Ricevo da Roberto Malini
Perché non interrompiamo la persecuzione dei Rom di Pesaro e iniziamo
finalmente ad aiutarli?
Pesaro, 5 ottobre 2008 - Nella mattina venerdì 3 ottobre la polizia e i vigili
urbani di Pesaro, con un notevole spiegamento di forze e di mezzi mobili, hanno
effettuato un vero e proprio "blitz", alle sei e mezza del mattino,
nell'edificio rurale in via Solferino n° 121, dove da alcuni mesi si sono
rifugiate alcune famiglie Rom in gravissime condizioni di indigenza e sanitarie.
Presso la minuscola comunità Rom, come è noto, ci sono persone che soffrono
di patologie oncologiche incurabili, cardiopatie, handicap di entità assai
importante, gravi malattie da precarietà. Si tratta di pazienti di cui si è
preso cura l'Ospedale San Salvatore e che hanno urgente bisogno di un alloggio
dignitoso, assistenza sociale e possibilità di curarsi regolarmente. il Gruppo
EveryOne desidera precisare alcuni aspetti, a proposito del "blitz" delle forze
dell'ordine. Innanzitutto, che le famiglie Rom si trovavano, al momento dei
controlli per identificazione e della comunicazione di ipotesi di reato
(occupazione di stabile rurale), all'interno della casa fatiscente per una
ragione ben precisa e conosciuta dalle autorità cittadine. Non avendo altro
possibile riparo, le famiglie sono rimaste, come comunicato alla proprietà -
Campus s.r.l. - all'interno dello stabile, in attesa dei primi giorni di
settembre. In quei giorni, lasciati trascorrere irresponsabilmente dai politici
cittadini, avrebbe dovuto iniziare il programma di assistenza e integrazione dei
Rom che vivono a Pesaro, come promesso dal sindaco e dagli assessori alla salute
e ai servizi sociali, in linea con le disposizioni previste dalle norme
internazionali, norme da noi consegnate al Comune e dal Comune protocollate) e
dalla Costituzione italiana.
Il piano di inclusione avrebbe dovuto mettere in atto con urgenza assoluta
un'azione di sostegno socio-sanitario, inserimento professionale e soprattutto
la concessione di un alloggio dignitoso, necessario per l'urgenza umanitari.
Disattese le promesse, le persone Rom all'interno della casa (fredda, umida,
fatiscente, senza alcun servizio né acqua né corrente elettrica) non avevano
alternativa a quella di permanere nell'edificio. Accusarli di un reato o
perseguitarli ancora vuol dire affermare ufficialmente che i malati, le donne, i
bambini, le persone in difficoltà di etnia Rom avrebbero dovuto e dovrebbero,
per essere "a norma di Legge", incamminarsi in una tragica marcia della morte
verso il nulla, al freddo, senza cibo né farmaci, senza riparo né aiuti sociali.
Come topi usciti da un luogo disinfestato. E' importante che sia chiara questa
realtà, perché una diversa spiegazione sarebbe solo un'indegna ipocrisia. Il
Gruppo EveryOne ha inviato alla Procura della Repubblica un documento in cui è
spiegata chiaramente la contraddizione - una tragica contraddizione - secondo
cui le famiglie Rom avrebbero commesso un reato rimanendo sotto l'unico tetto
che hanno, dopo che gli impegni del Comune, impegni noti a tutti anche grazie ai
giornali, sono stati traditi.
Basta digitare in un motore di ricerca internet le parole "Pesaro" e "Rom" per
avere una rassegna stampa degli episodi di intolleranza e persecuzione che hanno
colpito e funestato la comunità Rom locale, negli ultimi mesi. Riteniamo che la
costante repressione, i trattamenti inumani e l'abbandono in cui sono sottoposti
i Rom di Pesaro siano inconcepibili e inaccettabili persino nell'attuale clima
di intolleranza e odio razziale che imperversa in Italia. Nessuna città, nessun
paese, finora - a quanto ci risulta, salvo le recenti esternazioni del
vicesindaco di Treviso - aveva posto famiglie indigenti nella condizione di
scegliere fra lasciarsi morire di stenti o andare incontro a procedimenti
giudiziari e polizieschi. Atroce. Ci aspettiamo quantomeno, da parte del sindaco
e delle altre autorità pesaresi, a partire dalle forze dell'ordine che avrebbero
il dovere di difendere i deboli e gli oppressi, che ci concedano il tempo per
mettere al sicuro le famiglie Rom che vivono a Pesaro.
Siamo già riusciti ad ottenere protezione umanitaria da parte di una cittadina
del Sud presso Potenza per la famiglia Jivan Petrici, salvando la vita alla
piccola Annamaria, malata di polmonite e costretta a vivere, qui a Pesaro, al
freddo, senza sostegno sociale, nell'indifferenza più gelida, mentre la tosse la
scuoteva e la febbre la indeboliva ogni giorno. Ora Annamaria sta meglio, perché
vive in una casa, al caldo, con persone di buona volontà che la assistono e un
lavoro per il papà. Vi sono in Italia altre località, altre autorità comunali,
altre persone solidali che, indignate e addolorate per il calvario che i Rom di
Pesaro stanno attraversando, manifestano solidarietà nei loro confronti. Siamo
in contatto con loro e presto saremo in grado di assicurare un riparo al caldo,
una situazione protetta e programmi di inclusione ad altre famiglie. La "caccia
al Rom" scatenata dalle Istituzioni locali, la terribile oppressione, la furiosa
intenzione di rendere rapidamente la città di Pesaroi "zigeunerfrei", libera da
"zingari", ostacola gravemente la lotta per la vita che il nostro Gruppo
conduce, fra mille difficoltà, insieme a cittadini di Pesaro che non seguono la
corrente razzista. Dopo il "blitz" delle forze dell'ordine, con le procedure di
identificazione, la comunicazione di ipotesi di reato (il "reato" di non
lasciarsi morire, di tentare disperatamente di tenere unite e in vita le
famiglie), alcune donne di via Solferino 121 si sono sentite male; tutti,
bambini, malati, genitori si sentono affranti.
Avvertiti da un agente, affinché se ne andassero subito, pena finire in carcere,
privati dei bambini, avevano già radunato le loro povere cose e il nostro Gruppo
ha dovuto attuare una difficile opera di persuasione per impedire che si
allontanassero al freddo e senza niente, in una "marcia della morte" che solo in
un Paese imbarbarito, senza più traccia di civiltà e umanità sarebbe pensabile.
Mentre li controllavano e compilavano schede e denuncia, gli agenti non
mostravano alcun sentimento di compassione per l'umanità dolente che avevano di
fronte. Non si è sentita una parola di solidarietà. Non si è visto un sorriso.
Solo gelo e frasi impersonali. "Lunedì torneranno e ci porteranno in prigione,"
ripeteva un ragazzo fra le lacrime. "Ci hanno detto che abbiamo commesso un
reato grave, rifugiandoci in questa casa e che se non ce ne andiamo, sarà peggio
per noi". Alcuni di noi, eredi dei Testimoni dell'Olocausto, lottano ogni giorno
perché i fantasmi più oscuri siano ricacciati nel buio della Storia. Eppure,
quegli spettri ritornano, i loro riecheggiano ancora ai confini della "civiltà",
dove un'umanità martoriata è costretta a vivere nel dolore, nell'esclusione,
senza alcun diritto. Che cosa siamo diventati?
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