Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Di Fabrizio (del 01/05/2009 @ 09:39:15, in Europa, visitato 1769 volte)
Da
Polska_Roma
La minoranza invisibile
I Rom sono in una quantità poco nota in Polonia. Gli stereotipi abbondano,
ma la comunità rom - stimata in 40.000 unità - si è in qualche modo integrata
nella società polacca. Quindi dove finiscono gli stereotipi ed inizia la verità?
Un rapporto pubblicato dall'Agenzia dell'Unione Europea per i Diritti
Fondamentali (FRA) valuta il modo in cui i membri della comunità rom sono
trattati nella regione CEE. Il rapporto fa luce sullo stato della
discriminazione contro la minoranza nella regione - una questione che pochi
vogliono affrontare attivamente.
La ricerca per il rapporto è stata condotta a maggio-luglio 2008. Circa il
60% dei Rom in Polonia ha risposto "sì" alla domanda "Hai subito discriminazioni
nei 12 mesi passati?" Le aree della vita quotidiana in cui si sentono
discriminati includono il posto di lavoro, "al caffè, al ristorante o al bar," e
"dal personale sanitario".
Uno dei principali problemi è che i membri della comunità rom sono
stereotipati come ladri o mendicanti. "Stereotipare è molto comune in tutte le
società. La verità è che non c'è stata nessuna adeguata compagnia governativa
per combattere questo modo di pensare in Polonia", ha raccontato Aleksandra Amal
El-Maaytah, di Amnesty International Polonia, a WBJ.pl
Circolo vizioso
Il fatto che Rom e non-Rom vivano in quartieri separati e frequentino
differenti istituzioni dell'istruzione, rende le cose più ingarbugliate. "La
segregazione avviene -naturalmente-, per così dire, ma porta ad ulteriori
problemi con la [mancanza di] integrazione con la comunità non-Rom. Molti
conoscono i Rom soltanto dalla musica e dai festival di danza o dalla strada,"
commenta Amal El-Maaytah.
Questo, dice l'esperta, porta alla discriminazione, specialmente verso le
generazioni più giovani. "Essendo discriminati nella scuola, molti Rom non
ricevono l'istruzione che meritano. Più avanti avranno [meno] possibilità di
ottenere un impiego. Essere senza impiego significa non avere accesso alla
sanità e alla casa, ecc. E' un circolo vizioso."
Nonostante tutto ciò, Roman Chojnacki, presidente dell'Associazione dei Rom
Polacchi a Szczecinek, ritiene che la comunità romanì in Polonia, che è stimata
in 40.000 membri, sia più apprezzata delle comunità di altri paesi, ma che "ciò
non significa che tutto sia OK".
In un rapporto dell'anno scorso per il Forum Europeo dei Rom e Viaggianti,
un'organizzazione internazionale rom, Chojnacki scrisse che infuria un
accalorato dibattito sulla chiusura delle cosiddette "classi romani" nel sistema
educativo polacco.
"Gli esperti e una gran parte della società romanì sono convinti che non c'è
utilità nell'impiego di classi separate," dice Chojnacki. Se queste classi
fossero rimosse, sia Rom che non-Rom sarebbero in grado di integrarsi meglio, e
si spera così che si ridurrebbe la discriminazione.
Soltanto criminali?
I membri della comunità rom lottano spesso con lo stereotipo di essere
coinvolti in attività criminali. "Nonostante i nostri sforzi, i mass media,
quando [riportano dei] crimini commessi, rivelano ancora la nazionalità degli
esecutori, cosa proibita dalla legge", dice Chojnacki. Aggiunge che questo
approccio costruisce un ulteriore pregiudizio verso il popolo rom.
Inoltre, quando sono loro vittime di un crimine, I Rom difficilmente cercano
aiuto dalla polizia. Secondo il rapporto FRA, circa il 33% degli intervistati ha
lamentato di essere stato vittima di crimini nei precedenti 12 mesi. La maggior
parte dei Rom - circa i tre quarti - che sono stati vittima di crimini come
minacce, assalti o "serie molestie" non li hanno denunciati alle autorità.
"Molti Rom ritengono che non c'è motivo di riportare atti di violenza alla
polizia," dice Amal El-Maaytah, "perché non affronterebbero il caso in maniera
adeguata. D'altra parte, senza portare a consocenza delle autorità i casi di
discriminazione, [le autorità] ... non possono fare molto."
From Warsaw Business Journal by Roberto Galea
Di Fabrizio (del 01/05/2009 @ 09:01:57, in media, visitato 1755 volte)
Da
Osservatorio Balcani una storia che rischia di essere già vecchia
28.04.2009 scrive
Rando Devole
Ferdi Berisha, rom montenegrino, ha vinto la nona edizione del Grande
Fratello. L'evento ha avuto un fortissimo impatto mediatico. Ma perché sfonda
una notizia così? Perché in realtà non è solo una notizia ma la fine di una
storia e Ferdi l'eroe perfetto. Un commento
In tempi normali non sarebbe stata una notizia. Eppure la vittoria del Grande
Fratello 9 da parte di un giovane rom, di nome Ferdi Berisha, ha fatto il giro
dei telegiornali, della stampa e dei blog in pochissimo tempo. Tutti a
raccontare e commentare la “straordinaria” storia del rom venuto dai Balcani, e
precisamente dal Montenegro, tra mille difficoltà e peripezie, per poi trionfare
nell’arena più cruenta della tv. Un trionfo che ha spiazzato non solo i critici
della trasmissione, ma anche chi la snobbava. Infatti, la vittoria di Ferdi non
è una notizia qualsiasi. È una di quelle che oltre all’attenzione, esige per
forza la nostra partecipazione emotiva, che non è difficile scorgere tra le
righe giornalistiche o le immagini televisive.
Ma perché ci piace una notizia del genere? Perché in realtà non è una notizia,
ma la fine di una narrazione, cioè di una storia. E da che mondo è mondo le
storie, specie se raccontate con arte, piacciono al grande pubblico, che dalla
tv chiede soprattutto trame ed emozioni. Ecco, alla storia di Ferdi non mancava
niente per essere una gran bella storia. Gli ingredienti c’erano tutti: il
personaggio principale veniva da lontano (Montenegro), il viaggio era stato
avventuroso (gommone), aveva una vita travagliata (famiglia divisa), era diverso
(rom), era integrato (italiano perfetto) e così via. Bastava aggiungere una
love story all’interno della casa del GF, un paio di interviste commoventi
con familiari distanti, un duello impressionante con un altro contendente, e
sarebbe venuto fuori, così com’è stato, uno dei piatti più ghiotti della tv
italiana. Il trionfo finale, con tanto di musica, coriandoli, luci, ballo,
smoking e colori, ha trasformato Ferdi definitivamente in un eroe da favola.
La storia di Ferdi era vincente anche per la sua moderazione. Era sfigato ma non
troppo, era diverso ma non troppo, era simile ma non troppo, era ingenuo ma non
troppo. Inoltre, presentava una molteplice e articolata diversità; era immigrato
e rom insieme, straniero e italiano, vittima e superstite. Proprio per questo la
sua diversità non è stata percepita convenzionalmente, perché usciva dai canoni
consunti della diversità sbattuta sui media. A questa sua inedita e fresca
diversità va attribuita in gran parte la vittoria al GF 9. Infatti, si tratta di
una diversità accettabile ed accettata, perché in sostanza non stridente per il
senso comune.
E il sociale c’entra con tutta questa storia? C’entra, eccome, perché ogni
storia ha un suo contesto sociale. E non si può ignorare un contesto italiano
dove l’integrazione degli immigrati e la discriminazione dei rom sono tra i
primi temi imperativi di una società impaurita. Ma come vanno interpretati i
titoloni sul giovane rom che conquista l'Italia o sul suo riscatto sociale? Si
potrebbero vedere, secondo Aldo Grasso, come un alibi collettivo. Infatti, un
rom che stravince il GF cosa significherebbe per qualcuno se non l’inconsistenza
della discriminazione sociale in Italia? Effettivamente, la vittoria di Ferdi è
stata liberatoria un po’ per tutti. La sua esplosione di gioia potrebbe essere
vista come una chiara risposta alle accuse europee di discriminazione e alle
indagini televisive sui campi rom. In questo senso Ferdi è tutti noi, dato che
una favola si può realizzare solo in un contesto positivo, perbene, che permette
alla favola di diventare tale.
E qui si presenta il nodo del problema: i reality show rappresentano la
realtà sociale, e più in generale, la tv rappresenta la realtà? I temi sono
immensi, ma due cose in merito si possono dire. Intanto, laddove si parla di
show, sarebbe difficile parlare di realtà. Poi, laddove c’è una telecamera
c’è un punto di vista, dunque una dichiarata soggettività. Tuttavia, al pubblico
televisivo che si sintonizza sul GF non interessa tutto questo. Interessa il
fatto che sta vedendo e vivendo in diretta una storia emozionante. Che poi la TV
rappresenti il surrogato della realtà e non la realtà è un altro paio di
maniche. Spiegare la passione del pubblico con l’identificazione con i
protagonisti è azzardato stavolta. Con un rom dichiarato è difficile
identificarsi, anche perché ha una storia tutta particolare. Diciamo che il
pubblico si è identificato con se stesso, creando virtualmente un contesto
sociale che gli sarebbe piaciuto fosse vero. Una società in cui anche i rom ce
la fanno, senza problemi, senza discriminazioni.
Quindi quella specie di “zoo” televisivo volontario, le cui telecamere seguono
tutti i movimenti dietro le sbarre di vetro, finisce per diventare una realtà,
anzi una realtà politicamente corretta, dove coltivare sogni sociali.
L’integrazione? Anche questa diventa una questione catodica, anzi modernamente
plasmatica. Gli immigrati ce la possono fare in una realtà del genere, dura sì,
ma generosa alla fine. Il riscatto c’è stato: individuale (di Ferdi) e
collettivo (del pubblico televisivo). Ma c’è stato anche quello della
trasmissione, forse l’unico vero riscatto. Infatti, ci vuole arte per
trasformare una persona in personaggio e un personaggio in eroe. Il successo ha
perfino oltrepassato i confini. Un articolo di un giornale albanese, nel vortice
dell’esaltazione incoronante, ha tentato di impossessarsi dell’origine di Ferdi:
è albanese, dice, ma non l’ha mai dichiarato. Chissà che ne pensano i
montenegrini. Saranno arrabbiati? Allora è vero che i Balcani producono più
storia di quanta riescono a consumare… Comunque, risulta patetico, quando si
pensa, che solo poco tempo fa, quando i telegiornali davano una qualsiasi etnia
ai rom, ci si infuriava come bestie per questo equivoco imperdonabile.
La colpa, in verità, è della storia. È troppo bella per non impadronirsene. C’è
dentro tutto quello che vorremmo essere. Una società tollerante, bella, a lieto
fine, dove vince il migliore. Conta, ovviamente, anche il merito. E il merito
nella trasmissione si misura per mezzo delle sofferenze personali. La storia
personale di Ferdi è esemplare in questo senso. Operaio semplice, bravo ragazzo,
povero, con un’infanzia difficile, senza famiglia, solo, con tanti sogni nel
cassetto. Basta poco per stuzzicare l’onnipotenza del pubblico televisivo, che
decide di realizzare i sogni del rom balcanico in un batter di telecomando,
dandogli la vittoria e trasformandolo da sfigato televisivo in divo televisivo.
Al rom immigrato, basta una trasmissione per avere i soldi, il lavoro, l’amore,
la famiglia. La Cenerentola non ha nulla da invidiare. Tutto ciò è
comprensibile, umanamente e mediaticamente parlando. Rimangono però aperte le
questioni della realtà e della generalizzazione. È vero che i rom si sono
riscattati con questa vittoria? È vero che non esiste più la discriminazione? È
vero che l’integrazione è ormai riuscita? Oppure questa è un’altra storia?
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