Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Da
Mundo_Gitano
Bambina rom nell'accampamento di Itaquaquecetuba. Photograph: Paulo Pepe -
The Guardian weekly
Natalia Viana dice che finalmente i Rom sono ascoltati dopo secoli
di discriminazione in Brasile - uno dei pochi paesi che hanno avuto un
presidente di discendenza rom
31/03/2010 - Elizete de Cardoso dice, "I nostri giorni sono duri. La gente ci
sfugge. Hanno paura." E' la moglie del capo dell'accampamento rom di Itaquaquecetuba,
alla periferia di san Paolo.
Dentro le tende arancioni, donne con vestiti lunghi e colorati, accovacciate
sul pavimento sporco bevono caffè. Mescolati tra loro, stoffe rattoppate,
vasellame, stereo e TV. Sono appena tornate dal loro giro giornaliero nel centro
città, dove leggono la mano, guadagnando l'equivalente tra i 10e i 12 $ al
giorno.
Il campo non ha elettricità ed acqua potabile, anche se le famiglie vivono lì
da oltre 20 anni. Non ci sono servizi igienici per i 100 residenti.
Soltanto poche amministrazioni locali in Brasile forniscono terreno per i
Rom. In molti posti, come ad Itaquaquecetuba, vivono su di un terreno privato a
perenne rischio di sgombero.
Ma stanno per arrivare dei cambiamenti. Nel 2006 il Brasile ha dichiarato il
Giorno Nazionale dei Rom. L'anno scorso il ministero della cultura ha stabilito
dei premi per iniziative che preservino e disseminino la cultura rom. E' stata
pubblicata una guida ai diritti dei Rom. La sua autrice, Mirian Stanescon,
avvocata rom da Rio de Janeiro, dice: "E' la prima volta che un governo ascolta
i Rom."
Tornate al campo, le ragazze scorazzano. In poche hanno mai frequentato una
scuola. Il governo stima che il 90% dei Rom nei campi sia illetterato. Il
conciatore
Claudinei Pereira ricorda la sua lotta per mandare il figlio più grande a
scuola: "Quando dissi che ero uno zingaro, mi risposero che non c'era posto."
Molti Rom parlano la loro lingua nei campi. In pochi hanno un certificato di
nascita. I matrimoni combinati a 13-15 anni sono comuni.
Però è cambiato il lavoro. Al posto dei tradizionali carri a cavallo, il
mezzo principale sono macchine usate, spesso senza documenti. "Vendiamo e
scambiamo automobili, beni riciclati, ed apparecchiature dal Paraguay," dice
Euclides Ferreira, il capo del campo.
Il vice segretario per la promozione dei diritti umani, Perly Cipriano, dice
che il suo dipartimento sta cercando di persuadere le amministrazioni locali ad
aiutare i Rom. Il principale problema, dice, è la mancanza di documentazione
autorevole sulla cultura ed i bisogni dei Rom.
Problemi non nuovi per i Rom. I primi ad arrivare in Brasile furono deportati
dal Portogallo tra il XVI e il XVIII secolo. Una volta qui, la loro lingua venne
proibita, furono perseguitati dai governi locali, e mandati di città in città.
Nel 1700 alcune città nello stato di Minas Gerais richiesero di detenere i Rom e
sequestrare i loro beni. Altri Rom arrivarono con gli immigrati dall'Europa
dell'est nel XX secolo. Ufficialmente vennero banditi, ma molti mentirono sulle
loro identità.
Questa storia di discriminazione continua ad avere conseguenze oggi, secondo Yáskara Guelpa,
rappresentante rom alla Commissione Nazionale delle Comunità Tradizionali. "C'è
un enorme pregiudizio nella sanità e nell'istruzione. Per esempio, se una
ragazza zingara va a scuola con la gonna lunga, l'insegnante non capisce e le
chiede di portare i pantaloni - e questo è contro la nostra cultura."
Non c'è mai stata una ricerca nazionale sui Rom, anche se il governo dice che
il prossimo censimento includerà una categoria rom. Stime indipendenti danno il
loro numero tra i 250.000 ed un milione.
In molti casi, l'unica presenza dello stato nei campi è la polizia. Padre
Rocha, prete cattolico, ha testimoniato scene di abusi polizieschi. "La polizia
non riconosce che per i Rom la tenda è la loro casa e quindi è inviolabile
secondo la costituzione. Entrano nel campo con aggressività, colpendo le pentole
sul fuoco e gridando alle persone," dice.
"Avrei voluto studiar legge per fermare le estorsioni della polizia. Quando
trovano un'auto senza documenti, chiedono [10 $] e gli uomini devono trovare il
modo di ottenerli. Una volta, in un campo a Espírito Santo, protestai e venni
ammanettato."
Non tutti i Rom brasiliani sono nomadi o poveri. Yáskara Guelpa è una
giornalista che vive in un elegante quartiere di San Paolo. Ma, dice, "Non vado
in giro a parlarne. Il pregiudizio è ancora troppo forte."
Anche Adriana Sbano si sente obbligata a nascondere la sua ascendenza.
"Lavoro in una scuola-bene e me ne sto tranquilla, perché non si sa quale
potrebbe essere la reazione. Non posso rischiare di perdere il lavoro," dice.
Jucelho Dantas da Cruz, professore biologo all'Università Statale di Feira de
Santana, è uno dei pochi che non ha mai nascosto la sua identità. "Anche se
alcuni studenti lo trovano strano, sono un Rom, cuore ed anima. Sarebbe un
crimine negare le mie origini."
Il Brasile è uno dei pochi paesi ad aver avuto un presidente di discendenza
rom,
Juscelino Kubitchek, che fondò la capitale Brasilia nel 1963. Ma non ammise mai
le sue origini. Fu lo storico rom Rodrigo Correa Teixeira che trovò i documenti
che mostravano come il nonno di Kubitchek fu uno dei primi Rom dall'Europa
orientale ad installarsi in Brasile.
Cipriano ritiene che la politica stia lentamente aiutando a cambiare
l'attitudine verso i Rom.
Concorda Yáskara Guelpa: "Con tutti i problemi ed errori, dobbiamo ammettere
che questo governo ha aperto le porte ai Rom per dire: Esistiamo."
Da
Baltic_Roma (interessante ma lunghetto. Potete farcela, lo so)
Roma Buzz
Aggregator Bruxelles 10 marzo 2010 - concetti chiave di Ian Hancock
Al primo incontro della Commissione Europea sul popolo romanì (in tutto il
testo si usa il termine romanì per comprendere le varie popolazioni rom, sinte,
kalé e romanichals, ndr) nel settembre
2008, il presidente José Manuel Barroso disse "la drammatica situazione dei Rom
in Europa non può essere risolta a Bruxelles", e premeva perché quella "non
diventasse solo un'altro incontro di chiacchiere". L'unica decisione presa fu di
indire un altro incontro. Così ora ci troviamo un'altra volta a Bruxelles, e
siamo proprio qui a discutere su come risolvere la drammatica situazione. Non
lasceremo niente di irrisolto, continueremo a cercare e forse potremo esplorare
nuove direzioni che ci porteranno alle soluzioni che tutti noi cerchiamo.
Prima di iniziare questo incontro molto importante, mi è stato chiesto di
condividere con voi alcuni pensieri sull'attuale situazione dei Rom, tanto dalla
prospettiva contemporanea che da quella storica, e di fornire alcuni spunti sui
principali elementi che dovrebbero essere considerati quando si pianificano le
future politiche ed i programmi per l'inclusione dei Rom.
I due decenni passati hanno visto enormi cambiamenti sia per il popolo romanì,
che per quanti ci studiano e lavorano con noi. Per molti romanì, questi
cambiamenti hanno significato adattarsi un'altra volta a nuovi ambienti
tipicamente ostili, cercando sicurezza nel lavoro, nell'istruzione,
nell'alloggio e nell'assistenza sanitaria e legale. Per il mondo non-romanì ha
significato fare posto ai nuovi arrivati, che si presentano con un bagaglio
complesso di stereotipi ed un'eredità di persecuzioni.
Dopo il collasso del comunismo venti anni fa, centinaia di migliaia di Rom
dell'Europa orientale si sono riversati verso ovest in cerca di una vita
migliore. Per gli occidentali, una colorita ed assolutamente inoffensiva
popolazione che era ristretta nell'opinione pubblica a film e libri di racconti,
improvvisamente divenne una presenza reale ed evidentemente minacciosa. Questo
non ha riguardato la sola Europa occidentale; pure nei paesi d'oltreoceano ci
sono stati casi simili, basta vedere la ricezione ostile dei Rom dalla
Repubblica Ceca e dall'Ungheria in Canada, per esempio.
Quattro anni fa in Italia c'erano 180.000 Romanì, ma oggi sono meno di un
quarto di quel numero. Tra loro, quelli dalla Romania sono meno di 6.000, 4.500
dei quali sono incarcerati, soprattutto per accattonaggio, furto, resistenza ed
ingresso illegale (queste cifre - di cui ignoro la fonte - non corrispondono
ai dati ufficiali sulla presenza di Rom e Sinti in Italia, ndr). Questi
sono, incidentalmente, proprio gli stessi crimini esposti nello Zigeunerbuch di
Dillman del 1905, che spianò la strada al genocidio nazista. Non ci sono
proiezioni certe di quanti Rom siano ora apolidi attraverso l'Europa, anche se
le stime danno un numero di 10.000 in Bosnia, 1.500 in Montenegro, 17.000 in
Serbia e 4.090 in Slovenia.
I rapporti rilasciati dall'Agenzia UE per i Diritti Fondamentali lo rendono
chiaro in maniera cristallina: il razzismo contro i Rom è dappertutto in
crescita attraverso l'Europa. Oggi i Rom sono poveri, marginalizzati,
disoccupati e senza casa (o mal alloggiati) come mai in passato. Sono tanto
lontani dal vivere la vita di normali cittadini nel loro paese come lo erano
prima dell'espansione UE, e vengono fatti paragoni con l'atmosfera della
Germania negli anni '30. Negli ultimi due anni, almeno dieci Rom sono stati
uccisi - e questi sono solo i casi riportati. Si stima che l'80% degli incidenti
di antiziganismo non siano stati denunciati. Le famiglie sgomberate lasciate per
strada dopo che i loro insediamenti sono stati demoliti sono particolarmente
vulnerabili ad atti di violenza di bande ostili. Sono comuni pestaggi e
violenze.
Nel settembre 2001, un lancio d'agenzia della BBC dichiarava che il Consiglio
d'Europa "ha lanciato una rovente condanna sul trattamento dell'Europa verso la
comunità zigana, dicendo che sono oggetto di razzismo, discriminazioni e
violenza... le Nazioni Unite dicono che sono il più serio problema nei diritti
umani in Europa." Un editoriale di The Economist nel 2005 descriveva i Romanì in
Europa come "in fondo ad ogni indicatore socio-economico: i più poveri, i più
disoccupati, i meno istruiti, con la più bassa aspettativa di vita, i più
dipendenti dal welfare, i più imprigionati e più segregati." Un rapporto UE la
chiamava "una delle più importanti questioni politiche, sociali ed umanitarie
nell'Europa di oggi". Siamo a metà nel Decennio dell'Inclusione Rom, ma
chiaramente i risultati degli sforzi per arrivare ad un cambiamento devono
essere ancora giudicati, e sinora non abbiamo fatto molto bene.
Pure quanti sono passati prima di noi non hanno avuto successo. Stavo
leggendo recentemente un rapporto di quarant'anni fa, pubblicato da Studi
Sovietici, che descriveva la situazione dei Rom in un particolare paese del
blocco orientale. Vi si dice che mentre il sistema aveva creato tutti i
prerequisiti necessari per affrontare il "problema Zingaro", quei "prerequisiti"
non stavano funzionando. Quel "problema Zingaro" era descritto come "mancanza di
comprensione della formula deterministica Marxista" da parte dei Rom, incolpati
per aver ereditato le nozioni pre-comuniste del capitalismo e, con una o due
eccezioni, gli Zingari erano ancora "mendicanti, ladri, violenti ed un flagello
nel paese," cito da un rapporto governativo. Eravamo da rimproverare perché
eravamo deliberatamente antisociali aderendo alla nostra distinta identità, dato
che come popolo, dicevano, provenivamo dallo stesso ceppo razziale della
popolazione non-romanì. Ciò contraddice, tra l'altro, un ministro degli esteri
rumeno, che dichiarava pubblicamente non molto tempo fa che la criminalità è una
caratteristica razziale, che ci pone a parte dal resto della popolazione. Non
soddisfacevamo la definizione di Stalin di nazionalità, sostenevano quei
rapporti, perché "non possedevamo né un comune territorio, né una cultura comune
ed un unico modo di vita." L'ideologia marxista diede ai Rom un'identità
sociale, ma non una etnica.
Quattro decenni di comunismo non sono bastati a risolvere il loro "problema
Zingaro", ed altre due decadi che sono passate non hanno compiuto molto. E vero
che abbiamo visto un certo numero di cambiamenti positivi, per esempio il
governo ceco ha recentemente bandito il Partito dei Lavoratori, in quanto
xenofobo ed una minaccia alla democrazia, citando espressamente i suoi attacchi
contro i Rom. Ma per ogni passo avanti, c'è chi opera contro di noi. Il governo
francese è appena finito sotto le critiche per aver mancato di fornire una
sistemazione adeguata ed il diritto di voto ai Viaggianti; il più recente
rapporto sulla Svizzera della Convenzione Quadro per la Protezione delle
Minoranze Nazionali ha detto che non stava studiando la possibilità di
ratificare la Convenzione 169 dell'Organizzazione Internazionale del Lavoro a
causa delle preoccupazioni che il trattato potrebbe significare per i Rom; il
Canada sta progettando una nuova legge sull'immigrazione che darà al Ministero
dell'Immigrazione il potere di dichiarare quale paese sia sicuro in Europa, così
da stabilire da quali paesi non possano arrivare i rifugiati. Possiamo prevedere
che tutti i paesi UE rientreranno in questa lista, cioè che con la nuova legge i
Rom non potranno più chiedere asilo in Canada.
E' quasi prevedibile che qualsiasi rapporto formale sui Rom userà la parola
problema; una rapida ricerca che ho fatto il mese scorso su Internet delle
parole "problema Zingaro (Gypsy problem nell'originale, ndr)" scrivendo
questa presentazione, mi ha ridato oltre 22.000 risultati. Ripeto: una ricerca
su Internet delle parole "Gypsy problem" mi ha ridato oltre 22.000 risultati.
Dovrebbe forse essere più apertamente riconosciuto che abbiamo anche un
problema gadjo; dopotutto, quei 22.000 risultati su Internet non sono originati
con noi. Ma la realtà è che noi Romanì e voi gadjè abbiamo tanti problemi l'un
l'altro. E devono essere affrontati [...] proprio come in un matrimonio riuscito
le parole chiave sono comunicazione e compromesso.
Vivo, come un numero crescente di Romanì, con un piede in due mondi, e posso
identificare diverse di queste tematiche da entrambe le prospettive. Il mondo
non-Romanì ci vede come eterni outsider, che non vogliono ancora adattarsi,
viventi di furti ed inganni, che tutto prendono mentre non contribuiscono a
niente, eccetto forse l'intrattenimento - urlanti, sporchi e con una coda di
disordine dietro di noi.
Dal nostro punto di vista, il problema più schiacciante con i gadjé è il
razzismo. E' direttamente alla base e sostiene gli altri problemi - quelli della
povertà, della disoccupazione, della scuola, della sanità e della casa, e nei
diritti umani e civili. La povertà di alcune popolazioni romanì è assolutamente
opprimente. Nel 2006 un rapporto della Banca Mondiale diceva "I Rom sono il
gruppo a rischio più povero in molti paesi dell'Europa Centrale ed Orientale.
Sono più poveri di altri gruppi, più facili a cadere nella povertà, e più facili
a rimanere poveri. In alcuni casi i tassi di povertà per i Rom sono dieci volte
superiori a quelli dei non-Rom. Una recente ricerca ha trovato che quasi l'80%
dei Rom in Romania e Bulgaria vivevano con meno di $4,30 al giorno... persino in
Ungheria, uno dei paesi di nuovo accesso più prospero, il 40% dei Rom vivono
sotto la linea di povertà." George Orwell scrisse che "il primo effetto di
povertà è che uccide il pensiero." Benché vederci come vittime, è un gioco a
perdere; dobbiamo usare le nostre capacità per cambiare la nostra situazione, e
se non abbiamo queste capacità dobbiamo acquisirle. Infine, dobbiamo contare su
noi stessi. Il mondo fuori non risolverà per noi i nostri problemi e se ce lo
aspettiamo, sarà una lunga lunga attesa.
Quindi, che fare?
Una gran targa sul muro del mio ufficio recita che L'Istruzione è il
Passaporto per la Libertà. Lo credo fermamente, e insisto perché facciamo
dell'istruzione la nostra più alta priorità nelle discussioni che seguono qui a
Bruxelles. Non elaborerò sulle questioni più pesanti che provengono dal
razzismo, la soluzione verrà una volta che adeguati programmi educativi verranno
progettati ed applicati. Così come questioni riguardo il lavoro e la casa
esistono a causa del razzismo, la loro soluzione arriverà attraverso
l'istruzione. E non parlo semplicemente di educare il popolo romanì, ma anche la
popolazione non romanì.
Ho puntualizzato recentemente in una pubblicazione che la vaghezza riguardo
l'identità romanì ha permesso la manipolazione con indifferenza di chi ci è
estraneo, e questo mi porta al punto focale del mio discorso [...]. Se avessimo
saputo chi siamo, e avessimo avuto la possibilità di essere ascoltati, avremmo
potuto dire la nostra su come siamo ritratti. Se un giornalista vuol dire che
siamo originari dell'Egitto, come è successo di recente, chi siamo noi per dire
che non è così, e cosa diremmo per correggerla, e dove mai sarebbe ascoltata e
conosciuta questa protesta? Abbiamo perso noi la nostra storia molti anni fa
così non possiamo raccontarla, ed il mondo non-romanì non si tirato indietro nel
fornire varie identità al posto nostro. Non credo che potremo fare la storia se
non ne conosciamo la nostra; Alain Besançon ha detto che "un uomo senza memoria
è assolutamente plasmabile. E' ricreato in tutti i momenti. Non può guardarsi
indietro, neanche sentire una continuità con sé stesso o preservare la sua
identità." Finché i racconti sugli Zingari influenzeranno i giornalisti ed il
ritratto romanzesco che ne consegue, finché gli esperti dell'ultimo momento nei
media saranno fiduciosi di poter scrivere senza nessun controllo, finché la loro
immaginazione avrà le briglie sciolte, continueremo ad "essere ricreati ad ogni
momento," come dice
Besançon, senza mai il controllo della nostra identità.
Senza istruzione non possiamo essere articolati, manchiamo di una voce
abbastanza forte. Ci lamentiamo, ma non siamo uditi. Ci recente cinque membri
dell'Alleanza Civica Rom presenti ad una conferenza sui Rom a Bucarest, sono
stati allontanati quando hanno criticato l'inazione del governo. La loro voce è
stata soffocata. Senza istruzione non possiamo dire chi siamo e da dove veniamo,
e come abbiamo avuto la forza e la determinazione di sopravvivere a secoli di
persecuzioni, schiavitù e genocidio ed essere ancora qui. Quando avremo i nostri
educatori, avvocati e dottori, non avremo più bisogno di appoggiarci al mondo
esterno, e di andare dai gadjé con le mani protese. Fintanto continueremo a
farlo, non saremo mai rispettati. A tal riguardo, non vogliamo che i non-romanì
ci amino, ma vogliamo il loro rispetto.
I programmi di studi per i Rom devono essere pianificati con attenzione.
Promuoveranno l'integrazione o l'assimilazione? Le generazioni più anziane
saranno confortate nel sapere che non si tratta di convertire i loro figli in
gadjé, cosa che è la grande paura tra i Romanì d'America. A sua volta, la
formazione sui romanì nelle scuole pubbliche deve presentare la nostra storia e
cultura in maniera uniforme.
Ho già menzionato i media. Mentre potrebbero essere un potente alleato, sono
assolutamente l'opposto. Un quarto di secolo fa Kenedi Janós scrisse "i media di
massa, in maniera velata, e spesso esplicita, incitano l'opinione in una
direzione anti-zingara." I giornali disseminano regolarmente opinioni
spacciandole per notizie. I giornali plasmano la mente delle persone. Creano
attitudini. Quando il più grande quotidiano rumeno, Evenimentul Zilei, scrisse
che "Si ritiene che gli Zingari siano geneticamente inclini a diventare
criminali" ripeteva le ragioni di Hitler per lo sterminio dei Romanì nel III
Reich. Quando un altro giornale rumeno, Cronica Romana, avvisa i clienti a non
fare affari con un venditore perché "il colore della sua pelle" è indicativo del
suo essere "poco credibile", il messaggio è chiaro. E questa non è un'attitudine
ristretta alla sola Europa centrale e orientale. In Inghilterra titoli come
"Zingari! Non potete entrare!" dal Sunday Express o quello del Sun "Quanto tempo
prima di mandarli fuori a calci?", per esempio, hanno infiammato l'ostilità
pubblica e segnato l'opinione pubblica con l'antiziganismo. Sono rimasto
scioccato nell'apprendere che la Foreign Press
Association ha appena premiato la produzione della BBC "Bambini Zingari Ladri"
col
Media Award per la miglior Storia Televisiva dell'Anno. La mossa irresponsabile
da parte della BBC, nel trasmetterlo per la seconda volta nonostante le proteste
delle organizzazioni romanì in seguito alla prima proiezione sei mesi fa, a cui
la Foreign Press
Association ha replicato che lo scopo di "aumentare la comunicazione e la
comprensione tra le ricche diversità delle culture di questo mondo e la comunità
globale" è un travisamento. Dal documentario non arriva nessuna comprensione
della situazione di quei bambini, ed in nessun modo ha presentato la nostra
"ricca cultura". Invece ha aiutato a rafforzare ancora di più la crescente
romafobia in Bretagna, il paese dove sono nato, assicurando nuovi titoli d'odio
nei giornali. Il documentario è stato presentato anche in Italia ed in Belgio, e
sono arrivate proteste dal Centro Belga per l'Uguaglianza e dall'Autorità di
Supervisione dei Media per gli Audiovisivi del Belgio.
Anche la stampa d'intrattenimento può perpetuare stereotipi, come solitamente
quelli di romanzesco, di magico e mistero. Due titoli recentemente pubblicati
sono quello di Sasha White "Cuore Zingaro"; leggo sulla copertina: "Può un uomo
piegato alla sedentarietà convincere una donna dallo spirito libero... a
rischiare il suo Cuore Zingaro? Attenzione: questo libro contiene immagini
esplicite di sesso con linguaggio contemporaneo," e quello di Isabella Jordan
"Zingari, Vagabondi e Calore: un'Antologia del Romanzo Erotico", che recita ai
lettori: "Perdetevi negli occhi scuri e nella sfera di cristallo di un amante
zingaro!"
Anche i film presentano i Romanì in maniera negativa, soprattutto quelli di
intrattenimento. Ora con Il Lupo Mannaro, un anno fa guardavamo Drag Me to Hell
e prima Thinner. La prima esperienza con gli Zingari dei miei studenti fu
attraverso la versione disneyana del Gobbo di Notre Dame. Su internet c'è un
link apposta per "Film zingari maledetti (Gypsy curse movies, ndr)", e
digitandolo su Google ritorna oltre 64.000 risultati.
Mentre nel documentario della BBC c'era un rapido riferimento alle vergognose
esperienze provate dai Rom nell'Europa di oggi, non è stato fatto nessun
tentativo o analisi per spiegare come si sia arrivati a questa situazione,
nessuna spiegazione della profonda eredità psicologica che i Rom rumeni hanno
ereditato da 550 anni di schiavitù, a dire il vero neanche una menzione a questa
schiavitù, quando sono stati gli ex schiavisti a ricevere un indennizzo dal
governo per la loro perdita, quando non è stato creato nessun programma per
aiutare l'integrazione degli ex schiavi romanì, non istruiti e senza un soldo,
nella società libera. Non c'è menzione in quel documentario neanche al fatto che
dopo l'Olocausto i sopravvissuti romanì al genocidio ritornarono dai campi senza
alcun aiuto, senza indennizzi di guerra, a ricostruire le loro vite frantumate
in un mondo ostile dove le leggi contro di loro erano ancora in vigore.
I Cinesi dicono che l'inizio della saggezza è chiamare le cose col loro nome
esatto. Se trattiamo gli "Zingari" come un popolo unico, una "comunità", stiamo
semplificando una situazione complessa ed ignorando le grandi differenze che
distinguono le differenti popolazioni romanì. A luglio2007, Newsweek International
pubblicò una storia intitolata "In tutto il mondo, la gente sta abbracciando la
cultura dei Rom", ma naturalmente non abbiamo una singola cultura, e le culture
che abbiamo di sicuro non sono abbracciate dai popoli di tutto il mondo. [...] I Kaale
finnici ed i Calé spagnoli hanno tra loro più differenze che similitudini; i
Romanichals differiscono considerevolmente dai Kalderasha, e così via. Queste
differenze sono state usate per negare alle popolazioni romanì qualsiasi
identità etnica condivisa, ed invece per usare criteri sociali e comportamentali
per definirci. La citazione di prima da Studi Sovietici è un esempio di quel
modo di pensare, e tante volte ho ripetuto le parole del sociologo ceco Jaroslav Sus,
che osservava come ci fosse "un'opinione assolutamente falsa che gli Zingari
formino una nazionalità o una nazione, che abbiano una propria cultura
nazionale, una propria lingua nazionale."
Invece di pensare negativamente in termini di identità, sulle cose che
rendono differente un gruppo dall'altro, dovremmo pensare a tutto ciò che
condividiamo in termini di lingua, cultura ed ascendenza. Dopo tutto, è il
patrimonio che abbiamo portato in Europa. Le caratteristiche che ora ci dividono
sono state acquisite dal mondo non-romanì.
Torniamo a quelli che secondo me sono i principali punti in questione.
Primo: procederemo guardando ai Rom d'Europa come una popolazione definita
etnicamente o socialmente? E' chiaro che sinora si è trattato soprattutto del
secondo caso, cosicché Romanì e non-Romanì sono stati solitamente raggruppati
assieme, ad esempio dalle varie organizzazioni e festival Rom e di Zingari
Viaggianti. Certamente, la causa comune è la ragione perché differenti gruppi
lavorino insieme, e se è il caso continuino a farlo. Ma insisto che non è stata
fatta abbastanza opera di conoscenza sulla distinzione culturale dei popoli
romanì, distinzione di cui si deve tener conto, per esempio, nelle aree
dell'insegnamento o della casa. Il fatto è che differenti sottogruppi romanì non
sono ansiosi di lavorare tra loro, avendone la possibilità, lasciati soli con
gruppi non- romanì che, dal punto di vista romanì, sono dopotutto gadjé.
Se i Rom devono essere guardati etnicamente, ci sono diverse questioni che
saltano fuori immediatamente. Difatti, possiamo parlare di UN popolo
romanì? Bene, la risposta è sì e no. Provo a spiegarmi meglio.
Un'origine militare per i Romanì non è una nuova idea, in un secolo e un
quarto di ricerche, studiosi come Goeje,
Clarke, Leland, Burton, Kochanowski, Bhalla, Courthiade, Mróz, Haliti, Lee e Knudsen
hanno concordato su questa ipotesi - l'invasione ghaznavida nel primo quarto
dell'XI secolo portò alla fuga dall'India. Il lavoro di Soulis, Fraser, Marushiakova
& Popov e più recentemente di
Marsh hanno ancora di più dimostrato che fu l'espansione dell'Islam il
principale fattore nella migrazione dei nostri antenati dall'Asia all'Europa
durante il periodo medievale. Non scenderò qui nei dettagli storici e
linguistici, sono presentati in un libro sui miei scritti di Dileep Karanth che
a breve verrà pubblicato dall'Università di Hertfordshire. L'importante ora è
capire che i nostri antenati non furono mai un popolo unico con un'unica lingua
quando lasciarono l'India, ma includevano diverse componenti etnolinguistiche.
Altrove ho argomentato che come la nostra lingua, la nostra identità come Rom
proviene dal periodo sedentario anatolico, lo status preciso di Indiani e la
varietà dei linguaggi si cristallizzarono nella lingua e nel popolo romanì,
particolarmente sotto l'influenza dei Greci bizantini. Non c'erano "Rom" prima
dell'Anatolia.
Qui vorrei avanzare una prospettiva differente che, ritengo, fornisca
un'alternativa di comprensione alla questione dell'identità, e sul perché la
questione dell'identità confonda giornalisti e sociologi, e perché ci causi così
tanti problemi.
Alla luce dei dettagli delle nostre origini e della nostra storia sociale
condivisa o meno, bisogna trarre alcune conclusioni: Primo, che si tratta di una
popolazione composita sin dall'inizio, che allora venne definita in base
all'occupazione piuttosto che sull'etnia; Secondo, che mentre le componenti
originarie - linguistiche, culturali e genetiche - sono tracciabili in India,
essenzialmente costituiamo una popolazione che ha acquisito la sua identità e
lingua in Occidente (accettando l'Impero Bizantino, cristiano e di lingua greca,
come culturalmente e linguisticamente "occidentale"), e Terzo, che l'ingresso in
Europa da quella che attualmente è la Turchia non avvenne come un popolo
singolo, ma attraverso diverse migrazioni più piccole e forse in un intervallo
di due secoli. Questi fattori combinati hanno creato una situazione in un certo
senso unica, siamo cioè una popolazione di origine asiatica che ha passato
essenzialmente l'intero periodo della sua esistenza in Occidente. Siamo il
proverbiale pezzo quadrato che si tenta di infilare in un foro rotondo.
Visto che la popolazione era frammentata e si spostava in Europa nello stesso
periodo in cui emergeva come identità etnica, non c'è senso di essere mai stati
un popolo singolo ed unificato in un posto in determinato periodo. Possiamo
parlare di "centro di ritenzione diretta" consistente di fattori genetici,
linguistici e culturali tracciabili dall'Asia ed evidenti in misura maggiore o
minore in tutte le popolazioni che si identificano come romanì, ma dobbiamo
anche essere coscienti che tutte queste aree sono state aumentate attraverso il
contatto coi popoli e le culture europee, e sono gli accrescimenti posteriori
che rappresentano le differenze a volte estreme tra gruppo e gruppo.
Per qualcuno, la cultura romanì "pura" è stata praticamente diluita, talvolta
da deliberate politiche governative come in Ungheria o Spagna nel XVIII secolo,
anche se tali popolazioni sono nondimeno guardate come "zingaresche" dalla
società maggioritaria sulle basi di apparenze, vestiti, nomi, occupazioni e
stazionamento e come tali trattate, senza avere una tradizionale comunità etnica
in cui cercare rifugio. All'estremo opposto sono le popolazioni romanì di numeri
sostanziali, come i Vlax o i Sinti, che vigorosamente mantengono lingua e
cultura e che a causa di ciò sono tenute fuori dall'accesso alla società europea
maggioritaria. A causa di questa, non esiste una soluzione educativa unica buona
per tutti i gruppi. Abbiamo bisogno di programmi specifici per gruppo - nel
quadro delle più ampie specifiche nazionali.
Mentre questi forniranno la conoscenza di un'origine comune e della storia
precedente, e spiegheranno le nostre differenze, non devono intendersi per unire
tutti i gruppi in uno. Resta da vedere quale tipo di relazioni creeranno, ma
idealmente dovrebbe ottenersi una sorte di comunanza - nei numeri c'è la forza.
Il secondo punto che vorrei fosse discusso riguarda i danni psicologici
dovuti alle persecuzioni - non soltanto la paura che i Rom vivono giornalmente
in molte parti, paura che ha effetti tanto mentali quanto fisici, ma il danno
psicologico più profondo che la storia ha modellato. Non credo che vi sia stata
data la dovuta attenzione. Nel 988 in Austria, nell'anniversario dell'Anschlüss,
i sopravvissuti romanì raccontarono al reporter del London Times di essere
ancora tormentati dalla paura delle ricorrenti persecuzioni naziste. Ci sono
storie di isolate famiglie romanì nell'estremo est d'Europa che credono che i
nazisti siano ancora al potere.
Alcuni Romanì pagano altro, un'eredità più pesante - una prospettiva di
vita trasmessa da centinaia d'anni di schiavitù. Per oltre cinque secoli, i Rom
Vlax non hanno avuto alcun potere decisionale. Questo ha creato un punto di
vista che vede la situazione di Roma creata da chi non lo è, ed avendo questi
generato il problema, sono a loro volta responsabili del trovare una soluzione.
Non avendo autonomia interna o potere di risolvere i problemi, gli schiavi
dovevano rivolgersi ai gadjé per ogni cosa. Se, per secoli, un popolo ha vissuto
in una società dove ogni singola cosa, incluso cibo, vestiti e persino la/lo
sposa/o era fornito dall'esterno, a discrezione del padrone, e l'ottenere
qualsiasi extra, favori inclusi, dipendeva dal rapporto con quel padrone, si
installa così il presupposto che è così che si sopravvive nel mondo. E mentre la
schiavitù è stata abolita da un secolo e mezzo, sopravvivono rimasugli di quel
modo di pensare. Non solo l'assistenza ed i beni materiali sono ricercati
all'esterno piuttosto che nella comunità, ma anche il coltivare contatti utili
ed influenti fuori dal mondo romanì è una priorità, e diviene un segno di
prestigio. Uno può diventare il leader ella sua comunità su questa semplice
base. Questo modo di pensare non incoraggia l'auto-determinazione o l'iniziativa
personale, ma prima di essere individuato e cambiato, dev'essere compreso.
Per finire vorrei dire qualcosa su quanti talvolta sono chiamati pasaxèrja in
Vlax americano. E' una parola che significa "passeggeri" e si riferisce non a
quanti genuinamente vogliono lavorare con noi e ci aiutano nel cambiamento -
sono benvenuti - ma invece a chi si è attaccato al carrozzone dell'Industria
Zingara, chi ne ottiene un guadagno, scrive una o due cose su di noi quando
l'argomento è scottante, e poi sparisce. E' gente che non ci conosce
socialmente, e non ha comprensione sulla mentalità o cultura romanì. L'autore di
uno dei più quotati lavori sull'etnopolitica dei Rom dell'Europa Orientale, ora
dice nell'introduzione del suo libro "Non amo molto gli Zingari", un altro libro
altrettanto di alto profilo sul trattamento dei Rom nell'Olocausto include le
parole secondo cui noi siamo "con poche eccezioni, un popolo pigro, bugiardo,
ladro e straordinariamente sordido...gente eccessivamente sgradevole da avere
intorno". Questo tipo di persone servono a se stesse, prendono ma non danno
niente. Parliamo anche di cosa fare a tal proposito.