Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
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Firma questa carta o morirai Ingannate nell'autorizzare la
propria sterilizzazione, un gruppo di donne romanì si sono unite nel combattere
per i propri diritti riproduttivi. by Sophie Kohn 20 aprile 2010
OSTRAVA, Repubblica Ceca | Elena Gorolova aveva un gran dolore. Le infermiere e
i dottori gridavano attorno a lei, cercando di inserirle un pallone tra le gambe
per fermare l'uscita del suo bambino e così utilizzare un parto cesareo.
Gorolova e suo marito, Bohus, una coppia con altri due bambini a casa, erano
eccitati alla prospettiva di un altra aggiunta alla loro giovane famiglia.
Ma per i dottori, il nuovo arrivo significava che Gorolova finiva nella terza
sezione-C. Le dissero che un altro parto sarebbe stato fatale.
Le misero semplicemente un foglio in mano ed improvvisamente le dissero:
firma o morirai. Non c'era tempo per domande, spiegazioni, riflessioni.
Elena Gorolova
"Non lo lessi," spiega con calma Gorolova, abbassando i vividi occhi marroni.
"Non c'era nessuno con me. Nessuno mi disse cosa stava succedendo. Ero
totalmente fuori di testa e così firmai."
E lì, mentre stava per dare alla luce, le capacità riproduttive di Gorolova
furono interrotte. Poco dopo aver partorito suo figlio col taglio cesareo, i
dottori sterilizzarono irreversibilmente Gorolova tagliandole le tube di
fallopio. Era il settembre 1990.
Come Gorolova scoprì più tardi, si stima che 90.000 donne romanì nella
Repubblica Ceca sono passate per la stessa esperienza negli scorsi 40 anni,
molte di loro terrorizzate nel firmare l'autorizzazione alla sterilizzazione,
dopo che i dottori dissero loro che partorire nella sezione-C era a rischio
della loro vita.
Due giorni dopo che Gorolova diede alla luce il suo terzo figlio, il
direttore dell'ospedale di Ostrava, una città industriale a 15 km. ad est dal
confine polacco, spiegò che la sterilizzazione era l'unica maniera per essere
sicuri che lei non avrebbe più partorito. Era medicalmente necessario, disse. In
quel momento Gorolova arrivò a negare che l'ultimo nato fosse suo.
Lei e l'offeso marito Bohus hanno dubitato che la spiegazione razionale che
avevano appena ricevuto fosse il motivo reale Gorolova era stata sterilizzata.
Andarono al tribunale di Ostrava a chiedere una spiegazione. Furono
immediatamente cacciati fuori.
Ancora nessuna scusa
Per oltre 15 anni, Gorolova ha pazientemente lottato con la vergogna. Bohus
frequentava un pub del posto dove gli altri rom gli dicevano che sua moglie non
serviva a nulla.
Vlasta Holubova
La maternità è importante nella cultura romanì, dice Vlasta Holubova - 45
anni, un'altra romnì di Ostrava sterilizzata senza il suo consenso nel dicembre
1988, mentre stava partorendo il quarto figlio. Dice "La gente che ha più figli
in famiglia è ricca. Avere tanti bambini è come un tesoro."
Negli scorsi quattro anni, Gorolova ed altre sterilizzate contro volontà si
sono unite come una singola voce per i diritti riproduttivi. Spalleggiate da
avvocati di spicco, le donne si sono lanciate in una campagna di testimonianza
dentro la Repubblica Ceca ed attraverso campagne all'estero. Il loro lavoro è
stato recentemente riconosciuto dal governo.
A novembre, l'amministrazione ceca ha espresso rammarico sulle
sterilizzazioni, senza però arrivare ad una piena ammissione di colpa. Il
governo ha quindi ordinato al Ministero della Salute di revisionare le proprie
pratiche per assicurarsi che non avvengano più in futuro sterilizzazioni senza
un consenso propriamente informato.
Secondo la legge, il consenso senza informazione è da considerarsi una base
insufficiente per qualsiasi intervento medico, inclusa la sterilizzazione.
Eppure, soltanto una manciata di queste sterilizzazioni è arrivata ai tribunali,
col risultato di isolate scuse ed alcune compensazioni finanziarie. I dottori
responsabili non hanno subito alcuna punizione.
Controllo della popolazione
Otakar Motejl, difensore civico ceco e convinto sostenitori dei diritti romanì,
dice di non essere pienamente soddisfatto della risposta governativa e chiede
che i Rom continuino a battersi per una piena compensazione. Però "a causa della
natura personale [dei reclami], non possiamo aspettarci grandi folle di donne
che si rivoltano nelle strade," spiega in un'intervista telefonica dal suo
ufficio nella città orientale di
Brno.
Ottenere scuse ufficiali dal governo è ancora più complicato perché "il governo
che ora si sta scusando ha davvero poco a che fare con l'organizzazione che
iniziò il programma di sterilizzazione," dice Motejl, riferendosi al fatto che
gli operatori sanitari dell'epoca lavoravano sotto istruzione dell'ex regime
comunista.
Le prime emozionanti azioni iniziarono nel 2005, quando Motejl fece pressioni
sul governo perché il governo investigasse sui numerosi reclami di
sterilizzazioni forzate che crescevano sulla sua scrivania, la maggior parte da
donne romanì di Ostrava.
Spiega che quando la Repubblica Ceca era uno stato comunista, la pratica che
descrive come "controllo della popolazione" era che gli operatori sociali
obbligavano alla sterilizzazione i Rom. In quei tempi, minacciavano di portare
via i bambini se le donne non consentivano alla procedura.
"Stavano infrangendo la legge durante il sistema comunista perché non volevano
far far nascere altri Rom," dice Gorolova.
Con la caduta del comunismo, la pratica apparentemente ebbe termine, ma il caso
di Gorolova è la prova che i responsabili semplicemente usarono metodi
differenti per ottenere i medesimi risultati. I dottori allora presenterebbero
la procedura alle romnià come una urgente necessità medica, scegliendo gli
intensi, paurosi e disorientanti momenti del travaglio come il periodo migliore
per estorcere l'accordo.
Anche alcune donne ceche non-rom sono state vittime di sterilizzazioni
involontarie; Holubova parla di donne che lo stato considerava "socialmente più
deboli", scarsamente istruite o disabili, come obiettivi tipici.
Imparare a parlare
Le mani di Gorolova ostentano anelli d'oro su ogni dita. Siede calma mentre
racconta la sua storia, sul luogo di lavoro negli uffici di Ostrava di Life
Together, un gruppo dedicato ai diritti romanì.
Gorolova arrivò in Life Together nel 2006, quando un rapido notiziario apparve
una sera sullo schermo della sua televisione. Sorride e dice, "Ho capito che vi
appartenevo."
Molto presto, altre donne rom sterilizzate provarono a bussare alle porte
dell'organizzazione. Le donne si sedevano attorno ad un lungo tavolo e, per la
prima volta, offrivano le loro storie. Da questi inizi lanciarono un progetto
chiamato "Non sei sola". Mandarono Gorolova, eletta portavoce, nella comunità ad
incoraggiare altre vittime della sterilizzazione a farsi vive.
Ma le donne avevano paura di parlare. Alcune vittime non romanì delle
sterilizzazioni rifiutarono di partecipare agli incontri perché non volevano
mescolarsi con gli stigmatizzati Rom. Molti pensarono che Gorolova avesse
parlato della sua storia per ottenere soldi dal governo. Così, quando le donne
non volevano andare da lei, Godolova le visitava a casa loro. Lentamente, le
approcciò.
"La principale ragione per cui le donne mi hanno creduto, è che io stessa sono
passata per la sterilizzazione, e so come si sentono. Non sono un'estranea,"
dice dolcemente.
Le donne rom tradizionalmente hanno molti bambini già da giovani e restano a
casa a crescerli. Possono passare decenni tra il primo figlio e l'ultimo.
Inoltre, dato che i Rom incontrano una significativa ostilità fuori dalle loro
comunità, le donne possono finire abbastanza isolate negli anni in cui crescono
i figli. Per molte di loro, il coinvolgimento in Life Together ha svegliato
abilità sociali atrofizzate, riaccendendo un senso di scopo. Gorolova
attribuisce persino al suo attivismo la decisione di prendere un diploma di
scuola superiore.
"Per 15 anni sono stata disoccupata," dice. "Ho dimenticato totalmente come
comunicare con la gente. Non avrei mai pensato che sarei stata capace di
comunicare con gente a questo livello, e che avrei dovuto farlo col governo."
Gorolova elenca con semplicità le realizzazioni di cui è più orgogliosa nel suo
lavoro con Life Together. L'organizzazione ha organizzato una consulenza
psichiatrica per le donne, un'esposizione fotografica delle case e delle
famiglie romanì, in palazzi del governo e musei in tutto il paese, ed iniziato
dei forum di discussione con ginecologi. Gorolova viaggia spesso assieme a Gwendolyn Albert,
attivista romanì americana che ha tradotto i discorsi di Gorolova nelle
presentazioni a New York, Strasburgo, Grecia e Svizzera.
Nonostante gli sforzi delle donne, Holubova dice che l'ammissione del governo è
più un contentino alle pressioni internazionali che una sincera espressione di
scusa. Tutti e quattro i figli di Holubova hanno trasferito le loro giovani
famiglie in Inghilterra e Canada per fuggire dalla discriminazione che sentono
come Rom nella Repubblica Ceca. Mentre osserva il quieto, fumoso appartamento
che ora condivide solo con suo marito, il suo disappunto per la propria patria è
palpabile.
"I ragazzi sono già cresciuti. Volevamo ancora un figlio o una figlia, per non
rimanere così da soli," dice.
Mentre parla, i suoi tre curiosi nipoti, in visita assieme ai genitori dalla GB,
attorniano la poltrona, ridendo. La più piccola, Natalia, sorride con malizia,
dondolando le gambette bardate di stivaletti d'argento.
Quando le si chiede cosa la fa andare, Holubova sorride pensosamente e pone un
braccio protettivo attorno a Natalia. Risponde "questi bambini".
Sophie Kohn is a writer in Toronto. Photos by Valter Ziantoni.
Continuo con la mia personale antologia delle poesie di
Paul Polansky. Un'anticipazione, sarà a Milano il prossimo 27 maggio. A
presto i particolari
UN VESTITO NUOVO
Una infermiera continuava a venire a casa mia
per convincermi.
"Eva", diceva
"hai già troppi figli.
Fai questa operazione e potrai
avere belle cose in cambio."
Avevo ventidue anni.
ero incinta del mio quinto figlio.
Mio marito era in prigione.
Acconsentii all'aborto,
ma non ero sicura riguardo all'altra cosa.
Dopo essere tornata a casa dall'ospedale,
l'infermiera mi diede dei soldi
per un vestito nuovo.
Fu allora che seppi
di essere stata sterilizzata.
"Certo che hai acconsentito," disse lei.
"Sul tavolo operatorio... hai annuito."
Da
Czech_Roma
Sára (17 anni) ha tre fratelli e tre sorelle. Attualmente studia alla Scuola
Superiore per l'Impresa e la Legge a Brno, ama cantare e vorrebbe entrare in
affari una volta finiti gli studi. Recentemente ha passato diverse settimane
negli USA, dove ha fatto esperienza ed ha esposto le sue idee che vuole
applicare nel lavoro con i bambini della comunità rom. In altre parole, questa
giovane intelligente ha già fatto tanta strada. E' anche una Romnì.
Incontrai Sára la prima volta presso l'OnG IQ Roma servis, dove frequentava
le lezioni di canto e contribuiva alla rivista Romano VIP. E' sorprendente
quanto carisma si irradia da questa giovane e quanta ambizione abbia. Si
vede nel futuro come imprenditrice, ma vorrebbe anche essere più coinvolta con
eventi che abbiano a che fare con la comunità rom. Intende focalizzarsi
soprattutto sul lavoro coi bambini, in quelle attività che non solo li
aiutino a passare meglio il loro tempo, ma anche a sviluppare le loro
personalità. Ha inoltre programmi ancora più audaci: nel futuro vorrebbe
contribuire ad avvicinare la comunità rom e la maggioranza e cancellare i
rispettivi pregiudizi e barriere sociali.
Anche se Sára è piena di giovanile ottimismo, è troppo penosamente
completamente cosciente della complessità della situazione nella Repubblica Ceca
in cui si trova la minoranza rom. Già in tenera età, ha avuto esperienza diretta
della discriminazione razziale. Come racconta, "credo che i Cechi non siano
abituati a chi ha un aspetto differente dalla maggioranza, per esempio, a quanti
hanno un colore di pelle differente. Trattano questa gente con sospetto, se non
razzismo. Non riguarda soltanto l'attitudine verso i Rom, ma anche verso gli
stranieri." Sára ha notato questo comportamento ambiguo verso chi è differente,
sulla base delle sue esperienze personali: "A volte quando la gente non mi
conosce mi giudica secondo il mio aspetto, si comporta differentemente nei miei
riguardi, lasciatemi conoscere come differente." Tuttavia, Sára passa sopra
queste esperienze ed accetta la vita come è.
Una persona che vive come parte di una minoranza, che sia etnica, razziale o
religiosa, sperimenta il mondo da una prospettiva differente rispetto a chi vive
come parte della società maggioritaria. I componenti delle minoranze provano
preoccupazioni che chi non è passato da queste esperienze può immaginare a
fatica. Ci sono momenti spiacevoli quando qualcuno vi grida dietro a causa del
vostro aspetto. C'è la sensazione di minaccia quando si passa accanto ad un
gruppo di teste rasate. Non conoscete sensazioni simili. Per Sára, è
un'esperienza di tutti i giorni essere osservata con attenzione dallo staff di
un negozio perché pensano che possa rubare qualcosa, o che qualcuno eviti di
sedersi accanto a lei sul bus.
Nonostante tutto questo, Sára non molla e persegue i suoi sogni. Ricava il
suo entusiasmo dalla motivazione avuta dalla permanenza negli USA, dove, come
dice, ha capito che se gli altri possono raggiungere i loro desideri, anche lei
lo può.
This article was originally published in Romano hangos 5-2010 at
http://www.srnm.cz - Radka Svaèinková,
translated by Gwendolyn Albert