Di Fabrizio (del 27/05/2011 @ 09:47:07, in media, visitato 1635 volte)
GIOVANNA ZINCONE
Per buonismo si intende quell'insieme di lassismo e di eccessive generosità a
favore di minoranze svantaggiate. Chi usa il termine - ovviamente per biasimarne
la pratica - mai lo utilizzerebbe a proposito di lassismo o eccessive generosità
a favore di appartenenti alla maggioranza, specie alla componente benestante,
come i condoni fiscali o edilizi.
Il buonismo, considerato appannaggio del centrosinistra, di fatto lo attraversa
come un'incrinatura, perché non pochi dei suoi esponenti lo ritengono
responsabile delle proprie sconfitte elettorali. Al contrario, quando
provvedimenti simili, come le regolarizzazioni di massa di immigrati, sono
varati da governi di centrodestra non si parla mai di buonismo, né se ne
paventano i costi elettorali. Ma un'incrinatura di segno opposto attraversa pure
il centrodestra.
Infatti lì c'è chi punta sul «cattivismo», cioè sul fare ricorso ai cattivi
sentimenti e alla faccia feroce, pensando anche che, rispetto alla banalità del
bene, le attitudini da spiriti robusti esprimano una superiore intelligenza.
Può darsi che questa tattica continui a spostare un po' di voti nell'immediato,
ma produce pesanti contraddizioni interne e costringe a vistose retromarce. La
campagna elettorale milanese esemplifica bene i problemi del cattivismo. Il
candidato Pisapia è accusato di voler consentire la costruzione di una moschea.
Intanto il nostro Paese ha ottenuto un seggio alla Commissione straordinaria per
la tutela e la protezione dei diritti umani dell'Onu e il ministro Frattini, non
arruolato tra i cattivisti, ha dichiarato che «l'Italia intende farsi portatrice
di una visione dei diritti umani improntata ad alcuni temi prioritari» e ha
citato come primo obiettivo «la promozione della libertà di religione e di
culto». È lecito chiedersi se questa priorità debba valere anche nel nostro
Paese, nella città di Milano.
Poter usufruire di luoghi di culto adeguati è un elemento essenziale della
libertà religiosa. Lo hanno ribadito, proprio a proposito del progetto di
moschea milanese, il cardinale Tettamanzi e, a nome della Conferenza episcopale,
il segretario generale monsignor Cruciata. Si tratta di una reazione
prevedibile, perché sarebbe contraddittorio per chi rivendica questo diritto per
le minoranze cristiane nel mondo, come fa giustamente la Chiesa cattolica,
negarlo ai musulmani che stanno da noi. A tale banale argomentazione, il
«lucido» cattivismo ribatte che le moschee sono sedi di terrorismo, mentre le
chiese non lo sono e non lo sono mai state. Bisogna però ricordare che in un
passato non remoto i papisti venivano considerati nel mondo protestante come
pericolosi sovversivi; quanto ai rischi di trame islamiste si deve osservare
che, se e quando le moschee fossero pure focolai del terrore, avrebbero il
vantaggio, già sperimentato, di essere facili da monitorare e infiltrare. Di
norma, però, oltre a essere luoghi di culto, erogano e facilitano l'accesso ai
servizi, quindi sono potenziali strumenti di integrazione. Talora fungono
persino da ponti tra culture, in particolare lo sono proprio le grandi moschee
come quella di Parigi, che ha favorito l'emergere di un Islam francese non
prigioniero del fondamentalismo.
Per il cattivismo un bersaglio ancora più facile dei musulmani è rappresentato
dai rom e sinti, minoranza piuttosto impopolare, per la verità non senza qualche
fondato motivo. Ed ecco che la campagna elettorale milanese propone puntualmente
l'incubo della metropoli lombarda trasformata in zingaropoli. Lo sprovveduto
candidato buonista vorrebbe niente meno che trovare una sistemazione abitativa
per i rom, magari coinvolgendoli nella costruzione dei loro alloggi. La
strategia dell'autocostruzione, dove è stata provata come nel caso Dado in
Piemonte, ha avuto un buon successo. Alla base di questa come di altre misure di
integrazione dei rom c'è l'idea che aiutarli ad avere una vita decorosa serva
anche all'intera comunità: a liberare forza lavoro (oggi il tasso di
disoccupazione tra i rom supera il 70 per cento), a drenare un fertile terreno
di devianza. L'istruzione è comunemente considerata lo strumento principe
dell'integrazione, e quella rom è una minoranza fatta di moltissimi ragazzi e
bambini in età scolare. Da una recente rilevazione campionaria della Croce Rossa
emergeva che quasi il 43 per cento dei rom aveva meno di sedici anni e che oltre
il 29 per cento era sotto gli 11. Per minori che vivono in campi igienicamente
disastrati, non collegati con mezzi di trasporto, l'istruzione è un'impresa.
Infatti sono particolarmente alti tra i rom gli abbandoni scolastici e i
ritardi. Sui bambini, anche i cattivisti sono costretti al cordoglio quando
qualcuno brucia o soffoca in catapecchie o camper riscaldati con la carbonella.
Tutti concordano sulla necessità di trovare alternative ai campi fatiscenti. E,
al di là della retorica feroce esibita sotto elezioni, chiunque assuma posizioni
di governo, al centro o in periferia, di fatto deve affrontare il problema e, a
prescindere dal partito o dalla coalizione di appartenenza, lo fa. Magari non
subito, perché appena arrivato al potere deve pagare la cambiale emessa ai suoi
elettori, e per farlo smantella campi senza troppo giudizio. Ma poi deve pensare
a dove destinare decentemente i loro abitanti, quindi investe risorse. Ci sono
anche fondi europei disponibili per integrare i rom. Il commissario Ue Andor,
responsabile per l'occupazione, gli affari sociali e l'inclusione, ha
espressamente invitato gli Stati membri a utilizzare i fondi strutturali per
migliorare le condizioni di vita di queste minoranze. L'Italia ne utilizza
ancora pochi, ma più per difficoltà burocratiche che per avversione ideologica.
Comunque, amministrazioni e governi non solo di centrosinistra, ma anche di
centrodestra, stanziano, assegnano e spendono fondi per rom e sinti. La
commissione straordinaria per la tutela dei Diritti umani del Senato ha prodotto
un importante documento conoscitivo sulla condizione dei rom e sinti approvato
all'unanimità. Se ne consiglia la lettura.
Nella fase preparatoria la commissione ha compiuto varie audizioni. In una di
queste il prefetto di Roma Pecoraro ha dichiarato: «Ad oggi abbiamo potuto
disporre complessivamente di circa 32 milioni di euro (…). Nello specifico i
fondi erogati dal ministero ammontano complessivamente a 19 milioni e 447.000
euro, quelli della Regione Lazio a 5 milioni e i fondi messi a disposizione dal
Comune di Roma sono pari a circa 7 milioni e 900.000 euro».
Insomma, anche coloro che in campagna elettorale demonizzano stanziamenti in
bilancio per rom e sinti, quando devono amministrare sul serio destinano denaro
pubblico per farlo. Viene il dubbio perciò che il cattivismo sia, alla fin fine,
anche più impraticabile e irrealistico del buonismo. Certamente è più
antipatico.
Si trova in via della Seta, tra Roma e Ciampino, e a lavorarci sono solo
donne rom: e' la lavanderia gestita dalla cooperativa Baxtalo Drom,
un'iniziativa nata quattro anni fa che rischia, oggi, di dover chiudere i
battenti. Perché sopravvivere in tempi di crisi economica è difficile. E lo e'
ancor di più per le cooperative che danno lavoro ai rom
Di Fabrizio (del 29/05/2011 @ 09:39:01, in casa, visitato 1559 volte)
Quattro miliardi di lire del 1997. Questa, secondo il
Corriere della Sera, la
cifra che la giunta di Milano di centrodestra voleva investire per "un
villaggio
organizzato di tutto punto, dalle piazzole per le roulotte con allacciamenti per
la luce e per il gas, ai campi di calcio". In favore di chi e di che cosa? Ma
dei nomadi, no? Chi altri?
"E' la prima volta che Milano cerca di risolvere con grande dignità e
finanziamenti cospicui il problema dei nomadi, tuttora sparsi in campi obsoleti
ai margini dei quartieri periferici", dichiarava il vicesindaco Riccardo De
Corato (e il Corriere specificava: "con orgoglio").
Altro che il programma del Pisapia candidato sindaco della sinistra: un
"autentico stupidario" che, secondo le parole dello stesso De Corato, in
versione aggiornata 2011, "dietro l'ambigua parola 'autocostruzione' intende
dare case cascine ristrutturate a tutti i rom abusivi".
"Milano il Paese di Bengodi. Ha ragione Bossi, la città sarà zingaropoli", tuona
oggi De Corato. Vuoi mettere con
Nomadopoli, quel villaggio organizzato di tutto
punto, auspicato dalla sua collega Ombretta Colli nel 1997?
Il vice sindaco e assessore alla Sicurezza, candidato al Consiglio Comunale di
Milano come secondo capolista per il Popolo della Libertà, continua prevedendo
catastrofi: "A Milano 6.500 se ne sono andati grazie a oltre 500 sgomberi. Ora
ne rimangono 1500. Ma con quella lauta prospettiva faranno immediata marcia
indietro. La voce correrà fino in Romania dove i rom sono 2 milioni. Che dunque
busseranno alla porta per avere anche loro una casa o un rustico tutto per
loro". "A questo punto - aggiunge De Corato – è interessante sapere in
quale
quartiere sorgerà questa immensa zingaropoli. Dove verranno costruite queste
palazzine per i nomadi, quali sono le cascine dove troveranno posto rom romeni,
sinti siciliani e spagnoli con camper e roulotte".
Eh sì, qui è la voce dell'esperienza che parla. Forse De Corato ricorda ancora i
cittadini di Rozzano che si erano messi di traverso perché quel villaggio
perfetto, vicino a casa loro, non lo volevano proprio.
"Il sindaco Pds di Rozzano boccia il campo Rom al Gratosoglio" titolava il
Corriere. Sì, il
sindaco Pds, la signora Maria Rosa Malinverno, una pericolosa
estremista, che fece addirittura un ricorso al Tar contro quella Nomadopoli
detta anche "Villaggio Lambro meridionale", fiore all'occhiello delle politiche
sociali della giunta Albertini.
"Rozzano sta esagerando, dimentica che il terreno è di Milano. Noi chiudiamo due
villaggi dove i nomadi erano in condizioni disperate e ne apriamo un altro dove
vivranno dignitosamente" aveva risposto l'assessore Ombretta Colli. "Poi, certo,
capisco i disagi e le proteste dei cittadini: hanno perfettamente ragione. Ma le
leggi sui nomadi e i clandestini non le facciamo noi".
25/05/2011 - Saranno da compensare tre persone rom ingiustamente condannate
per il tentato omicidio di una famiglia nel 2008. Alla fine del 2008, qualcuno
gettò tre molotov contro la casa di una famiglia rom nel villaggio di Tarnabod
dell'Ungheria nord orientale. Fu a rischio la vita di quattro persone, ma
fortunatamente non morì nessuno. La polizia arrestò quattro giovani rom e li
accusò di tentato omicidio.
Successivamente i giovani furono condannati e passarono 11 mesi in prigione.
Nel frattempo, la polizia arrestò i veri colpevoli di quell'attacco e di altri
commessi contro altre famiglie rom. In totale morirono sei persone per quella
serie di attacchi anti-Rom.
La decisione di compensare i giovani innocenti è stata presa dalla corte
distrettuale di Heves nella città di Eger.I giovani riceveranno un risarcimento
per l'importo di diversi milioni di fiorini ungheresi.
Nella foto (QUIl'originale ndr) Theresia Seibel con sua figlia Rita. Alla finestra la
zia del donatore, Nelka.
Date:1946 - 1946 Locale:Wuerzburg, [Franconia] Germany Credit:United States Holocaust Memorial Museum, courtesy of Rita Prigmore Copyright:United States Holocaust Memorial Museum
Rita Reinhardt Seibel (ora Prigmore) è la figlia di Gabriel e Theresia (Winterstein)
Reinhardt. Lei e sua gemella, Rolanda, nacquero il 3 marzo 1943 a Wuerzburg,
dove i loro genitori lavoravano entrambe nel teatro cittadino. Gabriel (nato nel
1913) era originario di Marbach. Aveva per un certo periodo studiato musica al
conservatorio di Stoccarda. Assieme ai suoi quattro fratelli, Gabriel aveva
suonato in una banda e gestiva un'impresa di riparazione di violini.
Precedentemente Gabriel aveva sposato un'altra donna, da cui aveva avuto un
figlio, Rigo. La prima moglie di Gabriel venne deportata all'inizio degli anni
'40, e poco dopo, lui venne informato della sua morte ad Auschwitz. Theresia (nata
nel 1921) era di Mannheim. Da giovane frequentò la scuola in un convento e a 16
anni entrò nel teatro cittadino di Wuerzburg come cantante e ballerina. Nel 1941
diversi membri della famiglia di Theresia furono portati nel quartiere generale
della Gestapo, dove furono costretti a firmare moduli di autorizzazione alla
sterilizzazione. Vennero minacciati di deportazione in caso di rifiuto.
Prima di essere sterilizzata, Theresia aveva consapevolmente deciso con
Gabriel di rimanere incinta. Quando venne chiamata per la procedura, era in
attesa di tre mesi di due gemelle. Quando gli igienisti razziali lo scoprirono,
lei e la sua famiglia vennero arrestati, mentre si contattò Berlino per decidere
sul da farsi. La risposta fu che a Theresia doveva essere permesso di continuare
la gravidanza, a condizione che i bambini venissero inviati, a nascita avvenuta,
alla clinica dell'università di Wuerzburg. Lì c'era il dottor Werner Heyde, professore
di neurologia e psichiatria, e membro chiave del programma di eutanasia nazista,
che conduceva ricerche sui gemelli. A quanto pare, anche il dottor Joseph
Mengele aveva un interesse personale sui gemelli di etnia sinti. Nel corso della
gravidanza, Theresia e Gabriel erano sotto sorveglianza costante.
Non avendo più il permesso di lavorare al teatro della città, Theresia prese
un lavoro come usciere e Gabriel andò a fare il fattorino per una compagnia
farmaceutica. Le gemelle nacquero alla presenza del dottor Heyde. Avevano brevi
pause a casa con i loro genitori, ma la maggior parte del tempo erano confinate
in clinica. In un'occasione, le gemelle furono lasciate ai genitori per un
servizio fotografico di propaganda sui genitori sinti, per passeggiare con le
bambine lungo la Domstrasse a Wuerzburg. La seconda settimana di aprile,
Theresia e Gabriel ricevettero un avviso preventivo per la deportazione.
Le bambine non erano incluse e Theresia andò immediatamente in clinica per
vederle. Quando arrivò le dissero che non era possibile, ma Theresia si fece
strada lo stesso. Trovò Rolanda che giaceva morta con la testa fasciata, vittima
degli esperimenti di colorazione degli occhi. Isterica per la scoperta, Theresia
afferrò la gemella superstite, Rita, e fuggì. Il giorno stesso o quello dopo,
Rita fu sottratta ai genitori e riportata in clinica.
Theresia e Gabriel non la rividero per un anno. Pochi giorni a distanza
dall'evento, il corpo di Rolanda venne restituito ai genitori che predisposero
un adeguato funerale sinti. Una settimana dopo Theresia venne sterilizzata a
forza. Gabriel perse il suo lavoro alla compagnia farmaceutica, ma non venne
sterilizzato. Nel 1943 diversi membri della famiglia estesa di Theresia, incluso
il fratello minore Otto Winterstein e lo zio Fritz Spindler, vennero deportati
(sopravvissero entrambe). Nell'aprile 1944 Theresia ricevette misteriosamente
una lettera dalla Croce Rossa tedesca a Wuerzburg, con le istruzioni per andare
a riprendere Rita.
La famiglia Reinhardt rimase assieme sino al 1946 o al1947, quando la prima
moglie di Gabriel, che in realtà era sopravvissuta alla guerra, tornò in
Germania. Gabriel decise di tornare da lei ed il suo matrimonio con Theresia
venne annullato dal tribunale USA di Stoccarda. Rita rimase con Theresia e non
rivide suo padre sino al 1959. Nel 1962 Theresia si risposò con un soldato
americano, che morì nel 1972. Rita soffrì di numerosi disturbi fisici (inclusi
forti mal di testa e perdite accidentali di coscienza) per tutta la sua gioventù
e l'età adulta, che sua madre attribuì al trattamento presso la clinica di
Wuerzburg durante il periodo nazista.
Rita si sposò a 21 anni e subito dopo diede alla luce un figlio e una figlia.
Lei e la sua famiglia emigrarono negli USA negli ani '70. Diversi anni dopo,
Rita divorziò da suo marito (lasciando anche i figli) e tornò in Germania per
aiutare sua madre nel gestire un'organizzazione sinti dei diritti umani, che
cerca di aumenatre la consapevolezza sul destino dei Rom e dei Sinti durante
l'Olocausto. Rita ora vive a Wuerzburg.
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