Don Mario, "nomade tra i nomadi". Foto di Diego Zanetti -
CREDERE, Testo di Stefano
Pasta
Da oltre quarant'anni vive in una roulotte e percorre l'Italia per
evangelizzare rom e sinti: condivide le usanze dei nomadi e ha tradotto il
Vangelo nella loro lingua. Assicura: "Sono un popolo molto religioso"
"Ero prete da un mese e stavo andando in bici a confessarmi, quando ho visto un
gruppo di zingari e mi sono chiesto: chi porta il Vangelo a questo popolo? Sono
passati 60 anni ed eccomi qua". "Qua" è un piccolo campo di Brugherio (in
provincia di Monza), dove monsignor Mario Riboldi, che qualcuno chiama "Mario
degli zingari", vive da vent'anni insieme ad alcune famiglie di sinti tedeschi e
italiani e di rom ungheresi. Con lui - cappellaccio nero in testa e baffetti
tagliati corti - vive il padre barnabita Luigi Pieraboni, in una roulotte
piccola ma accogliente.
All'interno del campo, un container di circa cinque metri per due è stato
trasformato in una vera chiesetta. Il tabernacolo richiama la tradizione nomade:
è una piccola tenda in stoffa, con i colori del tempo liturgico, mentre la
Bibbia è sul trincast, un supporto di tre legni sul quale i rom in passato
appoggiavano la padella per cucinare. Qui don Mario e padre Luigi celebrano
tutti i giorni la Messa e recitano il Rosario con alcuni abitanti del villaggio
di case in legno e roulotte. "Tra pochi giorni partiamo per Salerno, dove
seguiamo un gruppo di rom italiani, poi andremo a Cuneo dai sinti piemontesi",
mi raccontano. Da decenni, don Mario, brianzolo di 85 anni, gira l'Italia e
l'Europa per dedicarsi alla pastorale dei rom e sinti, di cui a lungo è stato
l'incaricato nazionale: "Mi presento con la Bibbia in mano e così si cammina".
Il primo a sostenerlo fu l'allora cardinale di Milano Giovanni Battista Montini:
"Gli scrissi che avevo conosciuto un gruppo di sinti e si entusiasmò. Nel 1962,
lo accompagnai a incontrare un gruppo di zingari croati e abruzzesi che vivevano
in tende in un bosco vicino alla mia parrocchia. Disse: "Vi chiederete: cosa
viene a fare quest'uomo vestito di rosso in mezzo a voi?". Poi recitammo l'Ave
Maria davanti a un piccolo altare alla Madonna del Rosario, allestito con un
tappeto persiano". In quell'occasione, Montini disse a don Mario: "Tra due anni,
ti lascio partire". Ma poi accadde l'imprevisto: Montini divenne papa Paolo VI.
La faccenda si arenò fino al 1969, quando il cardinal Colombo gli disse: "Va
bene, posso lasciarti andare. Vediamo cosa combini". Don Mario lasciò la
parrocchia e divenne il primo prete ad andare a vivere tra gli zingari.
Racconta: "Sono un popolo a cui, pur vivendo in Europa, è spesso mancata
un'evangelizzazione; ma gli zingari sono profondamente religiosi. Lo vedo ad
esempio nel culto verso i defunti. Ho dovuto "superare" la mia mentalità, per
penetrare nella cultura di questo popolo così strano, sparso un po' ovunque in
tutto il mondo".
Don Mario ha imparato le usanze degli zingari e la loro lingua, il romanès, per
riuscire ad andare fino in fondo nei rapporti. Ha inventato canzoni religiose,
ha tradotto i Salmi e il Vangelo di Marco in cinque differenti lingue dei rom e
sinti. Spiega: "Dedico grande attenzione alla conoscenza dell'Antico Testamento.
Nell'esilio e nelle vicissitudini del popolo ebraico, si possono trovare molti
parallelismi con la storia degli zingari, spesso cacciati dai Paesi europei. C'è
poi una grande domanda sulla vita dopo la morte, che si accompagna all'idea che
i defunti continuino a proteggere i loro cari. Spesso dicono: "Se non ci fossero
stati i miei morti e Dio, sarei morto in quell'incidente"".
"Non solo il missionario porta, ma riceve molto. L'incontro profondo ti mette in
crisi, perché non ti senti più l'uomo perfetto che arriva e spiega tutto.
Avvicinando popolazioni diverse dalla propria, si impara a essere un po' più
universali, un po' più "cattolici". Un pizzico, perché in realtà si rimane
sempre troppo concentrati su se stessi". Per esempio, si impara ad avere una
vita meno frenetica, con meno ansia del risultato: "Ricordo di aver accompagnato
un prete in un campo per degli incontri: la prima volta c'erano 40 rom, la
seconda 20 e poi 4. Se ne andò sconsolato. Errore! Perché i 40 volevano il
prete, mentre i 4 cercavano Dio: non sempre la ricerca coincide...".
In Italia, ci sono una quindicina di preti e suore che vivono tra gli zingari,
ma don Mario sottolinea un'altra realtà importante, quella delle vocazioni tra i
sinti e i rom: "Fra preti, suore e diaconi permanenti zingari, ne conosciamo
170, di cui ben 40 in India".
Tra i gitani c'è anche un martire della fede: Zeffirino Jiménez Malla,
ucciso durante la Guerra civile spagnola (vedi box in alto). Anche qui, c'è lo
zampino di don Mario: "Ne avevo sentito parlare nel 1975, ma le cose da fare
erano tante. Ne parlai con il cardinal Martini, che mi disse: "Datti da fare".
Con padre Luigi andammo in Spagna per raccogliere la sua storia, ma il vescovo
della diocesi spagnola ci disse che mancava tutto: il postulatore, i soldi per
sostenere le spese della causa... Anche se non avevo né l'uno, né gli altri, gli
dissi: "Andiamo avanti, ci pensiamo noi". Così, nel 1997, Zeffirino fu
proclamato beato e a lui sono ora dedicate chiese in tutta Europa".