Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
Ustiben Report -
By Grattan Puxon
Una azione di protesta viene richiesta dalla famiglia di Danny Rooney a seguito
della sua recente morte in prigione.
La vedova, Ann Rooney, chiede ulteriori investigazioni dopo che un rapporto
afferma che Danny, 39 anni, si è impiccato mentre attendeva la sentenza.
Il giudice istruttorio ha aperto un'inchiesta.
"Non crediamo che si sia suicidato" dice la sorella, Mrs Margaret Rooney.
"Non era da Danny -non ne aveva ragione."
Danny lascia la moglie Ann e otto figli, l'ultimo di nove mese.
MANIFESTAZIONE
I membri della famiglia chiamano ad una manifestazione all'esterno della
prigione di Bullingdon, Bicester, Oxfordshire alle 12.00 am di venerdì 27
ottobre.
"Chiamiamo a protestare tutti i Viaggianti e chi li appoggia," - "E'
importante per tutti noi."
L'Irish Travellers Movement 2006 e Gypsy & Traveller Affairs
terranno un'udienza pubblica giovedì presso Stow-on-the- Wold Fair per
appoggiare la manifestazione.
Nomadi e Viaggianti sono molto agitati per la morte di Danny Rooney,"
dice Richard Sheridan, presidente di ITM. "Non è la prima volta che in prigione
accadono casi simili."
Dice che dopo il recente assalto a Tamworth da parte di un gruppo di
vigilantes, dove due Viaggianti furono bruciati, cresce l'atmosfera di sfiducia
nella comunità.
CONTACTS:
Margaret McCann 07765384449
Bridie Jones (IRM) 07765174141
Bullingdon Prison
01869353100
Governor: Phil Taylor
Una segnalazione da Andrea
Zanardo:
Forward, la più importante rivista ebraica americana, ha
dedicato un articolo allo sterminio dei Rom e alla battaglia dei Rom rumeni per
i risarcimenti
L'Olocausto Zingaro
Gli altri Nomadi iniziano a ricordare
Nathaniel Popper | Fri. Oct 13, 2006
Come appartenente ad una delle preminenti famiglie Zingare, Luminita Cioaba
avrebbe facilmente dovuto seguire le tracce degli antenati nomadi. Ma non
erano le sue.
Quando suo padre - che è conosciuto come Re degli Zingari - stava
programmando il suo matrimonio di ragazza, lei era occupata in biblioteca, ad
imparare a leggere e scrivere il rumeno: una minaccia al "circolo della vita
Romani". Poi, quando le sue coetanee partorivano, Luminita era a Bucarest,
cercando una rivista che pubblicasse le sue poesie.
Ora, Luminita sta rompendo con un'altra tradizione, occupandosi del fato del
suo popolo durante l'Olocausto. Alcune centinaia di migliaia di Rom furono
uccisi dai nazisti e dai loro alleati durante la II Guerra Mondiale, ma
contrariamente alle preoccupazioni ebraiche su quel periodo, i leaders Rom
dell'Europa dell'Est - dove si stima vivano 5 milioni di Rom - sono rimasti
relativamente silenziosi sulle sofferenze del loro popolo durante l'Olocausto.
Nel tentativo di cambiare, Luminita ha impiegato gli ultimi due anni
collezionando testimonianze orali dagli anziani che furono deportati nella
regione ucraina della Transnistria dal governo rumeno alleato dei nazisti. I
frutti del suo lavoro sono stati presentati settimana scorsa ad una conferenza a
Sibiu, la città dove vive con suo fratello. Durante la conferenza, a cui hanno
presa parte attivisti romanì di tutta Europa, ha distribuito un libro contenente
le testimonianze raccolte e presentando il film "Frattura Romani", da lei
realizzato sulla tragedia del suo popolo.
"Ho cominciato da sola, e attualmente lo sono ancora o quasi," ha detto
durante una pausa della conferenza, intitolata "I Sopravvissuti Rom in Cerca
della Verità."
In passato, una manciata di studiosi si era occupato dell'Olocausto Romani,
ma quello di Cioba dovrebbe essere la prima [conferenza] organizzata da e per i
Rom, ed appare evidente che un altro passo è stato compiuto, vedendo i
superstiti alternarsi sul palco ad attivisti e uomini d'affari di origine Rom.
Sessantacinque anni dopo l'Olocausto la conferenza ha anche sottolineato che i
Rom, in molte aree - popolo eternamente degradato e senza stato - hanno molto
difficoltà in queste prime fasi di memorizzazione della tragedia. [...] Una
relativa apatia da parte dei governi europei - il governo rumeno non ha mandato
alcun rappresentante ufficiale, nonostante fosse stato invitato. Si aggiunga la
natura composita della comunità romani, come pure la mancanza di istituzioni
culturali romani.
"C'è una sorta di negazionismo da parte dei leaders romani," dice Dana Varga,
consulente della presidenza per gli affari rom, lei stessa rom. "I nostri
problemi sociali sono così seri ed urgenti, che le questioni storiche non
diventeranno mai argomenti di discussione."
Data la relativa mancanza di ricerche, i dati sulla situazione dei Rom
durante la II guerra mondiale non sono lontanamente paragonabili col materiale
elaborato sull'Olocausto ebraico. Gli storici ritengono che una cifra tra
100.000 e un milione di Rom furono uccisi nell'epoca nazista, con differenti
metodi in differenti parti d'Europa.
Il fato dei Rom di Romania è stato illustrato nella conferenza di settimana
scorsa da Jean Ancel, un ricercatore israeliano. Ha detto che nell'ottobre 1942
il regime rumeno sequestrò i Rom sedentari -che non vivevano in carovane
nomadiche - per deportarli in Transnistria, una regione dell'Ucraina occidentale
dove furono deportati anche gli Ebrei. Ancel stima che 26.000 Rom rumeni furono
deportati adoperando i loro stessi cavalli e carri, che furon poi sequestrati
una volta attraversato il fiume Dniester. Nei due anni successivi i Rom vennero
tenuti in fattorie collettive a lavorare forzatamente e morire, similarmente
agli Ebrei della regione.
"L'intenzione era di vedere morire entrambe, per purificare la nazione
rumena," dice Ancel.
Ancel dice che anche se il numero degli Ebrei uccisi in Transnistria fu molto
più alto, in un certo senso la condizione dei Rom era peggiore, perché non
avevano alle spalle nessuna organizzazione che curasse i loro interessi. I casi
di cannibalismo e di violenza sistematica di cui è venuto a conoscenza
attraverso le testimonianze dei sopravvissuti non erano dissimili a quanto
incontrato nella sua ricerca sugli Ebrei.
Il contributo di Ancel è di per se stesso testimonianza della mancanza di
collegamento con la storia della comunità Rom. Ancel dice che non ha mai
incontrato uno storico romani impegnato sull'argomento e che la sua relazione
nasce come collaterale al suo lavoro sull'Olocausto Ebreo.
Dice "Sono contento che mi abbiano chiamato qui, ma è un loro dovere [quello
di studiarlo]. Sinora c'è stata una rimozione completa di questa tragedia."
La presentazione dell'Olocausto dei Rom ha sollevato anche tensioni e
frustrazioni: "Non so niente della mia storia, e adesso devo sentirla da gente
estranea -saranno anche professionisti, ma non sono Rom," dice Zoran Dimv,
giornalista romani dalla Macedonia. "E' come se non sapessi chi sono. Come posso
raccontare la nostra propria storia?"
Per le strade di Turnisor, il quartiere romani di Sibiu, emerge la mancanza
della coscienza storica durante le interviste agli abitanti più giovani. Per le
sporche strade del quartiere, i giovani bighellonano dicendo che non sanno
niente su quello che successe ai Rom durante la II guerra mondiale.
"Solo gli anziani si siedono assieme e parlano del passato," dice Dorin Mihai,
diciasettenne durante una pausa di una partita a calcio. Lui non ha mai studiato
la storia del suo popolo a scuola.
"Sono giovane, ho da fare," continua. "Non ho il tempo di parlare con i più
vecchi."
Poco distante, all'hotel Imperatore Romano, c'è solo una persona sotto i
trent'anni sta seguendo la conferenza. Si chiama Florin Priboi, coordinatore del
dipartimento giovani del Centro Romani di Bucarest. Ha 20 anni e dice che
la sola ragione per cui è venuto a conoscenza dell'Olocausto dei Rom, è stata
perché la sua famiglia scelse di vivere distante dalla cultura Romani, dove le
pressioni sociali sono differenti.
"I giovani hanno la responsabilità di sapere, ma hanno altre priorità: il
lavoro, sposarsi da giovani, ecc." dice Priboi, studente all'Università di
Bucarest. "Io non sono della stessa opinione."
Ci sono segnali che qualcosa inizia a cambiare. Oltre il lavoro di Cioaba,
gli ultimi mesi hanno visto un fiorire di iniziative sull'Olocausto Romani. Il
mercoledì precedente la conferenza di Sibiu, attivisti Rom tedeschi annunciarono
a New York i progetti per costruire un memoriale sull'Olocausto dei Rom entro il
prossimo gennaio. Sempre quest'anno, le organizzazioni dei diritti dei Rom in
Romania, hanno introdotto una legislazione che spinga all'inclusione
dell'Olocausto dei Rom nei programmi scolastici.
Michelle Kelso, che insegna sociologia all'Università del Michigan e che ha
girato un film sull'Olocausto dei Rom, dice che quando iniziò dieci anni fa, non
incontrò alcun interesse da parte dei leaders romani. "Erano impegnati con
troppe altre questioni, come gli abusi della polizia," racconta. Ma, aggiunge,
la situazione è cambiata negli ultimi anni e il suo lavoro ha trovato una
audience più ricettiva.
Durante la conferenza, è stato chiaro che una ragione di interesse è stata
l'ovvia frustrazione per i miliardi di dollari destinati alla riparazione
dell'Olocausto ebraico, mentre niente o quasi è andato ai sopravissuti Rom. Un
giudice americano ha stimato in $ 60 miliardi destinati all'Olocausto e alle
riparazione della II guerra mondiale, solo $ 35 milioni sono andati ai Rom.
Il film girato da
Michelle Kelsooffre qualche spiegazione su questa disparità Mentre le famiglie
ebree spesso possedevano un inventario delle loro proprietà prima della guerra,
pochi Rom avevano una documentazione simile. Anche chi ne era in possesso,
raramente sapeva leggere e scrivere, o cavarsela con i complicati moduli per la
compensazione.
Una dei Rom superstiti, Rozalia Iacob - 79 anni, racconta che per sette anni
ha cercato di ottenere una compensazione dal governo tedesco per i due anni
passati in Transnistria, dove vide sua sorella fucilata. Rozalia Iacob in un
sacchetto stracciato di plastica gialla porta tutti i documenti spediti e
ricevuti dal governo tedesco. Per pagare i documenti inviati, continua, dovette
vendere i suoi maiali, ma lo stesso non ottenne risposta. Sembra che la sua
richiesta sia stata rigettata perché il cognome indicato negli atti fosse
differente da quello da sposata.
"Era tutto in ordine. Avevo le prove materiali che ero stata là - che era
successo a me - e mi hanno ignorata," dice Rozalia Iacob, che vive nei dintorni
di Sibiu. "Cosa posso farci?"
Nella sessione finale della conferenza, un giornalista ha letto un elenco di
risoluzioni da adottare. Tra queste la richiesta di sforzi legali perché i
sopravvissuti ottengano un compenso. Ma la lista è stata dominata da
preoccupazioni più terra terra, come individuare il numero preciso degli uccisi
e la ricerca di documenti che possano testimoniare il destino dei Rom. Anche per
i sopravvissuti come Iacob, c'è incertezza su cosa avvenne precisamente oltre
mezzo secolo fa.
"Ho sentito storie sulla difficile vita degli altri Rom in altri paesi - ma
in realtànon so niente di loro," dice Iacob. "La gente racconta - ma io non so
cosa accadde."
Nathaniel Popper traveled to Romania on a World Affairs Journalism Fellowship
administered by the International Center for Journalists. The Fellowship is
funded by the Ethics and Excellence in Journalism Foundation.
(visto da Singapore - newpaper.asia1.com.sg/®)
ANCORA NESSUNA SPERANZA dopo 7 anni di guerra razziale Presa in mezzo tra Serbi e Albanesi, la minoranza zingara del Kosovo diventa la nuova vittima in una vecchia guerra By Ng Tze Yong August 26, 2006 |
Il giorno che le bombe smisero di cadere e i mezzi della Nato rombarono in città, la madre di Ibro Suleimani lo vestì per tornare alla scuola.
Con due humvees della Nato di scorta Ibro, Rom di 7 anni, prese il bus scolastico delle Nazioni Unite.
Non gli era mai piaciuto sedersi accanto al finestrino. Spesso era a mira dei sassi che gli Albanesi gettavano contro il bus.
Questo nel 1999, subito dopo l'intervento Nato per concludere la campagna di pulizia etnica dei Serbi contro gli Albanesi. Ci furono almeno 6.000 morti e un 1,4 milione di profughi in cerca di rifugio.
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Ibro che sogna spesso di essere una rock star, ama esercitarsi alla sua chitarra.
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Durante il conflitto, la minoranza Rom del Kosovo venne presa nel mezzo. Alcuni aiutarono i Serbi come informatori [...]
Dopo la guerra, tornarono i rifugiati Albanesi con l'intento di prendersi la rivincita. I Rom divennero le nuove vittime di una vecchia guerra.
Da allora sono passati sette anni. La fragile pace ha tenuto.
Ma nel quartiere Rom, la "mahalla", ben poco è cambiato.
A differenza di Singapore, non c'è nessuno sforzo per integrare le differenti razze. In breve, nessuna Educazione Nazionale a scuola. I bambini sono diventati giovani adulti, ma rimangono paura e sosetti reciproci.
[...]
Ibro oggi ha 14 anni. Sfoggia un taglio di capelli che vorrebbe renderlo simile a Kurt Cobain, l'ex cantante dei Nirvana. Ogni mattina si affaccia all'uscio e gioca con i suoi amici
Demo Lamici ricorda quando si nascose sotto il letto per fuggire alla violenza albanese.
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Gli adulti siedono al margine delle loro case e chiacchierano di fronte a tazze di caffé turco.
Di 200 Rom, solo in 10 lavorano.
Sadete Suleimani, 40 anni e madre di Ibro, dice: "Se il Kosovo diventerà indipendente, noi partiremo. Non si discute".
I ricordi della guerra sono tuttora freschi. Anche i più giovani nella mahalla hanno lo sguardo stanco di chi ne ha viste troppe e troppo presto
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Gli Zingari non vogliono essere una minoranza in un Kosovo guidato dagli Albanesi.
Soltanto due anni fa, il Kosovo eruttò di nuovo violenza. Gli Albanesi attaccarono le truppe ONU, frustrati della mancanza di progresso verso la completa indipendenza.
Così le strade si riempirono del fumo dei SUV dell'ONU e il rimbombo degli elicotteri dappertutto, la violenza raggiunse l'ingresso della mahalla.
Ciò che li fermò furono le barricate di casse, pneumatici e pali erette dagli Zingari.
Dice Demo Lamici, 19 anni: "Ero nascosto sotto il letto con mia sorella. Mia madre pregava e piangeva."
La liberazione avvenne in maniera inaspettata. Un gruppetto di Albanesi, che abitavano ai margini della mahalla, sbucarono d'improvviso sulle barricate, per mandare via gli assalitori.
Alla fine della rivolta, 28 persone erano state uccise e più di 600 ferite.
Cinque anni di lavoro di riconciliazione dell'ONU, sembrano scivolate come acqua lungo uno scolo.
[...]
Il senso di pessimismo nella mahalla è profondo. La gente ha iniziato ad impacchettare le sue cose.
Sei mesi fa, Ibro salutò il suo miglior amico, che andava in Svezia. Piangeva, ma ora quando ne parla, accompagna il racconto con una scrollata di spalle. "Forse un giorno tornerà a visitarci" continua. Ma dentro di sé, Ibro sa che non succederà.
Tornare in Kosovo? Cosa c'è qui?
"Anch'io vorrei partire" ammette. "In Serbia o in Svezia. Magari in Germania... dovunque. Qui non c'è niente per me."
Ibro trova serenità nella moschea.
"In moschea, non ci sono Albanesi o Zingari. Siamo tutti fratelli," afferma.
Ma fuori, le distinzioni rimangono.
Nel suo tentativo di trovare corde per la sua chitarra in città, un ragazzo albanese gli grida: "Majup, tornatene a casa!"
"Majup" è un peggiorativo per dire Zingaro.
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Questa bambina ha lo sguardo stanco di chi che ha visto troppo troppo presto.
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Ibro si scrolla, Ogni volta che entra nel settore albanese le urla e le minacce riprendono.
Con nonchalence, continua sulla sua strada.
Nella sua borsa, tiene un piccolo blocco dove scrive le parole inglesi che non capisce. Sa di aver bisogno dell'inglese, per un biglietto dal Kosovo, e lo sta studiando furiosamente.
La sera, attacca con la chitarra -che ha tre sole corde attaccate con chiodi, provando a rifare i pezzi dei Nirvana.
Ha sogni, ma se non riuscirà a partire al più presto, slitteranno via.
"Un giorno" ci dice colmo di speranza "Sarò una rock star."
Il reporter è stato volontario in Kosovo nel 2003. Il mese scorso vi è ritornato per una visita.