaggiare da
una città all'altra per mantenere i rapporti familiari, anche
se si tratta di famiglie distanti ma forse meglio situate. I Rom non
hanno problemi nello spostarsi verso famiglia all'estero, e
trattenersi presso di loro per lunghi periodi di tempo. La famiglia
che li ospita non li allontanerà e viceversa provvederà
a tutto – dormire, mangiare. I non-Rom vedono in questo
fenomeno una sorta di congiura o paura: che nuovi Rom si spostino nei
loro dintorni, senza che gli stanziali conoscano il numero dei
potenziali ospiti e i loro costumi, e questo amplifica gli stereotipi
negativi.
Nelle tradizioni delle
famiglie rom, specialmente nelle comunità chiuse, c'è
l'uso di non bussare mai alla porta quando si va in casa di qualcun
altro. Questa tradizione sopravvive anche nelle comunità non
segregate?
Un altro
esempio: io vivo nella parte Petržalka di Bratislava, e sopra il mio
appartamento vivono due famiglie estese di Rom, che sino a poco tempo
fa non avevano una porta. Passavano da un appartamento all'altro,
come se fosse casa propria. Il sentire le proprietà della
famiglia come se fossero anche personali, rimane anche nelle famiglie
che non per forza sono socialmente dipendenti. Succede che chiedano
in prestito abiti ma anche soldi, che per la maggior parte non
torneranno ai proprietari originali. Una famiglia può offrire
consulenza o aiuto manuale tramite un proprio componente anziano, che
in seguito passerà il compito a un membro più giovane.
Le tradizioni delle
famiglie rom sono coesive?
La
solidarietà sociale unisce tutti i membri di una famiglia.
Scapoli e nubili restano con i genitori. Gli orfani e gli anziani, o
gli ammalati, sono curati con grande amore e rispetto. Raramente si
trova un anziano in case di riposo. Un ammalato non è mai da
solo. Quando è ospedalizzato, i suoi famigliari, o la moglie
se è il marito ricoverato, rimangono a vegliare il malato
tutto notte. Da casa gli portano cibi già cucinati e restano
con lui appena c'è un minuto libero. Ogni singolo ammalato di
una famiglia ligia alla tradizione, non viene mai lasciato solo, che
sia solo o in ospedale, persino sul letto di morte. Porto due esempi
di vita vera: Una riguarda direttamente la mia famiglia. Il mio caro
padre si ammalò d'improvviso. Le sue condizioni erano così
preoccupanti, che dovette essere ricoverato in ospedale.. Da quando
si ammalò sino al giorno del suo ritorno a casa dall'ospedale,
tutta la nostra famiglia ha vissuto con lui, letteralmente
traslocando in ospedale... col permesso del direttore. Nostra madre
rimase con lui per tutto il tempo della malattia, noi bambini ci
alternavamo al suo capezzale dandoci i turni di notte e di giorno. Il
sentire che una persona dipenda dalla vicinanza dei suoi cari se
vuole guarire, per noi, per la famiglia, fu così forte che
oggi mio padre è curato a casa propria. Ancora oggi sono
convinta che se, per caso, fosse stato un estraneo l'incaricato di
lavarlo all'ospedale, sarebbe morto. Abbiamo questo sentire che la
famiglia sia un nucleo vicino nel buono e nel cattivo tempo, un
grande regalo, una filosofia che ci è instillata dala tenera
età e che noi instilleremo ai nostri figli.
Ritengo che queste
osservazioni possano generare incomprensioni tra Rom e non-Rom.
Il
prossimo esempio arriva da un insediamento. Una volta, il direttore
di una scuola nella Slovacchia orientale si era lamentato di quattro
studenti che non andavano più a scuola, anche se sapeva che
non erano ammalati. Quello che ignorava, è che la loro nonna
giaceva a letto in punto di morte, dove era riunita tutta la
famiglia. Nelle famiglie tradizionali, questo passaggio non avviene
in ospedale, il malato viene riportato a casa sino alla fine. Una
persona gravemente ammalata, ma con la propria famiglia vicina, non
lascia questo mondo da sola. L'insegnante avrebbe dovuto saperlo e
rispettare questa tradizione, questo sentimento. La stessa cura viene
riservata dopo morti. Tutta la famiglia, inclusi i più
piccoli, veglieranno il morto per un certo numero di giorni. La
famiglia definisce norme e ruoli, ne controlla l'applicazione e ne
“sanziona” le violazioni. Il modo di vita comunitario
cancella i confini tra vita pubblica e privata.
Questa divisione dei
compiti è tuttora valida? In quale maniera influenza lo stato
attuale della comunità rom?
Nella
famiglia rom sussiste una netta divisione dei compiti e delle
competenze all'interno della famiglia, ma i ruoli tradizionali
maschili e femminili tendono a complementarsi. Ogni membro ha il suo
posto. L'uomo rimane il capofamiglia e il depositario del suo
prestigio. La donna rimane la responsabile della casa e si occupa
dell'amministrazione monetaria e sociale. La sua missione primaria
rimane, comunque, crescere i figli, soprattutto la cura del
primogenito. La madre deve anche insegnare ai bambini più
grandi come accudire ai più piccoli. Nella famiglia
tradizionale, i maschi non apprendono come cucinare, stirare o
lavare. Queste restano attività femminili.
Un esempio
di vita vera: una mia cara amica si ammalò e finì
all'ospedale. A casa rimasero la figlioletta di 4 anni e il marito
educato secondo tradizione. Suo marito mi chiamò perché
non sapeva cucinare e voleva sapere cosa fare nell'attesa che sua
moglie tornasse dall'ospedale... Dovetti recarmi a casa loro e
cucinare per due giorni. Lui sul serio non sapeva neanche dove e come
sua moglie si procurasse patate, cipolle, farina o dove fossero le
stoviglie... Il tradizionale ruolo maschile presso alcune famiglie
tradizionali perdura tuttora.
Come reagisce la famiglia
ai problemi?
Verso
l'ambiente circostante la famiglia agisce come un corpo unico.
Sopravvive collettivamente ai conflitti. [...] La valutazione
negativa di uno dei componenti ricade su tutta la famiglia. Un atto
degno di rispetto rafforza e afferma il prestigio della famiglia. La
punizione più terribile è l'esclusione dalla vita
famigliare. Un fenomeno interessante è che non ha importanza
se un individuo viene elogiato come singolo, e questo potrebbe avere
conseguenze realmente negative per quell'individuo.
Nel passato le famiglie
rom dipendevano dal numero dei figli. Più figli aveva, più
era degna. Anche oggi è così?
Ancora
oggi i bambini sono benvenuti, significano felicità, ma anche
forza per la famiglia. Nel contempo, il ruolo primario dei figli è
di prendersi cura dei genitori quando saranno vecchi. Molte famiglie
crescono i figli collettivamente. I bambini vivono con tre e più
generazioni di adulti. Il mondo dei bambini si mischia con quello
degli adulti. Così i bambini ottengono molto presto un ruolo
indipendente individuale all'interno della famiglia, capaci di agire
per conto loro. I bambini sono incoraggiati a sviluppare differenti
attività, che sono di solito riservate ragazzi più
grandi. Nel lavoro i maschi aiutano il padre e le femmine la madre. I
figli sono controllati in gruppo e raramente sono puniti. Di solito i
genitori si dedicano al primogenito, che in seguito si prenderà
conto dei fratelli e sorelle più giovani.
I Rom sono molto
focalizzati sui propri genitori, ma questo rende difficile promuovere
novità all'interno della comunità.
Soprattutto
i bambini che vivono negli insediamenti o nelle famiglie
tradizionali, sono legati ai genitori e difficilmente se ne
allontanerebbero. Così, man mano gli insediamenti tendono ad
aumentare come abitanti, perché le nuove coppie rimangono con
la famiglia paterna di origine. Raramente un ragazzo si abituerà
allo stile di vita di un dormitorio. Piuttosto, un giovane che si è
sposato, se sua madre è rimasta sola, la porterà con sé
nella nuova famiglia. Questo legame è ancora più forte
nel caso dei primogeniti.. I Rom non sanno vivere da soli.
Quindi, che ne è
della privacy dei più giovani?
Per loro è
già tanto avere una stanza da letto propria. Ancora un
esempio: un giovane Rom ungherese si era sposato con una ragazza che
abitava distante da lui. Non aveva esitato a vendere il suo
appartamento e spostarsi di alcune centinaia di chilometri, assieme
alla madre e alla sorella, nella città della fidanzata. Alla
mia domanda se non avesse paura di non trovare posto anche per loro
nella nuova città, mi aveva risposto che la sua famiglia e
quella della moglie sarebbero state una sola. Non poteva lasciare i
suoi parenti di origine indifesi, quindi la soluzione era di
diventare il nuovo capofamiglia del gruppo composto da lui, sua
moglie, sua madre, sua sorella e la madre di lei, e di provvedere a
tutte loro.
Resiste nei giovani
l'obbedienza alle scelte dei genitori, nel scegliere il proprio
partner?
Succede
spesso che i genitori scelgano il fidanzato/a quando i giovani sono
già adulti. Magari non si amano, ma per il bene della famiglia
impareranno a farlo. Anche una ragazza, di solito viene “promessa”
al termine della scuola dell'obbligo, quando ha circa 15 anni. In
molti casi, il ragazzo proviene da una brava famiglia. [...] La
ragazza ha piacere del proprio ruolo di donna – di madre. [...]
E' la sua vocazione. I bambini nelle famiglie tradizionali sono
cresciuti secondo concetti estremamente puritani. [...] Le questioni
private non vengono mai discusse di fronte agli estranei. [...] Sono
poche le ragazze di queste comunità che anno l'ambizione di
continuare gli studi. Vivono la stessa vita delle loro madri e delle
loro nonne.
Sono i legami familiari a
tenere i giovani lontano dalla scuola?
E' raro che questi giovani continuino gli studi, anche quelli che
nella scuola dell'obbligo sono stati bravi studenti. Le cause sono
diverse, ma visto l'argomento mi riferirò ancora alle
questioni di mentalità, più che ai problemi oggettivi.
I Rom hanno sempre paura per i loro bambini e i legami tra genitori e
figli sono molto forti. Succede che al termine della scuola
dell'obbligo, se i figli vogliono continuare gli studi debbano
spostarsi in un'altra città, e qui subentra la paura dei
genitori, che i figli non si adeguino al nuovo ambiente o viceversa
che vi si adeguino troppo, perdendo le loro radici. I messaggi che
passano di solito sono: se sei una ragazza, sposati, trova un marito
che si curerà di te; se sei un ragazzo, la scuola non serve,
il mondo è pieno di gente che non ha lavoro anche se ha
studiato. Ancora oggi in molte famiglie la situazione è
simile.
Cosa succede quando i
giovani violano le tradizioni?
Un altro esempio: una ragazza, che viveva in un insediamento rom,
voleva continuare gli studi e lo fece. Ma oggi è ancora
single, i suoi coetanei della comunità non la accettano come
ragazza istruita e i ragazzi non-Rom non la accettano come ragazza
rom. Non ha trovato comprensione neanche dalla sua famiglia, questo
perché sono ancora forti i legami tradizionali che impongono
il riconoscimento sociale come collettivo, invece che come
individuale. Avendo rotto un tabù, la ragazza si è
trovata senza riconoscimento o comprensione.
A che età una
ragazza viene considerata donna?
A una ragazza “immatura” viene concesso di giocare coi
ragazzi. Ma dopo il suo primo periodo, può girare soltanto se
accompagnata da un adulto singolo. Viene considerata donna nel
momento che inizia a vivere intimamente con un ragazzo. Da quel
momento, è per tutti la donna del ragazzo a cui ha deciso di
donare il proprio cuore. La ragazza ha imparato a casa i mestieri
domestici, sin dalla tenera età si è cimentata con
occupazione che generalmente vengono demandate agli adulti (lavare,
cucinare, stirare). Poche ragazze scampano da questo tirocinio.
Quando andrà a vivere nella casa dello sposo, sua suocera
diventa una seconda madre, a cui deve obbedire senza condizioni. Se
dovesse ribellarsi, suo marito non starebbe più con lei. Una
brava suocera insegna alla sposa novella le abitudini della nuova
famiglia e soprattutto le ricette che sono gradite a suo marito.
Quando è incinta,
la donna ha una condizione speciale in tutte le culture. Anche tra i
Rom?
Una donna
che aspetta un figlio, naviga tra differenti regole e restrizioni.
Non le è permesso di guardare persone brutte, malate,
serpenti, rane o qualsiasi animale che generi disgusto. Né
essere triste o arrabbiata. Ma ha anche determinati privilegi: ad
esempio avere il cibo che vuole e di avere sempre compagnia.
Anche tra
i Rom, si vuole che il primogenito sia maschio. Quando una donna è
incinta, deve comunicarlo per primo al suo partner o a suo marito. Se
lo dicesse prima a qualcun altro, sarebbe accusata di essere
infedele. La madre spera che il figlio assomigli al partner, che
abbia capelli neri e sia di pelle “bianca”: secondo i
Rom, chi ha la pelle chiara avrà una vita migliore.
Cioè?
Un altro
esempio: la donna annuncia a suo marito con gioia che è nato
loro figlio e che è di pelle chiara. Anche nei discorsi di
tutti i giorni: Ho una sorella, sapessi com'è bianca la sua
pelle, soltanto io in famiglia sono così scuro. E' uno stigma
che i Rom non hanno ancora perso. Il sesso del nascituro viene
interpretato dalla forma della pancia: se a punta, sarà
maschio, se tonda, femmina. Il neonato viene mostrato per primo al
marito. La nascita viene accompagnato da una grande celebrazione. La
donna non accetta le felicitazioni, l'uomo sì. [...]
Come vengono protetti i
bambini che non sono stati ancora battezzati?
Per
prevenire i pericoli, un componente della famiglia fissa un oggetto
acuminato sotto la coperta. Gli estranei non possono guardare il
bambino che non è stato battezzato. Il bambino ha un nastro
rosso al polso per proteggerlo dagli spiriti malvagi.
Tra i Rom i figli
sono considerati portatori di benessere. E se una donna non ha figli?
Di solito,
non si sposa e si prende cura dei genitori o dei singoli che non si
sono ancora fatti una famiglia. Una donna infertile, non si considera
una persona a pieno titolo.
Mi è
successo, che una donna che viveva in un accampamento, mi disse che
voleva chiedere al suo uomo di lasciarla, perché lei si
sentiva come se fosse un uomo e non una donna, il cui ruolo è
fare figli. Non si sono più sposati.
Hai detto che nelle
famiglie rom tradizionali, vige una stretta divisione dei ruoli. Ma
che si vuole anche che il primogenito sia un maschio. Perché?
La nascita
di un maschio rafforza la linea famigliare. Il maschio rappresenta
all'esterno il padre, viene rispettato dalle sorelle anche se queste
sono più anziane devono ascoltarlo. Il figlio maschio può
ereditare la professione paterna., specialmente quando riguarda la
musica o attività artigianali, come il mestiere di fabbro o
muratore.
Vediamo di ricapitolare
sul ruolo femminile nella famiglia tradizionale:
Come ho
detto all'inizio, lo status della donna è partorire figli.
Nella famiglia, nessuno può prenderne il posto ed è per
questo che il suo posto nella società dei Rom è
importante e non rimpiazzabile. Se dovessimo indagare
sull'organizzazione profonda della struttura famigliare rom,
troveremmo che la donna viene educata a questo compito sin
dall'inizio. Si prende cura già dai 6/7 anni dei fratelli o
dei cugini più piccoli. Sono poche le ragazze che sperimentano
un'infanzia libera. Una ragazza passa automaticamente dall'infanzia
all'età adulta. A otto anni, sa cucinare, prendersi cura degli
altri ecc...
In una
comunità chiusa, la donna è anche un fattore motivante
della famiglia. Se all'esterno è l'uomo il capo della
famiglia, la donna si può considerare il collo che mantiene
sollevato il capo. Decide sulle finanze, sul matrimonio e il futuro
sentimentale dei figli, sulla loro educazione. Per questo è
molto stimata. Anche quando non può avere figli, è in
cima alla scala sociale. In questo caso è lei che si svaluta e
letteralmente chiede al suo uomo di non dormire assieme, perché
lui dormirebbe con un uomo e non come una donna, e lei non vuole. Le
bambine possono andare dove vogliono, giocare coi coetanei,
accompagnare loro madre nelle visite. Ma quando una ragazza ha avuto
il primo mestruo, non può più girare da sola e
dev'essere accompagnata da un componente della famiglia, anche se è
un pre-adolescente. E partecipare alle feste se in compagnia di un
fratello più grande.
[...]
Quindi, non si può
dire che nella famiglia tradizionale rom ci sia consapevolezza che la
donna sia un partner uguale nel matrimonio.
Esatto. Le
donne non sanno che hanno il diritto di decidere se avere uno, due o
più figli. Nella maggior parte dei casi, il loro marito viene
scelto da qualcun altro. Quanto all'uguaglianza in famiglia, c'è
una mancanza di consapevolezza legale, che ha conseguenze nelle
sottomissione e anche nelle violenze famigliari. Le giovani, dopo la
scuola dell'obbligo, non proseguono gli studi. Si fidanzano e hanno
dei figli presto. Data la loro insufficiente preparazione scolastica
e professionale, appartengono a quei gruppi che hanno una posizione
debole nel mercato del lavoro. Ma la maggior parte di loro non è
interessata, perché sono state educate a prendersi cura della
famiglia come occupazione. Nella maggior parte dei casi, la
tradizione gioca un ruolo importante nella decisione del marito di
non concedere alla moglie il permesso di lavorare. La considera una
deprivazione della propria “mascolinità”, che si
basa sul fatto che lai da solo è in grado di provvedere al
bisogno familiare. Così queste donne vivono in attesa del
denaro dei servizi sociali senza affrontare le cause della loro
disoccupazione.
Una donna
Rom non conosce i suoi diritti. Si lamenta se un uomo la picchia o se
la inganna, perché così ha fatto sua madre. Se decide
di andarsene, non ha un posto dove finire, perché tutta la
famiglia vive nell'insediamento. A sua volta la società
maggioritaria non l'accetterà, perché ritiene che se
lei ha subito violenza, è un problema dei Rom che a loro non
deve riguardare.
Tutto ciò che
mi hai raccontato, si riferisce all'intera comunità rom o solo
ad una parte?
Tra i
gruppi più vulnerabili in Slovacchia, ci sono le donne Rom, in
particolare quante vivono nelle comunità chiuse, le cui norme
differiscono da quelle che predominano nella società
maggioritaria. Certamente, possiamo dire che si tratta di cittadini
che a lungo sono stati esclusi dalla società. L'uguaglianza in
famiglia in alcuni gruppi rom è contraria ai costumi e agli
stereotipi etnici e culturali. Lo status delle donne nelle famiglie
rom spesso porta all'accumulo di varie ragioni tanto per l'inclusione
sociale che per una discriminazione con tante facce. Ad esempio, il
fatto che la donna cresca molti figli, che non abbia istruzione e
neanche educazione sanitaria, tutto questo porta a rafforzare gli
stereotipi negativi nella società.
Una domanda necessaria
per concludere: come può cambiare questo stato di cose?
Sulla base
delle tante cose che ho menzionato, il ministro ha preparato un piano
di lavoro per quanti operano nelle comunità, e chi possa avere
ascolto nelle famiglie rom, così che possano prendere in seria
considerazione le norme e le tradizioni che i Rom si trasmettono da
una generazione con l'altra. Il nostro dipartimento ha proposto
misure che possano aiutare quei gruppi e le donne che già ora
richiedono aiuto, ma c'è bisogno di tempo e di comprensione da
parte di tutti.
Soprattutto, dobbiamo educare le ragazze e le
donne rom alla consapevolezza dei propri diritti, doveri e
responsabilità verso la propria salute, a sostenere la
formazione di assistenti rom nelle aree della sensibilità
familiare [...]. Tutto questo necessita di tempo, ma soprattutto di
comprensione da parte della società maggioritaria, che deve
accettare questi cittadini come partner con pari valore e tutto il
rispetto che va riservato a ogni essere umano, anche se con
differenti tradizioni.
©
RPA, 2002-2005. All rights reserved. The Roma Press Agency (RPA)
GRANTS ITS PERMISSION for the publication and transmission of its
materials or their parts in printed, electronic or spoken form under
the condition that the Roma Press Agency (RPA) is mentioned as their
source. Otherwise the case will be considered as a copyright
violation.
Copyright (c) 2005 RPA
Il giorno della memoria, con il suo strascico di orrori e
carneficine...
Mi ricordo i racconti di mia mamma: la guerra, la
fame, le persecuzioni, hanno anche un loro lato di inquietante
normalità. Anche chi non è passato dai campi d
sterminio, ne ha portato il segno.
Dijana Pavlovic', nella
sua intervista, raccontava della ricerca svolta per vedere quegli
anni con lo spirito di un bambino, che era anche Rom.
Ma cosa
accadde realmente in Italia ai nostri nonni? Chi lo visse racconta, e
non sembri strano se recupero la memoria di un saltimbanco... un
pagliaccio, da un libro che ha il grande pregio di un linguaggio
perfettamente comprensibile anche ai bambini. Un libro scritto, come
se fosse raccontato a voce, e che proprio così, con la sua
grammatica colloquiale, ci introduce nella vita dei Sinti del
sanguinoso secolo XX.
Da STRADA, PATRIA SINTA (U DROM
MENGRO CIACIO GAUV) di Gnugo De Bar edizioni
FATATRAC
...Mio nonno era Jean De Bar, un sinto valcio che in
lingua nostra vuol dire "francese". Scese in Italia a piedi
nel 1900.
Lasciò i genitori in Francia e venne a tentare la
fortuna, senza niente, a quindici anni, solo con qualche costume da
saltimbanco.
Era uno dei più bravi contorsionisti del
mondo, ma era bravo anche a fare i salti di scimmia, in altre parole
i salti mortali al tappeto: ne faceva sei, sette o anche otto.
I
De Bar sono una famiglia di saltimbanchi da sempre.
Anche mio
nonno aveva imparato a guadagnarsi la vita così.
Lui
posteggiava, che nella nostra lingua significa proprio fare i numeri
di saltimbanco all'aperto, davanti alle chiese, nei mercati e nelle
fiere.
...
Poi venne il 1939, un bruttissimo anno.
L'Italia e la Germania avevano rotto il patto di non belligeranza con
la Francia.
Era autunno e la mia famiglia s'era appena fermata al
Bacino di Modena per fare la sosta dopo la stagione delle fiere.
Da
noi s'usa così infatti. Quando si lavora la famiglia si
divide, poi d'inverno ci si ferma tutti insieme.
Quell'anno la
famiglia s'era fermata appunto nella Strada Bacino, che oggi credo si
chiami Due Canali e c'erano insieme al nonno, lo zio Noti e la zia
Mariettina con tutti i propri figli. Lo zio Carlo era invece ancora a
fare la stagione in Lombardia e per lui fu una vera fortuna.
Mio
padre aveva appena conosciuto la mamma Albertina, detta Gonia, che
veniva da una famiglia che girava con le giostre.
Un mattino che
piovigginava, mi hanno raccontato, molto presto hanno sentito bussare
alle carovane, si sono svegliati e hanno visto le carovane circondate
da militari, carabinieri, questura.
Dicevano che si doveva fare
quello che volevano loro e che avevano l'ordine di sparare se
qualcuno si fosse opposto.
Piantonarono tutto il giorno e la notte
intera, prendendo il nome e il cognome a tutti, poi, il mattino
seguente, condussero tutti quanti nel campo di concentramento di
Prignano e ci portarono via tutti i muli e i cavalli che avevamo.
In
Italia con le leggi razziali, fecero molti campi di concentramento
per sinti, che nell'intenzione dovevano servire per smistare le
nostre famiglie verso la Germania e la Polonia.
So per certo che
ce ne erano a Berra di Ferrara, a Fossa di Concordia, a Pescara, e
anche un paio nel bolognese che non ricordo più i nomi.
Se
una deportazione di sinti non c'è stata, è stato solo
per grazia della Regina Elena (che veniva dal Montenegro) che nel
1941 ci difese e impedì quello che poteva avvenire. C'era
anche il campo di concentramento di Fossoli per gli ebrei, ma questo
lo si conosce. Gli ebrei dopo la guerra hanno avuto il coraggio di
parlare, di ricordare.
Noi sinti no. Io, per esempio, mi sono
sempre vergognato di dire d'essere nato in un campo di
concentramento.
Molti di noi ricordando di Prignano parlano
dicendo "quando ci misero da quel contadino...". Ma quale
contadino? Quello era un campo di concentramento fatto per sinti, e
io ho trovato il coraggio di raccontarlo solo dopo che ho parlato con
degli altri gitani spagnoli e altri sinti tedeschi e francesi.
Nella
nostra lingua, mi hanno detto che nei loro Paesi dopo la guerra hanno
potuto raccontare le loro storie, giornalisti e scrittori si sono
preoccupati di quelle violenze che avevano subito e hanno scritto
molte cose.
In Italia no, non si trova il coraggio; ma io credo
invece che sia giusto raccontare.
PRIGNANO
A Prignano c'era il filo spinato e qualche baracca. poche perché
noi avevamo le nostre carovane. Tutto era controllato da carabinieri
e militari che nei primi giorni non ci facevamo mai uscire.
Poi,
dopo un po' di tempo, decisero che dal campo potevano uscire quelli
che volevano andare a spaccare le pietre per le strade a cinque lire
al giorno. Così tutti andavano, anche per poter avere qualcosa
da mangiare.
Le guardie due volte al giorno facevano l'appello e
il contrappello. C'erano dei turni di un'ora e mezza in cui le donne
potevano andare in paese a fare la spesa. I carabinieri erano i più
cattivi e vigilavano anche all'osteria, tanto che non si riusciva
nemmeno a fare una bevuta di un bicchiere di vino in santa pace. Dopo
un mese che s'era nel campo venne un ordine del Ministero della
Guerra: presero mio nonno Giovanni e lo portarono nel campo di
concentramento a Civitella del Tronto perché fu riconosciuto
detenuto politico, per il solo fatto di essere cittadino francese. Lì
passò sacrifici e miserie insopportabili. Nel 1940 nasco io.
Mio padre chiede ai carabinieri di portare la mamma all'ospedale di
Sassuolo, ma dicono di no. Così nasco al freddo dentro una
carovana al lume di candela.
E' un anno in cui tutti piangevano il
nonno per morto, perché non si sapeva dove l'avevano portato e
se fosse ancora vivo. Solo nell'autunno del 1940 concessero al nonno
di scrivere una lettera. Nessuno ha ancora capito perché il
nonno venisse considerato prigioniero politico, mentre poi hanno
obbligato i suoi figli a servire la patria andando in guerra. Dal
1941, infatti, dopo l'intercessione della Regina, cominciarono a
considerarci non più deportabili ma arruolabili, per cui
iniziarono a far partire scaglionati e a forza tutti gli uomini in
età.
...
Poi venne il famoso 8 settembre 1943,
quando l'Italia fece l'armistizio con gli Alleati.
A Prignano quel
giorno vennero i carabinieri e dissero: "Siete liberi di nuovo",
ma nessuno ci credeva veramente. E il maresciallo disse: "Potete
andare via come facevate prima", ma la nonna, che era il
riferimento di tutta la famiglia rimasta, non sapeva più dove
andare senza figli e senza il nonno. Così che mentre tutti gli
altri sinti si rimettevano in viaggio e lasciavano quel posto
maledetto, la nostra famiglia rimase lì ad aspettare che
succedesse qualcosa.
IL RITORNO DEL NONNO
Un bel giorno dell'ottobre 1943 videro
tornare a casa mio nonno, liberato perché i francesi erano di
nuovo amici e ci furono momenti di allegria e di gioia, ma anche di
passione per i figli al fronte. Poi mio nonno venne giù a
Modena e andò dall'amico commerciante di cavalli, Tullio
Pellicani. Quando gli raccontò ciò che aveva subito nel
campo di prigionia, il Pellicani si mise a piangere e gli diede a
credito un mulo e un cavallo per tornare a fare gli spettacoli:
"Scegliti quelli che vuoi, me li pagherai quando avrai i soldi".
Poi il nonno tornò a Prignano.
Quando i carabinieri videro il nonno
con i due animali lo accusarono subito di furto e telefonarono
all'allevatore di Modena che disse: “Io a Giovanni ne avrei
dati anche di più, ma lui si è accontentato di quelle
due bestie!”
Allora il maresciallo dei carabinieri
si scusò con il nonno, gli strinse la mano e lo considerò
persona degna di fiducia e di stima.
Dopo qualche giorno la mia famiglia
lasciò definitivamente Prignano e si fermò a Modena.
Qui si trovarono tutti i figli rimasti della zia Mariettina, dello
zio Noti e del nonno, andarono a manghel un po' di vino (manghel
significa “andare a chiedere”) e una sera fecro una
grande festa d'addio. Al mattino infatti le tre famiglie si divisero:
la zia Mariettina con i suoi figli cominciarono a girare nella zona
di Milano, lo zio Noti verso Ferrara e la Romagna (poi nel
bolognese), noi nel mantovano e nel modenese. Continuavamo a
posteggiare, anche se gli uomini nello spettacolo erano pochi perché
i figli del nonno erano tutti al fronte.
Visto che mancava anche il toni (il
pagliaccio ndr.) per un periodo fu mia mamma a ricoprire quel
ruolo. Il suo nome era il più buffo e strano mai sentito in
una pista da circo: “Conserva”. Vestita da toni faceva
anche le entrate.
....
... e il racconto continua, con la
Resistenza, il dopoguerra, la crisi del circo. Se riuscite a trovarlo
leggetelo, altrimenti qualche altro brano lo ritroverò in
seguito.