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Persecuzione dei Rom di Pesaro
Di Fabrizio (del 07/10/2008 @ 09:22:26, in Italia, visitato 2053 volte)

Ricevo da Roberto Malini

Perché non interrompiamo la persecuzione dei Rom di Pesaro e iniziamo finalmente ad aiutarli?

Pesaro, 5 ottobre 2008 - Nella mattina venerdì 3 ottobre la polizia e i vigili urbani di Pesaro, con un notevole spiegamento di forze e di mezzi mobili, hanno effettuato un vero e proprio "blitz", alle sei e mezza del mattino, nell'edificio rurale in via Solferino n° 121, dove da alcuni mesi si sono rifugiate alcune famiglie Rom in gravissime condizioni di indigenza e sanitarie.

Presso la minuscola comunità Rom, come è noto, ci sono persone che soffrono di patologie oncologiche incurabili, cardiopatie, handicap di entità assai importante, gravi malattie da precarietà. Si tratta di pazienti di cui si è preso cura l'Ospedale San Salvatore e che hanno urgente bisogno di un alloggio dignitoso, assistenza sociale e possibilità di curarsi regolarmente. il Gruppo EveryOne desidera precisare alcuni aspetti, a proposito del "blitz" delle forze dell'ordine. Innanzitutto, che le famiglie Rom si trovavano, al momento dei controlli per identificazione e della comunicazione di ipotesi di reato (occupazione di stabile rurale), all'interno della casa fatiscente per una ragione ben precisa e conosciuta dalle autorità cittadine. Non avendo altro possibile riparo, le famiglie sono rimaste, come comunicato alla proprietà - Campus s.r.l. - all'interno dello stabile, in attesa dei primi giorni di settembre. In quei giorni, lasciati trascorrere irresponsabilmente dai politici cittadini, avrebbe dovuto iniziare il programma di assistenza e integrazione dei Rom che vivono a Pesaro, come promesso dal sindaco e dagli assessori alla salute e ai servizi sociali, in linea con le disposizioni previste dalle norme internazionali, norme da noi consegnate al Comune e dal Comune protocollate) e dalla Costituzione italiana.

Il piano di inclusione avrebbe dovuto mettere in atto con urgenza assoluta un'azione di sostegno socio-sanitario, inserimento professionale e soprattutto la concessione di un alloggio dignitoso, necessario per l'urgenza umanitari. Disattese le promesse, le persone Rom all'interno della casa (fredda, umida, fatiscente, senza alcun servizio né acqua né corrente elettrica) non avevano alternativa a quella di permanere nell'edificio. Accusarli di un reato o perseguitarli ancora vuol dire affermare ufficialmente che i malati, le donne, i bambini, le persone in difficoltà di etnia Rom avrebbero dovuto e dovrebbero, per essere "a norma di Legge", incamminarsi in una tragica marcia della morte verso il nulla, al freddo, senza cibo né farmaci, senza riparo né aiuti sociali. Come topi usciti da un luogo disinfestato. E' importante che sia chiara questa realtà, perché una diversa spiegazione sarebbe solo un'indegna ipocrisia. Il Gruppo EveryOne ha inviato alla Procura della Repubblica un documento in cui è spiegata chiaramente la contraddizione - una tragica contraddizione - secondo cui le famiglie Rom avrebbero commesso un reato rimanendo sotto l'unico tetto che hanno, dopo che gli impegni del Comune, impegni noti a tutti anche grazie ai giornali, sono stati traditi.

Basta digitare in un motore di ricerca internet le parole "Pesaro" e "Rom" per avere una rassegna stampa degli episodi di intolleranza e persecuzione che hanno colpito e funestato la comunità Rom locale, negli ultimi mesi. Riteniamo che la costante repressione, i trattamenti inumani e l'abbandono in cui sono sottoposti i Rom di Pesaro siano inconcepibili e inaccettabili persino nell'attuale clima di intolleranza e odio razziale che imperversa in Italia. Nessuna città, nessun paese, finora - a quanto ci risulta, salvo le recenti esternazioni del vicesindaco di Treviso - aveva posto famiglie indigenti nella condizione di scegliere fra lasciarsi morire di stenti o andare incontro a procedimenti giudiziari e polizieschi. Atroce. Ci aspettiamo quantomeno, da parte del sindaco e delle altre autorità pesaresi, a partire dalle forze dell'ordine che avrebbero il dovere di difendere i deboli e gli oppressi, che ci concedano il tempo per mettere al sicuro le famiglie Rom che vivono a Pesaro.

Siamo già riusciti ad ottenere protezione umanitaria da parte di una cittadina del Sud presso Potenza per la famiglia Jivan Petrici, salvando la vita alla piccola Annamaria, malata di polmonite e costretta a vivere, qui a Pesaro, al freddo, senza sostegno sociale, nell'indifferenza più gelida, mentre la tosse la scuoteva e la febbre la indeboliva ogni giorno. Ora Annamaria sta meglio, perché vive in una casa, al caldo, con persone di buona volontà che la assistono e un lavoro per il papà. Vi sono in Italia altre località, altre autorità comunali, altre persone solidali che, indignate e addolorate per il calvario che i Rom di Pesaro stanno attraversando, manifestano solidarietà nei loro confronti. Siamo in contatto con loro e presto saremo in grado di assicurare un riparo al caldo, una situazione protetta e programmi di inclusione ad altre famiglie. La "caccia al Rom" scatenata dalle Istituzioni locali, la terribile oppressione, la furiosa intenzione di rendere rapidamente la città di Pesaroi "zigeunerfrei", libera da "zingari", ostacola gravemente la lotta per la vita che il nostro Gruppo conduce, fra mille difficoltà, insieme a cittadini di Pesaro che non seguono la corrente razzista. Dopo il "blitz" delle forze dell'ordine, con le procedure di identificazione, la comunicazione di ipotesi di reato (il "reato" di non lasciarsi morire, di tentare disperatamente di tenere unite e in vita le famiglie), alcune donne di via Solferino 121 si sono sentite male; tutti, bambini, malati, genitori si sentono affranti.

Avvertiti da un agente, affinché se ne andassero subito, pena finire in carcere, privati dei bambini, avevano già radunato le loro povere cose e il nostro Gruppo ha dovuto attuare una difficile opera di persuasione per impedire che si allontanassero al freddo e senza niente, in una "marcia della morte" che solo in un Paese imbarbarito, senza più traccia di civiltà e umanità sarebbe pensabile. Mentre li controllavano e compilavano schede e denuncia, gli agenti non mostravano alcun sentimento di compassione per l'umanità dolente che avevano di fronte. Non si è sentita una parola di solidarietà. Non si è visto un sorriso. Solo gelo e frasi impersonali. "Lunedì torneranno e ci porteranno in prigione," ripeteva un ragazzo fra le lacrime. "Ci hanno detto che abbiamo commesso un reato grave, rifugiandoci in questa casa e che se non ce ne andiamo, sarà peggio per noi". Alcuni di noi, eredi dei Testimoni dell'Olocausto, lottano ogni giorno perché i fantasmi più oscuri siano ricacciati nel buio della Storia. Eppure, quegli spettri ritornano, i loro riecheggiano ancora ai confini della "civiltà", dove un'umanità martoriata è costretta a vivere nel dolore, nell'esclusione, senza alcun diritto. Che cosa siamo diventati?

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