Mercoledì 11 gennaio 2006 alle ore 11, presso la Sala Parlamentino della camera del Commercio di Milano, Otto Bitjoka, in qualità di presidente della fondazione Ethnoland, [ha presentato] gli Stati Generali degli immigrati, un progetto volto a rendere visibile il concetto di immigrato come risorsa sociale e come vantaggio per l'intera comunità cittadina.
|
Alcuni concetti dalla presentazione di Otto Bitjoka: Ci siamo e non siamo gli unici. Per l'Italia di oggi, valgono quelle poche parole di De Gaulle agli immigrati di allora: “Vi ho capiti”.
Per noi è arrivato il momento di non chiedere cosa può fare l'Italia per noi, ma viceversa cosa faremo noi per l'Italia. Come immigrati che i valori cittadini li hanno assimilati e condivisi. C'è una considerazione che abbiamo in comune, noi immigrati e i cittadini italiani, come si dice nel mio paese: “Se non sai dove vai, devi sapere da dove vieni”.
Perché una considerazione comune? Sono in Italia da 30 anni, e ho vissuto i cambiamenti di questa città: c'erano le tute blu, le tute rosse dell'Alfa, questa è la Milano di quando sono arrivato e che molti ricordano. Ma oggi è una città diversa: le industrie hanno iniziato a scomparire negli anni '80, e con gli anni '90 anche la New Economy si è fermata. Come proseguire, se non sapendo ALMENO da dove veniamo.
Dicevo, siamo in Italia da 30 anni. Non possiamo permettere ancora che qualcuno parli per conto nostro. Non dobbiamo dimostrare altrimenti di essere parte di questa città, dove siamo alla seconda, terza generazione. Sono i dati che lo dimostrano:
il 14% della popolazione è immigrata
ma nelle superiori il 19% degli studenti sono immigrati o figli di immigrati.
E Milano, l'Italia hanno bisogno di noi, per non finire come l'impero romano. Tutti dobbiamo passare attraverso la contaminazione.
L'integrazione avviene nei fatti e nel quotidiano. 20.000 imprese gestite da immigrati ne sono il risultato.
|
|
|
Alcuni concetti dalla presentazione di Piero Bassetti: Già negli anni '50 e '60 a Milano c'era un assessorato all'immigrazione. Il problema dell'immigrazione di allora non era la pelle, ma la cultura. Non c'era la “via di fuga” della diversità. Anche gli immigrati votavamo e per lo stato tutti erano uguali, con tutto ciò di buono o cattivo che questo concetto comportava.
Le soluzioni nacquero qui, piuttosto che in altre città. Il problema, anche allora, non si limitava all'accettazione, ma prefigurava l'integrazione, a tutti i livelli, compreso quello della classe dirigente.. Un esercizio pieno della cittadinanza.
Oggi i problemi non sono uguali, ma simili. E la crisi che si vive in città, ha echi dovunque. E' andato in crisi il concetto di multiculturalismo, di Melting Pot all'americana. Per resuscitarli, dovremmo avere tutti il coraggio di dichiarare la volontà, come avevano i pionieri americani, di costruire una società nuova. E di andare contro tutte quelle realtà che per forza di cose si pongono per la conservazione, anche tra gli immigrati stessi.
Non neghiamolo: a Milano l'integrazione degli immigrati meridionali fu mediazione, avvenne perché c'erano i partiti di massa, e oggi non ci sono più. E non vedo chi possa prenderne il posto.
I media, avrebbero questa possibilità, ma lavorano contro l'emigrazione: non solo per il razzismo visibile e percepibile, ma anche non contribuendo al dibattito, non offrendo copertura alcuna a realtà come queste, che non esprimono solo problemi e disperazione – ma proposte e voglia di contribuire – e che sono maggioritarie.
|