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Noi non stiamo più nel campo rom
Di Fabrizio (del 12/09/2010 @ 09:13:42, in Italia, visitato 2097 volte)

Segnalazione di Tommaso Vitale

I Petre vengono dalla Romania, ma la vita dei nomadi l'hanno conosciuta qui, insieme agli sgomberi.
Ora sono tornati a stare in una casa vera. Sperando che il loro futuro somigli a questo presente

di Ilaria Solari -foto Alberto Dedé (le foto non sono riportate ndr.) | 80 | Gioia 2010 | controcorrente

La foto risale sì e no a cinque anni fa, ma sembra vecchissima da quanto è consumata. Ritrae una bella ragazza coi capelli sciolti sulle spalle, l'espressione ombrosa e il viso leggermente inclinato. Abbraccia due bambini piccoli, uno per lato. Constantin, 33 anni romeno, deve averla tenuta tra le mani tanto a lungo che sul bordo inferiore l'immagine è completamente sbiadita, "è stata tutti questi anni nella tasca della mia giacca, sul cuore". Accanto a lui, la moglie Mirela lo guarda con la stessa faccia ermetica della foto. I due bambini, Elvis e Loris, 9 e 8 anni, stanno facendo i compiti delle vacanze sul lettone del loro appartamento milanese, nel quartiere popolare di Calvairate. Un piccolo soggiorno, una camera con un letto doppio e uno a castello, un microbagno e un cucinino in cui si cammina solo di profilo. È l'ultimo approdo della famiglia Petre, dopo una serie infinita di tappe, da un campo abusivo all'altro, lungo la cintura della tangenziale, insieme a poche centinaia di persone, rom romeni come loro. Fino all'ultimo sgombero, lo scorso novembre, nel quartiere periferico del Rubattino, dove il loro insediamento è stato raso al suolo dalle ruspe e i loro piccoli averi, cartelle di scuola comprese, inghiottiti in una montagna di immondizie.

A portarli nel bilocale di questa casa popolare sono stati i volontari di Sant'Egidio: sotto la loro scorta, i Petre hanno intrapreso con altre famiglie rom un "percorso di accompagnamento all'autonomia", in assoluta controtendenza, in questi giorni di tensione e rimpatri forzati. A garantire loro casa e ménage fino al raggiungimento dell'autosufficienza economica, sono borse di studio per i bimbi e borse lavoro per gli adulti, finanziate da enti, associazioni e privati cittadini. Un piccolo miracolo: l'anno scarso di permanenza al Rubattino, dove i piccoli rom hanno cominciato ad andare a scuola, ha innescato, insieme al livore di molti residenti, una fitta rete di solidarietà che si sta ancora allargando. Poche centinaia di persone, genitori delle scuole, abitanti del quartiere che nel momento del bisogno hanno ospitato gli sfollati, maestre straordinarie, volontari instancabili, che hanno animato raccolte di fondi e iniziative di finanziamento come la vendita di un vino definito "rosso di origine migrante" (vino.rom.rubattino@gmail.com). E poi corsi di italiano per gli adulti, doposcuola e spazi gioco per i bambini. Un miracolo forse ancora troppo piccolo perché valga la pena di citarlo accanto alle notizie di cronaca, agli esodi forzati dalla Francia, ai vertici sull'emergenza nomadi. "Dei trecento che erano qui l'anno scorso", spiega Elisa Giunipero,volontaria di Sant'Egidio " nel nuovo campo abusivo del Rubattino, sotto i capannoni dismessi, sono rimasti in duecento. Dei cento che mancano all'appello, però, sono un'ottantina quelli che abbiamo guidato verso soluzioni residenziali e impieghi, sia pure precari" (proprio mentre scriviamo è in corso l'ennesimo sgombero, che metterà a rischio l'attuazione di tali progetti e la frequenza a scuola dei bambini, ndr).

Ma l'avventura italiana di Mirela e Constantin comincia molto prima del Rubattino, in un'altra casa. Quella che si intravvede sullo sfondo della foto consumata: è la casa del padre di Constantin, nella provincia depressa e rurale dell'Oltenia, tre stanze in tutto in cui vivevano in otto. Come molti rom sedentarizzati sotto il regime di Ceausescu, i Petre facevano gli agricoltori: "Vite e granturco", specifica Constantin "non è una vita dura, forse per uno di città. Ma niente soldi, niente di niente". Constantin era anche muratore, "ho costruito le case a tutti laggiù. Una volta sono andato a fare un lavoro a casa sua", lo sguardo è una fessura scura che accarezza la moglie. "Continuava a guardarmi. Ho fatto in modo di andare a trovarla spesso". Negli occhi di Mirela finalmente si allarga una luce gialla. E il primo sorriso: "Eri tu che guardavi me". Un matrimonio vero non ce l'hanno avuto. "Nessun vestito bianco, feste o balli. Ci siamo sposati solo civilmente".

A Milano c'è arrivato per primo Constantin, seguendo il cognato, che è pastore pentecostale ma fa anche il muratore. Niente roulotte e vita randagia: come per molti rom romeni, la prima esperienza con i campi nomadi è stata in Italia. Insomma, una storia di ordinaria immigrazione: all'inizio l'ospitalità in una parrocchia, in cambio di lavori e riparazioni. Poi è stata la volta di un egiziano a cui, per un letto in un appartamento affollato, Constantin pagava 200 euro al mese. Ma Mirela soffriva di malinconia e decise di raggiungerlo con Loris, il più piccolo. "Il grande ha sofferto così tanto di solitudine in Romania che è rimasto piccolino", ricorda accarezzando i capelli cortissimi di Elvis. Proprio allora Constantin aveva perduto alloggio e lavoro. Si rifugiarono nel campo di via Bacula, dove già si trovavano amici e parenti. "Quando sono arrivata era primavera, Milano era bellissima", ricorda Mirela "tutto mi sembrava caldo e pulito, anche il campo".

Per segnalare disponibilità di alloggi e offerte lavorative o contribuire a borse di studio e lavoro scrivete a: santegidio.rubattino@gmail.com

La caccia al nomade ingaggiata dal Comune li ha sospinti da un insediamento all'altro. Fino al Rubattino: il campo piano piano si è gonfiato, hanno tagliato l'acqua ed è stato l'inferno. "Che dovevamo fare?", mormora Constantin indicando la tv sintonizzata su un canale romeno "migliaia di medici lasciano il Paese, con lo stipendio statale non campano. Per noi era peggio".

Ci sono due televisioni in casa Petre, una per stanza, entrambe accese. L'appartamento assomiglia a tanti altri. Pulito, ordinato. Con una differenza, che salta agli occhi dopo un po': in giro manca quella nebulosa di oggetti provvisoriamente fuori posto: chiavi, giornali, cianfrusaglie. Sul tavolo tondo ci sono soltanto un melone a fette e dei dolci, in segno di benvenuto. Il resto è stivato con la meticolosità di chi si dispone a partire da un momento all'altro. Elvis ascolta le canzoni rom scaricate dal computer e inserisce nel lettore un dvd con le foto di classe: "Guarda: qui facevamo la terra mossa dal vento", dice con il faccino serio, indicando tanti bambini che agitano le braccia. E in quella che fate? "Non vedi? Cantiamo in inglese". Mostra con un filo d'orgoglio la strepitosa pagella. Sono due bravi scolari, spiega Mirela, fanno i compiti spontaneamente e non hanno mai perso un giorno di scuola. Nemmeno nell'ultimo sgombero, quando dormirono due notti in un orto nella bruma di novembre e poi con la mamma in un dormitorio pubblico, mentre papà si rifugiava dove poteva. "La scuola dell'obbligo e l'ufficio vaccinazioni sono le uniche istituzioni che riconoscono queste persone", spiega Stefano Pasta di Sant'Egidio" che sono comunque cittadini comunitari. Eppure, senza residenza, ogni altro diritto è loro precluso". Forse per questo, anche ora che abitano lontano, si consumano le scarpe per raggiungere puntuali la scuola del Rubattino. "Quando Constantin non deve lavorare, ci andiamo insieme", racconta Mirela. Altrimenti esce alle sei di mattina. "Papà colora i muri, costruisce le case di Milano", spiega Loris. Anche Mirela è in attesa di un lavoro. Intanto confessa che si sente sola. Il momento più bello della giornata è il pomeriggio, quando rivede i suoi bimbi. Nel resto del tempo? Abbassa gli occhi, "se siamo in difficoltà chiedo ancora l'elemosina, ma solo a chi conosco". A quelli che definisce gli "italiani bravi". "Come la signora vestita di blu che ci porta i soldi ai giardini", le fa eco Elvis. Mirela ricorda il senso di vergogna delle prime volte, "non passa mai, ma poi impari a non pensare a niente". Tutto il resto la incupisce solo un po', come i commenti acidi della farmacista da cui acquista una confezione di aspirine perché è raffreddata. O il costante sguardo sospetto dei commessi quando fa la spesa al supermercato. Il pomeriggio i bambini scendono da soli ai giardini sotto casa. Mirela non si fida a mandarli in giro da soli, ma ai giardini sì, "lì sono tutti amici", dice Constantin. I ragazzini, da queste parti, vengono da ogni angolo del mondo, e che tu sia rom è un dettaglio irrilevante. "Sei da Milano", chiede a tutti Elvis. Qualcuno gli risponde che ormai anche lui è "da Milano"."Non ancora", risponde convinto, agitando la testa "solo quando avrò il portafogli da Milano". "Vuoi dire il passaporto, Elvis?". "Sì, anche quello".

Per prudenza ai Petre è stato sconsigliato di invitare troppa gente a casa. i momenti di socialità si sono finora consumati al campo del Rubattino. Non sarà più così, dopo questo nuovo sgombero, il numero 125 dall'inizio dell'anno, secondo il bollettino del Comune. "Ci i ritrovavamo ogni domenica a cucinare sulla griglia", gli occhi di Mirela diventano lucidi. "Ogni volta che li vedo, mi chiedo come è possibile vivere così". È il suo piccolo film dell'orrore, un passato inarchiviabile di notti all'addiaccio, topi, gelo. E il futuro? A lei basterebbe che assomigliasse al presente. Se proprio deve esprimere un desiderio, vorrebbe "una cucina appena più grande, da poterci cucinare con mia cognata e le amiche". Magari il sarmale, gli involtini di verza in cui si dice sia maestra, "da servire, come fate voi, con la polenta".

MA IN EUROPA VINCE LA LINEA DURA
Sono quasi 900 i rom di origine bulgara e romena rimpatriati forzatamente dalla Francia, nonostante i richiami di Onu e Commissione europea, perché considerati una "minaccia per l'ordine pubblico". E mentre il partito di estrema destra ungherese Jobbik avanza la proposta di destinare le comunità rom del Paese in "campi chiusi", anche in Italia il clima si surriscalda: il ministro dell'Interno Maroni promette di essere ancora più duro di Sarkozy e gli amministratori delle grandi città perpetrano piani di sgombero sistematico di ogni insediamento abusivo. A Roma, dove una curiosa psicosi collettiva segnala i primi presunti avvistamenti di "macchine rom con targhe francesi", il sindaco Alemanno ha appena smantellato il campo abusivo di Quartaccio. A Milano, ancora al Rubattino, il vicesindaco De Corato ha attuato il 125esimo sgombero dell'anno, mentre l'unico campo regolare della città, in via Triboniano, entro ottobre sarà smantellato per fare spazio alla strada che collegherà la città all'area dove si terrà Expo 2015.