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Coi nomadi la repressione non porta a nulla
Di Fabrizio (del 03/11/2006 @ 10:35:25, in Italia, visitato 2083 volte)

Da l'Espresso - Trentino

«Sulle microaree serve maggior convinzione: c’è un progetto pronto da un anno e mezzo»
«Coi nomadi la repressione non porta a nulla»
Chiara Zomer

Nucleo speciale dei vigili urbani: critico Magagni, operatore al campo dei Lavini

ROVERETO. «Con la repressione non si ottiene nulla. E l’esperienza di questi vent’anni dovrebbe avercelo insegnato: non è un caso se ora il problema del campo ci è scoppiato in mano». Gianluca Magagni, volontario di Aizo nonché operatore al campo nomadi dei Lavini, non approva il progetto dell’amministrazione di istituire un nucleo speciale di polizia municipale specializzato nella repressione dei campeggi abusivi. L’amministrazione - osserva - meglio farebbe a pensare a soluzioni strutturali. Magari cominciando da quelle microaree allo studio da due anni.
L’obiettivo finale sembra essere quello. Sia l’assessore Giovanni Spagnolli sia il sindaco Guglielmo Valduga l’hanno detto più volte: eliminare il campo dei Lavini e puntare sulle micro aree. Campi cioè dati alle diverse famiglie di Sinti perché ci vivano secondo usanze e tradizioni della loro cultura.
Ma se l’obiettivo sembra chiaro, ad esserlo meno sono i tempi e i modi. Perché la giunta ha l’aria di volerci andare con i piedi di piombo - comprensibile: è anche una questione di consenso popolare - ma intanto gli zingari aspettano. Ed escono sempre più spesso dal campo: «Come Aizo abbiamo consegnato alla Provincia il progetto sulle micoraree un anno e mezzo fa, in tempo perché non si arrivasse all’attuale stato di emergenza - spiega Magagni - ma ora è necessaria un’azione più incisiva. Ed è possibile: in altre realtà le microaree esistono da 18 anni. Nella zona di Modena, per esempio, funzionano bene. Ma prima di tutto dobbiamo fermarci un attimo e chiederci quali sono i frutti di 20 anni di legge sugli zingari. Con il Comune abbiamo avviato un tavolo di lavoro. Ci auguriamo possa portare a qualcosa in tempi più ragionevoli rispetto a quelli della Provincia».
Rimangono, è ovvio, i problemi legati all’integrazione. Distribuire i Sinti sul territorio vuol dire metterli a contatti con la popolazione. E non è detto vengano accolti a braccia aperte: «Dipende. Il progetto casa ha funzionato bene - continua Magagni - Le difficoltà erano legate alla mentalità dei nomadi, che vanno seguiti nel pagamento delle utenze, per esempio, che non appartiene alla loro cultura. Ma non ci sono stati contrasti con il vicinato. Certo, c’è una fatica nel progresso, che pesa su entrambe le popolazioni. Ma non è detto che i Sinti debbano vivere tutti in città. Perché non coinvolgere i diversi comuni della Vallagarina? L’integrazione in un piccolo centro può essere anche facilitata dal controllo sociale che, a differenza delle città, c’è nei paesi».
Quel che è certo, secondo Magagni, è che il campo non può più essere considerato un’opzione: «E’ una realtà dove è impossibile una crescita e dove è più facile che nascano devianza e disagio. Queste sono persone che, dopo le medie, vivono solo tra loro, con problemi di analfabetismo di ritorno gravi. E’ un luogo dove li abbiamo costretti noi a vivere, non è una loro scelta, benché l’Unione Europea abbia più volte bacchettato l’Italia invitandola a dare a questa gente dignità abitativa».

(02 novembre 2006)