L'essere straniero per me non è altro che una via diretta al concetto di identità. In altre parole, l'identità non è qualcosa che già possiedi, devi invece passare attraverso le cose per ottenerla. Le cose devono farsi dubbie prima di potersi consolidare in maniera diversa.
Di Fabrizio (del 16/02/2011 @ 09:13:18, in Europa, visitato 1614 volte)
Ho scritto di recente dei rimpatri forzati di Rom kosovari
dalla Germania. Da qualche anno politiche simili si verificano anche in
Svizzera, Austria, Benelux e Svezia. Da quest'ultimo paese mi arriva la lettera
che riporto qua sotto.
Caro Fabrizio
ti scrivo augurandomi che tu possa fare qualcosa, riguardo la deportazione
dalla Svezia dei rom kosovari. Da tempo i rom sono mandati verso il Kosovo senza
nessuna sicurezza di essere accolti oppure assistiti nel paese di provenienza.
Ho letto l'articolo sulle famiglie rom deportate dalla Germania, scritto
sempre sulle tue pagine, è vero che nessuno se ne frega dei rom quando arrivano
nella loro maledetta destinazione, sono lasciti alla loro sorte, credetemi per
niente buona, nessuna assistenza, né previdenza sociale o assistenza medica, ed
infine non sanno dove e come chiedere aiuto, la maggioranza di loro non sono
nemmeno iscritti all'anagrafe.
Spero che l'Unione Europea faccia qualche mossa per fermare, questo quasi
genocidio di oggi. Sapendo che le dichiarazioni delle bande criminali che
guidano il paese, qualcuno controlli meglio, che tutti coloro che alcuni paesi
della EU mandano in Kosovo, vengano ben accettati e accolti non sono affatto
vere, e sonno lasciati alla loro cattiva sorte.
Per non essere italiano mi auguro di essermi spiegato bene e che mi
abbiate capito, perché il traduttore di google ha tradotto questa mia lettera.
Anche presidente Basescu ha detto che non la firmerà mai
Roma, 9 feb. (TMNews) - Rom somiglia troppo a romeno. E così a Bucarest qualcuno
aveva pensato di cambiare la denominazione ufficiale della minoranza, adottando
il termine "zingaro". Tuttavia, il Senato oggi, secondo quanto riferisce
l'agenzia di stampa Mediafax, la proposta di legge è stata bocciata.
Sono 51 i senatori che hanno votato contro la proposta. Ventisette si sono
espressi a favore, cinque si sono astenuti. E' stato così ignorato il parere
delle commissioni per i diritti umani e le pari opportunità che avevano
approvato la proposta avanzata dal parlamentare liberaldemocratico Silviu
Prigoana.
L'Accademia di Romania e parte del governo avevano dato il loro sostegno alla
legge, affermando che il termine "zingari" è utilizzato nella gran parte dei
paesi europei. Si erano invece detti contrari il ministero della Cultura, il
ministero degli Esteri, il Dipartimento per le relazioni interetniche e il
Consiglio nazionale contro la discriminazione.
Il presidente romeno Traian Basescu, in un'intervista al Financial Times a
metà dicembre, aveva detto che non avrebbe mai promulgato la legge, perché
sarebbe stato un gesto di discriminazione nei confronti della comunità rom.
La legge deve ancora essere discussa alla Camera dei deputati.
Budapest, Vidigueira, 9 febbraio 2011: Ieri, lo European Roma Rights Centre (ERRC)
ha inviato una lettera al comune di Vidigueira, esprimendo preoccupazione per la
distruzione della fornitura di acqua nell'insediamento informale dei Rom, ed
anche per le deplorevoli condizioni abitative dell'insediamento. 67 Rom sono
stati deprivati dell'acqua, inclusi bambini, anziani e donne incinte.
Durante una visita lo scorso 4 febbraio, ERRC ha intervistato diversi
residenti dell'insediamento, dove vivono 16 famiglie rom senza elettricità,
fognature, raccolta dei rifiuti o servizi igienici. I residenti hanno spiegato
che i rappresentanti del comune di Vidigueira e la polizia hanno distrutto 12
rubinetti che costituivano l'unica fonte di acqua nell'insediamento sino al
giorno prima.
Nella sua lettera, ERRC ricorda che la deprivazione dell'acqua minaccia la
sopravvivenza umana e che le azioni delle autorità di Vidigueira appaiono
violare la legge internazionale, incluso il diritto ad un alloggio adeguato e a
fonti di acqua fresca. ERRC ha chiesto alle autorità locali di agire prontamente
per ripristinare la fornitura d'acqua e garantire un alloggio adeguato alla
comunità rom.
Il testo completo della lettera di ERRC è disponibile in
inglese e
portoghese.
Di Fabrizio (del 09/02/2011 @ 09:43:42, in Europa, visitato 1692 volte)
Incendio – la solidarietà in marcia a Ivry par voxrromorum le 7 février 2011
Dopo l'incendio che domenica mattina ha fatto una vittima a Ivry, la
solidarietà degli abitanti del comune è all'opera. Le centinaia di persone che
avevano perso tutto, stasera sono stati alloggiati in una palestra della città.
Tutti gli interessati, assieme a "La voix des Rroms" sperano fortemente in una
seria indagine della polizia sulle cause di questo incendio, la cui natura
criminale non va esclusa.
Gli abitanti di Avenue de Verdun, le cui case sono state distrutte da un
incendio domenica mattina, incendio che ha fatto una vittima, sono restati tutta
domenica all'aperto. Arrivati sul posto alle 14, un rappresentante di La voix des Rroms
ha incontrato le famiglie sinistrate, alcuni vicini accorsi spontaneamente a
sostenerli, assieme ad associazioni e rappresentanti del comune. La Croce Rossa
aveva installato una tenda dove offriva bevande calde. Il vice sindaco di Ivry
ha chiesto al prefetto della Val de Marne di requisire un ospedale abbandonato
per ospitare gli sfollati. Senza rispondere a questa domanda precisa, la
prefettura ha proposto, tramite il SAMU sociale, una sistemazione in albergo per
le sole famiglie con bambini. Data l'imprecisione sulla posizione degli hotel,
l'inidoneità per le famiglie e la dubbia possibilità per le famiglie di rimanere
in città, queste ultime non hanno accettato la proposta. Come conseguenza, il
SAMU sociale e la Croce Rossa si sono ritirate.
La mobilitazione del comune e dei suoi servizi ha permesso la sistemazione
degli sfollati nella palestra Joliot Curie, una soluzione sicuramente
provvisoria, ma che permetterà di proseguire le ricerche congiunte di soluzioni
durature. La voix
des Rroms vuole elogiare il livello di mobilitazione della città di Ivry, dei
servizi e dei cittadini che restano mobilitati a fianco dei loro vicini. Spera
anche che si faccia piena luce sulle cause di questo incendio che è costato la
vita ad una persona.
La proposta del governo svedese di documentare gli abusi contro la
popolazione rom del paese ha incontrato reazioni contrastanti tra gli attivisti
rom.
31/01/2011 - "Abbiamo già abbastanza dei nostri problemi attuali" ha
detto domenica Rosita Grönfors (in foto),
del Forum Internazionale Donne Rom e Viaggianti (IRKF), all'agenzia TT.
Il rapporto, che documenterà la discriminazione nella storia, includerà le
sterilizzazioni forzate e la mancanza dei diritti di voto, ha riportato domenica
la Televisione Svedese
(SVT).
Eric Ullenhag, ministro all'integrazione, ha detto alla SVT che saranno
individuate le istituzioni sociali responsabili degli abusi. Tuttavia,
l'indagine non obbligherà lo stato a risarcire i Rom coinvolti.
Maria Leissner, ex presidente della delegazione governativa sulle questioni
rom, avrebbe preferito una commissione di verità, ma ritiene che nel
complesso il rapporto svolgerà lo stesso ruolo.
"Quello che ora è importante è ottenere le testimonianze dei Rom. Devono
sentirsi liberi di parlare della loro realtà," ha detto domenica
all'agenzia TT.
Tuttavia, ha detto Grönfors, elaborare vecchi abusi dalla storia non aiuta i
Rom ora.
"Penso che dovrebbero ignorare cos'è successo, è storia. Voglio che invece il
governo si prenda cura dei Rom che sono discriminati ora," ha aggiunto domenica.
Conosco bene la questione e ho sentito a tal proposito i commenti di Rosita
Grönfors (tra gli altri), ma può essere il caso che le preoccupazioni non
emergano in modo chiaro per le differenze tra la lingua inglese e lo svedese.
Perché se si leggono le stesse parole, ma in svedese, il significato sarà molto
diverso.
Una parte degli obbiettivi della delegazione sulle questioni rom era di
raccogliere informazioni sulla situazione dei Rom in Svezia e fare proposte per
le aree problematiche. Una di queste proposte era di istituire una Commissione
sulla Verità. La Commissione avrebbe raccolto informazioni su tutte le azioni
negative compiute dallo stato svedese contro i Rom, così da iniziare un processo
per rimediare alle atrocità riconosciute.
Il governo ha invitato diverse persone in quanto rappresentanti delle
organizzazioni romanì, come attiviste per i diritti delle donne rom, come
educatori e quanti lavorano per l'integrazione romanì, per condividere le loro
opinioni e raccomandazioni sulla delegazione. I pareri sono stati raccolti e
sintetizzati in un documento.
I commenti di Rosita Grönfors nell'articolo assomigliano a quelli fatti da
molti Rom che hanno avuto le loro opinioni riassunte in quello che ha proposto
la delegazione. Molti Rom erano d'accordo che sono necessarie ulteriori ricerche
e conoscenze per affrontare il problema della società romanì in Svezia, ma
nessuno vede in questo un processo temporaneo ed un modo per affrontare i
problemi dei Rom. I Rom che hanno affermato che c'è bisogno di continuare le
ricerche, non intendevano che da parte dello stato non ci fosse abbastanza
conoscenza per affrontare i problemi attuali. Al contrario, e penso che tutti i
Rom di Svezia saranno d'accordo con me, c'è conoscenza a sufficienza per
sviluppare programmi in Svezia che portino all'inclusione dei Rom, continuando
nel frattempo la raccolta di dati sulla loro situazione.
Katri Linna, dell'ufficio del difensore civico contro le discriminazioni, ha
ottenuto la posizione per guidare la raccolta dei dati in un rapporto chiamato
"Libro Bianco" sugli abusi contro i Rom nel secolo passato. Secondo il ministro Erik
Ullenhag, questo posto le è stato dato perché ha meritato la fiducia dei Rom.
Questo non lo nego, ma non sono certo sulle basi di questa conclusione. Le mie
dichiarazioni, come quelle di Rosita e di molti altri in Svezia, sono che le
nostre opinioni non sono pienamente rappresentate nelle decisioni prese. Penso
che su questo bisogna prima indagare, ma ci si domanda anche su a chi giovi. Una
valutazione esterna avrebbe più senso.
19/01/2011 - Il villaggio di Mayen, vicino alla città di Coblenza nello stato
tedesco della Renania-Palatinato, è governato da un'amministrazione
socialdemocratica (SPD). Una famiglia rom originaria del Kosovo viveva a Mayen
dal 1999. Nonostante la grave malattia di una dei suoi componenti, la signora
Borka T., l'intera famiglia è stata deportata in Kosovo in condizioni inumane,
all'inizio di dicembre. Appena un mese dopo, la signora T. è morta di emorragia
cerebrale.
Alle prime ore del 7 dicembre, la polizia ha portato via dalla loro casa a
Mayen la signora Borka T. con suo marito e loro figlio Avdil di 14 anni. Furono
dati loro solo 30 minuti per raccogliere un po' di loro cose personali.
Furono scortati dalla polizia all'aeroporto di Düsseldorf e con altri rifugiati
deportati a Pristina, capitale del Kosovo.
La signora Borka era stata visitata all'aeroporto di Düsseldorf da un dottore
il cui compito era dare l'ok alla sua deportazione. Lo specialista che l'aveva
in cura, le aveva diagnosticato disturbi post-traumatici da stress, depressione
e nevralgie. A causa di questi sintomi, riceveva farmaci e terapie regolari col
supporto della Caritas. Questi fatti erano conosciuti ma sono stati ignorati
dagli incaricati all'aeroporto.
Le condizioni di difficoltà della donna sono state spazzate via
dall'amministrazione locale di Mayen-Coblenza, che ha ordinato la deportazione
della famiglia. Il tribunale amministrativo di Treviri ha poi confermato la
deportazione, ben sapendo che per la donna in Kosovo non esisteva alcuna
possibilità di cura.
L'amministrazione di Mayen-Coblenza da parte sua ha negato ogni
responsabilità anche dopo l'annuncio della morte di Borka T. all'inizio di
quest'anno. Un portavoce ha semplicemente dichiarato che l'autorità si
appoggiava sul giudizio del tribunale amministrativo di Treviri, che affermava
c'erano possibilità di cura in Kosovo. Il portavoce ha smentito qualsiasi
correlazione tra la mancanza di medicine e la morte della donna come assurda,
dichiarando con cinismo: "L'emorragia intercranica è sempre una possibilità".
L'avvocato della famiglia, Jens Dieckmann, ha emesso il 7 gennaio un
comunicato stampa, che descrive la traumatica esperienza in Kosovo della
famiglia e la susseguente brutale deportazione di Borka T. e della sua famiglia:
"Nell'ottobre 1999 la signora T. arrivò in Germania con la sua famiglia.
Precedentemente avevano vissuto a Mitrovica, la città del Kosovo al centro dei
combattimenti (nella guerra jugoslava) che fu divisa (e rimane divisa) tra Serbi
e Albanesi del Kosovo. Assistette alla distruzione della sua casa durante
la guerra e alla morte di molti tra vicini, amici e parenti. La signora T. e la
sua famiglia sono membri del gruppo etnico rom e rimasero intrappolati nella
guerra del fuoco incrociato tra Serbi e Albanesi. Gli Albanesi espulsero da
Mitrovica la famiglia della signora T., assieme ad altri Rom, accusandoli di
collaborazione coi Serbi. In seguito la famiglia fuggì dalle rovine di Mitrovica."
"Dalla fuga da Mitrovica, dove la signora T. fu testimone di case in fiamme
ed innumerevoli morti e feriti, soffriva di stress post-traumatico. Perciò in
Germania era sottoposta a cure specialistiche e col supporto della Caritas
seguiva una terapia specifica per i traumi."
Poi l'avvocato continua descrivendo come il tribunale di Treviri ha deciso
sulla deportazione, anche se era pienamente consapevole della sua condizione.
Ignorando le ragioni umanitarie per negare la deportazione, la corte ha invece
preferito fare affidamento sulle informazioni completamente errate del ministero
degli esteri, secondo cui la donna sarebbe stata seguita da specialisti in
Kosovo e avrebbe avuto cure immediate.
In realtà, le condizioni reali a Pristina erano molto differenti. Qualsiasi
giustificazione da parte delle autorità tedesche di non aver potuto prevedere la
mancanza di strutture sanitarie in Kosovo è completamente insostenibile.
Diversi studi e relazioni di organizzazioni di aiuto ai rifugiati, come Pro
Asyl e l'UNICEF, hanno documentato la disperata situazione politica e sociale in
Kosovo.
Ci sono solo circa 300.000 posti di lavoro per il 1.800.000 di abitanti del
Kosovo, ed il tasso ufficiale di disoccupazione è del 45%. Per le comunità rom e
askali, il tasso varia dal 95 al 100%. Virtualmente non c'è una forma di
sostegno per i disoccupati, e l'assistenza medica è disponibile solo a chi possa
pagare. Anche l'istruzione è correlata al pagamento delle tasse. Il sistema
agricolo della provincia non è competitivo, e non esiste un settore produttivo
significativo. La principale esportazione del Kosovo sono i rottami metallici.
In un rapporto del Consiglio d'Europa, il Kosovo è descritto oggi come una
terra dominata dalle "mafie e dal crimine organizzato". Il comandante dell'ALK
ed attuale primo ministro, Hacim Thaci, è accusato di guidare un cartello
criminale coinvolto in omicidi, prostituzione e traffico di droga. (Cfr. "Washington's
"humanitarian" war and the crimes of the KLA")
Quando la famiglia T. tornò a Pristina non c'erano dottori, impiegati di
lingua tedesca dell'ambasciata o operatori umanitari ad incontrali. Dopo aver
completato le formalità di immigrazione, la famiglia venne completamente
abbandonata. "Potete andare dove volete," fu detto loro. L'unico denaro in loro
possesso erano 220 euro.
All'arrivo, la signora T. subì un attacco di panico e dichiarò che non
sarebbe tornata a Mitrovica. Poi la famiglia si fece due ore di taxi fino ad un
fratello della signora T. nella Serbia meridionale. Là, circa 40 membri della
famiglia vivono in baracche attrezzate poveramente. Ogni unità ha un angolo
cottura ed una stanza dove tutti mangiano e la notte si dorme per terra. Non ci
sono attrezzature adeguate per bagno o doccia.
Il figlio quattordicenne Avdil, che in Germania viveva e frequentava la
scuola dall'età di tre anni, era totalmente scioccato dalla povertà che lo
circondava. Non avendo alcuna conoscenza della lingua, non aveva lì alcuna
possibilità di andare a scuola.
Vistasi negate cure mediche e farmaci, la signora Borka T. collassò
rapidamente dopo Capodanno. Venne portata in una clinica a Kragujevac dove entrò
in coma per poi morire di emorragia cerebrale.
La tragica morte della signora Borka T. è un altro schiacciante atto d'accusa
del sistema tedesco di asilo e deportazione. Ogni anno, migliaia di persone che
soffrono di gravi malattie vengono deportate verso i loro paesi di origine. In
molti casi, hanno vissuto per anni o addirittura decenni in Germania. Dove, è
stato negato loro il diritto di soggiorno permanente e vivono in uno stato di
insicurezza permanente.
Molti di questi deportati sono bambini nati in Germania e cresciuti nel
paese. Questi bambini sono brutalmente strappati dalle loro scuole,
dall'ambiente familiare e dagli amici e deprivati di ogni prospettiva futura.
Anche per queste circostanze, era interamente di competenza
dell'amministrazione di Mayen-Coblenza garantire un permesso di residenza per
motivi umanitari alla famiglia T. Appena due settimane prima della deportazione
di una famiglia, la conferenza dei ministri degli interni aveva emesso un
decreto che rendeva possibili decisioni simili. Tuttavia, lo stato della Renania-Palatinato ha deciso di applicare il regolamento solo il 23 dicembre, a
più di un mese dall'emanazione.
Nella sua lettera del 7 gennaio alla stampa, l'avvocato della famiglia ha
sollevato alcune questioni vitali:
Perché non ci sono stati esami medici alla signora T. immediatamente
prima della sua deportazione?
Perché all'aeroporto di Pristina non erano presenti specialisti o
organizzazioni di soccorso, quando le autorità tedesche sapevano che quel
giorno veniva deportata una donna con problemi mentali?
Perché lo stato della Renania-Palatinato non si è unito al bando della
deportazione di Rom verso il Kosovo, come ad esempio lo stato del Nord
Reno-Westfalia? Il governo di Düsseldorf aveva preso la sua decisione sulla
base primaria del parere del ministro degli esteri e delle informazioni che
descrivevano la catastrofica situazione dei Rom in Kosovo.
Perché non è stata fermata la pratica delle deportazioni in seguito alla
decisione della conferenza dei ministri degli interni del 19 novembre 2010?
Durante la conferenza, venne concordato che poteva essere rilasciato un
permesso di residenza ai rifugiati che si erano integrati correttamente e
sarebbero stati protetti dalle deportazioni almeno i ragazzi sino a 18 anni.
Avdil ha frequentato per anni la scuola e senza dubbio aveva soddisfatto i
criteri stabiliti.
Secondo il suo insegnante, Avdil era un bravo studente, laborioso e curioso,
popolare tra i suoi compagni. Nondimeno, lui e la sua famiglia furono
brutalmente deportati.
D'altronde, questa crudeltà burocratica è intenzionale. Le deportazioni in
Kosovo sono l'obiettivo dichiarato dell'accordo firmato il 14 aprile 2010, tra
il ministro tedesco degli interni Thomas de
Maiziere (CDU) e la sua controparte kosovara, Bajram Rexhepi. Impegna il Kosovo
ad accettare 14.000 rifugiati dalla Germania. Oltre a più di 10.000 Rom, la
cifra include anche Askali, Egizi kosovari e membri della minoranza serba del
Kosovo.
La maggior parte dei Rom fuggì dal Kosovo nel 1999 durante la guerra NATO
contro la Jugoslavia. Se la dottrina ufficiale della NATO era di proteggere gli
Albanesi kosovari dagli attacchi serbi e dalla "pulizia etnica", la guerra
condotta dalla NATO e dalla UE alimentò i nazionalismi etnici e contribuì alla
campagna di cacciata delle minoranze serbe, rom ed askali dal Kosovo. Alcuni
fuggirono in Serbia, Macedonia e Montenegro, ma molti cercarono asilo
nell'Europa occidentale o sperarono di essere riconosciuti come rifugiati dalle
guerre civili. La maggior parte delle richieste asilo in Germania sono state
respinte.
Ora, molti di quanti hanno fatto ingresso nel paese sono stati deportati,
nonostante il freddo inverno nel Kosovo distrutto e dilaniato dalla guerra. Le
persone di ritorno incontreranno povertà, esclusione sociale e carenza di
alloggi. Molti che mancano di assistenza medica adeguata soffriranno di malattie
e per alcuni, come la signora Borka T., la deportazione significa morte.
Der Spiegel By Siobhán Dowling in Alsószentmárton, Hungary
14/01/2011 - Il villaggio di Alsózentmárton è ai margini estremi d'Europa,
uno degli ultimi posti in Ungheria prima del confine croato. Tutti i suoi
abitanti sono Rom, tra i più marginalizzati nella UE. Ma un progetto condotto
dalla chiesa intende rompere il ciclo di esclusione sociale e svantaggio
educativo.
Non ci sono negozi, caffè o altre attività a Alsószentmárton. Una delle
poche cose che si distingue dalle file di case ad un piano, è l'imponente chiesa
bianca all'ingresso del villaggio. I bambini giocano per strada e vanno in
bicicletta e le giovani donne, non molto più vecchie, spingono passeggini
gridandosi saluti tra loro.
Alsószentmárton è un piccolo villaggio nell'Ungheria sud-occidentale, e tutti
i suoi residenti sono Rom, tra i popoli più marginalizzati d'Europa. Vivendo qui
ai margini estremi dell'Unione Europea, proprio sulla linea del confine con la
Croazia, gli abitanti stanno combattendo gli effetti di decenni di
svantaggio ed esclusione sociale. Un progetto guidato dal sacerdote
cattolico del posto sta cercando di attenuare quella povertà e affrontare uno
dei più grandi handicap della popolazione rom: la mancanza di accesso ad
un'istruzione decente.
Padre József Lánko, un omone con una barba bianca, indossa un maglione di
lana marrone. 55 anni, ha vissuto nel villaggio per 30, ed ha visto in prima
persona le devastazioni causate dalla crisi economica seguita alla fine del
comunismo. "Prima tutti avevano un lavoro, la gente di questo villaggio lavorava
nelle costruzioni o nel fare le strade," spiega. "Avevano un salario minimo, ma
erano certi ad ogni mese di avere i soldi, così da vivere in sicurezza." Con la
caduta della cortina di ferro, da un giorno all'altro, hanno perso tutto.
"Ora vivono come accattoni," dice Lánko. "E' contro l'umana dignità, sarebbe
sicuramente meglio se potessero occuparsi delle loro famiglie lavorando."
Lánko dice che qui la disoccupazione è oscillante. Per la maggior parte
dell'anno è del 90%, ma scende al 60% durante la stagione della vendemmia - il
villaggio è situato vicino alla famosa Via del Vino ungherese - quando la gente
trova lavoro nei vigneti locali. Dice: "D'inverno qui c'è poco, le famiglie non
hanno da mangiare, allora li aiutiamo per qualche giorno, gli diamo qualcosa
perché non debbano morire di fame."
Rapporti difficili con i vicini
Col sostegno finanziario di Renovabis, un ente di beneficenza tedesco che
finanzia progetti in Europa orientale, ora la chiesa può fornire i poveri del
villaggio con raccolta di vestiti e pasti caldi giornalieri. I 1.200 residenti
del villaggio sono Boyash, un gruppo distinto di Rom, la cui lingua è una forma
arcaica del rumeno. Per molti, l'ungherese non è la madre lingua. Lánko ed altri
operatori ecclesiali fanno anche da ponte per le barriere linguistiche, fornendo
assistenza per quanto riguarda la compilazione di moduli o assistendoli nei
rapporti con le banche e le organizzazioni statali.
I Rom sono i membri del più grande gruppo minoritario d'Europa, si pensa
siano tra i 10 e i 12 milioni. La maggior parte vive nell'Europa centrale e
orientale, molti vivono in povertà estrema. L'Ungheria, patria di 700.000 Rom,
dice di voler affrontare la questione rom durante i
sei mesi di presidenza UE. Ma Budapest, per non parlare di Bruxelles,
potrebbe sembrare troppo lontana in questo posto isolato.
Alsószentmárton è circondata da campi pianeggianti fin dove l'occhio può
vedere, ma gli abitanti non possiedono la terra. Era un villaggio misto, ma poi
la popolazione non-rom iniziò ad abbandonare la campagna negli anni '60 e '70
per andare a lavorare nelle fabbriche e nell'industria. Così i Rom poterono
comperare le case a buon mercato, ma non poterono permettersi i terreni
circostanti. Ora, anche se volessero allontanarsi, non potrebbero vendere le
loro case.
Lánko dice che le relazioni con la più ampia comunità non-rom possono essere
foriere di problemi. "Quando c'è bisogno di manodopera non specializzata, le
relazioni sono molto buone, sono manodopera a buon mercato," dice. "Ma
d'inverno, quando gli zingari congelano e vanno a far legna, non chiedono di chi
sia. Ed allora ci sono problemi."
Dice che Alsószentmárton è afflitta dai soliti problemi che accompagnano la
povertà, incluso l'alcolismo. E la gente qui soffre anche di una terribile forma
di sfruttamento per cui altri Rom li caricano di tassi di interessi altissimi in
maniera predatoria.
"Non possiamo davvero proteggere la gente. Nessuno mi può proteggere da me
stesso," ragiona il sacerdote. Lo fa, però, cercando di aiutare la gente a
chiedere normali prestiti dalle banche, perché possano scappare dai pagamenti
punitivi degli usurai.
Qui la gente può vivere in relativo isolamento, a circa 230 km. da Budapest,
ma si è comunque a conoscenza dell'aumento di violenze contro i Rom, incluso una
serie di omicidi nel 2008 e nel 2009, e le marce dell'ormai bandita Guardia
Ungherese. Né può mancare la prevalenza di
retorica piena d'odio anti-Rom in Ungheria, in particolare dall'estrema
destra del partito Jobbik. Lánko è caustico sulle affermazioni dei membri di
Jobbik, ora il terzo partito in parlameto, che i Rom abbiano paura del lavoro, e
che facciano molti figli solo per avere accesso ai generosi assegni
previdenziali.
"Spazzatura," rimugina. "Loro vorrebbero lavorare qui, se ci fosse lavoro. Ed
è spazzatura anche che una famiglia possa vivere con gli assegni famigliari.
Perché non ci provano - questi di Jobbik dovrebbero provare a vivere con gli
assegni famigliare - o con le piccole somme della previdenza. E' impossibile."
Discriminazione nell'istruzione
Mentre i lavori sono pochi e lontani tra loro, Alsószentmárton sta cercando
almeno di dare ai bambini i primi strumenti per aiutarli a fuggire dal circolo
vizioso dello svantaggio sociale e del ricorso alla previdenza sociale,
assicurando loro un'istruzione decente. Nel villaggio ci sono due asili nido,
uno statale e uno gestito dalla chiesa, ed un doposcuola, dove assistenti
aiutano i bambini nel fare i compiti ed organizzare attività per loro.
L'accesso ad una corretta istruzione in Ungheria può essere estremamente
difficile per i Rom. I tassi di completamento sono particolarmente bassi, con
solo il 50% dei bambini rom che completa l'istruzione elementare. E gli ultimi
dati forniti dal Fondo Istruzione Rom di Budapest mostrano che solo il 5% circa
continua gli studi all'università.
Uno dei più grandi problemi nell'istruzione ungherese è la segregazione, sia
attraverso classi separate nelle scuole, che tramite bambini rom dirottati in
scuole speciali per bambini con disabilità mentali, già dal primo giorno di
scuola. E' una forma di discriminazione che perpetua l'esclusione e la povertà
delle comunità rom.
"Una volta che sei in educazione speciale, non stai ottenendo un'istruzione,
e di sicuro non stai ricevendo un'istruzione che ti permetterà di progredire nel
sistema," dice Robert Kushen, direttore dell'European Roma Rights Center di
Budapest. "E non troverai un impiego."
L'organizzazione di Kushen ha già portato con successo la questione della
segregazione scolastica nella Repubblica Ceca alla Corte Europea dei Diritti
Umani. Ora ERRC sta monitorando anche la situazione in Ungheria, dove si stima
che un bambino rom su cinque subisca trattamenti simili.
Ágnes Jovánovics è una delle poche che sono riuscite a ricevere
un'istruzione. Rom del villaggio lei stessa, è ora direttrice del corso
prescolare della chiesa. 44 anni, aveva lasciato presto la scuola, come quasi
tutti a Alsószentmárton, come formazione era assistente alla vendita. Mentre
lavorava in città, decise di tornare a scuola serale e prendere un diploma di
scuola superiore.
Lánko, il prete del villaggio, le suggerì di provare a diventare insegnate di
prescuola, così poteva lavorare nel nuovo nido che era stato creato. Ora
supervisiona nove insegnanti d'asilo, tre dei quali non sono Rom.
Lánko ridacchia: "La gente è scioccata che lì il capo è una Rom. Una Rom che
dice ai non-rom cosa fare!"
Per Jovánovics la sfida più importante nel preparare i bambini alla scuola -
attualmente ce ne sono 81 al centro - è assicurarsi che sappiano parlare
ungherese correttamente. Però, il centro opera sia in ungherese che nel lingua
boyash nativa.
Lánko dice che è molto importante mantenere stretti contatti con le famiglie
dei bambini. Dice che i Rom "non possono vivere senza famiglia. Vivono in
prossimità molto stretta l'un l'altro... spesso con diverse generazioni in una
casa sola."
Non ci sono scuole nel villaggio, così i bambini devono prendere il bus per
la vicina città di Siklós, dove andare alle elementari. Alcuni frequentano lì
anche la scuola secondaria, mentre altri vanno in convitti altrove, incluso la
rinomata scuola Ghandi a conduzione rom, nella città di Pecs a circa 40 km. Gli
operatori della chiesa nel villaggio si assicurano che la mattina i bambini
vadano a scuola. Il progetto aiuta a pagare il percorso per la scuola e il cibo
dei bambini le cui famiglie non hanno soldi.
Orgogliosa delle sue radici rom
Tutti nel gruppo del doposcuola conoscono Jovánovics. Bambini con i volti
dipinti corrono a salutarla e dirle delle loro attività. Oggi, circa 30 bambini
sono stati divisi in gruppi per raccontarsi dei diversi continenti, i cui membri
sono identificati da sciarpe di differenti colori. Poi a turno partono le
performance. Fuori nel cortile, il diciassettenne Tomás sta cucinando in una
pentola gigante patate e paprika. Sta studiando da cuoco e dice che un giorno
vorrebbe lavorare come uno del villaggio.
Jovánovics dice che tutti i bambini vogliono imparare. "Devono farlo,
altrimenti non hanno prospettive," aggiunge.
D'altra parte, non è sempre facile persuadere i Rom che l'istruzione sia
qualcosa a cui aspirare. Dice che la prima volta che decise di studiare, fu
molto difficile per gli altri del villaggio - inclusa sua madre stessa,
comprendere perché lei, una Rom "in tutto e per tutto" voleva avere
un'istruzione. Ma Jovánovics rispose a sua madre che era una cosa che voleva
fare e finalmente è riuscita, dicendo "Se vuoi, puoi farlo."
La motivazione di
Jovánovics ha aiutato anche altri nel villaggio a seguire i suoi passi. Suo
figlio sta studiando italiano all'università, ed un'altra giovane sta
completando la laurea in educazione e spera di diventare un'insegnante.
Jovánovics è orgogliosa delle proprie radici rom e dice che l'istruzione non
le cambierà. "Nelle famiglie zingare ci sono buone tradizioni," dice,
aggiungendo che non vuole abbandonare ciò che ha ottenuto dai suoi genitori.
"Altrimenti, chi sarei? Al di là di quanto possa studiare, sono una zingara."
Laprovence.comUna non-Rom ed una Rom dicono Dosta! Foto di Noémie Michel
scattata ad Arles
Dosta in romanes vuol dire basta. Uno slogan che suona oggi come un
grido di rivolta. L'idea è partita da Arles e dovrebbe allargarsi nei prossimi
giorni a molte città francesi, tra cui Marsiglia. "Ci siamo resi conto
che le proteste e le petizioni non servivano a niente di fronte alla politica di
odio instillata dopo il triste discorso di Grenoble che ha stigmatizzato questa
popolazione", sottolinea Tieri Breit. E' da due anni editore ad Arles di
libri fotografici per bambini, ed utilizzerà le sue conoscenze per fare
resistenza alle molestie e all'esclusione sofferte da tutto un popolo.
Indignazione
L'idea è di mettere sotto il naso dei cittadini immagini, ben visibili nel
loro formato poster a grandezza naturale. Una foto rappresenta davanti ad una
porta una Rom ed una non-rom con un pannello che riporta la parola Dosta. "E'
simbolico, la porta marca la soglia, si entra o si resta fuori. Ed inoltre in
pochi conoscono la parola Dosta, che li interroga", prosegue Tieri Briet.
Queste foto saranno in un secondo tempo affisse sui muri delle città dove i Rom
sono perseguitati ed esclusi. "Queste presenze umane, solidali, affisse sui
muri di una città potranno formare poco a poco una popolazione che rifiuta in
silenzio una violenza fatta ad un popolo che non ha né frontiere, né esercito". Humaniatrium (sostenuta
da numerose associazioni tra cui quella della gens du voyage Samudaripen)
realizzerà 60 copie di personaggi in 4 regioni della Francia. Ed è già stata
contattata da cittadini inglesi, italiani o spagnoli che anche loro vogliono
mostrare la loro indignazione.
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