Segnalazione di Tommaso Vitale
I Petre vengono dalla Romania, ma la vita dei nomadi l'hanno conosciuta qui,
insieme agli sgomberi.
Ora sono tornati a stare in una casa vera. Sperando che il loro futuro somigli a
questo presente
di Ilaria Solari -foto Alberto Dedé (le foto non sono riportate ndr.)
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80 | Gioia 2010 |
controcorrente
La foto risale sì e no a cinque anni fa, ma
sembra vecchissima da quanto è consumata.
Ritrae una bella ragazza coi capelli
sciolti sulle spalle, l'espressione
ombrosa e il viso leggermente inclinato.
Abbraccia due bambini piccoli, uno
per lato. Constantin, 33 anni romeno,
deve averla tenuta tra le mani tanto a lungo che sul
bordo inferiore l'immagine è completamente sbiadita,
"è stata tutti questi anni nella tasca della mia giacca,
sul cuore". Accanto a lui, la moglie Mirela lo guarda
con la stessa faccia ermetica della foto. I due bambini,
Elvis e Loris, 9 e 8 anni, stanno facendo i compiti delle
vacanze sul lettone del loro appartamento milanese,
nel quartiere popolare di Calvairate. Un piccolo soggiorno,
una camera con un letto doppio e uno a castello,
un microbagno e un cucinino in cui si cammina
solo di profilo. Č l'ultimo approdo della famiglia Petre,
dopo una serie infinita di tappe, da un campo abusivo
all'altro, lungo la cintura della tangenziale, insieme a
poche centinaia di persone, rom romeni come loro.
Fino all'ultimo sgombero, lo scorso novembre, nel quartiere
periferico del Rubattino, dove il loro insediamento
è stato raso al suolo dalle ruspe e i loro piccoli averi,
cartelle di scuola comprese, inghiottiti in una montagna
di immondizie.
A portarli nel bilocale di questa casa popolare sono stati
i volontari di Sant'Egidio: sotto la loro scorta, i Petre
hanno intrapreso con altre famiglie rom un "percorso
di accompagnamento all'autonomia", in assoluta controtendenza,
in questi giorni di tensione e rimpatri
forzati. A garantire loro casa e ménage fino al raggiungimento
dell'autosufficienza economica, sono borse di
studio per i bimbi e borse lavoro per gli adulti, finanziate
da enti, associazioni e privati cittadini. Un piccolo
miracolo: l'anno scarso di permanenza al Rubattino,
dove i piccoli rom hanno cominciato ad andare a scuola,
ha innescato, insieme al livore di molti residenti,
una fitta rete di solidarietà che si sta ancora allargando. Poche centinaia di persone, genitori delle scuole, abitanti
del quartiere che nel momento del bisogno hanno
ospitato gli sfollati, maestre straordinarie, volontari
instancabili, che hanno animato raccolte di fondi e
iniziative di finanziamento come la vendita di un vino
definito "rosso di origine migrante" (vino.rom.rubattino@gmail.com). E poi corsi di italiano per gli adulti,
doposcuola e spazi gioco per i bambini. Un miracolo
forse ancora troppo piccolo perché valga
la pena di citarlo accanto alle notizie di
cronaca, agli esodi forzati dalla Francia, ai
vertici sull'emergenza nomadi. "Dei trecento che
erano qui l'anno scorso", spiega
Elisa Giunipero,volontaria di Sant'Egidio
" nel nuovo campo abusivo del Rubattino,
sotto i capannoni dismessi, sono rimasti
in duecento. Dei cento che mancano all'appello,
però, sono un'ottantina quelli
che abbiamo guidato verso soluzioni residenziali e impieghi,
sia pure precari" (proprio
mentre scriviamo è in corso l'ennesimo
sgombero, che metterà a rischio l'attuazione
di tali progetti e la frequenza a scuola dei
bambini, ndr).
Ma l'avventura italiana di Mirela e Constantin
comincia molto prima del Rubattino,
in un'altra casa. Quella che si intravvede
sullo sfondo della foto consumata: è
la casa del padre di Constantin, nella provincia depressa e rurale dell'Oltenia, tre
stanze in tutto in cui vivevano in otto.
Come molti rom sedentarizzati sotto il
regime di Ceausescu, i Petre facevano gli
agricoltori: "Vite e granturco", specifica
Constantin "non è una vita dura, forse
per uno di città. Ma niente soldi, niente
di niente". Constantin era anche muratore,
"ho costruito le case a tutti laggiù. Una
volta sono andato a fare un lavoro a casa
sua", lo sguardo è una fessura scura che
accarezza la moglie. "Continuava a guardarmi.
Ho fatto in modo di andare a
trovarla spesso". Negli occhi di Mirela
finalmente si allarga una luce gialla. E il
primo sorriso: "Eri tu che guardavi me".
Un matrimonio vero non ce l'hanno avuto.
"Nessun vestito bianco, feste o balli.
Ci siamo sposati solo civilmente".
A Milano c'è arrivato per primo Constantin,
seguendo il cognato, che è pastore
pentecostale ma fa anche il muratore.
Niente roulotte e vita randagia: come per
molti rom romeni, la prima esperienza
con i campi nomadi è stata in Italia. Insomma,
una storia di ordinaria immigrazione:
all'inizio l'ospitalità in una parrocchia,
in cambio di lavori e riparazioni. Poi
è stata la volta di un egiziano a cui, per un
letto in un appartamento affollato, Constantin
pagava 200 euro al mese. Ma Mirela
soffriva di malinconia e decise di raggiungerlo
con Loris, il più piccolo. "Il
grande ha sofferto così tanto di solitudine
in Romania che è rimasto piccolino", ricorda
accarezzando i capelli cortissimi di
Elvis. Proprio allora Constantin aveva perduto
alloggio e lavoro. Si rifugiarono nel
campo di via Bacula, dove già si trovavano
amici e parenti. "Quando sono arrivata era primavera, Milano era bellissima",
ricorda Mirela "tutto
mi sembrava caldo e
pulito, anche il campo".
Per segnalare
disponibilità di alloggi
e offerte lavorative
o contribuire a borse
di studio e lavoro
scrivete a: santegidio.rubattino@gmail.com
La caccia al nomade ingaggiata dal
Comune li ha sospinti da un insediamento
all'altro. Fino al Rubattino: il campo piano piano si è gonfiato,
hanno tagliato l'acqua
ed è stato l'inferno. "Che dovevamo
fare?", mormora Constantin indicando la
tv sintonizzata su un canale romeno "migliaia
di medici lasciano il Paese, con lo
stipendio statale non campano. Per noi
era peggio".
Ci sono due televisioni in casa Petre, una
per stanza, entrambe accese. L'appartamento
assomiglia a tanti altri. Pulito, ordinato.
Con una differenza, che salta agli
occhi dopo un po': in giro manca quella
nebulosa di oggetti provvisoriamente fuori posto:
chiavi, giornali, cianfrusaglie. Sul
tavolo tondo ci sono soltanto un melone
a fette e dei dolci, in segno di benvenuto.
Il resto è stivato con la meticolosità di chi
si dispone a partire da un momento all'altro.
Elvis ascolta le canzoni rom scaricate
dal computer e inserisce nel lettore un dvd
con le foto di classe: "Guarda: qui facevamo
la terra mossa dal vento", dice con il
faccino serio, indicando tanti bambini che
agitano le braccia. E in quella che fate?
"Non vedi? Cantiamo in inglese". Mostra
con un filo d'orgoglio
la strepitosa pagella. Sono due bravi scolari, spiega Mirela, fanno i compiti spontaneamente e non hanno mai perso un giorno di scuola. Nemmeno nell'ultimo sgombero, quando dormirono due notti in un
orto nella bruma di novembre e poi con
la mamma in un dormitorio pubblico,
mentre papà si rifugiava dove poteva. "La
scuola dell'obbligo e l'ufficio vaccinazioni
sono le uniche istituzioni che riconoscono
queste persone", spiega Stefano
Pasta di Sant'Egidio" che sono comunque
cittadini comunitari. Eppure, senza residenza,
ogni altro diritto è loro precluso".
Forse per questo, anche ora che abitano
lontano, si consumano le scarpe per raggiungere puntuali la scuola del Rubattino.
"Quando Constantin non deve lavorare,
ci andiamo insieme", racconta Mirela. Altrimenti
esce alle sei di mattina. "Papà
colora i muri, costruisce le case di Milano", spiega Loris. Anche Mirela è in attesa
di un lavoro. Intanto confessa che si
sente sola. Il momento più bello della giornata
è il pomeriggio, quando rivede i suoi
bimbi. Nel resto del tempo? Abbassa gli
occhi, "se siamo in difficoltà chiedo ancora
l'elemosina, ma solo a chi conosco".
A quelli che definisce gli "italiani bravi".
"Come la signora vestita di blu che ci porta
i soldi ai giardini", le fa eco Elvis. Mirela
ricorda il senso di vergogna delle prime
volte, "non passa mai, ma poi impari
a non pensare a niente". Tutto il resto la
incupisce solo un po', come i commenti
acidi della farmacista da cui acquista una
confezione di aspirine perché è raffreddata.
O il costante sguardo sospetto dei commessi
quando fa la spesa al supermercato.
Il pomeriggio i bambini scendono da soli
ai giardini sotto casa. Mirela non si fida
a mandarli in giro da soli, ma ai giardini
sì, "lì sono tutti amici", dice Constantin.
I ragazzini, da queste parti, vengono da
ogni angolo del mondo, e che tu sia rom
è un dettaglio irrilevante.
"Sei da Milano", chiede a tutti Elvis. Qualcuno
gli risponde che ormai anche lui è "da Milano"."Non ancora", risponde convinto,
agitando la testa "solo quando avrò
il portafogli da Milano". "Vuoi dire il passaporto,
Elvis?". "Sì, anche quello".
Per prudenza ai Petre è stato sconsigliato
di invitare troppa gente a casa.
i momenti di socialità si sono finora
consumati al campo del Rubattino.
Non sarà più così, dopo questo nuovo
sgombero, il numero 125 dall'inizio
dell'anno, secondo il bollettino del Comune.
"Ci i ritrovavamo ogni domenica
a cucinare sulla griglia", gli occhi di
Mirela diventano lucidi. "Ogni volta
che li vedo, mi chiedo come è possibile
vivere così". Č il suo piccolo film dell'orrore,
un passato inarchiviabile di
notti all'addiaccio, topi, gelo. E il futuro?
A lei basterebbe che assomigliasse
al presente. Se proprio deve esprimere
un desiderio, vorrebbe "una cucina
appena più grande, da poterci cucinare
con mia cognata e le amiche". Magari
il sarmale, gli involtini di verza in cui
si dice sia maestra, "da servire, come fate voi, con la polenta".
MA IN EUROPA VINCE
LA LINEA DURA
Sono quasi 900 i rom di origine
bulgara e romena rimpatriati
forzatamente dalla Francia,
nonostante i richiami di Onu
e Commissione europea, perché
considerati una "minaccia per
l'ordine pubblico". E mentre
il partito di estrema destra
ungherese Jobbik avanza la
proposta di destinare le comunità
rom del Paese in "campi chiusi",
anche in Italia il clima si
surriscalda: il ministro dell'Interno
Maroni promette di essere ancora
più duro di Sarkozy e gli
amministratori delle grandi città
perpetrano piani di sgombero
sistematico di ogni insediamento
abusivo. A Roma, dove una
curiosa psicosi collettiva segnala
i primi presunti avvistamenti
di "macchine rom con targhe
francesi", il sindaco Alemanno ha
appena smantellato il campo
abusivo di Quartaccio. A Milano,
ancora al Rubattino, il vicesindaco
De Corato ha attuato il 125esimo
sgombero dell'anno, mentre
l'unico campo regolare della città,
in via Triboniano, entro ottobre
sarà smantellato per fare spazio
alla strada che collegherà la città
all'area dove si terrà Expo 2015.