Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
Da NuovaSocietà.it
- di Eugenio Goria
Jazz manouche non è un'espressione molto familiare tra i non appassionati, ma
in realtà questa musica è ogni giorno sotto gli occhi di tutti.
Chi per esempio non si è mai fermato ad ascoltare almeno per un attimo le note
dei musicisti rom e sinti che facilmente si incontrano nel centro cittadino. Ci
possiamo forse dimenticare Johnny Depp in "Chocolat", quando prende la chitarra
e suona quel curioso pezzo che ci sembra di conoscere da sempre? Beninteso, non
tutti gli zingari suonano jazz manouche, ma è proprio da loro che negli anni
'30 nacque in Francia un linguaggio musicale che di lì a poco sarebbe stato
conosciuto e imitato in tutto il mondo, grazie alle celebri composizioni del suo
inventore Django Reinhardt.
Negli anni '30, prima dell'avvento delle leggi razziali, i gitani vagavano per
l'Europa, portandosi dietro un'antica tradizione musicale. La loro musica veniva
suonata con strumenti semplici e facili da portare in giro, essenzialmente il
violino e la chitarra; come ogni genere popolare essa è costituita da un
martellante ritmo binario sopra il quale suonano uno o più solisti. Quando
questo bagaglio di tradizioni giunse in Francia, dalle parti di Parigi, si
incontrò con la locale tradizione della "musette", un valzer popolare suonato
dalle orchestrine locali. Django Reinhardt, come molti altri zingari, appena
diciottenne si guadagnava da vivere suonando il banjo in una di queste
orchestrine; una sera, un incendio nella roulotte in cui viveva gli provocò
gravi ustioni che tra l'altro gli paralizzarono due dita della mano sinistra.
Sembra strano ma fu proprio in seguito all'incidente che Reinhardt, rifiutando
l'amputazione, iniziò a dedicare anima e corpo alla chitarra per trovare un
sistema che gli permettesse di suonare anche in quelle condizioni.
Fu in quegli anni che nacque il manouche. Nato dal'incontro tra la musica dei
gitani e la musette, teneva conto anche della grande popolarità di cui godeva lo
swing d'oltreoceano, così il nuovo genere fu un vero e proprio miscuglio di
queste tre sonorità. Solo una mente geniale, che non aveva che una vaga idea di
cosa fosse la composizione poté tirare fuori una musica che univa il ritmo
ossessivo delle canzoni tzigane con l'andamento sincopato dello swing. Anche
l'improvvisazione, come in tutto il jazz, ha un ruolo tutt'altro che marginale e
si articola su una ritmica fatta di accordi spesso diminuiti che in francese
gergale prende il nome di "pompe". Non avendo percussioni ovviamente la chitarra
ritmica deve guidare il solista nella sua esecuzione cercando il più possibile
di sostituire gli strumenti mancanti mediante una marcata linea di basso, e
questo è il tratto che più si discosta dalla tecnica dei jazzisti.
Django cavalcò l'onda del successo quando si unì al grande violinista Stephane
Grappelli con il quale incise i suoi brani più famosi come il "Minor swing" e "Nuages".
Ciò che colpiva di questi brani, e ancora adesso li rende inimitabili era la
squisita immediatezza, la primaria semplicità con cui sapevano parlare la lingua
di ascoltatori più e meno esperti. Ascoltare Reinhardt vuol dire riscoprire
suoni e immagini di una Francia pre bellica che sa di pastis e di ballerine in
decolleté, lasciarsi trasportare da un ritmo coinvolgente e affascinante come
tutti gli ibridi.
Il manouche non finì con la morte del suo inventore. Continuò con Stephane
Grappelli, il violinista che aveva suonato con Django i pezzi più famosi, e
progressivamente con altri jazzisti sempre più tecnici e specialisti, o che
quantomeno potevano avvalersi di più di tre dita nella mano sinistra. La tecnica
esecutiva e compositiva oggi è aumentata incredibilmente, ma la scarsa fantasia
insita nei generi popolari ferma in continuazione la mano ai musicisti di nuova
generazione che prima o poi sentono l'esigenza di confrontarsi con l'inventore
del manouche e in definitiva finiscono a riproporre i suoi pezzi. Certo un
contemporaneo come Biréli Lagrène ha un tocco più dolce, è più veloce e meno
ripetitivo, ma lui come altri tendono a perdere quella spontaneità originaria
che resta prerogativa del solo Reinhardt.
Da
Czech_Roma
Brno, 5 gennaio (CTK) - Ivona Parciova, dell'IQ Roma servis, ha detto ieri a CTK
che Rom cechi della comunità di Brno reciteranno questa settimana la love story
di un Romeo rom e una Giulietta bianca, basata sul famoso dramma di
William Shakespeare.
La performance intitolata "Romeo e Giulietta - Una Storia di Strada" [è stata
presentata] il 6 e 7 gennaio al teatro Reduta di Brno.
Il complesso rom trasformerà la famosa tragedia dei due giovani amanti delle
famiglie dei Capuleti e dei Montecchi, in una moderna love story di gente di
differenti gruppi etnici nella società attuale, ha aggiunto Parciova.
Saranno una parte importante dell'allestimento le "danze di strada"
presentate dal gruppo Danza il Cortile.
La performance è stata preparata nel quadro del progetto Attraverso la Danza
verso la Comprensione e la Tolleranza, tenutosi a Brno dallo scorso marzo.
Terminerà a giugno.
Lo scopo principale è di coinvolgere i giovani delle località socialmente
escluse in attività creative, e quindi mostrare loro come impiegare il loro
tempo libero in maniera positiva, ha detto Parciova.
"Volevamo mostrare che la musica e la danza possono connettere vari gruppi
etnici, e che unire gli interessi può migliorare la loro coabitazione," ha detto
l'educatrice Nela Zivcakova.
La performance teatrale è stata preparata da membri di IQ Roma servis di età
tra i 15 e i 18 anni, assieme ad altri bambini.
IQ Roma servis aiuta le famiglie e i bambini minacciati dall'esclusione
sociale, soprattutto Rom, a Brno.
Inoltre, il centro Drom Romany ed il Museo della Cultura Rom a Brno stanno
cercando di migliorare la situazione della locale comunità rom a Brno, che con
360.000 abitanti è la seconda città della Repubblica Ceca (10 milioni di
abitanti). Oltre 17.000 Rom vivono a Brno, secondo le stime degli esperti.
Copyright 2009 by the Czech News Agency (ČTK). All rights reserved.
Da
Aussie_Kiwi_Roma
LIKE WATER/SAR O PAJ - antologia inglese/romanés di poemi di
donne rom - Curata da Hedina Tahiroviae Sijercic, pubblicata nel 2009 da
Kafla InterContinental,
www.indianwriters.org
"Molto spesso noi donne siamo state escluse dalle nostre comunità, e sotto
i nostri leader maschi non è facile spiegare le nostre menti, esprimere le
nostre idee e fare arte." Questo sentimento è ciò che ha ispirato Hedina
Tahiroviae Sijercic a compilare il primo volume di poesie di donne rom. Il
titolo dell'antologia è preso da un poema di Papusza, una delle più liriche ed
emotive scrittrici rom.
Le otto poetesse provengono da ambienti e paesi differenti, ma la maggior
parte ora risiede in Canada o Australia. Le loro poesie ricadono in quattro
categorie principali: autobiografia, lamento, aneddoti ed elogio alla natura.
La collezione inizia con i lavori della stessa Hedina Tahiroviae Sijercic.
Originaria di Sarajevo, in CV1 Hedina fornisce una storia poetica della
sua vita, tipica delle esperienze di molti Rom. Altre poesie, a volte tenere,
altre selvatiche, mostrano le difficoltà di un popolo spesso insultato, affamato
e senza documenti. Come piange in CV2, Naj amen papiri! Kai bizo papiri? Non
abbiamo documenti! Dove possiamo andare senza documenti?
Sarah Barbieux, originaria di Parigi, scrive della pena del nascondere la sua
identità zingara da bambina, ed a voce alta ricorda le canzoni che le
insegnavano i genitori. Julia Lovell, nata in Scozia, accenna alla
sterilizzazione e allo sterminio degli Zingari sotto il Terzo Reich. Gina
Csanyi-Robah, nata a Toronto, fornisce una narrativa in movimento sulla morte
della nonna in Dza e Devalesa meri phuri Dai/Goodbye NagyMama. Yvonne
Slee, nata in Germania, chiede alle altre donne rom di levarsi in piedi accanto
a lei nel mantenere viva la cultura rom. Le poesie della canadese Thais Barbieux
danzano attraverso la pagina con i mitici dragoni, principesse e cavalieri. Rasa
Lee Sutar, nata in Baviera, scrive sulla dignità di affrontare la persecuzione.
Lynn Hutchinson, che vive a Toronto, offre cinque poemi per suo padre. Le
incredibili immagini di good eye clenched/glass eye staring/ tears pouring
from both eyes/the living and the dead, e la descrizione delle bambole che
lui costruiva per lei, inghiottendo le loro verità con il suo ultimo alito,
turbano e sono memorabili.
A volte ogni poeta sale ai livelli che Papusza raggiungeva senza sforzi.
Nella sua poesia maledetta Phuv/Earth, Hedina Tahiroviae Sijercic mostra
al sui meglio la poetica rom, periodi lanciati, che redimono, universali. Sarah
Barbieux, in But Baxt Tuke/May you be lucky, dice Nashti davas tuke
mai but/ferdi murro orimos, mo swinto orimos.../I have been able to give you
nothing more than my wish, my sacred wish... Gina Csanyi-Robah ode o
Romano muzikako bashalipe/the Gypsy music forever playing... In Romane
phenja/Roma sisters, Julia Lovell usa tipiche immagini naturali zigane del
sole e della luna di grande effetto. Yvonne Slee in Cikni Tradicija/A little
tradition, scrive una bella poesia sula sua nonna Sinta che le insegna sulle
erbe e le bacche, seduta sotto una vecchia quercia. Thais Barbieux in O Drom
o kezhlano/The Silken Road descrive come il suo cuore danzi fuori dalla
prigione dei numeri su una strada di seta. Rasa Lee Sutar in Bistardino/Forgotten,
mette a confronto le farfalle col treno nero dei nazisti e Lynn Hutchinson
ispira poemi che mischiano la tradizione lirica popolare col realismo.
Questo importante libro rivela i pensieri e gli ideali di alcune donne rom
del nostro tempo. Sono lieta di aver visto le poesie in lingua originale, di
avvertire il loro ritmo che spesso si perde nella traduzione. Vorrei anche
vederne il seguito, presentare poetesse da tante altre terre.
Un'impresa insolita ed una lettura affascinante!
Janna Eliot, romaroadz@yahoo.co.uk
19-29 gennaio 2010 lunedì/venerdì ore 10.00 - 20.00
Via Mecenate, 35 - Roma (mappa)
MOSTRE
Terre sospese
fotografie di Stefano Montesi
Il popolo del vento
pannelli sulla storia di rom e sinti
Esposizione di oggetti di artigianato
22 gennaio 2010 ore 17.00
tavola rotonda
Artigianato tradizionale e prospettive di lavoro delle popolazioni rom e
sinti
Partecipano:
Paolo Ciani Comunità di Sant’Egidio
Marco Brazzoduro Sapienza Università di Roma
Gianluca Staderini Popica onlus
Fulvia Motta C.R.S. Caritas Diocesana di Roma
Stefano Montesi Fotografo
Sono invitati rappresentanti della Regione Lazio e delle Comunità di Roma
ore 19.00
Dimostrazioni di tecniche di lavorazione del rame e artigianato rom
ore 20.00
Spogliati dai pregiudizi… vesti gipsy
sfilata della collezione primavera-estate 2010
Antica sartoria rom accompagnata dalla musica del Quartet Gipsy
ore 20.30
rinfresco
ore 21.00
concerto Quartet Gipsy
ritmi balcanici e orientaleggianti, doine e sirbe tradizionali romene,
canzoni gitane dell’area mediterranea
Marian Serban cymbalon - Aristide Bucor violino
Albert Mihai fisarmonica - Isak Tanasache contrabbasso
Ingresso libero
L'appuntamento su
Facebook
Di Django Reinhardt s'è raccontato (qui e altrove)
praticamente tutto. Per chi volesse ripassare la sua vicenda...
di Giordano Montecchi 18 gennaio 2010
La storia è di quelle che fanno palpitare: avventura e sventura mescolate
insieme, di quelle storie che non basta un film per raccontarle. Perché è vita
vera, sofferenza, passione, sogni, miseria, fortuna, genio e sregolatezza.
Insomma: Django Reinhardt. Era il 23 gennaio di cent’anni fa. A Liberchies,
qualche centinaio di anime poco a nord di Charleroi, Belgio, faceva un freddo
cane. Appena fuori dal villaggio da qualche giorno c’era una carovana di
zingari, cinque o sei roulottes malandate, coi loro cavalli smagriti, i falò per
scaldarsi, e, al centro, una piccola tenda da circo. Quel giorno, in una delle
roulotte, Laurence Reinhardt partorì un maschietto. Laurence era così scura di
pelle da essere soprannominata «Negros». Era l’acrobata del circo ed rimasta
incinta di Jean Vées, acrobata anche lui e, quando poteva, musicista: chitarra,
violino, un po’ di tutto. Lei però non volle saperne di sposarlo. Il bambino si
chiamò Jean-Baptiste, ma presto gli fu affibbiato l’immancabile soprannome:
Django.
IL BANJO A DODICI ANNI. La carovana viaggò ancora molto. Girovagarono per
l’Italia, poi furono in Algeria e infine si fermarono alla periferia di Parigi.
Sua madre gli regalò un banjo, e a dodici anni Django accompagnava già suo padre
e suo zio che si esibivano al caffé del mercato delle pulci di Clignancourt,
poco fuori Parigi. Django era bravo, molto bravo, suonava la chitarra con una
grinta e una velocità da lasciare a bocca aperta. A diciotto anni aveva già
registrato qualche traccia, aveva la sua piccola fama, ma era e restava uno
zingaro e ogni notte tornava a dormire nella sua vecchia roulotte. La sua
seconda nascita avvenne nel 1928 e fu tragica. Era ottobre, il 26. Jack Hylton,
leader di un’orchestra alla Paul Whiteman piuttosto famosa, gli offrì di entrare
nella sua band per una tournée in Inghilterra. Era fatta!
Forse quella sera Django era eccitato, fatto sta che rovesciò la candela accesa
e i fiori di celluloide da vendere l’indomani davanti al cimitero presero fuoco
e in un baleno la roulotte fu avvolta dalle fiamme. Bella Baumgartner, la sua
compagna, se la cavò con poco, ma Django riportò ustioni gravissime sul lato
destro del corpo e alla mano sinistra. Diciotto interminabili mesi di ospedale,
e alla fine, mignolo e anulare della mano sinistra rimasero paralizzati. I
medici furono unanimi: la sua carriera di musicista era finita. Ma non sapevano
con chi avevano a che fare. Perché da quel rogo di miseria ed emarginazione,
qualcosa che ben conosciamo ancora oggi, era nato Django Reinhardt, il dio
zingaro della chitarra. Dio, perché nessun essere umano avrebbe potuto essere
così testardo, inventarsi un modo di suonare con solo due dita e diventare un
virtuoso impressionante, rivoluzionando la tecnica e il destino della chitarra.
La carriera fu sfolgorante. Incontrò il suo alter ego in Stéphane Grappelli,
violinista tanto per bene quanto Django fu sempre imprevedibile, sbruffone,
spendaccione. Col loro celeberrimo Quintette du Hot Club de France furono i
protagonisti assoluti del trapianto del jazz in Europa, con Monsieur Grappelli
perennemente imbarazzato per le figuracce cui lo costringeva Django: analfabeta
vero, per il quale un contratto era solo carta; nomade nell’anima, bisognoso
ogni tanto di sparire per tornare alla sua roulotte e alle sue radici. Django
era fin troppo «fenomeno» per accodarsi a una musica altrui qual era in fondo il
jazz. Andò in America, ma il suo idolo Duke Ellington fu una delusione: tutto
troppo ordinato, ufficiale, per lui che non volle mai leggere una nota di
musica. Django era un sinti, che in Francia sono detti manouche, ricchi come
tutte le etnie zingare di una loro tradizione musicale tutta chitarre e violini.
Django la «contaminò» e nacque il jazz manouche, jazz portatile: chitarra e
violino solisti, niente batteria ma due chitarre e contrabbasso per la pompe,
così si chiama quel ritmo indiavolato che ti scortica e sale su dalle piante dei
piedi.
INCIDENTE PITTORESCO Curioso sfogliare le pagine di allora. Per André Hodeir,
grande jazzologo, Django non era jazz, ma solo un «incidente pittoresco». Ma
girate oggi per dischi, o per locali. I gruppi di giovani e giovanissimi,
calamitati da questo modo sfrenato di scoparsi la chitarra, sono una schiera e
gli scaffali, quelli che restano, pieni di questa musica, un po’ jazz un po’
world music, con protagonisti dai nomi così inesorabilmente diasporici: Bireli
Lagrène, Stochelo Rosenberg, Angelo Debarre, Tchavolo Schmitt ecc. Hodeir toppò,
ma non Eric Hobsbawm, che nascosto dietro lo pseudonimo di Francis Newton nel
1959 pubblicava The Jazz Scene, magnifica storia del suo oggetto amato. Dice
Hobsbawm: «è significativo che Reinhardt sia fino ad ora il solo europeo che
abbia conquistato un posto nell’Olimpo del jazz... ed è significativo che si
tratti di uno zingaro». Perché insistere su quel «significativo»? Perché un
grande storico come Hobsbawm aveva capito che il destino del jazz non era quello
di essere solo la musica dei neri. Il jazz era l’annuncio che una nuova musica
alzava la voce: la musica di quelli che il «primo mondo» ha sempre ignorato o
odiato. Django è storia di adesso.
Venerdì 29 gennaio alle ore 21.15 la
SVOBODA ORCHESTRA sarà in
concerto per la Giornata della Memoria con lo spettacolo:
Canzoni e musiche della memoria, all’Oratorio di San Filippo Neri in
via Maria Vittoria 5 – Torino – ingresso libero.
Per l’Orchestra sarà anche l’occasione per presentare il suo ultimo cd “Graditi
Ospiti” appena pubblicato e interamente dedicato alle musiche degli ebrei e dei
rom.
Il concerto sarà arricchito dall’accompagnamento di letture ispirate alla Shoah
ebraica e al Porrajmos dei rom.
Il cd Graditi Ospiti nasce da una passione di lunga data per la musica yiddish e
per quella rom, e vuole essere un omaggio a due popoli che, con la loro cultura
e le loro tradizioni, hanno composto musiche e canzoni che a tutt’oggi sono
apprezzate per la bellezza delle melodie, per le armonie suggestive, per la
ritmica coinvolgente e per il cuore con cui vengono interpretate.
Da sempre ebrei, rom e sinti sono, loro malgrado, popoli erranti e le loro
musiche sono frutto di scambi tra le loro culture e quelle dei paesi in cui si
sono trovati a vivere. Il titolo – volutamente ironico – è in realtà un sentito
ringraziamento rivolto a chi ci ha regalato canzoni così belle.
L'evento su
Facebook
GRANDE FESTA BALCANICA
domenica 31 gennaio Circolo Enosud -
via Ollearo 5 MILANO
alle 17 "Poziv na festu" spettacolo musicale per bambini
alle 19 aperitivo balcanico a cura della Kafana Sevdah Marinkovic
alle 20.30 Muzikanti di Balval & Famiglia Mirkovic in concerto a seguire Jam
Session
ingresso con sottoscrizione popolare NON POTETE MANCARE!
bambini, amici, conosciuti e sconosciuti, migranti, occupanti,
fuggitivi,..ecc...vi aspettiamo!!
E' GRADITA LA PRENOTAZIONE PER L'APERITIVO ALL'INDIRIZZO
festabalcanica@yahoo.com
Segnalazione di Windart
COMUNICATO STAMPA
Cassina de' Pecchi, 1 febbraio 2010
"La storia di Rebecca": a Cassina de' Pecchi (Milano) spettacolo teatrale
studentesco per dire no ai pregiudizi razziali
Gli studenti di terza media di Cassina de’ Pecchi (MI) celebrano la Giornata
della Memoria con una rappresentazione teatrale dedicata alla storia di Rebecca
Covaciu, ragazza Rom, premio UNICEF. La commovente storia di Rebecca Covaciu
viene proposta all’attenzione del pubblico in occasione della ricorrenza della
Giornata della Memoria.
A raccontarla saranno le classi della terza media, che in uno sforzo congiunto
hanno inteso offrire un contributo concreto e quanto mai adeguato alla
circostanza. Rievocare gli orrori della Shoah è per loro e per tutta la scuola
un’occasione per ribadire che quegli eventi di un passato ancora così prossimo
non debbono ripetersi mai più.
Convinti che il pregiudizio, allora come ora, costituisca una fonte di
discriminazioni e di persecuzioni, con questa rappresentazione teatrale gli
alunni hanno inteso valorizzare il tema cruciale del rispetto delle minoranze e
della diversità. La diversità, denigrata e beffeggiata da chi la percepisce solo
come mera estraneità, diviene invece un valore nel momento in cui la si conosce.
Lo spunto per fare questa esperienza viene qui offerto dall’incontro con Rebecca
(che sarà presente alla prima dello spettacolo) la cui vicenda condurrà lo
spettatore dentro una realtà di discriminazione ma al contempo lo avvicinerà al
mondo interiore della protagonista rivelandogli uno straordinario messaggio di
gioia e di speranza, contro tutte le discriminazioni.
L’iniziativa ha ricevuto l’incoraggiamento della Croce Rossa Italiana offertoci
dal dott. Marco Squicciarini, Responsabile Nazionale per le attività accoglienza
e assistenza alle popolazioni Rom.
CASSINA DE’ PECCHI
Piccolo Teatro Martesana
4 febbraio 2010 ore 11.00
5 febbraio 2010 ore 20.30
Per informazioni:
"La storia di Rebecca"
tel. 02 9529155 Carol Morganti
email: carolmorgant@yahoo.it
Scuola Media Giovanni Falcone
Cassina de' Pecchi (Milano)
Per saperne di più su Rebecca Covaciu:
http://italiadallestero.info/archives/468 (anche su
http://www.sivola.net/dblog/articolo.asp?articolo=2274 ndr)
Da
British_Roma
Travellers' Times
Zingari e Viaggianti possono spesso essere descritti nei libri per bambini, ma
raramente si scrive di loro. Ma Hilda Brazil ha messo la penna sulla carta per
trovare questo libro ed il risultato sta facendo strabiliare i genitori. Il suo
libro Romany Johnny Joe racconta di come rospi e rane residenti a Toadville si
stiano preparando per una prova di forza dove il detentore Romany Johnny Joe
difende il suo titolo. Ma quest'anno deve affrontare il sindaco di Toadville, un
rospo effettivamente molto grande, sir Burty Marshland.
Hilda lavora per il servizio della giustizia infantile del Consiglio della
Contea del Surrey e si è dedicata a sfidare i pregiudizi che affrontano i
giovani Zingari e Viaggianti. "Non ho avuto una grande istruzione," dice, "ma
questo non significa che non avevo una grande immaginazione. Con l'aiuto di un
computer e di un correttore ortografico ho provato che chiunque può produrre un
libro."
Pubblicato da Athena Press, il libro è un saggio racconto su come uno
sfavorito può affrontare un avversario più potente. Corredato da illustrazioni
che i bambini possono colorare, sta attirando genitori dalla Gran Bretagna e
dall'Australia sul sito
Amazon.com. Un acquirente soddisfatto, O.J Barwick ha scritto:
"E' una storia affascinante dove lo sfavorito vince contro tutti i
pronostici! Progettato per bambini dai sei ai dieci anni, si rivolge a tutti
quanti pensano che la sorte sia contro di loro. E' anche un libro scritto da una
Romanichal che conosce l'arte diraccontare le storie, con riferimento alla
passata vita rurale ed alle tradizioni. Puntualizza con garbo gli errori del
pregiudizio e della discriminazione. Sarebbe indicato per le scuole primarie che
hanno bambini Viaggianti e per quelle che non ne hanno!
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