Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Di Fabrizio (del 27/02/2010 @ 09:50:56, in Italia, visitato 2356 volte)
Come sapranno i lettori più vecchi, in Mahalla ci piacciono
le favole, Eccovi una bella segnalazione di
Alberto Maria Melis
Corriere del Veneto La storia . Ha comprato la roulotte e paga le bollette:
«Visto che posso, faccio qualcosa»
Tonin, 100 dipendenti, da 1o anni ospita quattro famiglie nomadi affianco
al suo capannone: vivevo in una baracca
Il mobiliere Gianni Tonin, imprenditore di San Giorgio in Bosco (Padova), con
una delle quattro famiglie rom che ha ospitato all’interno del recinto della sua
fabbrica (Gobbi)
SAN GIORGIO IN BOSCO (Padova) - L'imprenditore «zingaro». E cacciatore di
storie. Da dieci anni ospita quattro famiglie di rom all'esterno del suo
capannone: ha comprato le roulotte e ha dato loro la residenza, così i bambini
possono andare a scuola. Ma c'è molto di più da raccontare. E' una storia che
comincia nel Veneto contadino, quando al posto dei capannoni c'era solo terra. E
di un camion in cui si cucinavano gli spaghetti in corsa pur di arrivare in
tempo all'apertura dei mercati. Oltre il muro di Berlino, a Est. Nel
palazzo-capannone, sede dell'azienda con le pareti vetrate, si apre un porta nel
corridoio e senza filtri si entra nel laboratorio delle decorazioni. C'è un
mobile bianco in legno massiccio, placcato con fogli dorati: «Questo va in
Russia».
La roulotte comprata da Tonin accanto al capannone (Gobbi)
Incontriamo Gianni Tonin nel cuore del suo impero a San Giorgio in Bosco dove il
mobilificio sforna mobili di design da quando ha inventato il marchio di
famiglia. Un suo tavolo, per dire, è finito in una delle edizioni del Grande
fratello. Lui, nell'impeccabile gessato, entra in fabbrica e prende un caffè con
gli operai dalla macchinetta. Intasca un numero di telefono ricevuto da una
decoratrice romena, che gli chiede: «Gianni chiami tu?». All'esterno, oltre i
capannoni hi-tech ultimati quattro anni fa, lasciati i suv aziendali nel
piazzale, c'è un altro capannone dove risiedono - regolarmente iscritte
all'anagrafe - quattro famiglie rom. Sono originari della Romania e sono
diventati negli anni italiani a tutti gli effetti. Vivono in un camper e altre
roulotte: ci sono dei servizi igienici, la corrente e l'antenna Tv. Hanno scelto
di restare erranti per tutta la vita. Il riscaldamento lo forniscono le bombole
del gas e il conto lo salda «Toni ».
E' il soprannome dell'imprenditore diventato re degli zingari in casa propria.
Ed è lì nell'accampamento con il falò ai piedi dei capannoni, che c'è il cuore
del suo regno. Si siede nel camper a bere un caffè e ad ascoltare le storie
accendendosi l'ennesima sigaretta. Accade in un Veneto dove in quasi tutti i
comuni vige il divieto di stazionamento e ci sono sbarre nei parcheggi. Con un
ghigno, Gianni Tonin ricorda quando ha pagato tutte le multe e ospitato nel
piazzale le quattro famiglie: «Così imparano a mandarli via». «Ogni giorno c'era
un polverone di denunce e io sono un maestro dei "disastri" - racconta con
ironica schiettezza -Ho fatto prendere a tutti e sei la residenza, così ho
risolto il problema e i bambini possono andare a scuola: ogni settimana ciascuno
riceve ottanta euro, hanno la corrente il bagno esterno e il riscaldamento». E
perché lo fa? «Se lo domandano in molti: io voglio sentire le storie del mondo.
E visto che posso, faccio qualcosa». Dà un'altra possibilità. E' nella carovana,
oltre la soglia del suo ufficio, che ricorda come è nato tutto. Risale a quando
c'erano solo i campi dove adesso sorge la zona industriale. Tonin all'epoca, non
era «nemmeno un contadino». «Con i miei genitori vivevamo in una baracca
"abusiva", perché chiamarla casa… Era in mezzo alle terre dei contadini, rubavo
le uova e le galline per mangiare. L'acqua la bollivamo per berla, la
prendevamoa valle dopo che era passata dai maiali: perché non ci volevano dare
niente nelle fattorie».
Il re del mobile si stiracchia sulla poltrona di design, distende le gambe e si
scioglie un poco a ritrovarsi bambino. «Io e i miei ridevamo e cantavamo sempre,
avevamo la fede: poveri i ricchi!». Racconta e arriva fino all'incidente che lo
ha fatto diventare imprenditore quando, a vent'anni, faceva il camionista. In un
viaggio gli capitò di restare intrappolato sotto la motrice del camion mentre si
scapicollava per le strade della Polonia, Cecoslovacchia (allora) e Romania. Ai
tempi del muro di Berlino. «Ero specializzato nel cucinare gli spaghetti in
camion mentre correvamo: il ritardo al mercato ci sarebbe costato una penale -
dice sorridendo - Passavamo le frontiere dell'Urss in silenzio tra carri armati
e mitra, i militari guardavano sotto il camion con gli specchi: avevamo sempre
un po' di burro di contrabbando». E via con le discese in folle per lanciare il
camion oltre i cento all'ora. Una di quelle volte, il suo amico si scontrò
vicino a un ponte. Lui dormiva in cuccetta: «Mi sono ritrovato con il letto
incastrato sotto la motrice che sprofondava nel fango, l'olio del motore mi
bruciava il petto e il peso mi stritolava: mi hanno salvato dei camionisti di
passaggio che erano di Tombolo (Padova)».
Dopo essere tornato dalla Romania in treno con sette vertebre fuori posto, ha
iniziato a vendere scarpiere a domicilio. Da qui nasce l'impero Tonin. Prima ne
ha assunto uno, poi due fino ad oggi con oltre cento di dipendenti: italiani,
turchi, romeni, brasiliani. Il capomastro è il primo romeno che Tonin ha aiutato
e ce ne sono stati molti altri. Ancora, perché? «Mi ricordo la fame dei popoli
che ho incontrato nei miei viaggi - racconta - Una ventina di anni fa sono
tornato in Romania e in un bar di notte - va a nozze con le periferie - a Baia
Mare ho conosciuto Beni, uno di lì, che parla italiano e con lui ho ricostruito
un villaggio di zingari». É fatto così. Un giorno poco prima di Natale gli hanno
raccontato di romeni che vivevano in un bosco, fuori San Giorgio, nel suo paese.
Non poteva lasciarsi sfuggire quel mistero. «Sono arrivato in Bmw con cappello e
cappotto nero: pensavano fossi un poliziotto invece li ho invitati tutti a casa
per il pranzo di Natale - ride senza prendere fiato - E’ stato il più bel pranzo
di Natale che ricordi ». Gianni Tonin ha molte altre storie da raccontare.
Storie. Dell'imprenditore che sogna di tornare zingaro almeno per una volta,
ancora a bordo della sua carovana.
Martino Galliolo - 25 febbraio 2010
Di Fabrizio (del 27/02/2010 @ 23:03:52, in Italia, visitato 2253 volte)
Ricevo da Marco Brazzoduro
MARTEDI' 2 MARZO ORE 14.30 - 16.30
Aula Magna del Liceo Sc. M., Malpighi
Via Silvestri 301, Roma
Culture Rom Sinti
tra storia e contemporaneità
Interventi di :
● Luca Bravi, storico, Università di Firenze
“L'internamento in Italia e il Porrajmos”
con presentazione di interviste e materiali video
● Graziano Halilovic, Federazione Romanì, Associazione di Promozione
Sociale Roma' Onlus
“Situazione attuale e nuove strategie verso la rappresentatività”
Di Fabrizio (del 28/02/2010 @ 08:09:34, in Italia, visitato 2047 volte)
Internazionale Mihai Mircea Butcovan è uno scrittore romeno. Vive in Italia dal 1991.
Questa storia comincia così, con due euro. Ma sono più di due le ragioni per cui
i nomi dei protagonisti è meglio tenerli nascosti. È la storia di un uomo e una
donna. Lui era rimasto archiviato nella mia memoria come l’Olandese volante.
Lo incontravo a Milano alle presentazioni di libri, alle letture di poesie e ai
dibattiti sull’immigrazione. Arrivava, zaino in spalla, da turni di lavori
saltuari e precari come la sua condizione. Alzava la mano, si scusava per il
ritardo e interveniva nel dibattito con domande pertinenti e stimolanti. Quasi
sempre doveva scappare prima di mezzanotte, in tempo per l’ultima corsa dei
mezzi pubblici. Poi è scomparso.
L’ho incontrato di recente in metropolitana. Negli ultimi mesi all’Olandese
volante sono capitate molte cose, tra cui una donna. Allora mi ha invitato a
casa sua per prendere un caffè e per farmela conoscere.
Lungo i navigli
Ora sono qui, con una fetta di torta e una tazza di caffè, davanti a due persone
che mi raccontano la loro storia. A cominciare dai due euro. Alcuni mesi fa lui
passeggiava in bicicletta lungo uno dei navigli di Milano. Andava a studiare,
all’ombra degli alberi, per il corso di operatore sociosanitario. Passava
davanti a un campo rom quando lei lo ha fermato chiedendogli due euro.
“Dammi un po’ di fortuna in cambio”, ha detto lui. Ma qualcosa era già successo
in quell’incontro di sguardi e di storie. Lui, curioso e avido di sapere, si è
fermato altre volte a fare domande: su di lei, sulla sua vita nel campo, sulla
sua storia, raccontandole nel frattempo la propria. È nata così la storia
d’amore tra un Olandese volante meneghino e una rom albanese.
Lui ha vissuto per un paio di mesi nel campo rom, ma le abitudini e le
condizioni di vita del posto erano insostenibili. Le leggi non scritte che
regolano la vita nel campo non facevano per lui, e nemmeno più per lei. La
famiglia d’adozione della ragazza era impegnata in attività che sconfinavano
nell’illegalità, lei era stata minacciata ed era diventata oggetto di tentativi
di compravendita.
Per andare a vivere insieme ed emanciparsi da quella situazione, hanno chiesto
aiuto ai loro conoscenti. Così si è attivata una piccola rete di solidarietà che
ha permesso alla nuova coppia di prendere in affitto un appartamentino. Secondo
lui ci sono ancora alcuni lavori da fare. Lei sogna una cucina nuova. Ma le
torte che prepara in quella vecchia sono comunque squisite.
Una storia europea
Lui parla cinque lingue: neerlandese, tedesco, francese, italiano e inglese.
Vorrebbe imparare anche il romanès. Ha una laurea in sociologia e un dottorato
in lettere, ottenuto nei Paesi Bassi. Lei non sa né leggere né scrivere. Ma
parla il romanès, il greco, l’albanese e l’italiano. È nata in Albania e ha
vissuto tra la Grecia e il Kosovo.
Lui ha scritto un libro, pubblicato nei Paesi Bassi, sui partiti e i movimenti
politici italiani dal 1970 al 1990. Quando gli chiedo di parlarmene, lo fa quasi
con imbarazzo. “Il mio studio”, dice, “giunge alla conclusione che negli ultimi
decenni i partiti politici italiani hanno cancellato ogni capacità di rinnovarsi
e di rinnovare il sistema della democrazia parlamentare”.
Gli chiedo perché non cerca un editore italiano. “Il libro tratta della storia
italiana recente che è, per forza, anche una storia europea”, dice lui, evitando
di rispondermi.
“Come la nostra storia”, interviene lei.
“Oggi la nostra priorità è sistemare casa e trovare un po’ di serenità
economica. Ci siamo accorti di poterci ancora innamorare, nonostante esperienze
di vita non esattamente stimolanti”, aggiunge lui, al momento dei saluti.
Buona fortuna, Olandese volante. Mihai Mircea Butcovan
Di Fabrizio (del 28/02/2010 @ 08:34:43, in Europa, visitato 1939 volte)
Da
Hungarian_Roma
The Huffington Post By Joelle Fiss, Pennoyer Fellow - Combating Hate
Crimes
24/02/2010 - Proprio un anno fa, il 23 febbraio 2009, Robert Csorba, 27 anni di
origine rom, e suo figlio di quasi 5 anni furono colpiti a morte mentre
scappavano dalla loro casa in fiamme a Tatárszentgyörgy [leggi
QUI ndr]. La sparatoria è avvenuta subito dopo mezzanotte. La famiglia
tentava di fuggire dalla sua casa in fiamme, ma nel mentre Robert Csorba e suo
figlio furono colpiti a morte dalle pallottole. La moglie di Robert e altri due
bambini furono seriamente feriti, oltre naturalmente a patire traumi emotivi.
Un anno dopo, quando Human Rights First visitò la famiglia, c'era una
sensazione che queste morti avrebbero potuto essere evitate. Senza dubbio ci
sono stati degli errori: l'ambulanza arrivò più tardi del previsto dopo che
il crimine fu commesso. La polizia ed il personale medico furono lenti nel
riconoscere il motivo dell'incidente che portò alla loro morte. In aggiunta, la
polizia concluse inizialmente che il fuoco era stato causato da un incidente
elettrico. Mancarono di indagare su importanti indizi che li avrebbero portati
rapidamente ai sospetti.
Questo doppio omicidio non è stato un incidente isolato. Violenze simili
hanno colpito la nazione nel 2009, colpendo la comunità rom ungherese di 600.000
membri. Sono stati registrati dozzine di gravi crimini razziali, comprendenti
l'uso di fucili, il lancio di molotov o di severi pestaggi.
Sono stati compiuti progressi nell'affrontare il circolo vizioso della
violenza e le autorità ungheresi hanno preso misure importanti. Quattro sospetti
coinvolti in quelli che vengono chiamati "omicidi seriali" sono stati arrestati
l'agosto scorso. Centinaia di investigatori sono stati mobilitati su questi
casi. Human Rights First spera che inizi presto il processo e che sia pubblico,
così da aiutare a portare un senso di giustizia tra le vittime. Un processo,
aperto e nazionale, porterebbe in primo piano al dibattito pubblico della
questione della violenza razziale contro i Rom. Le conversazioni potrebbero
partire dai politici, esperti sui diritti umani e comunità rom, allo scopo di
evitare violenze simili in futuro. I giornalisti potrebbero discutere su come
evitare di cadere nei soliti luoghi comuni, quando gli incidenti riportati
riguardano i Rom.
Paradossalmente, è incoraggiante il fatto che la polizia abbia recentemente
ammesso che siano stati fatti degli errori. Con questa constatazione, c'è più
possibilità che i responsabili siano disposti a discutere sulle riforme
necessarie alla polizia per evitare il ripetersi degli errori. Qualche
giorno fa - quasi un anno dopo gli omicidi - la polizia nazionale riconobbe che
c'era stata una cattiva condotta da parte sua, in risposta al doppio omicidio di
Tatárszentgyörgy. Come risultato, sono iniziate procedure interne disciplinari
verso due poliziotti per assicurare la responsabilità sulle loro mancanze. Ciò
va in qualche maniera nella direzione intrapresa dal governo, che chiede vengano
messi in atto meccanismi adeguati per rispondere agli abusi polizieschi.
Detto questo, rimane ancora molto da fare.
In primo luogo, l'addestramento della polizia è un punto centrale nel
prevenire violenze a sfondo razziale. Quando questa avviene, la polizia deve
usufruire di una buona formazione nel raccogliere le prove, così che l'indagine
possa definire correttamente la natura del crimine commesso. Effettivamente, se
l'indagine sulla scena del crimine è incompleta e viene ignorato il motivo
razziale, il sistema della giustizia non può assicurare la sua piena
responsabilità.
Quanti sinora si sono occupati degli assassini seriali sono investigatori di
esperienza. Ma la polizia locale è formata adeguatamente nel fare fronte agli
avvenimenti a livello base, agli episodi giornalieri di minacce e piccole
violenze, che non assumono a fama nazionale? La polizia ha bisogno di adattare i
meccanismi di risoluzione dei conflitti ai rispettivi contesti locali. Sarebbe
utile che potessero confrontarsi con le loro controparti di altri paesi per
arrivare a soluzioni creative. A tale proposito, gli Stati Uniti potrebbero
essere di grande aiuto. Allo stesso modo che gli investigatori dell'FBI volarono
a Budapest l'estate scorsa per dare assistenza alla polizia ungherese
nell'identificare gli assassini seriali, potrebbero radicarsi nel futuro anche
altre forme di cooperazione tecnica e di mutui progetti, col supporto del
Dipartimento USA alla Giustizia e del Dipartimento di Stato.
Secondariamente, le autorità ungheresi preposte alla legge dovrebbero
considerare di compiere sforzi concertati per includere più ungheresi di origine
rom nelle unità di polizia [leggi
QUI ndr], per rompere il sentimento cognitivo di "noi contro loro" che
alimenta le tensioni sociali.
Terzo, quando la polizia commette degli errori, le indagini devono essere
effettuate sistematicamente - come nelle deviazione avvenute nel caso degli
omicidi Csorba, cosicché ci sia un senso genuino di responsabilità per coloro
che ritengono che i loro diritti siano stati violati.
Anche più difficile, ma non una sfida meno importante, è trasformare gli
stereotipi anti-Rom profondamente radicati che sono tollerati a molti livelli
all'interno della società ungherese - sia nei circoli privati, sia nell'arena
politica che nei media. Istvan Serto-Radics, sindaco della città di Uszka
- largamente popolata da residenti rom, ha scritto assieme al professor John
Strong di Long Island USA una ricerca, in cui si paragona la difficile
situazione dei Rom nell'attuale Ungheria a quella degli Afroamericani nel
Mississippi della metà degli anni '60 e '70. Descrivendo i modelli psicologici
pregiudicati, dice: "Ci sono diverse ed importanti similarità tra i Rom e gli
Afroamericani... stereotipi simili sono frequentemente usati per descriverli.
Sono entrambi visti come pigri, proni al crimine, inferiori intellettualmente,
emozionalmente immaturi, anche se dotati nella musica". In aggiunta, i problemi
strutturali degli alti tassi di disoccupazione, le aree abitative ghettizzate,
la discriminazione nella sanità e nell'istruzione, come pure i rapporti tesi con
la polizia, sono tutti gli altri fattori che determinano le rassomiglianze
storiche. Malgrado ciò, ci sono differenze significative; per esempio la
comunità rom non ha mai lottato per acquisire il diritto di voto - partecipano
persino attivamente alle elezioni.
Come si inserisce questo turbolento contesto sociale nelle imminenti elezioni
nazionali che si terranno ad aprile? Il neofascista partito Jobbik è in buona
posizione per ottenere una generosa massa di voti. La sua agenda politica è
semplice: militaristica. A parte i crudi discorsi razzisti contro gli Ebrei,
chiama all'uso dell'esercito per agire contro i Rom per "restaurare l'ordine" e
combattere "il crimine zingaro". La "criminalità zingara" è una nozione
problematica filtrata tristemente nel discorso pubblico come concetto
tradizionale. Tuttavia, il pubblico sembra afferrarla intuitivamente, mentre il
capire l'effetto della violenza razzista è meno condiviso e non sempre
accettato. Invero è un problema di micro-criminalità che colpisce una corda
sensibile di molti Ungheresi. Tuttavia, l'oltraggio pubblico è ben più forte se
un Rom è beccato a rubare, piuttosto di quando viene colpito a morte. La
risposta della polizia può riflettere questo, mentre gli attacchi razzisti
contro i Rom possono essere benzina gettata sui crimini di cui sono gli
esecutori.
I membri della Guardia Ungherese, l'ala paramilitare di Jobbik, sfruttano le
legittime paure del crimine. Sono conosciuti per vagare intorno ai villaggi
popolati da Rom intimidendoli con violente minacce o aggredendoli. Infatti, Tatárszentgyörgy
è uno dei primi posti dove hanno cominciato sfilare dalla loro creazione
nell'agosto 2007.
Ecco allora un suggerimento a tutti i democratici in Ungheria che seriamente
combattono l'ascesa dell'estremismo nel loro paese mentre incombe la campagna
elettorale. Se i cittadini ungheresi si sentissero protetti ugualmente dallo
stato, ci sarebbe una migliore probabilità porre freno l'estremismo. Gli
elettori di Jobbik [...] stanno rivolgendosi ai bulli neonazisti in cerca di più
sicurezza. Nel contempo, i componenti della comunità rom hanno paura di essere
insultati, minacciati o assaltati per strada: è tempo che i politici
responsabili - e quanti formano l'opinione pubblica - parlino apertamente contro
il razzismo, così come lo fanno contro il crimine. E' tempo di essere sicuri che
non esiste crimine pari al rubare le vite di
Robert Csorba e del suo piccolo figlio.
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