Da
l'Espresso - Trentino
«Sulle microaree serve maggior convinzione: c’è un progetto pronto da un
anno e mezzo»
«Coi nomadi la repressione non porta a nulla»
Chiara Zomer
Nucleo speciale dei vigili urbani: critico Magagni, operatore al campo
dei Lavini
ROVERETO. «Con la repressione non si ottiene nulla. E l’esperienza di questi
vent’anni dovrebbe avercelo insegnato: non è un caso se ora il problema del
campo ci è scoppiato in mano». Gianluca Magagni, volontario di Aizo nonché
operatore al campo nomadi dei Lavini, non approva il progetto
dell’amministrazione di istituire un nucleo speciale di polizia municipale
specializzato nella repressione dei campeggi abusivi. L’amministrazione -
osserva - meglio farebbe a pensare a soluzioni strutturali. Magari cominciando
da quelle microaree allo studio da due anni.
L’obiettivo finale sembra essere quello. Sia l’assessore Giovanni Spagnolli sia
il sindaco Guglielmo Valduga l’hanno detto più volte: eliminare il campo dei
Lavini e puntare sulle micro aree. Campi cioè dati alle diverse famiglie di
Sinti perché ci vivano secondo usanze e tradizioni della loro cultura.
Ma se l’obiettivo sembra chiaro, ad esserlo meno sono i tempi e i modi. Perché
la giunta ha l’aria di volerci andare con i piedi di piombo - comprensibile: è
anche una questione di consenso popolare - ma intanto gli zingari aspettano. Ed
escono sempre più spesso dal campo: «Come Aizo abbiamo consegnato alla Provincia
il progetto sulle micoraree un anno e mezzo fa, in tempo perché non si arrivasse
all’attuale stato di emergenza - spiega Magagni - ma ora è necessaria un’azione
più incisiva. Ed è possibile: in altre realtà le microaree esistono da 18 anni.
Nella zona di Modena, per esempio, funzionano bene. Ma prima di tutto dobbiamo
fermarci un attimo e chiederci quali sono i frutti di 20 anni di legge sugli
zingari. Con il Comune abbiamo avviato un tavolo di lavoro. Ci auguriamo possa
portare a qualcosa in tempi più ragionevoli rispetto a quelli della Provincia».
Rimangono, è ovvio, i problemi legati all’integrazione. Distribuire i Sinti sul
territorio vuol dire metterli a contatti con la popolazione. E non è detto
vengano accolti a braccia aperte: «Dipende. Il progetto casa ha funzionato bene
- continua Magagni - Le difficoltà erano legate alla mentalità dei nomadi, che
vanno seguiti nel pagamento delle utenze, per esempio, che non appartiene alla
loro cultura. Ma non ci sono stati contrasti con il vicinato. Certo, c’è una
fatica nel progresso, che pesa su entrambe le popolazioni. Ma non è detto che i
Sinti debbano vivere tutti in città. Perché non coinvolgere i diversi comuni
della Vallagarina? L’integrazione in un piccolo centro può essere anche
facilitata dal controllo sociale che, a differenza delle città, c’è nei paesi».
Quel che è certo, secondo Magagni, è che il campo non può più essere considerato
un’opzione: «E’ una realtà dove è impossibile una crescita e dove è più facile
che nascano devianza e disagio. Queste sono persone che, dopo le medie, vivono
solo tra loro, con problemi di analfabetismo di ritorno gravi. E’ un luogo dove
li abbiamo costretti noi a vivere, non è una loro scelta, benché l’Unione
Europea
abbia più volte bacchettato l’Italia invitandola a dare a questa gente dignità
abitativa».
(02 novembre 2006)