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Di Fabrizio (del 03/06/2005 @ 22:42:01, in scuola, visitato 3698 volte)
Da: Jerusalem Post

Gli Zingari di Gerusalemme

"Per gli Arabi siamo i Nawari, che significa "sporchi Zingari" dice Sleem. "Per gli Ebrei e per le autorità, noi siamo Arabi. Abbiamo perso su tutti i fronti."

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Amoun Sleem, direttrice di Domari, la Società degli Zingari di Gerusalemme, è una donna eccezionale. Leggete tutto l'articolo.
A people apart


"Fammi una domanda, fammi una domanda!" insiste Leila, orgogliosa di mostrare che finalmente capisce l'inglese.
"Ho otto anni. Frequento terzo grado" continua felice.
Heba, otto anni, è concentrata sul suo disegno. Non ha mai lasciato Gerusalemme, ma sta disegnando un veliero sulle onde e un sole sorridente in alto sul foglio.

Leila, Heba e altri due bambini, sono nel Gypsy Community Center, aperto solo due mesi fa in un'appartamento di tre stanze a Shuafat, confortevole e illuminato. Per la prima volta, la comunità zingara si è organizzata proattivamente per badare a se stessa.

Due volte alla settimana, il centro offre corsi di alfabetizzazione per dieci adulti. I bambini frequentano tre volte a settimana, per fare i compiti e scappare dalla strada; qui in inverno stanno al caldo.
In un angolo, un vecchio computer, e Yassir, di quasi cinque anni, pigia con entusiasmo sulla tastiera. Al muro sono appesi frammenti di arazzi e di gonne ornate, accanto ai disegni dei bambini che ritraggono le loro famiglie nei costumi tradizionali.
Sempre accanto alle pareti, diverse rababbah, tradizionali strumenti zingari a corda, che i bambini provano a suonare. Il centro offre anche gingilli, tele, ceramiche, marmellate e olive schiacciate sotto olio. Tutto materiale in vendita.

"Mi piacciono gli Zingari," discorre Leila. "Mi piace la scuola. Mi piacciono le maestre. Mi piacciono i bambini piccoli, ma quelli grandi, no. Mi chiamano con brutti nomi. Anche gli insegnanti"

Amoun Sleem ha 32 anni, è la direttrice di Domari, la società degli Zingari di Gerusalemme ed ha fondato il centro. Oggi, come quando era una bambina, il tempo sembra essersi fermato. Ancora oggi, mentre cammina nelle strade della Città Vecchia, i passanti la chiamano "Nawariya", un peggiorativo di Zingara. A volte, le sputano contro.
Sleem, di una assertività sfacciata e di una bellezza esotica, ha dedicato la sua vita personale e professionale al progresso della causa degli Zingari o, come meglio si riferisce a lei stessi, dei Domi.

Gli Zingari sono forse il gruppo sociale più emarginato nella Gerusalemme di oggi. Oppressi dalla povertà e da conflitti interni, sono marginalizzati socialmente e politicamente invisibili.
Il Ministero degli Interni non riconosce i Dom come entità religiosa o culturale e sono genericamente indicati come "Arabi" sui loro documenti.

"Per gli Arabi siamo i Nawari, che significa "sporchi Zingari" dice Sleem. "Per gli Ebrei e per le autorità, noi siamo Arabi. Abbiamo perso su tutti i fronti."

Secondo il procuratore Omri Kabiri, che offre servizi legali a Domari e alla comunità praticamente a costo zero, lo stato di Israele non è disposto a riconoscere formalmente le minoranze. Nella pratica, non interferisce nelleesigenze di gruppi come i Drusi, i Beduini o gli Armeni. Se ottenessero un riconoscimento, gli Zingari avrebbero accesso a numerosi servizi, dalle cure mediche, ai fondi per il mantenimento della loro cultura o della religione, ecc.

Ma finché non appariranno come categoria censita, nessuno saprà quanti siano.
Sabine Hadad, portavoce del Registro della Popolazione, parla di "diverse dozzine" a Gerusalemme Est, anche se, secondo il Dom Research Center, con sede a Larnaca (Cipro), a Gerusalemme ci sono circa 1.000 Dom, e tra 1.000 e 4.000 vivono nella West Bank e nella striscia di Gaza.
Il primo importante passo, secondo Amoun Sleem, è un censimento nazionale. Ma il principale problema resta quello della povertà.

La più parte della comunità vive a Bab el-Huta, un povero agglomerato di casa vicino alla Porta del Leone. Bambini poveramente vestiti si aggirano tra pile di immondizia per la strada, mendicando o vendendo ciondoli. Alto l'abbandono scolastico, soprattutto tra le ragazze, anche se la comunità beneficia di personale che controlla la frequenza scolastica e di autisti per i bus scolastici.

Il tasso di disoccupazione è alto. Molti fanno affidamento sulla Previdenza Sociale e i tagli effettuati negli ultimi due anni hanno avuto serie conseguenze sulla comunità.

Le ragazze si sposano presto, di solito a 16 anni. "Le donne non hanno vita facile" dice Sleem. "Non hanno prospettive o sogni. Otto, dieci figli e niente soldi."

Sleem si è creata da sé una vita differente.

Sua madre morì quando aveva sei anni, lasciando suo padre con otto tra fratelli e sorelle da crescere. Da giovane, come molti altri bambini, fu mandata a chiedere la carità, ma rifiutò.
Ricorda: "E' una cosa umiliante. Così presi delle cartoline da vendere ai turisti. Qualcosa dentro di me diceva che era possibile agire e creare le cose in maniera più onesta e decente"

Sapeva che la scuola le avrebbe dato il biglietto per uscire dalla povertà. Ma sapeva anche che suo padre, col suo lavoro di custode al Ministero degli Interni, mai sarebbe stato in grado di fornire a lei e alle sorelle quadreni e matite. Così comtinuò a vendere le sue cartoline.

Ricorda ancora le umiliazioni a scuola, non differenti da quelle che subisce oggi Leila.

"La maestra ci chiamava di fronte alla classe e, di fronte a tutti, controllava se avevamo i pidocchi o eravamo sporchi. E gli altri bambini ridevano quando ci chiamava Nawari."

All'età di 12 anni, lasciò la scuola, ma nessun assistente sociale venne a controllare perché una studentessa così brillante e motivata avesse abbandonato lo studio. Ritornò a scuola un anno dopo, completando il ciclo di studi e diplomandosi in business administration.

Trovò lavoro come manager presso l'Ostello Olandese sul Monte degli Ulivi. Imparò inglese e olandese fluentemente. I visitatori europei contribuirono a formare la sua coscienza politica e sociale. Cominciò a pensare che poteva sviluppare consapevolezza e rispetto di sé nella sua comunità. La sua fiducia crebbe e attualmente sta completando un corso in business administration all'Università Ebraica.

Sleem fondò Domari nel 1999; la prima organizzazione di questo tipo nel Medio Orinte, dedicata alla crescita politica, sociale, culturale e ai bisogni sanotari della comunità.

Per storia e cultura, gli Zingari non ragionano in termini territoriali e non fanno riferimento ad un'unica patria. In diversi angoli del mondo, non si chiedano chi sia il regnante, ma vogliono che sia permesso loro di mantenere la loro cultura e creare un futuro migliore per i propri figli.

A Gerusalemme, sono riusciti abilmente a mantenersi estranei al conflitto israeliano-palestinese. Ma Sleem ritiene che gli Ebrei [...] dovrebbero capire gli Zingari. Anche noi siamo stati perseguitati."
Nota inquietanti similitudini tra le loro due storie. Entrambi sono stati la classe "altra - impossibilitati a stanziarsi, cacciati, oppressi. Come gli Ebrei, gli Zingari hanno sviluppato strategie per vivere con i "gadjé" - i "GOY", i "non-Zingari" - e sopravvivere in difficile equilibrio con la società circostante, spesso confinati in ghetti e accampamenti recintati.

E come gli Ebrei, sono stati isolati di Nazisti perché fossero sterminati. Secondo [...] lo US Holocaust Memorial Research Institute di Washington il numero di vite perse dagli Zingari nel 1945 oscilla "tra mezzo e un milione e mezzo."

Ma gli Ebrei, spalleggiati dal loro stato e più potenti politicamente, hanno ottenuto pù riconoscimento. Per una stridente coincidenza, il mese stesso che la Germania celebrava gli Ebrei uccisi dai nazisti, iniziava il rimpatrio forzato di decine di migliaia di Zingari profughi dal Kossovo (cfr. Germania ndr.), dove le loro case sono state distrutte e sono esposti a un'esistenza in pericolo, senza aiuti dalla Germania o dalle Nazioni Unite.

La dottoressa Katalin Katz, della Hebrew University's School of Social Work, ha compiuto una ricerca sugli Zingari in Europa.
"Le strutture, l'autorità e la gerarchia sono alieni ai loro valori e stile di vita. Non hanno un'autorità centrale per cui battersi o dichiarare guerre. Ma nell'ultima decade, le cose hanno iniziato a cambiare."

Cambiano anche qui. Dice Sleem: "Ho imparato da mia nonna, che se hai prurito, puoi solo grattarti da te, e nessun altro sa dove sia il tuo prurito."
Vede particolarmente significativi i cambiamenti che avvengono nel suo centro di Shuafat. perché mostrano che gli Zingari hanno iniziato a muoversi fuori dal loro "ghetto" nella Città Vecchia per mischiarsi con gli altri gruppi.

Qualche anno fa, Domari propose assieme al MATI, il Jerusalem Business Development Center, di fare formazione professionale per uomini e donne della comunità, nel campo del catering e della cosmetica. Circa una dozzina vi hanno preso parte.

Sleem nota anche una crescita della considerazione per la scolarizzazione nella comunità. Cresce il numero delle ragazze che completa la scuola dell'obbligo e tre di loro frequentano l'università.

Aumentano i matrimoni misti con gli Arabi Palestinesi e si comincia a discutere di pianificazione familiare.

Sleem è compiaciuta per questa crescita comunitaria, ma spera anche che la cultura tradizionale possa sopravvivere. Sono in pochi ad indossare i costumi tradizionali o parlare la lingua originale, solo poche donne ricordano le canzoni che si cantavano ai matrimoni.

Vorrebbe organizzare un campo estivo, portare i bambini in spiaggia o in piscina e insegnare loro giochi e canzoni. Ma non ci sono i soldi. Allen Williams, filantropo di Larnaca, ha dato i soldi per pagare l'affitto e le misere spese operative del centro. Il personale è formato da qualche volontario, dall'Inghilterra e dagli USA, altre risorse non ci sono.
Sleem oscilla tra la frustrazione e l'ottimismo. A volte, emerge l'amarezza "Noi siamo per i diritti umani, ma nessun gruppo sui diritti umani si interessa a noi. Si occupano delle donne Beduine, e noi? Non siamo spazzatura!"
Indica un uccellino che sta cinguettando "E' un segno del Signore che le cose vanno bene? So che è stupido, ma sono continuamente preoccupata e spaventata, mi sembra di vivere in un circolo vizioso."

Non tutti i suoi sforzi sono ben accolti. Sleem ha ricevuto diverse critiche nella sua comunità.

Nel 1968, l'allora sindaco Teddy Kollek concesse a un membro della comunità il permesso di operare come "mukhtar" e di essere il tramite ufficiale con la municipalità. Una posizione che col tempo non è più stata ufficialmente riconosciuta, ma che mantiene un notevole prestigio interno. Sleem ritiene che, risentito a causa della sua proattività e dell'alto profilo perseguiro, il mukhtar abbia deciso di non presenziare alkl'inaugurazione del centro. (il mukhtar non ha ritenuto fornire un suo commento al Jerusalem Post)

Ci sono tanto uomini che donne che si oppongono all'idea che una donna, per giunta non sposata, possa assumere un ruolo preminente nella loro comunità conservatrice e tradizionale.

L'anno scorso, per diversi mesi sono circolate voci che Sleem fosse una collaborazionista di Israele. La sua vita era, letteramente, a rischio. Lentamente, i progressi compiuti dal centro, mostrano che i suo sforzi sono più accettati.

Il procuratore Kabiri è convinto che il riconoscimento degli Zingari come minoranza nazionale sia cruciale e farà un appello in questo senso all'Alta Corte di Giustizia.
"E' importante determinare se gli Zingari siano, in effetti, una nazione" osserva. "E sarebbe basilare una decisione legale in merito, qui in Israele.
Noi, il popolo ebraico, siamo stati accomunati dalla dispora e ci siamo dichiarati popolo. Siamo tra quelli che devono mostrare più sensibilità verso il bisogno di un altro popolo di ottenere riconoscimento e auto-definizione"


Per saperne di più:
- Domari Society
- La loro Europa
Si ringrazia la mailing list di Roma Network.
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Di Fabrizio (del 05/06/2005 @ 02:08:45, in Europa, visitato 5357 volte)
(o cronache italiane? NdR)
di: Ivan Ivanov pubblicato su ERRC.ORG

Discriminazione e il complesso di essere Rom

Mi è capitato molto presto di sperimentare le violazioni dei diritti umani: il governo cambiò il mio nome di Rom musulmano, che era mio dalla nascita, in uno "tipicamente bulgaro". Era il 1982, avevo quindici anni e frequentavo il primo anno delle superiori nella città di Haskovo, nella Bulgaria meridionale. Mi dissero che non potevo continuare gli studi se non cambiavo il mio nome. Altri in città vennero minacciati di perdere il lavoro. I negozi rifiutavano di vendere il pane a chi non si adeguava. Anni dopo, la stessa cosa successe a chi aveva un cognome turco. Allora ne rimasi molto scosso e ancora oggi sono condizionato dal portare un nome che non è il mio. Ha cambiato il modo in cui vedevo il mondo intorno.

Quando mi fu suggerito di scrivere un articolo per "Incontro all'ERRC" sul tema dei diritti dei Rom, ci pensai un poco e poi decisi che avrei descritto le tante assurdità che avevo incontrato mentre lavoravo per i diritti del mio popolo in Europa.

Secondo le statistiche ufficiali che, sino a poco tempo fa, la polizia bulgara rendeva pubbliche, il numero dei crimini commessi dai Rom era percentualmente superiore a quello dei non-Rom. D'altra parte, i crimini dei Rom erano, soprattutto di piccola entità. Non risultavano crimini economici [...]; non risultano implicazioni in bustarelle, sottrazione di fondi, interessi privati nella gestione delle aziende. E' praticamente impossibile trovarne in posizioni chiavi tali da permettere loro di commettere atti simili. Che sono crimini, spesso, non riportati. La questione è: qual'è l'ammontare preciso deile attività criminali? Centinaia o migliaia ogni giorno. Il problema è che le statistiche contribuiscono a creare l'idea che il crimine sia da associare ai Rom. La gente si riconosce in questa immagine, perché ha bisogno di credere alla polizia. E questa immagine del crimine è anti-Rom.

Ho visto libri che volevano insegnare "Come proteggersi dai borseggiatori Rom". Perché nessuno scrive "Come proteggere l'economia dello stato dai crimini dell'intelletto"? Nell'Est Europa di oggi è ancora una prassi comune per il politico di turno essere eletto promettendo di abolire la "criminalità", da intendersi come "fermare gli Zingari". Ecco allora il rampante sentimento contro i Rom.

In Bulgaria, spesso la polizia organizza veri e propri raid nei quartieri Rom. Oggi il lavoro della polizia viene analizzato confrontando quanto si riduce il gap tra casi risolti e no. La maniera più facile per debellare la picola criminalità è imprigionare i Rom e picchiarli finché non abbiano confessato. Nonostante numerose denunce negli ultimi anni sulle brutalità poliziesche, incluso casi in cui Rom sono morti deceduti menter erano detenuti, la polizia nega l'abuso della forza e continua a comportarsi come sempre. Le denunce di maltrattamenti vengono prese in considerazione nella sfortunata ipotesi che un poliziotto si sia dovuto difendere; questo comprende quei casi dove i Rom sono stati colpiti alla schiena durante un tentativo di fuga.

I media soffiano sul fuco dell'ostilità anti-Rom. Ricordo un caso in cui un Rom fu ucciso da un non-Rom e il giorno dopo i principali giornali titolarono "Proiettile uccide uno Zingaro alla fermata de tram". Immaginate se la situazione fosse stata all'opposto [...]: indignazioni, discorsi solenni, minacce di schiantare la "criminalità" ecc. Ma i gionali non riportarono che l'assassino non era Rom. Tantomeno posso dimenticare l'assassinio di una giovane Romni a Varna, sul Mar Nero. Un giornale nazionale riportò che quel crudele assassinio poteva essere stato commesso solo da "uno psicopatico o uno Zingaro". Dopo un paio di settimane, si scoprì che l'assassinio era avvenuto per mano del marito, un non-Rom.

C'è un altro fatto: in tutta l'Europa dell'Est ci sono leggi che puniscono severamente i crimini su base razziale. In Bulgaria, ad esempio, l'articolo 162 del Codice Penale proibisce l?incitamento all'odio o all'ostilità razziale o nazionale, come pure la discriminazione razziale e la violenza contro persone di diversa nazionalità, razza o religione. Ma raramente queste leggi sono applicate: tanto la polizia che i giudici ritengono impossibile stabilire che un crimine abbia motivazioni razziali.

Nella mia esperienza di attivista, ho lavorato a tanti, tanti casi e non ne ricordo uno solo in cui il giudice abbia accusato un non-Rom o un poliziotto di ai aver violato l'articolo 162. "MOrte agli Zingari" si legge sui nostri muri. Si ritiene che le scritte siano opera di ubriachi o skinheads. Non viene fatto niente contro quelle scritte o i loro autori.

Discriminazioni e pregiudizi sono evidenti a tutti i livelli. I Rom non vengono ftti entrare nei bar e nei ristoranti, o se lo fanno, non vengono serviti. Da dove vi scrivo queste righe - Ostrava nellaRrepubblica Ceca orientale - i bambini Rom sono il 55% per cento della popolazione scolatica delle scuole per ritardati mentali, e non avranno un buon lavoro in futuro, li aspetta una vita senza dignità.

Ho cominciato a ragionare su questi temi quando avevo dodici o tredici anni e comincia a capire di essere trattato in maniera differente dagli altri. Quando sei Rom, sei costantemente sospettato di qualcosa. Ogni volta che succede un piccolo furto, sul tram o in un negozio, la gente ti guarda. Dopo anni, tutti noi maturiamo questa sensazione di continuo sospetto. Per anni, ho sentito questa differenza sulla pelle, senza fare niente. Sapevo che l'essere Rom condizionava i miei rapporti nella scuola, per strada, ogni volta che incontravo un poliziotto. E' un complesso comune a tutti noi e tutt'ora ci sto lottando. Ho studiato per ventisette anni, mi sono laureato in medicina e in legge e probabilmente continuerò ancora a studiare, perché questo è il mio desiderio e la mia motivazione profonda - condivisa da tutti i Rom - essere libero dal sentirsi differente.

Nel giugno 1993 fui selezionato da United Roma Union di Haskovo pe partecipare a una Convenzione sui Diritti Umani organizzata dal Consiglio d'Europa. Lì incontrai altri giovani Rom che si sentivano come me e volevano comunicarlo. Molti erano coinvolti in organizzazioni per proteggere i nostri diritti. Drante quella conferenza imparai anche molto sugli strummenti internazionali, sui documenti, sulle leggi che ci avrebbero aiutato. Nel 1994 partecipai a un seminario sulla brutalità della polizia che si tenne a Sofia, organizzato da Human Rights Project (HRP). Ce ne furono altri e nel 1996 iniziai a lavorare per HRP. Nel frattempo avevo terminato gli studi in medicina e iniziato a studiare legge. L'ho fatto perché con la medicina si possono aiutare le persone a livello uno-a-uno, ma io vedo la necessità di un cambiamento radicale e il mihglior campo per questo cambiamento è proprio studiare la legge.

Negli ultimi dieci anni il movimento è cresciuto. Ma il periodo è troppo breve perché possa produrre cambiamenti in stereotipi tanto radicati. Ma penso che in futuro, se i Rom sapranno partecpare alla vita socio-politica, le cose cambieranno. I nostri problemi non sono solo i nostri. Sono problemi che affliggono tutta la società. La discriminazione da parte della società maggioritaria ci fa sentire differenti, separati: crea una catena di complessi che ci convince di essere cittadini di seconda classe. Per reazione, tendiamo a tenere distanti i non-Rom. E' quella che si chiama "discriminazione inversa". Ma non ha niente a che fare con la discriminazione inversa, o di ritono, de lidentitatà Rom è formata come l'immagine speculare del razzismo della società.


Dopo cinque anni come avvocato in ERRC a Budapest, dal mese di giugno Ivan Ivanov è il nuovo Direttore Esecutivo di European Roma Information Office (ERIO), organizzazione che ha sede a Bruxelles e si occupa di assistenza legale internazionale ai Rom e di promuovere i loro interessi in Europa.


Address: Av. Eduard Lacomble 17, 1040 Brussels, Belgium.
Phone: + 32-(0)-2-733-34-62
Fax: + 32-(0)-2-733-38-75
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Di Fabrizio (del 05/06/2005 @ 15:22:14, in conflitti, visitato 3963 volte)

Dall'archivio di Pirori, una segnalazione dell'11 dicembre 2004. Utile per entrare nel tema di una sorpresa che sto preparando per settimana prossima. Aggiornamenti a mercoledì prossimo...


Sentivamo la stessa pena

Ho tentato di tradurlo meglio possibile. L'originale su The Guardian (29 novembre 2004) mi è stato indicato da Nigel su http://groups.yahoo.com/group/allgypsies/
Da leggersi, consiglio, a puntate.


Per molti anni, Walter Winter non parlò di quello che gli successe tra i 20 e i 25 anni. Dopo la guerra, testa bassa e lavorare: le giostre e il matrimonio con Marion, da cui ebbe sei figli, là nel nord est della Germania dove i Winter vivevano da quando lui ne ha memoria. Ad 84 anni, vive ancora lì. "Noi siamo duri" dice, riferendosi alle tempeste sulla sua famiglia e, più in generale, a quelle sulla sua razza. "Siamo forti, perché dobbiamo esserlo."

Herr Winter e sua moglie vivono in un appartamento pieno di ricordi di un mondo che da tempo ha cessato di esistere. Ecco l'orologio del nonno e una scatola con un servizio cinese da te, appeso alla parete un violino circondato da quadretti con scene di carovane a botte, cavalli e bambini. Un modo di vita che esisteva quando Winter era poco più che ragazzo, con otto fratelli, negli anni che lui chiama "dell'Olocausto dimenticato".

Nel 1943, lui e due suoi fratelli finirono nel settore "Zigenuer" di Auschwitz. Sua sorella Maria di otto anni, morì per mano di Josef Mengele; la prima moglie di Winter, Anna, che conobbe nel campo e il loro bambino, morirono dopo che furono trasferiti a Ravensbruck. Suo fratello Erich fu sterilizzato.

"Vogliono che questo sia dimenticato," dice. "Ja. E' una lunga tradizione perseguitare i Sinti. Sempre, sempre."

Non esistono molte testimonianze scritte sul mezzo milione di Rom, Sinti e altre popolazioni nomadi che perirono nei campi, a causa, dice Winter, di una cultura tradizionalmente orale e non letteraria. Diversamente dagli Ebrei, molti dei quali provenivano dalla classe media scolarizzata, i Sinti vivevano della terra. La famiglia diWinter alternava il tradizionale lavoro stagionale nell'agricoltura con quello delle giostre e dei circhi. Erano egregi cavallerizzi e cavallerizze, Winter stesso lo fu.

Già negli anni '20, venivano accompagnati dalla polizia ai confini delle contee tedesche. "Un esempio" racconta Winter attraverso l'interprete, "fu quando avevo sei anni. I miei genitori stavano bevendo il caffè, quel mattino saremmo dovuti partire. Un poliziotto picchiò alla porta della nostra carovana e ci disse che dovevamo partire subito. Mia madre disse, 'Non possiamo partire immediatamente, i bambini stanno facendo colazione.' Ma il poliziotto non voleva aspettare. Estrasse il proprio manganello e mio padre, rapidamente, cominciò a preparare la roba per partire. Ma non era troppo veloce per quel poliziotto. Prima incitò i cavalli e poi bastonò mio padre."

Queste e altre scene sono ricordate nel suo libro, Winter Time, dove alcuni accademici hanno riportato le intervisti che ha rilasciato loro. Non è stata un'esperienza felice, non solo per il dolore di rivivere certe memorie - per quanto sia stato difficile - ma anche per una sorta di malfidenza verso chi aveva ottenuto la patente di "esperto" dell'Olocausto, studiandolo ma non vivendolo in prima persona. Inoltre, l'amarezza per la sorta diversa toccata a chi sopravvisse e ai loro eredi. "E' una discussione terribile" dice della "gerarchia del dolore" su chi appartenga all'Olocausto. Ma non può non rimarcare come, in Europa sia tabù dirsi apertamente antisemiti e tranquillamente accettato essere apertamente antizingari, cosa di cui non ha bisogno di leggere i giornali popolari inglesi per averne conferma.

Nel 1939, la popolazione totale di Rom e Sinti in Germania era stima ta di poco inferiore al milione di persone. Parlavano Romani (o Romanés) una lingua derivata dal Sanscrito. Nel 1938 furono soggetti alla circolare di Heinrich Himmler intitolata "Combattere il Fastidio Zingaro", in cui tutti i Sinti di età superiore a sei anni venivano divisi in tre gruppi: Zingari, parzialmente Zingari e persone nomadi dai costumi zingari. I tentativi di sterminarli furono meno sistematici di quelli diretti contro la popolazione ebraica - erano classificati nemici a bassa-priorità - ma nondimeno furono identificati pubblicamente dal triangolo nero (asociali), o dalla lettera Z (Zingari) e trasportati in gran numero nei campi di sterminio.

La famiglia Winter allora viveva nella regione di Wittmund, dove avevano una casa e i bambini frequentavano la scuola, seguiti da un'insegnante quando i genitori erano assenti per lavoro. Rom e Sinti, racconta Winter, allora erano "popolari e di successo". Alcuni di loro giocavano nella squadra nazionale di calcio, prima di esserne estromessi nel 1933 come "non-ariani". Allo stesso modo a Winter fu imposto di lasciare la marina tedesca, tra l'imbarazzo dei suoi pari. Un addestramento che sarà poi lo salverà una volta rinchiuso nei campi, dove le SS riconobbero la sua preparazione militare.

Verso la metà degli anni '30, il padre di Winter disse alla famiglia di non parlare Romanés in pubblico. Si raccontava di infiltrati nelle comunità Sinte, allo scopo di denuciarli alle autorità. Erano anche identificabili dal nome. "Molti Sinti sono cattolici," dice Winter. "Da quando sono scampato, non ho voluto più aver niente a che fare con la chiesa. I preti mostravano alle SS gli elenchi dei matrimoni, indicando quali fossero i nomi Sinti."
Tra Sinti ed Ebrei c'era anche sovrapposizione dei nomi: Weiss, Rosenberg, Bamberger erano comuni in entrambe le comunità.

Questi metodi di denuncia, lasciarono un segno che resiste tuttora. In alcune regioni popolate da Sinti, si registra oggi la spinta ad insegnare la lingua Romanés, ma la generazione di Winter è contraria. "Se la gente parlasse la nostra lingua, ci potrebbe identificare," spiega cupamente "perché mai vogliono impararla?"

Quando venne la polizia ad arrestare i suoi fratelli e sorelle, loro vivevano in una città vicina. Winter andò lì per capire cosa fosse successo e fu arrestato anche lui. Il resto della famiglia riuscì a cavarsela per la protezione che ebbe dal capo del governo regionale, che era andato a scuola con la mamma di Winter (sette degli otto fratelli di Winter sono ancora vivi, uno di loro è diventato milionario col brevetto di una giostra). Winter e i suoi fratelli, oltre a due cugini, furono internati ad Auschwitz. E' una cosa che riemerge della terribile competizione tra chi soffrì così tanto: il relativo merito di essere stati internati, contrapposto alla sicurezza del resto della famiglia. Ancora Winter: "Vedere soffrire la propria famiglia può essere ancora più duro che esserne separati. Ma questo è un confronto senza alcun senso. Non può essere stato peggio per gli uni o per gli altri, Abbiamo avuto lo stesso dolore."

I Sinti, racconta, avevano una reputazione nei campi. Erano forti e coraggiosi, con una lunga esperienza di lavori manuali, Ed erano, aggiunge, incredibilmente "naif". Un giorno, un suo fratello colpì una guardia, nel tentativo di rapire una donna dal blocco e fuggire assieme; incredibilmente, fu graziato. E Winter stesso affrontò Mengele a proposito della diminuzione delle razioni destinate ai bambini del campo. Mengele, conquistato dalla sua chutzpah (Yiddish = audacia, insolenza, coraggio, ndr), acconsentì ad aumentare le razioni, ma questo non salvò i nipoti di Winter.

Qualche volta, Winter si sveglia immaginando di essere ancora lì. E' stata dura per Maron, sua moglie, convivere con la compulsione del marito di raccontare cos'era successo. E' di 20 anni più giovane, mezza Sinti e mezza Ebrea, ha conosciuto sua marito mentre era ricoverata in ospedale. E Winter racconta che per lei ha imparato a cucinare. Si rimbocca le maniche per simulare una gestualità domestica. "Ed ora" dice, allungando le braccia, "vi mostrerò il mio numero."

Nel dopoguerra, a differenza della maggior parte dei sopravvissuti Ebrei, i Winter tornarono nella zona dove avevano vissuto. Come la maggior parte dei Sinti. Dovete capire, ci dice, che non eravamo gente sofisticata o che parlava ingese, l'idea di emigrare in America non faceva per noi. Così ripresero la vecchia vita. Appena trasferiti, furono accusati dai vicini di "rubare l'acqua". Le discriminazioni non erano cambiate da prima della guerra ed inoltre, i soldati inglesi circondavano completamente Amburgo. Così è continuato negli anni a venire. Negli anni '80, Winter fu chiamato a testimoniare contro Ernst Konig, accusato di crimini di guerra, ufficiale nel settore zingaro di Auschwitz, e suicidatosi in seguito alla condanna a vita. Winter fu zittito per i scuo scoppi di rabbia durante il processo. Il giudice disse: "Si calmi, vogliamo un processo civile". E lui rispose: "E chi mai ci ha trattati civilmente?"

"Oggigiorno," continua, "in Germania i neonazisti sono accettati meglio di noi Sinti." E' furioso col cancelliere Schröder che all'inizio di quest'anno ha presenziato all'apertura della galleria fondata da Christian Friedrich Flick, nipote di un industriale nazista. "Una mostra pagata col denaro di noi forzati". Per protesta, si è dimesso dal partito socialdemocratico. Non ha rapporti con altri sopravvissuti; dice di sentirsi in comunanza "mentalmente". Ma vorrebbe che le attività di testimonianza nelle scuole - intende riferirsi agli attivisti ebraici - fossero più comprensive verso i Sinti, che ritiene esserne rimasti esclusi per la differente cultura. "Juden, juden, juden," dice "Sinti, nix." Regolarmente è in viaggio per Berlino, dove si discute ancora invano (
http://sivola.blog.tiscali.it/ye1721208/ ndr) sulla costruzione di un monumento per le vittime Sinti. "Sono un vecchio di 84 anni, che deve ancora dimostrare e andare a Berlino..." Qui la sua voce si rompe e d'improvviso abbandona la stanza.

I Sinti nelle posizioni pubbliche sono ancora riluttanti ad ammettere la loro appartenenza. Allora Winter va nelle scuole e nelle università, raccontando le sue storie. Anni passati nel circo, l'hanno reso uno "showman" naturale. E' convinto che la sua storia vada raccontata, perché c'è sempre più gente, ad ogni livello, che vuole negarla. Qualche anno fa era in vacanze a Gran Canaria, quando un'anziana coppia tedesca gli chiese cosa fosse quel numero che aveva sul braccio. "Voi che avete la mia età," rispose, "voi sapete che cos'è."
Spera che, come Israele, possa esserci uno stato Sinto?
"Ach so," a questa idea fa cenno di diniego con la testa. "Ich bin Deutsche. Ich bin Deutsche."

Winter Time: Memoirs of a German who Survived Auschwitz è pubblicato da University of Hertfordshire, prezzo £9.99.

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Di Fabrizio (del 05/06/2005 @ 18:02:12, in Europa, visitato 2037 volte)
Riportato da Slovenska Tisknova Agencija e da ORF News (Austria):

Una donna di 46 anni e sua figlia di 21, entrambe di etnia Rom, sono rimaste uccise stamattina da una granata lanciata nella loro casa, in un villaggio vicino a Novo Mesto. La notizia arriva dalla televisione privata POP TV, e ufficialmente non è ancora stata confermata.
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Di Fabrizio (del 05/06/2005 @ 18:25:12, in Europa, visitato 1920 volte)
Fonte Gruppo British_Roma:

Un bambino di sette anni è stato "abbandonato" in Irlanda, dopo che i suoi genitori e il fratellino di quattro anni erano stati rimpatriati forzatamente in Romania.
La famiglia faceva parte di un gruppo di di 37 uomini, 10 donne e 8 bambini, tutti imbarcati all'aeroporto di Dublino per la Romania.

Riporta oggi ONLINE.IE - 2005-06-05 11:10:02+01 che l'Ufficio Nazionale Rumeno per l'Immigrazione si è adoperato per la risoluzione del caso, e stamattina il bambino ha potuto ricongiursi in Romania con la sua famiglia.
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Di Fabrizio (del 06/06/2005 @ 00:25:03, in Italia, visitato 4873 volte)

Immaginate di incontrare un medico o un avvocato. Gli credereste se vi dicesse che è uno Zingaro? E se questa persona diventasse direttore di un'agenzia informativa della Comunità Europea, sarebbe per merito proprio o per le solite spinte politiche?

Mentre ripenso alla sua storia (e a me che chiedevo se erano cronache bulgare o italiane), rileggo un lancio dell'AGENZIA GIORNALISTICA EUROPEA:
DENISE: FAMIGLIA, SEGNALAZIONE TRIESTE VEROSIMILE
(AGE) TRAPANI - "Siamo certi che Denise sia in mano agli zingari. Quindi l'avvistamento segnalato a Trieste potrebbe essere fondato. E non e' escluso che Denise sia stata ceduta da una famiglia all'altra". Lo afferma Giacomo Frazzitta, portavoce dei genitori di Denise Pipitone...

In un barlume di lucidità, trovo la forza di chiedere (a me stesso, non è che posso chiederlo all'AGENZIA GIORNALISTICA EUROPEA): "Perché la famiglia lo crede??" Già il marzo scorso, una famiglia Sinti era stata fermata per una giornata intera, senza alcun motivo. Una qualche volta dovrò riscrivere articoli e commenti di allora. [1] e [2]. Naturalmente, nella commozione generale del marzo scorso, in pochi fecero caso che nessuno pensò a scusarsi con quella famiglia trattenuta ad Abbiategrasso. Scuse che sarebbero legittime in un paese civile, anche da una mamma provata da un'esperienza devastante, che si trovi di fronte un'altra madre che avrà temuto, in quella caserma, che le sottraessero (legalmente stavolta) la sua figlia legittima.

Lo Zingaro diventato direttore di un'agenzia europea, titolava Discriminazione e il complesso di essere Rom e raccontava: Quando sei Rom, sei costantemente sospettato di qualcosa. Ogni volta che succede un piccolo furto, sul tram o in un negozio, la gente ti guarda. Dopo anni, tutti noi maturiamo questa sensazione di continuo sospetto. [...] Sapevo che l'essere Rom condizionava i miei rapporti nella scuola, per strada, ogni volta che incontravo un poliziotto. E' un complesso comune a tutti noi e tutt'ora ci sto lottando... (op. cit.)

Sarebbe facile dare la colpa al "razzismo", ma credo che IL COMPLESSO DI ESSERE ROM sia qualcosa che col razzismo classico (violento con le parole e con i fatti) c'entri sino ad un certo punto.
Sempre stasera leggevo un altra lettera, educata nei toni e nei modi, sui problemi delle periferie romane invase dai campi-sosta. Ne avevo scritto anch'io, da tutt'altro punto di vista. Il nodo di quella lettera gentile (anche qua: commenti disabilitati, non ho potuto rispondere) è che i nomadi sono diventati stanziali [giusta osservazione] ma non ne vogliono sapere di mandare i figli a scuola, o di lavorare ecc.
La solita condanna alla diversità negativa. Se, putacaso, accennnassi che io invece vedo lager pieni di topi e immondizie, non ci sposteremmo dal vederli, nel bene o nel male, sempre come esempi di negatività.
Nella cronaca che io riportavo da Roma, in quei campi sosta chiedono da anni i permessi per lavorare e per commerciare, senza ottenere risposta.
Per sopravvivere, vende le pentole e le stoviglie che lui stesso fabbrica. Era un fabbro ambulante sta tentando invano di ottenere un permesso per aprire una piccola officina dove inserire altri residenti del campo. Le sue richieste non hanno ancora incontrato le orecchie giuste. Un altro che non si arrende è l'ottantenne Sevko R., ramaio Chergari della Bosnia, che ancora prova a continuare il suo lavoro. Mi racconta: "Ho raccolto e lavorato il rame per tutta la vita e morirò col rame tra le mani." Altri sono abili nel confezionare gioielli, nell'aggiustare pentole o in altre attività commerciali, ma il governo non ha mai mostrato interesse nel permettere lo sviluppo di micro-progetti che permettesero loro di vivere. Ci sono fabbri, meccanici, commercianti a vari livelli. (op. cit.)

Non sono di Roma, ma ci credo, perché nella mia città è la stessa cosa.

Come dice quel medico e avvocato IL COMPLESSO DI ESSERE ROM (e aggiungo io, la fatica di trovare un filo logico)

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Di Fabrizio (del 09/06/2005 @ 19:27:26, in Italia, visitato 3722 volte)
Riprendo una notizia apparsa questo pomeriggio in chat:
#9404 15.34
vi inoltro questa notizia che credo ci interessi & colpisca: Rom di Casilino 900 denunciano tentativo di incursione di un gruppo di fascisti ieri sera Jun 4, 2005 Un compagno ha raccolto il racconto di alcuni Rom del campo Casilino 900. Ieri sera intorno alle 21,30 un gruppo di fascisti ha minacciosamente imboccato la via che porta al campo, per poi fuggire di fronte alla reazione delle famiglie e l'arrivo dei vigili urbani. Segnalazione e testimonianza radio su Radio Onda Rossa

- Cos'è Casilino 900 con gli occhi di un Rom canadese.

Nel frattempo, leggo una breve di cronaca: a Milano una troupe di Telepadania voleva girare un servizio sui campi Rom attorno alla zona Capo Rizzuto - Triboniano, ma i Rom non l'hanno permesso e li hanno cacciati. Benedetti telepadani! Se mi deste retta... ve l'ho pur scritto un mese fa qual'era la situazione!
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Di Fabrizio (del 09/06/2005 @ 22:41:45, in Italia, visitato 1960 volte)
Ogg: I romeni dopo gli arresti di Milano e Roma. "Gesti da condannare, non siamo così"

Capisco lo sconcerto della comunità rumena e la paura che questi atti abbiano conseguenza sulla loro permanenza in Italia.
Mi permetto due appunti: la violenza carnale è un crimine odioso, ma la coincidenza dei 2 fatti di Roma e Milano ne da un aspetto falsato: non è appannaggio dei Rom, +ttosto che dei Rumeni, dei Cinesi o degli Italiani. Mi risulta che la maggior parte delle violenze avviene ancora oggi tra le mura domestiche, e sia comune tanto nelle famiglie bene che in quelle + emarginate. Insomma: una tipologia di crimine odioso, ma assolutamente interraziale e interclassista.

Proprio per questo, non condivido assolutamente lo "scaricabarile", anche se forse involontario, di Valerian Terteleac, sui ragazzi che vivono di furtarelli e di origine nomade. La violenza carnale non ha niente a che fare col furto, e comunque conosco fior di galantuomini, di origine nomade, che esattamente come i Rumeni rischiano di vedersi appiccicata un'etichetta che non c'entra niente con loro o con i loro costumi.

Come già accaduto un'altra volta, vi informerò sulla loro risposta.
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Di Fabrizio (del 11/06/2005 @ 14:20:40, in musica e parole, visitato 3831 volte)
Ricevo e porto a conoscenza:

COMUNICATO STAMPA
Due puntate a CANALE ITALIA sulla situazione degli zingari rom
Anteprima nazionale del film "Zingari in carrozza" interpretato dagli ZINGARI DEL CAMPO NOMADI DI VIA BARZAGHI A MILANO

Venerdì 17 alle ore 18 su CANALE ITALIA (canale 53 - 58) verrà trasmessa in assoluta anteprima nazionale una sintesi del film "Zingari in carrozza", il film interpretato dagli zingari di etnia rom del campo nomadi di via Triboniano - via Barzaghi, (film già visto al premio Massimo Troisi di Pieve Emanuele): i musicisti rom interpretano loro stessi mentre suonano sui tram e metro' milanesi.
Il film è un remake di Miracolo a Milano di de Sica, dura 50 minuti, è totalmente inedito, ed è stato realizzato dal giornalista e scrittore Claudio Bernieri di Milano.
Nel corso della trasmissione, il talk show "Passeggiando per Milano" condotto dal giornalista David Messina, saranno presenti anche numerosi esponenti del mondo giornalistico e politico.
Verranno inoltre trasmesse alcune interviste realizzate dagli allievi del corso Multimediale dell'Istituto per la formazimne del Giornalismo Walter Tobagi.
Le interviste sono stato condotte per strada tra i milanesi, chiedendo loro se gradiscono (o meno) le musiche dei rom sui mezzi milanesi. Sono in studio il duo tzigano Giorgio (violino) e fisa (Robert) che si esibiscono ogni giorno sul metro' linea gialla.
Nella seconda puntata del talk show, venerdì 24 sarà presente l'interprete principale del film, Director Marian Baudeanu, accompagnato dall'autore del documentario, e da altri musicisti della linea del metro e dei tram.

Altre informazioni:
http://www.sivola.net/dblog/articolo.asp?id=49
http://www.sivola.net/dblog/articolo.asp?id=60

REPEAT: ******* Cercasi con una certa urgenza volontari che mi diano una mano con associazioni, parrocchie, sale di proiezione, scuole, centri sociali, perchè questa storia non vada perduta.

A proposito, gli UNZA suonano domenica 12 giugno alla cascina Monlue', insieme ai Musikanti nella serata organizzata per "100 popoli, un mondo". Via Monlue', Milano. Raggiungibile da: MI-tangenziale Est (uscita C.A.M.M.) - tram 27 - bus 39 (fermata Fantoli)
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Di Fabrizio (del 11/06/2005 @ 17:43:53, in Europa, visitato 1829 volte)
Ultimamente, anche sulla Svizzera si sono levate critiche da parte di OnG e associazioni internazionali, su come intenda le politiche di accoglienza e di rifugio.

Leggevo qualche giorno fa su Ticinonline:
STRASBURGO - La situazione relativa ai diritti umani in Svizzera è globalmente "molto buona", ma il rapporto del Consiglio d'Europa pubblicato oggi denuncia pecche in materia di asilo, razzismo e gestione delle carceri. [...]
In materia di asilo, Gil-Roblès critica il rinvio immediato di alcuni richiedenti, non appena scesi dall'aereo. Questa pratica, denuncia, è contraria al diritto internazionale. Il commissario raccomanda in particolare che un testimone verifichi che il presunto rifugiato abbia la possibilità di inoltrare una domanda d'asilo al suo arrivo all'aeroporto prima di essere considerato "irricevibile" ("inad" in gergo).
continua...

Man mano, la società civile sembra reagire. Leggo oggi sempre su Ticinonline:
BERNA - Lo storico Jean-François Bergier, già presidente della Commissione indipendente d'esperti Svizzera-Seconda guerra mondiale, si è detto contrario all'espulsione forzata di 523 candidati all'asilo respinti dal Canton Vaud. Uno stato di diritto non può ricorrere alla forza fisica per allontanare persone che non hanno commesso reati.
In un'intervista rilasciata ai quotidiani "24 Heures" e "Tribune de Genève", Bergier indica che vi sono analogie tra la situazione odierna e quella venutasi a creare durante la seconda Guerra Mondiale: nei due casi abbiamo "da una parte regolamenti e dall'altra individui".
Durante il conflitto, "i regolamenti - a parte qualche eccezione - sono stati applicati ciecamente. Non riconoscere agli ebrei o agli zingari lo status di rifugiato politico fu un'aberrazione, perché erano minacciati di morte". Oggi vengono ripetuti gli stessi errori: "si applicano regolamenti alla lettera senza esaminare la situazione delle persone".
Anche il contesto ideologico presenta similitudini: oggi come allora entra infatti in gioco "la paura dello straniero". La tradizione umanitaria della Svizzera, secondo Bergier, "esiste ancora", ma è diventata selettiva, "à la carte".
ATS
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