Rom e Sinti da tutto il mondo

Ma che ci fa quell'orologio?
L'ora si puo' vedere dovunque, persino sul desktop.
Semplice: non lo faccio per essere alla moda!

L'OROLOGERIA DI MILANO srl viale Monza 6 MILANO

siamo amici da quasi 50 anni, una vita! Per gli amici, questo e altro! Se passate di li', fategli un saluto da parte mia...

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Gli Zingari fanno ancora paura?

La redazione
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Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
 
 
Di Sucar Drom (del 26/02/2015 @ 10:20:45, in blog, visitato 19512 volte)
Dear Friends, Nine months ago the blog Mahalla ceased. It’s motor shut down. On Sunday 25th of May FABRIZIO CASAVOLA, who was its life force, died aged 55. Mahalla was his invention and he was the driving force behind it in all these years. He dedicated his life, his passion and his intelligence to this project in the defense of a people abused, ill-treated and discriminated against almost always, almost everywhere, however they are called: Roma, Sinti, Manouches, Kalé , Rominchals….. Fabrizio was a shy man, so reserved as to sometimes appear ill-tempered, but hugely open to people and different cultures. One could never forget his smile ! We his friends, both men and women, would like him to remain with us through Mahalla, which we intend to restart. To this end in July we formed the group ‘CIAO FABRIZIO’ with the aim of safeguarding, keeping alive and in activity his blog Mahalla, of which the legal domain has been renewed. We are at this moment forming an editorial staff to deal with this important challenge and ask you all to contribute. Therefore we invite you to resume your visits to the blog which will be up dated very soon, and to start sending us your material. The next initiatives will be announced on Thursday February 26th during the evening in memory of Fabrizio, details of which can be seen on the poster herewith attached and subsequently on the blog.
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Di Sucar Drom (del 23/02/2015 @ 19:23:40, in blog, visitato 18587 volte)
Care amiche, cari amici, Mahalla è rimasto fermo fino ad ora, perché, nove mesi fa, si è spento il suo motore: Fabrizio Casavola è infatti scomparso domenica 25 maggio 2014, all’età di 55 anni. Di Mahalla era stato l’inventore e l’animatore in tutti questi anni, dedicando vita, passione e intelligenza a questo progetto e alla difesa di un popolo martoriato e discriminato, quasi sempre, quasi ovunque, comunque lo si chiami: Rom, Sinti, Manouches, Kalé, Romanichals… Fabrizio era un uomo timido e riservato fin quasi alla scontrosità, ma grandemente aperto alle persone e alle culture. Di lui non potremo dimenticare il sorriso. Noi, sue amiche e suoi amici, vogliamo che Fabrizio resti con noi attraverso Mahalla, che intendiamo riavviare. Per questo abbiamo costituito già da luglio il Gruppo Ciao Fabrizio, col proposito di salvaguardare e di mantenere in vita e in attività il blog Mahalla, il cui dominio è stato rinnovato. Stiamo ora costituendo una redazione che affronti questo importante compito, chiedendo a tutti di collaborare. Vi invitiamo pertanto a riprendere le vostre frequentazioni del blog, che presto tornerà a essere aggiornato, e a proseguire l’invio di vostri materiali. Delle prossime iniziative daremo notizia il 26 febbraio, durante la nuova serata in ricordo di Fabrizio, di cui vedete la locandina, e successivamente sul blog.
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Di Fabrizio (del 22/05/2014 @ 09:00:58, in media, visitato 20423 volte)

Da Antonella Loconsolo

Ieri sera, leggucchiando su Facebook, mi imbatto in una notizia allarmante. Milanopost, giornale online di formazione e cultura (sic!) mi dice che nell'Esselunga dietro casa mia, in viale Suzzani, quartiere Bicocca, zona 9, sarebbe stato sventato un rapimento di un bambino da parte di una rom, naturalmente definita "zingara", perchè così si usa su certe testate vicine al centro destra.
Questa mattina vado appena posso al supermercato e il direttore mi dice che non c'è nulla di vero.
Ennesima bufala sul rapimento dei bambini da parte degli "zingari". D'altronde una ricerca dell’Università di Verona Dipartimento di Psicologia e Antropologia culturale, ha preso in esame per quel che riguarda il periodo tra il 1986 e il 2007, i documenti delle Procure italiane: molti i presunti rapimenti, ma nessuna condanna. Segno evidente che non esiste nessun caso in cui sia avvenuto veramente il rapimento o tentativo di rapimento di qualsivoglia bambino.
Ma il peggio deve ancora venire. Il direttore infatti mi dice che questa mattina una giornalista di Milanopost si è presentato da lui, che lui ha smentito categoricamente la notizia. Evidentemente la notizia è stata PRIMA PUBBLICATA e poi controllata. Tanto, si sa, i rom non querelano.
A questo punto, letti anche gli allarmanti commenti in rete ( e altre simili amenità), scrivo alla redazione di Milanopost (, nel caso voleste scrivergli due paroline anche voi), fornendo le mie generalità complete e il mio numero di telefono, e invitando la redazione a rimuovere il post e a posizionare una smentita e delle scuse allo stesso link della notizia falsa.
Pochi minuti dopo ricevo una chiamata da un numero privato, una persona che rifiuta di qualificarsi mi dice che la notizia è vera, che il direttore del supermercato andrebbe denunciato, che lui non toglie nessun link e tantomeno pubblica smentite. Chiedo di parlare con il direttore e lui si rifiuta di passarmelo o fornirmi un numero telefonico.
A questo punto sono inferocita. Avverto tutti, direttore del supermercato, giornalisti che conosco, commissariato Greco Turro, dove parlo con l'ufficiale di turno che non ha notizie di una denuncia del genere.
E con questo post avverto voi. Spesso le bufale sui rom precedono attacchi agli insediamenti. E da due mesi in Bicocca e nella vicina Pratocentenaro ricorrono spesso voci false, bufale che inducono all'odio razziale e alla violenza. Occorre quindi alzare la soglia di attenzione e far circolare il più possibile la smentita di questa notizia.

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Di Fabrizio (del 20/05/2014 @ 09:08:45, in scuola, visitato 19992 volte)

ComuneVenezia.it

Cari cittadini,

una delle realtà più interessanti che il Servizio Civile mi sta dando l'opportunità di conoscere è quella del lavoro a contatto diretto con le minoranze, che oltre ad essere presenti nel nostro territorio, sono presenti nella nostra testa, spesso sottoforma di pregiudizi, timori o cliché apparentemente indecostruibili. Nelle attività che svolgo insieme ai bambini Sinti e alle loro famiglie ad esempio sto imparando a ridimensionare le mie aspettative, integrando il mio bagaglio mentale con il dato di realtà e ad apprezzare gli sforzi di tutte quelle persone che operano quotidianamente per aprire vie di comunicazione tra "noi" e "loro". Mi sento quindi di contribuire alla promozione di un'iniziativa che il Comune di Venezia, Direzione Politiche Sociali, Partecipative edell'Accoglienza - Servizio Politiche Cittadine per l'Infanzia e l'Adolescenzaha organizzato: un pomeriggio seminariale sul tema "bambini Rom, Sinti e non...una scuola per tutti!" che si terrà nella giornata del 29 maggio presso l'Aula Magna dell'Istituto Comprensivo "A. Gramsci" - via passo 3/G - CampaltoVenezia.

L'incontro vuole essere l'occasione per continuare il confronto, apertosi in occasione della giornata di formazione "Bambini Rom, Sinti e non...tutti cittadini!" tra operatori sociali, insegnanti e persone impegnate e sensibili al tema. Confronto proseguito, poi, durante la realizzazione del progetto per l'inclusione e l'integrazione di bambini e ragazzi Rom, Sinti e Caminanti nella città di Venezia.
A partire da riflessioni e quesiti affiorati nel corso di questi mesi tra gli operatori egli insegnanti coinvolti nell'operatività quotidiana, si proverà ad esplorare e ricercare linguaggi e pensieri condivisi sugli intrecci che derivano dal lavoro con il gruppo classe e dall'affiancamento individuale di bambini e famiglie.
Un'ulteriore pista di riflessione riguarda, infine, l'importanza di creare buone relazioni nel contesto scolastico al fine di favorire l'instaurarsi di un clima positivo nei gruppi classe a tutto vantaggio di buoni esiti nei processi di apprendimento.

È necessario iscriversi entro il 22 maggio 2014, specificando nome, cognome, eventuale ente di appartenenza via mail a silvana.tregnaghi@comune.venezia.it. Verrà rilasciato un attestato di partecipazione.

Alessandro Zanetti - Volontario del Servizio Civile

Il Depliant: (529.89 KB) depliant 29 maggio SEMINARIO (529.89 KB)

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Di Fabrizio (del 18/05/2014 @ 13:15:41, in conflitti, visitato 20425 volte)

12 maggio 2014 • Cronaca, LQlatinaquotidiano.it

di Luigi D’Arcangelis - I fatti risalgono alla notte tra il 24 ed il 25 aprile scorsi, quando un gruppo di giovani rom, residenti nella struttura di Al Karama - che ospita una comunità di sinti e rom, appunto - hanno denunciato di essere stati picchiati da alcuni abitanti di Borgo Bainsizza. E non solo. Pare che anche la Polizia accorsa sul posto avrebbe dato "man forte" agli aggressori. Sempre stando a quanto dichiarato dalle vittime.

A seguito della presunta aggressione, pronta è arrivata la condanna del comitato Amici del Borgo, che ha subito preso le distanze da ogni azione violenta e intimidatoria e da quanti possano averne intraprese ed eventualmente ne intraprenderanno.

Nella lettera aperta indirizzata al sindaco di Latina, Giovanni Di Giorgi, il presidente onorario dell’associazione di cittadini borghigiani, Italo Di Cocco, ha anche voluto fare il punto della situazione ed avanzare proposte in merito alla questione della prevista realizzazione del villaggio che dovrebbe sorgere accanto al sito che attualmente ospita la struttura di Al Karama e dare alloggio a 95 persone di etnia rom e/o sinti.

Al fine di tutelare e mantenere la pacifica convivenza, e far si che non nascano tensioni che possano magari portare ad episodi gravi
, il presidente chiede al primo cittadino del capoluogo: che il villaggio in costruzione rimanga, anche nel futuro, bloccato alle dimensioni previste nel progetto e sia dotato di un posto di Polizia attivo 24 ore su 24 e di un centro di primo soccorso sanitario; che il sito di Al Karama venga contestualmente smantellato e bonificato; che al suo posto venga insediato un frutteto sperimentale.

La palla, ora, passa all’Amministrazione di Latina.

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Di Fabrizio (del 16/05/2014 @ 09:00:21, in scuola, visitato 19916 volte)

Da Agostino Rota Martir

Care e cari tutti,

siamo qui ad aggiornarvi sulla questione della Bigattiera.

Come sapete, a seguito dell'appello che tutti noi firmammo lo scorso anno e del lavoro fatto in seguito nella Commissione 2, il primo di agosto 2013 riuscimmo a fare approvare all'unanimità un Ordine del Giorno, in cui la Giunta si impegnava a ripristinare pulmino, acqua e elettricità nel campo rom della Bigattiera.

La Giunta chiedeva un contributo alla Regione per essere aiutata a risolvere la situazione, e a novembre ha ricevuto la disponibilità di 30 mila euro, come risulta dalla registrazione audio della Commissione 2 del 13 gennaio 2014.

Abbiamo assistito agli incontri in commissione per avere gli sviluppi di questa vicenda, abbiamo sollecitato gli assessori, abbiamo ricevuto promesse e piccole proposte di progetti minimi che poi non sono state realizzate. Niente è stato fatto.

Oltre il danno, l'ennesima beffa. ll 27 marzo giunge una nuova denuncia alle famiglie del campo, per inadempienza dell'obbligo scolastico. E fin qui possiamo anche essere d'accordo: i bambini in effetti a scuola non vanno se non saltuariamente, soprattutto in inverno, e la responsabilità oltre che di tutti è anche dei loro genitori.

Ma che il Sindaco tuoni tronfio che "E' inaccettabile, non si può in alcun modo tollerare una situazione del genere, a danno di bambini e bambine", questo pare davvero troppo. Come che si vanti su Facebook di non aver fatto mai nulla per i rom, se non "prevenzione e diminuzione del numero delle presenze", e che le politiche di Città Sottili sono acqua passata e scelte ormai lontane, ci pare incommentabile.

Ad oggi la situazione è identica ad un anno fa, con in più la disillusione su un possibile ripristino di una condizione umana anche minima, poiché evidentemente quello che manca è la volontà politica di trovare qualche soluzione. I bambini hanno passato l'ennesimo anno senza istruzione scolastica, senza la vicinanza dei compagni di classe, perdendo nuovamente una possibilità per il loro futuro.

Per tutto questo, su richiesta dei bambini e dei genitori del campo della Bigattiera, abbiamo pensato di organizzare una Marcia simbolica verso la Scuola con partenza dalla Bigattiera il giorno mercoledì 21 maggio alle ore 9:00, direzione Marina di Pisa.

L'obiettivo è mostrare alla città quanto sia lontano e pericoloso il percorso dei bambini verso la loro scuola, riportare l'attenzione della società civile sul diritto all'istruzione e ad una vita dignitosa per tutti i bambini e tutte le bambine.

Sappiamo che è un giorno lavorativo e che molti non potranno, ma siamo qui a chiedervi, per chi può, di partecipare, perché abbiamo bisogno del maggior numero di persone possibile a supporto di questa protesta, per renderla visibile ed efficace.

Vi preghiamo di rispondere alla mail con la vostra eventuale disponibilità, così ci contiamo e cerchiamo di organizzare al meglio.

Grazie a tutti della pazienza e della partecipazione,

a presto

Clelia Bargagli
Luca Randazzo

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Di Fabrizio (del 15/05/2014 @ 09:05:13, in media, visitato 20209 volte)

Luca Klobas è un cabarettista. Il suo doppio, Ratko, è un caso unico di Rom arrivato in Italia con barcone che è riuscito a diventare sindaco... insomma è passato dal ripulire le nostre case direttamente ai nostri portafogli.

Si potrebbe parlare anche di questo approccio alla proprietà pubblica e privata, perché sarà in chat su Mahalla (per le vostre domande) giovedì 22 maggio alle 21.00.

Oppure si potrà capire da dove prendono spunto le sue storie (dalla realtà rom o dalle cronache su di loro), su quali siano i limiti dell'umorismo, su come l'umorismo possa raggiungere determinati nervi scoperti molto più di tanti discorsi seri o seriosi. E tanto altro

SAVE THE DATE

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Di Sucar Drom (del 14/05/2014 @ 09:09:55, in blog, visitato 3347 volte)

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Di Fabrizio (del 13/05/2014 @ 09:08:09, in blog, visitato 3458 volte)

Uno sguardo vigile e sveglio sul mondo

Martedì 20 maggio, ore 20.45
Incontro con Fabrizio Casavola, presidente dell'associazione MAHALLA. Maestra di cerimonie: Ivana Kerecki
Libreria Popolare, via Tadino 18, Milano

Fatta l'associazione, ora tocca presentarla (non si finisce mai!). Il luogo è quello solito di tanti incontri passati, lo scopo è capire cosa si può fare e con chi.

Cosa è una Mahalla, innanzitutto?
Ai tempi dell'impero ottomano erano quartieri, villaggi, ma anche grandi estensioni urbane abitate da un'unica etnia o quasi. Si trovavano in un'area che andava dall'Europa dell'Est a tutto il Medio Oriente.
Il dissolvimento violento della Jugoslavia della fine del secolo scorso, ha visto anche lo svuotamento forzoso delle tante Mahalle rom. Da una decina d'anni però è nata una Mahalla virtuale, con notizie (oltre 6.000 articoli in archivio) da Rom e Sinti da tutto il mondo, ma anche documenti da scaricare, musica, discussioni. E cucina, musica, film, una piccola casa editrice... Una specie di enciclopedia, insomma, se possibile senza il suo manto di serietà e solennità, perché si è sempre cercata comunanza e condivisione con tutti.
Col tempo, il gioco si è fatto doppio: guardarsi allo specchio senza urlare spaventati, e provare ad immaginare che se "loro" stessero meglio (sotto tutti i punti di vista) lo staremmo anche noi.
Prima o poi doveva succedere: da questo mese MAHALLA è anche un'associazione. Educatamente si presenta, vedendo cosa sarà possibile fare assieme.

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Di Fabrizio (del 12/05/2014 @ 09:01:01, in Europa, visitato 3409 volte)

Osservatorio Balcani e Caucaso Nicola Pedrazzi | Tirana 7 maggio 2014 | foto di Nicola Pedrazzi

Sono circa otto milioni i rom europei, la maggior parte dei quali è concentrata nell'Europa dell'est e nei Balcani occidentali. In Albania, una delle comunità più numerose è stanziata a Fushë-Kruja, alle porte della capitale. Un reportage

Prima di arrivare in Albania non mi ero mai interrogato sulla cultura rom, né sul problema che essa pone al "buon governo". Mi era sempre bastato quanto descritto in Khorakhanè , struggente pezzo che Fabrizio De Andrè ha dedicato ai rom del Kosovo giunti in Lombardia agli inizi degli anni Novanta. In buona sostanza, mi ero sempre accontentato della poesia. Le parole, supreme, di quella canzone, lasciano in chi la ascolta un vago senso di mistero, l'indefinibile sensazione che quei nomadi in grado di "leggere il libro del mondo con nessuna scrittura" custodiscano nella loro scelta di vita non proclamata un segreto inesprimibile.

In effetti, la capacità dei rom di frequentare modernità e benessere senza esserne conquistati genera stupore negli abitanti di tutte le città europee a cui sono approdati: da un punto di vista filosofico, lo stile di vita di queste genti incarna meglio di qualsiasi altro sistema culturale la domanda ancestrale, il dubbio che in tutto il mondo le periferie dell'umanità pongono alle certezze del mondo civilizzato, alle regole del suo sviluppo.

Purtroppo, nella ben più prosaica realtà di tutti i giorni, una volta che queste persone varcano le soglie della civitas, si trasformano quasi sempre in piaga sociale, in problema politico, in emergenza da risolvere: ad accoglierli, nella migliore delle ipotesi, è un vago relativismo terzomondista ad uso e consumo delle classi colte. Abitando a Tirana, il quotidiano mi ha fornito per la prima volta un'alternativa alla poesia di De Andrè: per cercare di comprendere il problema all'origine, affrontando senza sofismi il dubbio che i rom d'Albania pongono oggi alle autorità e ai cittadini, ho pensato che potevo muovermi io: da casa mia a casa loro.

I rom d'Albania
Di lontana origine indiana, provenienti dalla Persia e dall'Asia, popolazioni rom approdarono nei territori dell'odierna Albania a partire dal XV secolo, subito prima dell'invasione ottomana. Le comunità più numerose sono oggi stanziate nel centro e nel sud-est del paese, all'interno o nell'hinterland delle grandi città: Tirana innanzitutto (solo nei quattro distretti della capitale vivono più di 5000 rom), ma anche Fier, Argirocastro, Korça e Berat.

Le tribù principali sono quattro, e si distinguono per l'attività socio-economica che storicamente le caratterizza: i Meckars erano principalmente contadini e pastori, i Kurtofs artigiani e venditori, i Kabuzis artisti e musici, i Cegars commercianti nomadi. Lo standard di vita di tutte le minoranze rom d'Albania ha risentito pesantemente della transizione post-comunista: il collasso delle industrie statali in cui erano in larga parte impiegati, combinato al disordine politico-sociale degli anni Novanta, ha contribuito alla progressiva discriminazione dei rom, che proprio durante il regime avevano invece conosciuto una sorta di assimilazione - dovuta principalmente all'occupazione ma anche alla soppressione di tutte le differenze tradizionali e religiose.

Non esiste una fotografia chiara dell'attuale situazione dei rom d'Albania. La cinghia di trasmissione tra le raccomandazioni europee sulla tutela delle minoranze - determinanti per la concessione dello status di paese candidato, al momento ancora in forse - e le politiche nazionali è rappresentata da una fitta rete di ONG, enti e organizzazioni internazionali; operatori che a vario titolo e con diverse risorse implementano progetti su specifiche comunità. Diverse organizzazioni producono diversi rapporti, e non è detto che le cifre coincidano. Il documento più onnicomprensivo al momento disponibile sui Rom d'Albania è stato redatto nel 2012 dal Segretariato della "Fondazione Decade of Roma Inclusion". Quest'ultima è un esperimento di cooperazione allo sviluppo basato sull'impegno a lungo termine di 12 stati europei (tra cui tutti i paesi balcanici) che per ridurre il gap esistente tra le popolazioni rom ed il resto dei cittadini hanno accettato di collaborare sia con le organizzazioni internazionali che con i rappresentanti della società civile rom.

Nel Civil Society Monitoring Report (CSMR) 2012 dedicato all'Albania, sono contenuti i risultati di questionari sottoposti direttamente ai rom residenti, dati interessanti perché alternativi a quelli governativi, i quali non sempre fotografano il reale livello di integrazione di queste persone. Una prova evidente delle difficoltà del governo albanese in questo campo è rappresentata dal censimento che l'Istituto Nazionale di Statistica (INSTAT) ha realizzato nel 2011, secondo il quale risiederebbero in Albania solamente 8.500 persone di etnia rom, pari allo 0,3% della popolazione: una cifra irrisoria, lontanissima da quelle indicate da altre fonti internazionali, alcune delle quali arrivano a stimare 120.000-140.000 unità.

Buone leggi, cattiva applicazione
Come spesso accade in Albania, le carenze del sistema non sono strettamente giuridiche. Lo stato albanese è firmatario dei più importanti trattati internazionali che regolano il rispetto delle minoranze - nel 1991 ha ratificato la Convenzione ONU sui diritti civili e politici, nel 1996 la Convenzione del Consiglio d'Europa per la protezione dei diritti umani e delle libertà fondamentali - e sebbene i rom non vengano pubblicamente riconosciuti come minoranza a sé stante, la Costituzione del 1998 accorda alle minoranze etno-linguistiche presenti nel paese tutti i diritti di base.

Conformemente ai dettami costituzionali, nel 2010 il parlamento ha approvato una legge contro la discriminazione, per altro in linea con le quattro direttive europee in materia, dando poi vita a un gruppo di lavoro interministeriale sui rom aperto alle ONG operanti sul territorio. A questi impegni legali corrispondono però scarse politiche effettive e, quel che è più grave, i membri delle varie comunità non conoscono né godono delle misure che il governo ha attivato per loro.

La legge del 2010 prevede ad esempio la possibilità di denunciare i casi di discriminazione alle corti locali: ad oggi nessuna segnalazione è stata formalmente depositata, sebbene gravi episodi d'emarginazione abbiano avuto luogo - nel febbraio 2011, ma è solo il caso più eclatante, 45 famiglie accampate nei pressi della stazione dei treni di Tirana vennero rimosse con la forza da comuni cittadini, nella totale noncuranza del governo e delle forze dell'ordine.

Del resto anche sul piano europeo, la distanza tra normativa e realtà appare drammatica: secondo quanto riportato nel CSMR, gli strumenti finanziari messi a disposizione dall'Ue per migliorare l'inclusione sociale dei paesi in fase di pre-accesso sono gestiti senza il coinvolgimento dei rappresentanti delle minoranze: è opinione diffusa ad esempio tra i rom d'Albania che questi aiuti non riguardino le loro condizioni di vita, e che gli unici beneficiari siano le istituzioni: il fallimento del censimento 2011, finanziato e pubblicizzato dalla stessa Unione europea, ha certamente rafforzato questa percezione.

Ad oggi, secondo le stesse fonti, il livello di povertà dei rom d'Albania è due volte superiore a quello degli albanesi etnici, il tasso di disoccupazione tre volte più alto della media nazionale ed il reddito del 37% delle famiglie rom è inferiore ai 100 euro al mese. Circa l'87% della popolazione rom d'Albania si dichiara insoddisfatta dei propri diritti ed il 59% non ha abbastanza soldi per mangiare (solo il 4% degli albanesi etnici dichiara lo stesso).

I Rom di Fushë-Kruja e ADRA Albania
Fushë-Kruja è una piccola cittadina di circa 10.000 abitanti, trenta chilometri a nord di Tirana. Teatro di una delle storiche battaglie di Skanderbeg, questa piccola località di provincia è riemersa dall'anonimato grazie alla visita del presidente americano George W. Bush, era il 10 giugno 2007. In questo comune è stanziata una comunità rom di circa 1500 persone: una delle più grandi e problematiche del paese.

Popolazioni rom abitano quelle zone dai primi anni Sessanta: stabilitesi inizialmente nel villaggio di Halil, nel 1979 si spostano e si concentrano a Fushë-Kruja. Non è scorretto affermare che questi rom vivono in un ghetto: le loro abitazioni non sono certo lontane da quelle del resto della popolazione, ma costituiscono qualcosa di più di un quartiere, fanno "città a sé". A dimostrazione di ciò, vi è il fatto che non avrei potuto passeggiare nel quartiere senza Erinda Toska, una guida (e un'amica) che mi ha aperto le porte e i cuori dei locali, affatto abituati a ricevere visite dall'esterno.

Erinda ha lavorato per tre anni a stretto contatto con la comunità rom di Fushë-Kruja: come project coordinator di ADRA Albania, ONG attiva in altri 26 paesi europei, ha scritto e implementato diversi progetti educativi mirati alla formazione, l'alfabetizzazione e l'emancipazione delle giovani donne e dei loro figli. Le attività e i risultati di questi percorsi vengono pubblicati in tempo reale su questo blog .

I problemi dei rom di Fushë-Kruja non sono diversi da quelli di altre comunità albanesi - dalla mancanza di educazione igenico-sanitaria all'assenza di istruzione, dal fenomeno delle spose bambine alla disoccupazione endemica - tuttavia la dimensione, la chiusura e la posizione di questa comunità, alle porte della capitale ma estremamente conservatrice, hanno contribuito alla sua reputazione, che di bocca in bocca è giunta alle mie orecchie. "È una delle realtà più complicate", conferma Erinda che, forse un po' stanca dei miei interrogativi via WhatsApp, alla fine ha capitolato: "Se ti interessa così tanto, un giorno ti ci porto".

Nel campo: il cuore rallenta, la testa cammina
È sabato 12 aprile, e il sole brilla sul cemento della capitale. Io, Eri e Francesco fatichiamo a trovare un furgon - camioncini uso taxi su cui il governo ha recentemente inasprito i controlli di sicurezza - ma una volta partiti non c'è troppo traffico, e dopo mezz'ora di sorpassi siamo già a Fushë-Kruja. Ai confini del quartiere rom ci aspetta la nostra guida. Fatmira Dajlani è una ragazza rom che ha potuto studiare: collega ed amica di Eri, collabora con Adra e con altre organizzazioni internazionali, fungendo da tramite tra i membri della sua comunità e la realtà esterna.

Ci scambio due parole e tre sorrisi, questi ultimi dovuti principalmente al mio albanese: quanto basta per farmi cogliere l'importanza di figure come Fatmira, ambasciatrice della propria gente nel mondo e del mondo presso la propria gente. Eri esce dal bar con due sacchetti di caramelle, ci avviamo su una sterrata in direzione campagna. Il primo edificio che incontriamo è un mekanik (meccanico). Intorno, solo uomini e alcuni bambini, che ovviamente corrono in braccio a Eri. Mi intenerisco, ma vengo distratto dal lavorio degli uomini: gli strani mezzi che stanno assemblando sono gli stessi che ho visto tante volte scorrazzare per le strade di Tirana: tricicli a motore, composti da un motorino potenziato cui al posto della ruota anteriore viene attaccato un carretto. Scopro finalmente il nome di questo mezzo geniale: si chiama karrocë.

È con i karrocat, dunque, che i ragazzi rom svolgono buona parte delle loro attività cittadine: dal trasporto frutta alla raccolta della plastica, incentivata dal governo che paga a peso, ma che, di fatto, spinge i rom a rovistare nella spazzatura, nel tentativo di recuperare ciò che poteva essere differenziato prima. Mi fisso sull'oliaggio di una catena, operazione che ho sempre delegato per laute somme, ma le guide mi chiamano, e interrompono i miei pensieri. Prima di proseguire mi volto, la giornata è splendida, le montagne dominano lo sfondo. Scatto una foto e decido in quel momento che non ne farò altre.

Gli onori di casa li fanno i bambini. Frotte di bambini, spuntati da non si sa da dove, ci prendono per mano e ci accompagnano verso le loro case. La scena si ripete più volte: sbucano da in fondo alla strada, riconoscono Eri da lontano e le corrono incontro con le braccia tese. Eri ci ha lavorato per anni, li conosce uno ad uno, li chiama per nome, chiede loro se vanno a scuola; è da un po' che non tornava al campo, e li trova cresciuti. Ci addentriamo nel quartiere. Là dove mi aspettavo il fango, c'è un selciato perfettamente lastricato - "La strada è merito di UNDP", sorride Erinda, leggendomi nel pensiero.

A destra e a sinistra si aprono cortili antistanti ad abitazioni colorate: un cavallo rumina in un angolo, una mucca scuoiata è appesa all'ombra di un albero. Una vecchia dalle rughe leggendarie ci viene incontro con aria solenne. Le mani completamente viola, due occhi verdi ipnotici, gesticola con Eri per cinque minuti e poi si congeda. "Mi ha chiesto le polverine per colorare le uova, ha il rosa ma le manca il rosso". Trasecolo: ma i rom d'Albania non sono musulmani? "Non tutti, loro sono ortodossi. In ogni caso per i rom la religione non ha troppa importanza, mischiano volentieri le tradizioni. L'unico rito che conta per tutti è la festa di Ederlezi...".

Nonostante non abbia mai sentito parlare il Romanì , la parola non mi suona nuova, e solo con l'aiuto del telefono capisco il perché: "Ederlezi" è il titolo di una celebre canzone che fino ad allora avevo creduto di Goran Bregović, famosissimo interprete di musica balcanica che in questo caso ha ripreso un motivo tradizionale rom. Ignara delle mie elucubrazioni musicali, Eri prosegue la sua spiegazione: " Ederlezi è una festa di origine serbo-ortodossa che è stata adottata dai rom dei Balcani. Si festeggia il 6 maggio, giorno della rinascita, della primavera. La festa segna l'inizio del bel tempo: a partire da quel momento gli uomini della comunità partono per i villaggi dell'Albania, della Grecia e del Kosovo, per vendere vestiti e scarpe di seconda mano, o per raccogliere e rivendere metalli. Spesso si muovono con la famiglia, ma poi ritornano...". Il racconto mi affascina e chiedo i dettagli: "Immaginati una festa tradizionale: dopo la processione alla Chiesa di Laç le famiglie si riuniscono, si addobbano le case, ci si veste eleganti, si balla, ma soprattutto si cucina l’agnello che viene sgozzato e dissanguato giorni prima...".

Una giovane donna viene incontro a Eri, la abbraccia e la bacia. Si chiama Mimoza, e solo da quattro anni abita a Fushë-Kruja, da dopo il suo matrimonio. Prima viveva con la sua famiglia, a Tirana, in una casa che rimpiange perché molto più grande. Ci invita ad entrare e a verificare di persona quanto ci sta raccontando. La sua abitazione non è in muratura, è un tendaggio allestito nel cortile di un altro stabile, quello sì in mattoni, probabilmente dei suoceri. Mimoza ha due figli, e dorme con loro su un letto, su cui ci invita a sedere. Una prolunga si arrampica sul soffitto, per portare luce a una lampadina penzolante. C'è anche un TV. Cerco di immaginare come possa essere ripararsi lì dentro in caso di pioggia, ma non ci riesco. Tuttavia l'odore non è cattivo, l'ambiente è ordinato e tenuto con estrema cura. Mimoza ci mostra delle calzature di lana di sua produzione, e invita Francesco a provarne un paio arcobaleno: è certa che siano della sua taglia, ha ragione, ed esultante gliele regala. Vista l'eccellente ospitalità, ingenuamente attendo le stesse attenzioni, ma vado incontro a una delusione: Francesco è il burri (uomo, marito) di Eri, a lui e solo a lui gli oneri e gli onori.

Ad attenderci fuori da casa ci sono sempre più bambini, sempre più festanti. Io e Francesco cerchiamo un po' goffamente di farli divertire, di giocare con loro. Facciamo il piacevole errore di accennare un vola-vola, e scateniamo una vera e propria competizione. Alzo lo sguardo e noto un uomo in fondo alla strada: l'ultimo maschio adulto lo avevo visto dal meccanico. Faccio un cenno di saluto ma non sono ricambiato; Francesco, ben più esperto, anticipa i miei pensieri. "Non accettare alcuna provocazione, spesso lo fanno apposta. Se ci pensi hanno più che ragione: facciamo volare i loro figli, veniamo ricevuti dalle loro donne... Ma noi chi siamo?".

Più ci addentriamo, più l'ostilità maschile risulta palpabile. Fatmira e Eri non sembrano preoccupate, ma nel dubbio né io né Francesco ci avventuriamo lontano da loro, esattamente come gli altri bambini. Eri mi spiega che il problema è ben più profondo della questione territoriale maschile: "Tutte le nostre attività hanno sempre dovuto vincere le resistenze degli uomini. Tendenzialmente le donne sono disponibili, ci lasciano i loro figli e desiderano studiare in prima persona. Molto spesso sono i mariti o le loro famiglie a proibirglielo. Quando una ragazza si sposa, il che mediamente avviene molto presto, tra i 13 e i 14 anni, questa passa sotto la giurisdizione della famiglia del marito, in particolare della suocera, che in sostanza ne dispone". I tasselli del mosaico si ricompongono: capisco finalmente la tristezza della giovane Mimoza, lontana dalla famiglia in uno spazio che non sente suo. Ovviamente, mi spiega Eri, non tutte le famiglie hanno lo stesso approccio tradizionale, ma il dovere di servire nella casa del marito non è discutibile, e quand'anche la situazione risultasse inaccettabile - come nel caso di violenza fisica sulla giovane sposa - la stessa famiglia d'origine non approverebbe il ritorno della figlia tra loro: sarebbe al contrario una grande vergogna.

Centinaia di domande affollano la mia mente, ma le spiegazioni di Eri sono in italiano, e dunque rapide, per non escludere dalla conversazione le persone che ci vengono incontro. Suela Rama ha 16 anni e si è appena maritata. Eri mi informa di questa novità in albanese, e abbozzo un gesto di congratulazione. "Siamo orgogliosissimi del suo percorso. Suela ha sempre partecipato alle nostre attività, e nonostante le pressioni della famiglia si è sposata "solamente" adesso, a 16 anni. Per noi questo è un grande risultato".

Il fenomeno delle spose bambine, mi spiega Eri, è collegato al problema cruciale di ogni comunità rom: quello dell'istruzione dei bambini. Teoricamente, i bambini rom hanno il diritto di frequentare le scuole municipali albanesi, ma raramente le scuole pubbliche rappresentano un luogo accogliente per i ragazzi e le loro famiglie. La prima discriminazione che quei bambini incontrano è linguistica: non solo perché il Romanì non è una lingua riconosciuta - nessuna forma di istruzione è garantita nella lingua dei rom - ma anche a causa della noncuranza dei genitori, i cui figli spesso crescono senza imparare l'albanese - una scelta distruttiva, che esclude quei bambini da qualsiasi attività del paese in cui abitano. Se già è complesso convincere i genitori ad occuparsi dell'istruzione dei figli, si capisce come far studiare le giovani donne - sottraendole alle dinamiche famigliari e facendo sì che si sposino un po' meno bambine - risulti estremamente arduo: per un piccolo risultato, occorrono mesi e mesi di lavoro e di frequentazione diretta.

Cogitando arriviamo al bar, ovvero "in centro": come in ogni agglomerato umano del pianeta Terra. Finalmente un ragazzo mi saluta, sembra contento di vedermi. Mi viene incontro sorridendo, e mi chiede in albanese da dove vengo. Alla parola "Italia" si illumina, e mi dice che sta andando in Francia, partirà l'indomani mattina. Gli faccio i migliori auguri e gli stringo la mano. Eri mi spiega che in molti chiedono asilo politico in Francia, perché è più facile che negli altri paesi. Ancora oggi, l'asilo politico rimane il miglior passaporto per chi è disposto a partire: bisogna dimostrare di essere discriminati, il che, per chi sa leggere e scrivere e mantiene contatto con gli internazionali, non è nemmeno troppo difficile. A quanto pare in molti partono, ma altrettanti, alla fine, ritornano.

Il sole splende meno alto su Fushë-Kruja, e per i turisti è giunto il tempo di andare. I bambini ci hanno accolto e i bambini ci accompagnano fuori, come lo strascico di una sposa. Mentre volto le spalle a tutto quello che ho visto, penso a tutto, ma non saprei dire a cosa. Sono domande senza grammatica, in lingua pensiero. A nulla valgono i libri, i viaggi, le canzoni: a nulla vale quell'insieme d'informazioni diversamente accumulate che i sistemi educativi della civiltà qualificano come "esperienze formative".

Caffè, acqua e sapone
Di fronte alla vita vera, il cuore rallenta, la testa cammina: De Andrè aveva ragione. Ma la poesia omette per definizione la prosa: anche se nessun verso lo ammetterà mai, al ritorno dalle periferie ci attende, inevitabile, il sapone. Approfittando di una sosta al bar, sia io che Francesco visitiamo a turno il bagno. Eri resta seduta e ordina il caffè. Mentre mi sciacquo le mani con cui avevo fatto volare i bambini, un sottile senso di colpa mi attraversa il cuore: come me e prima di me, in tanti hanno toccato, e in tanti si sono lavati le mani. Chissà se, dopo aver scritto quest'articolo, mi occuperò mai più di quelle persone.

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