L'essere straniero per me non è altro che una via diretta al concetto di identità. In altre parole, l'identità non è qualcosa che già possiedi, devi invece passare attraverso le cose per ottenerla. Le cose devono farsi dubbie prima di potersi consolidare in maniera diversa.
(AGI) Venezia 17 dic. - "Adesso qualcuno capira' quale disastro sarebbe un
presidente leghista nel Veneto". Cosi' il consigliere regionale veneto Igino
Michieletto (Partito Democratico) commenta il trasferimento del prefetto di
Venezia Michele Lepri Gallerano. "Grazie al ministro Maroni trasformatosi in
ministro di ferro - spiega Michieletto - il prefetto di Venezia viene cacciato
per non aver seguito il diktat di chi voleva impedire, contro ogni buon
senso e ogni regola di convivenza civile, il trasferimento dei Sinti negli
alloggi preparati dal Comune di Venezia. Chi, dopo l'arrivo della signora
Zaccariotto alla presidenza della Provincia di Venezia, non avesse ancora
compreso pienamente in cosa consiste l'uso leghista del potere, ora e' servito".
Secondo Michieletto "l'ingresso degli esponenti del Carroccio nei ruoli-guida
delle istituzioni finisce per trasformarle nel braccio armato dei settori piu'
xenofobi di un governo impegnato nella guerra senza quartiere a ogni pratica di
umanita'". "C'e' da augurarsi - prosegue il vicepresidente dei consiglieri Pd a
palazzo Ferro-Fini - che basti questo come esempio per capire cosa significhera'
per il Veneto avere un presidente leghista: nessuno sforzo deve quindi essere
trascurato nella costruzione di un vasto fronte che permetta, alle prossime
elezioni, di fermare la marcia delle truppe di Bossi in una regione
tradizionalmente libera e ricca di sensibilita' umanitaria come il nostro
Veneto. Qui non ci sono bandierine e piccoli interessi da difendere - conclude
Michieletto - ma valori di liberta', di diritto e di umanita', di sensibilita'
cristiana, da riaffermare con forza". (AGI) Cli/Ve/Pgi
La più nota compagnia di sicurezza antizigana, responsabile di innumerevoli
sgomberi brutali, comunica che sta per partire una delle più vaste operazioni di
"pulizia" mai intrapresa contro la comunità viaggiante in Bretagna.
Constant & Co., che ha ottenuto decine di milioni di euro nello sgombero
degli Zingari dalla loro stessa terra, in maniera dura e quasi illegale, ha
vinto la gara d'appalto per demolire Dale Farm (QUI
il dossier, ndr), che ospita 500 Viaggianti nei pressi di Crays Hill, Essex.
Il lavoro, di tre milioni di euro, dovrebbe comprendere la rimozione, ed in
alcuni casi la demolizione, di chalet e case mobili, e la cacciata fisica di 100
famiglie, bambini, anziani ed infermi inclusi, che dovranno lasciare il
distretto, impoveriti e senza un posto dove andare a vivere legalmente.
Il dieci dicembre oltre venticinque persone, tra cui componenti dei gruppi
antifascisti e della chiesa cattolica, hanno manifestato davanti al Basildon Centre,
dove si era riunita la giunta comunale per decidere sull'evento.
Portavano dei cartelli, su cui era scritto:
CONSTANT & CO SONO DELINQUENTI RAZZISTI, FERMATE LE VIOLENZE DEGLI UFFICIALI
GIUDIZIARI e BASTA ALLA PULIZIA ETNICA.
Una seconda ditta, Shergroup, si è vista rifiutata, anche se un consigliere
aveva detto che la compagnia era maggiormente pronta a rispettare gli standard
riguardo i bambini e le persone vulnerabili, come pure le conformità UE su
salute e norme di sicurezza.
Un portavoce per Dale Farm ha detto in seguito che assieme alle loro case ed
alla frequenza scolastica dei bambini, le famiglie stanno per perdere il loro
club giovanile unico nel genere e la cappella di San Cristoforo.
"Questa è pulizia etnica," ha detto una madre. "Ma il consiglio comunale sta
tentando di camuffare questo fatto con un sacco di discorsi politicamente
corretti."
A causa dell'alto costo del lavoro, Basildon è stata costretta a ricorrere al
Giornale ufficiale dell'Unione Europea. Nel suo annuncio il consiglio municipale
dichiarava che l'offerta vincente doveva "dimostrare un impegno nel sostenere i
principi di eguaglianza e di differenza nella legislazione ed essere sensibili e
responsabile ai bisogni delle persone."
Però, Basildon si era espressa in favore al reingaggio di Constant, una
società che il consiglio comunale aveva già impiegato per numerosi piccoli
sgomberi. I critici dicono che sono stati condotti in spregio alle norme UE
sulla salute e la sicurezza, e hanno portato alla distruzione di una gran
quantità di proprietà private.
Il suolo superficiale è stato distrutto ed il terreno circondato da alti
valli di terra. La maggior parte del suolo è ora inondato da acqua contaminata
degli scarichi distrutti, costituendo una fonte di inquinamento per bambini e
adulti che continuano a vivere nei paraggi, in attesa di ulteriori incursioni di
Costant.
Carovane in fiamme
Un film prodotto per la Dale Farm Housing Association mostra carovane in
fiamme ed ufficiali giudiziari che minacciano bambini terrorizzati. Una
compagnia che noleggia attrezzature ha interrotto il suo contratto con Constant,
a causa del suo approccio brutale. Riferendosi allo sgombero di Twin Oaks,
Justice Collins ha detto presso l'Alta Corte che dopo aver visto il video che
mostra Constant all'opera, considera inaccettabile la condotta dei suoi
dipendenti, che porterebbe inevitabilmente a traumi e lesioni.
"Il consiglio deve riconsiderare l'uso di questa compagnia," ha dichiarato
Justice Collins. Ha anche notato che la polizia ha mancato di frenare gli
eccessi dei dipendenti di Constant. Collins ha aggiunto che nel caso di malati
gravi e delle esigenze dei bambini, lo sgombero sarebbe sproporzionato.
Anche se il diritto di sgombero è stato sostenuto sinora, le condizioni che
ha ricordato sono state adottate in una complessa decisione della Corte
d'Appello all'inizio dell'anno.
Come richiesto dall'Atto di Libertà d'Informazione di fornire copie della
Valutazione obbligatoria del Rischio, riguardo gli sgomberi di Hovefields e Dale
Farm, Basildon ha ammesso che tale valutazione non è stata preparata.
Jean Sheridan, madre di Dale Farm di tre gemelli, è piena di paura dei traumi
che gli ufficiali giudiziari potrebbero causare ai suoi bambini. Spera che prima
che Constant inizi ad operare, lei possa portare il caso al Tribunale Europeo
dei Diritti Umani.
"Non abbiamo nessun altro posto dove andare ed i miei figli hanno bisogno di
cure mediche," dice Jean. "Sono nati prematuramente e sono stati fortunati. Come
potranno sopravvivere al terrore che porterà Constant?"
La Commissione GB sull'Infanzia ha chiesto a Basildon cosa intende fare per
salvaguardare i bambini come quei gemelli, durante la demolizione e quale
sistemazione alternativa verrà offerta loro. Non è stata ricevuta nessuna
risposta soddisfacente.
Gianluca Giunchiglia - LUNGO LA FERROVIA - Edizioni Erasmo - 128pp.
9,50 E.
www.edizionierasmo.eu
In mezzo ai capitoli del romanzo breve “Lungo la ferrovia” corrono le storie di
due incontri. Il primo - reale - è quello tra Gianluca Giunchiglia, pisano di
nascita ma livornese d'adozione, psicopedagogista in servizio presso l'Istituto
scientifico Fondazione “Stella Maris” di Calambrone (Pisa), e il bambino rom che
la sua struttura gli ha affidato tempo fa; il secondo – intensamente immaginato
– è quello che intreccia i destini di Gioni e Miluna, undicenni, due piccoli rom
cui la fantasia del Giunchiglia scrittore ha affidato il ruolo di protagonisti
nel libro che segna il suo esordio nel campo della narrativa.
Dal primo incontro, si sviluppa il secondo. Dentro l'invenzione letteraria che
insegue questi adolescenti attraverso le tantissime gamme della loro penetrante,
solare, inquieta vitalità, ci sono le impressioni, i ricordi, le riflessioni di
un “gagé” (termine che i rom usano per indicare noi italiani) che viene invitato
dalla famiglia di un piccolo zingaro all'interno di un “campo”. Capitò un 6
maggio, si festeggiava S. Giorgio. L'incontro si svolse «dentro un container
adibito a casa – scrive l'autore in una nota – dove questa famiglia vive. Era il
primo giorno della loro festa e grandi e piccini erano ben tenuti e vestiti con
gli abiti più belli che avevano. Mi hanno accolto con dolcezza, omaggiandomi
delle pietanze tipiche della loro cultura […] Pure le regole dell'igiene erano
rispettate, gli alimenti cucinati in contenitori usa e getta con posate di
plastica. All'esterno, nel “campo”, non vi erano immondizie sparse attorno,
contrariamente a quello che si può immaginare. Solo che vivono con un sistema
fognario danneggiato e mal funzionante che crea pozzanghere di acque nere a
cielo aperto. Le atmosfere però sono invidiabili; le musiche, il contatto con la
terra, sono tipiche di quel popolo, così molto attento alla natura...».
Luci e ombre. Le stesse che colorano i gesti, le parole di Gioni e Miluna. Ecco
perché la fantasia e la realtà risultano, tra queste pagine, sorprendentemente
sincrone, empatiche, parallele come le verghe del binario che appare nella foto
di copertina. Anche le luci e le ombre di quest'esistenza di frontiera osservata
con gli occhi dell'adolescenza corrono in parallelo. Ciò che affiora in
superficie è una penombra cangiante pronta in qualsiasi momento a diventare
sereno come anche a trasformarsi in tempesta; una specie di tramonto dalla luce
sorprendentemente nitida che consente di osservare tutto con chiarezza, anche le
contraddizioni, anche il doloroso attrito di bene e male, legalità e illegalità,
integrazione ed emarginazione, cultura e degrado. Giunchiglia sintetizza (e
spiega) questa realtà dalla valenza ossimorica con un verso di Holderlin: “Là
dove c'è pericolo, cresce ciò che salva”.
Pubblicato in marzo da Media Print Editore, subito dopo ristampato per i tipi
delle Edizioni Erasmo, “Lungo la ferrovia” si è aggiudicato menzioni speciali al
Premio Internazionale “S. Margherita Ligure – Franco Delpino”, al Premio
“Emozioni d'inchiostro” di Reggio Calabria, al Premio letterario “Viareggio
Carnevale”. A novembre è stato premiato da Alexian Santino Spinelli,
ambasciatore dell’arte e della cultura Romanì nel mondo e professore
all’Università di Chieti, per il secondo posto al Premio artistico
Internazionale “Amico rom”, sezione opere edite di narrativa.
Il libro è stato presentato al settembre pedagogico del Comune di Livorno e
diverse scuole secondarie di primo grado lo stanno adottando per i progetti
sull’intercultura.
Andrea Lanini (Giornalista)
“Lungo la ferrovia” è un romanzo breve, di facile lettura, scritto da un
pedagogista che ama la poesia, tanto da vincere dei premi. Un romanzo si sa è
una rappresentazione (fantastica) della realtà, l’immaginazione di eventi che
accadono nella mente dell’autore che li ha vissuti in altra forma e che li ha
approfonditi e analizzati in vari aspetti; cioè esso è un ideazione che riporta
però dei fatti conosciuti a fondo, dentro le loro dinamiche interattive che poi,
con l’ausilio della creatività, si trasformano in un’invenzione. Non faccio una
recensione all’opera letteraria, non sarei adatto. Ho letto il romanzo con una
visione pedagogica e traggo solo qualche considerazione.
L’argomento trattato è un tema d’indubbia attualità sociale e politica: il
problema rom che, pur esistendo da sempre, in questo periodo storico è
sviscerato dai media continuamente più nel male che nel bene, con ricadute che
considero importanti sul piano culturale. Ciò che mi ha colpito nel racconto non
è tanto il rapporto dei due protagonisti (Gioni e Miluna), la loro storia e la
loro amicizia, quanto le relazioni dei contesti in cui essa si sviluppa. I
contesti sono rappresentati dal gruppo dei pari, dalla scuola e dagli adulti che
in essa vi lavorano, dal “campo” rom, dalla comunità vicina al “campo” rom. In
questi contesti l’autore descrive una fitta rete di interazioni fatte da
accettazione e rifiuti. Non emerge nessun tentativo d’integrazione nel suo
significato pieno, forse un atteggiamento di questo tipo lo si ritrova
nell’autista dello scuolabus, che però ha un ruolo marginale per poter diventare
la figura di riferimento per l’integrazione.
I due ragazzi protagonisti, come tutti i ragazzi della loro età, sono in una
fase di costruzione della propria identità personale e sociale, per cui hanno
bisogno sperimentare ruoli, realizzare esperienze mediante l’incontro con l’
“altro”, di seguire esempi e modelli. Essi manifestano bene questi bisogni nel
corso della loro vita quotidiana e nel rispetto delle differenze di genere:
Gioni li esprime con molta più energia di Miluna e, proprio per le differenze
individuali, reagisce con la fuga a quello che percepisce come rifiuto.
L’esempio, il modello buono, il riferimento educativo è il nonno (nemmeno il
padre) che è l’unico ad esprimergli un progetto di vita, è colui che stimola il
nipote a compiere la programmazione del suo futuro. Ma è una figura sola, che
sta nel “campo” rom (e questo non è un caso!) e con un debole aggancio (la
signora amica) nella comunità sociale. Poco per un processo evolutivo, per un
cambiamento sociale.
Il romanzo descrive una realtà vera che una società civile come la nostra,
democratica, che si basa sul principio della non discriminazione, non può più
trascurare e rimandare oltre.
L’autore con questo suo primo romanzo offre molti spunti di riflessione e ci
spinge ad avviare un progetto serio verso l’integrazione delle culture.
17 dicembre 2009 Una circolare del DAP motiva la scelta affermando che
“l'accesso per il colloquio con i familiari in carcere non si configura come la
fruizione di un servizio pubblico ma come esercizio di un diritto, tanto da
parte dei ristretti quanto da parte dei congiunti”. Il sindacato di polizia:
“siamo allibiti”.
Allo straniero che si presenta in carcere per far visita a un familiare detenuto
non dovrà esser richiesto alcun documento che dimostri la sua regolare
presenza in Italia. È quanto stabilito da una circolare del Dipartimento
Amministrazione Penitenziaria che per spiegare agli agenti come agire alla luce
delle nuove norme previste dal pacchetto sicurezza che hanno introdotto il reato
di immigrazione clandestina.
I detenuti stranieri nelle sovraffollate carceri italiane sono oltre 25mila
(circa il 27% del totale) e molti di essi sono clandestini. La probabilità che
siano irregolari anche alcuni dei familiari che fanno loro visita in carcere è
assai alta. Dal momento che gli agenti penitenziari sono pubblici ufficiali,
come dovranno comportarsi ora che l'immigrazione clandestina è un reato?
“Il personale del Corpo di polizia penitenziaria non dovrà richiedere allo
straniero che accede alla struttura penitenziaria l'esibizione di alcuna
documentazione attestante la sussistenza dei requisiti legittimanti la presenza
sul territorio italiano, né lo straniero sarà tenuto a dimostrare in alcun modo
la regolarità della sua posizione”, scrive Sebastiano Ardita, magistrato a capo
della direzione generale detenuti del Dap. E questo vale a maggior ragione “nel
caso in cui a richiedere il colloquio siano i figli minori di persone prive di
permesso di soggiorno”. Ma la circolare, diramata a tutti i provveditori
regionali e diffusa dall’agenzia Ansa, precisa anche che il mancato obbligo di
verifica sulla regolarità dello straniero all'ingresso del carcere “non esclude
che il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio, in qualsiasi modo
venga a conoscenza della sussistenza del reato” di immigrazione clandestina “non
sia tenuto, in via generale, a denunciare tempestivamente il reato all'autorità
giudiziaria o ad altra che abbia a sua volta obbligo di riferire a quella”. La
decisione di non chiedere allo straniero in visita un documento che ne attesti
la regolare presenza è stata presa - scrive Ardita - sulla base della
considerazione che l'accesso per il colloquio con i familiari in carcere “non si
configura come la fruizione di un servizio pubblico ma come esercizio di un
diritto, tanto da parte dei ristretti quanto da parte dei congiunti”.
“Siamo allibiti” è stato il commento di Leo Beneduci, segretario generale
dell'Osapp il sindacato degli agenti penitenziari. Secondo Beneduci “come agenti
e ufficiali di polizia giudiziaria abbiamo l'obbligo di far rispettare le leggi
e reprimere i reati, non certo di chiudere un occhio. Su questa vicenda ci
rivolgeremo al ministro dell'Interno Maroni per avere giustizia”.
Di Fabrizio (del 20/12/2009 @ 09:23:03, in Italia, visitato 1687 volte)
Corriere del VenetoE tra i sinti torna la paura «Ora cosa ci succederà?»
Nel villaggio di Mestre. «Non dovevano cacciarlo»
MESTRE – Due giorni fa, appresa la notizia in tempo reale, erano troppo
indaffarati a compilare l'ennesimo modulo per l'allacciamento Enel e non hanno
subito realizzato. Venerdì, però, quando si sono visti – di nuovo – sulle
locandine di tutti i giornali, hanno capito. E l'incubo è ricominciato: «Hanno
voluto mandare a casa il prefetto? Ma che c'entra lui con tutta questa storia,
se è stato il Tar in più occasioni a stabilire che la costruzione del nostro
villaggio era perfettamente in regola?». A chiederselo, mentre in questo momento
la sua priorità e quella degli altri sinti è di resistere al freddo gelido in
attesa che venga loro allacciata la corrente elettrica, è Paolo Hudorovich, uno
degli abitanti di via Vallenari. Fra loro è tornata la paura, la preoccupazione
che dietro il trasferimento del Prefetto Michele Lepri Gallerano per volere del
Ministro Roberto Maroni vi sia ben altro che una promozione. Furiose reazioni,
fra il Carroccio veneziano, aveva scatenato infatti la decisione di trasferire i
sinti di notte, dalla vecchia alla nuova struttura, senza che lo stesso Ministro
Maroni - aveva evidenziato indignata la presidente della Provincia Francesca
Zaccariotto - venisse avvertito di ciò dal Prefetto. Così, per tutto il giorno,
i sinti di via Vallenari hanno chiesto e richiesto all'amministrazione comunale
cosa vuol dire tutto ciò, quali saranno – se ci saranno – le conseguenze.
«Questa storia non ha più fine – dicono – ma cosa vogliono da noi? Siamo di
nuovo finiti in Tv, sui giornali, non fanno che parlare di noi. Vogliamo solo un
po' di pace, adesso». Parenti e amici li chiamano, li vedono in televisione,
sono preoccupati, non sanno che significato dare a tutto questo. «Ma la paura
più grande, il vero timore - aggiunge Gaetano Reinard, sinto del villaggio – è
l'ignoranza. Mi auguro soltanto che arrivi a Venezia una persona competente».
Intanto, in via Vallenari, nelle nuove casette prefabbricate, manca ancora
l'allacciamento alla corrente elettrica, dopo che la presidente della Provincia
Francesca Zaccariotto ne aveva chiesto lo stop con la richiesta di eseguire
ulteriori accertamenti sull'iter di realizzazione del villaggio. Secondo quanto
gli è stato detto, l'allacciamento dovrebbe essere operativo.
Per la prima volta nel nostro paese una istituzione riconosce il Porraimos,
l'olocausto dei rom e sinti durante la seconda guerra mondiale. Alla Camera dei
Deputati, nella sala del mappamondo, rom, sinti, gagè e parlamentari hanno
ricordato questa terribile pagina della storia.
Oltre ad ascoltare le impressioni dei partecipanti in questa puntata andiamo
nei Balcani: le presidenziali in Romania e le amministrative in Kossovo.
Budapest, 16/12/2009 - Il Tribunale Supremo ha preso la decisione di
smantellare la Guardia Ungherese (Magyar Garda), l'esercito privato dello Jobbik,
partito di estrema destra.
La decisione di mercoledì è stato il terzo pronunciamento giudiziario in un
anno che rende illegale l'organizzazione paramilitare apertamente razzista, e
chiudendo ogni strada ad ulteriori ricorsi in appello.
Il segretario di Jobbik, Gabor Vona, ha detto che comunque la Magyar Garda
continuerà le sue attività, in seguito ad un appello presentato alla Corte
Europea dei Diritti Umani.
La decisione di smantellamento si applica tanto alla Guardia Ungherese che
alla Società Guardia a cui formalmente appartiene. Il Tribunale Supremo ha detto
che le due organizzazioni hanno fatto abuso del loro regolamento, come pure del
diritto democratico di riunirsi, bersagliando e generando deliberatamente paura
nei cosiddetti gruppi razziali minoritari ungheresi.
La Guardia è stata modellata sulle bande delle Croci Frecciate Ungheresi che
uccisero migliaia di Ebrei durante l'Olocausto. Le sue uniformi ricordano quelle
della "Gendarmeria" che assisteva i nazisti tedeschi nella deportazione di
centinaia di migliaia di Ebrei, e di Rom, verso Auschwitz.
Jobbik ha ottenuto i più grandi successi elettorali durante l'attuale
recessione, e ci si aspetta che diventi una delle principali forze parlamentari
nelle prossime elezioni nazionali del 2010.
ROM: DISGUSTOSO ATTEGGIAMENTO ISTITUZIONI. ANNUNCIANO SEQUESTRO ROULOTTE
PER I ROM, MA SI DIMENTICANO DELL'EMERGENZA FREDDO C’è qualcosa di profondamente sbagliato e malsano in una società, quando le
istituzioni si riuniscono in Prefettura per annunciare sequestri di roulotte per
i rom, proprio nei giorni in cui l’emergenza freddo imporrebbe invece un urgente
intervento umanitario rispetto a chi vive nelle baraccopoli o per strada.
Invece niente, non abbiamo sentito nemmeno una parola, neanche un attimo di
pietà, almeno per i minori. E tutto questo, mentre la neve continua a cadere
e le associazioni del volontariato sono attive 24 ore su 24.
È francamente disgustoso che tutte e tre le istituzioni che insistono sul
territorio, Comune, Provincia e Regione, per bocca dei suoi rappresentanti De
Corato, Bolognini e Boni, non si rendano nemmeno più conto del significato delle
loro parole.
Chiediamo ancora una volta che non si scarichi tutta la situazione sul
volontariato e che le istituzioni si mobilitino per l'emergenza freddo, anche
rispetto alle famiglie rom.
Di Fabrizio (del 22/12/2009 @ 12:47:57, in Italia, visitato 2589 volte)
Bologna 22 dicembre 2009 | 11:14. Una cerimonia di dialogo e preghiera in
ricordo dei nomadi assassinati nel campo di via Gobetti, dove la mattina del 23
novembre 1990 furono uccisi, dalla banda della "Uno bianca", Patrizia Della
Santina e Rodolfo Bellinati. L’iniziativa, che si terrà mercoledì 23 dicembre,
ore 15, in via della Beverara 123, nella sala Auditorium del Museo della Civiltà
industriale, è promossa dall’Anpi e dal Comitato antifascista del Navile con il
patrocinio del quartiere Navile, in collaborazione con le parrocchie cattoliche
della Beverara, dell’Arcoveggio e della chiesa Evangelica Mez (Missione
evangelica zigana) di Bologna.
Al ricordo interverrà la comunità nomade di Bologna, i Sinti italiani del campo
di via Erbosa (parenti delle vittime), alcune associazioni di rappresentanza
nomade e la cittadinanza che non vuole dimenticare l’orrore provocato dalle
stragi della "Uno bianca".
La cerimonia verrà introdotta da Leonardo Barcelò, consigliere comunale di
Bologna. Ad un momento di raccoglimento e preghiera con monsignor Giovanni Catti,
don Nildo Pirani, don Luciano Galliani, il ministro di culto Luigi Chiesi della
chiesa evangelica Mez di Bologna; seguiranno dei brevi interventi di dialogo per
agevolare la conoscenza fra i presenti. Al termine della cerimonia verrà deposta
una corona di alloro al cippo che ricorda le due vittime.
Di Fabrizio (del 23/12/2009 @ 13:46:29, in Kumpanija, visitato 2222 volte)
Due messaggi, il primo da:
ChiAmaMilano.it BUON NATALE… Ad un mese di distanza dallo sgombero del campo rom di via Rubattino
Buon Natale a chi ama questa città e a chi potrebbe amarla di più. Buon Natale a
tutti quelli che si impegnano per renderla migliore e a coloro che dovrebbero
impegnarsi un po’ di più.
Buon Natale a coloro che pensano che Milano non sia una somma di spazi privati
da difendere attraverso le politiche del panico ma anche a quelli che, magari,
con il nuovo anno smetteranno di pensarlo.
Buon Natale soprattutto ai bimbi rom che fino a poco più di un mese fa erano
accampati con le proprie famiglie in via Rubattino. Andavano a scuola e, grazie
ai tanti sforzi di insegnanti, delle associazioni di volontariato, delle
famiglie dei loro compagni italiani, avevano iniziato un percorso di inserimento
che stava dando frutti positivi.
Ai primi di novembre, quando si attendeva lo sgombero a giorni, una delle
maestre della scuola di via Feltre, Flaviana Robbiati, aveva scritto al Sindaco,
al Prefetto e all’Assessore alle politiche sociali e alla famiglia descrivendo
come grazie alla “collaborazione tra istituto, volontari della comunità di S.
Egidio, Padri Somaschi e parrocchie, sono stati avviati percorsi di
integrazione, primo fra tutti quello di scolarizzazione dei bambini”. La maestra
chiedeva alle Istituzioni un impegno per evitare la “cessazione della
possibilità di frequentare i nostri istituti e evitare di andare in altre
scuole, ove tutto il percorso didattico e di integrazione andrebbe ricostruito”.
Lo sgombero, privo di soluzione organizzative, non avrebbe consentito la
prosecuzione delle iniziative di integrazione, quei primi passi necessari che
possono spezzare il circolo vizioso che costringe i rom a quella marginalità
sempre sul crinale tra condizioni di degrado e violazione della legge.
Alle 7.40 del 19 novembre 2009 Polizia, Carabinieri e Vigili urbani hanno
provveduto allo sgombero di circa 300 persone, tra le quali almeno 80 bambini.
Ironia della sorte, mentre si distruggeva la baraccopoli l’Assessore alla
politiche sociali, Mariolina Moioli, festeggiava nell’Aula Consiliare di Palazzo
Marino la XX Giornata internazionale dei diritti dell’infanzia.
Incurante della mobilitazione dei volontari, degli insegnanti e dei compagni di
scuola dei piccoli rom (questi sono alcuni temi scritti dai compagni italiani
dei bimbi sgomberati) il Comune ancora una volta procedeva manu militari senza
proporre soluzioni che preservassero un percorso di integrazione che occupandosi
dei bambini coinvolgeva le famiglie.
A sgombero avvenuto solo a cinque donne con figli è stata data l’opportunità di
andare in una comunità (tre a Monza, due a Milano). Ad altre quaranta donne che
hanno fatto richiesta, per iscritto, al Comune è stato detto che potevano essere
accolti solo bimbi fino a sette anni; dagli otto in su i figli sarebbero stati
allontanati dalla madre e messi in comunità da soli.
Naturalmente, si fa per dire, uomini e donne sono stati separati. 67 adulti
maschi hanno fatto richiesta per usufruire delle strutture dell’accoglienza
freddo. è stato detto loro di andare in stazione centrale, fare richiesta e
mettersi in lista di attesa.
Moltissime coppie di genitori non hanno accettato di separarsi e nessuna mamma,
anche di quelle che avrebbero acconsentito a separarsi dal marito ha accettato,
però, di separarsi dai bimbi con più di sette anni.
Alla fine della giornata: sette madri sono andate in viale Ortles nel dormitorio
comunale, quattordici in altre strutture religiose.
Per altre sedici donne che il Comune non prendeva in considerazione si trovano
sei posti presso la Parrocchia di S. Elena in zona San Siro, le altre dieci
vengono ospitate alla Casa della Carità di Don Colmegna.
La gran parte delle famiglie, tranne le poche tornate in Romania, sono tutt’oggi
per strada: i nuclei familiari più consistenti che non si sono voluti separare
si sono accampati nelle vicinanze di viale Forlanini, di Segrate, di Corsico e
della Bovisa.
Ad un mese di distanza, solo dodici bambini rom continuano a frequentare, con
grande fatica a causa della distanza, gli istituti scolastici di via Cima, via
Feltre e via Pini.
Buon Natale soprattutto a loro, alle loro famiglie e a tutti quei piccoli rom
che da un mese non possono più frequentare le lezioni.
Chi vuole mandi una cartolina di Buon Natale e Felice Anno Nuovo a:
Angelica V.
Istituto Penale per i Minorenni di Nisida
Viale Brindisi n. 2
80143 NISIDA (NA)
Nota di Elisabetta Vivaldi: Come giustamente discusso con [...], è consentito
mandare cartoline ai minori, tutti i minori (pure quelli Rom). A meno che non ci
siano scritti messaggi "specifici" pare di capire, almeno da quanto la persona
contattata abbia affermato, che altrimenti spetta al Direttore decidere se
recapitarle o no. Io ricordo che è bisogna pure scrivere il proprio indirizzo
sulla cartolina altrimenti non viene consegnata ma di questo non ne sono
totalmente sicura. Non mi sembra che sul sito del "Carcere" Minorile ci siano
spiegazioni...mi sembra strano e ingiusto...C'è qualcuno che vuole aggiungere
qualcosa? Politici ed avvocati per favore fatevi avanti!
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