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\\ Mahalla : Articolo
Gli Zingari nell'immaginario locale. La loro presenza in Valtellina fra i secoli XVI e XVIII
Di Fabrizio (del 13/11/2013 @ 09:06:52, in Italia, visitato 1328 volte)

di Ombretta Rossi (x)

Le rappresentazioni degli Zingari nella tradizione locale sono state espresse attraverso storie che hanno le caratteristiche della leggenda o dei proverbi, attraverso i quali le popolazioni contadine hanno elaborato l'immagine dell' "altro", che non necessariamente doveva essere lo straniero, ma anche l'abitante del villaggio vicino.

Emblematica è una leggenda esistente sulla nascita di Frontale:

"Riguardo all'origine dell'abitato di Frontale la tradizione orale parla di un gruppo di nomadi che, in epoca imprecisata, stava risalendo la Valtellina per recarsi verso il nord. Non potendo proseguire oltre la chiusa di Serravalle a causa dell'ostilità della popolazione del bormiese, essi decisero di transitare per la Val di Rezzalo per aggirare l'ostacolo, attraverso il Passo dell'Alpe e il Gavia. Sopraggiunse l'inverno e la neve caduta in abbondanza impedì loro di proseguire il viaggio. Si stanziarono così sul pianoro che domina la valle in posizione soleggiata, attendendo l'arrivo della bella stagione.

Quando la primavera coprì i prati di fiori e le giornate si fecero più lunghe e calde, i nomadi pensarono che non avrebbero potuto trovare altrove un luogo così bello e decisero dunque di stabilire lì, per sempre, la loro residenza.

Il soprannome scherzoso che i sondalini usano per i indicare gli abitanti di Frontale è sc'troelech che, tradotto, significa "nomade"." 1

Un tempo, al bambino curioso di Frontale desideroso di sapere com'era venuto al mondo, gli adulti rispondevano di averlo trovato perché era stato abbandonato dagli Zingari!

Come mi è stato suggerito da Gabriele Antonioli, Zìnghen è anche il soprannome degli abitanti di Le Prese, tuttavia non se ne conosce il motivo.

A Sondalo era diffuso un proverbio riguardante gli abitanti di Grosotto, ritenuti poco ospitali, in cui si diceva : a Grosót al se férma gnènca i zìnghen.

Il termine "Zingaro" viene attribuito all'"altro" e utilizzato come un aggettivo dispregiativo, ad indicare le caratteristiche negative di chi non fa parte della comunità; richiama la sfera della diversità, è "l'altro" per eccellenza ed è considerato un personaggio socialmente pericoloso, per la sua vita caratterizzata dal vagabondare, soprattutto in una realtà contadina come quella valtellinese.

Nelle inchieste napoleoniche condotte in tutto il regno italico nel 1811, nel paragrafo riguardante i pregiudizi e le credenze diffusi nei territori del "Dipartimento dell'Adda", Giovanni Tassoni riporta una certa attitudine degli abitanti della Valtellina alla superstizione e a credere nella fattucchieria.

Si legge: "Diversi sono i pregiudizi, e varie le superstizioni [che] tormentano ed avviliscono lo spirito di queste popolazioni. Dipendono in gran parte dalla natura del paese che abitano. Lo spettacolo della natura fra i monti, particolarmente nella notte ha sempre qualche cosa di grande e di terribile, capace a scuotere non solo le menti de' deboli e degli ignoranti, ma pur anche talora quelle degli uomini colti ed illuminati. (…) Di qui nasce che generalmente si crede ai fattucchieri, alla malignità ed invidia, de' quali vengono attribuiti i fascini, le malattie e le disgrazie d'ogni genere. Anche i saltimbanchi, i ballerini da corda e qualunque giocolare vengono annoverati nella classe degli stregoni, e se il loro arrivo venisse accompagnato da qualche meteora, si vedrebbero esposti in qualche luogo a gravi dispiaceri." 2

Nel testo, come vediamo, non vengono citati esplicitamente gli Zingari, ma le figure a cui si fa riferimento evocano gli stessi: è infatti probabile che i saltimbanchi di cui parla il Tassoni fossero proprio loro. Si legge che essi erano considerati alla pari di stregoni ed era credenza che, se il loro passaggio fosse avvenuto in concomitanza di eventi atmosferici rari avrebbe portato disagi e sarebbe stato segnale di un brutto presagio.

In un altro documento, citato da Remo Bracchi ne: Nomi e volti della paura nelle valli dell'Adda e della Mera, come Anonimo foglio manoscritto bormino3, è presente una descrizione degli Zingari che richiama la sfera del mito più che quella della realtà.

Tale documento è stato fatto risalire ai primi anni del XIX secolo o alla fine del precedente e di provenienza dalla zona di Valfurva.

Il contenuto non fa pensare ad un documento istituzionale, bensì ad uno scritto personale, ad una sorta di diario delle "memorie", in cui l'autore scrive con l'intento di tramandare ai posteri alcuni insegnamenti.

Sugli Zingari si legge così: "Gli zingari non ponno stare più di tre giorni per ogni paese, per maledizione della Vergine da essi mal accettata in Egitto. Loro si permetta di applicare il fuoco alle paglie che non si accendono. Lontani però da loro i soldi, che qual calamita li attraggono. Del resto acontentali e fuge a facie eorum quasi di stregoni."4

Anche qui ritroviamo l'accostamento fra Zingari e il mondo della stregoneria "e fuge a facie eorum quasi di stregoni": "e fuggì da loro come se si trattasse di stregoni".

Attorno alla valle chiamata li Valmani d'Aprica vi sono delle credenze in cui la figura della zingara coincide con quella della strega: "I più anziani hanno sentito parlare, nella loro lontana giovinezza della dòna dal gioech, una strega che scorrazzava nella valle, apparendo e scomparendo improvvisamente. Inoltre i vicini abitanti di Corteno, per indicare la stessa valle oltre il loro crinale, la definivano al Canàl de la zìnghena, ossia "il canale della zingara", in pratica un sinonimo di strega."5 È da notare come in quest'ultimo caso il termine zingara richiami la sfera dell'alterità: infatti gli abitanti di Corteno collegano, alla figura della zingara, la zona della valle al dì là del loro crinale.

"L'equazione fra ‘zingara' e ‘strega', attraverso l'accezione di ‘vagabonda' si coglie ancora nella voce ogolina sc'trigòza ‘ragazza leggera, da poco, (Rini,64), tart. Strigòz (z) a ‘ragazza, donna leggera, sventata, scriteriata, che suscita pettegolezzi sulla sua condotta' (DVT, 1209)."

"A Livigno ‘il vento che soffia dal Passo del Foscagno (da sud) verso Trepalle, e porta pioggia' viene stigmatizzato come la zìngana, ossia ‘la zingara'. (Emanuele Mambretti). Nel suo capriccioso manifestarsi gli alpigiani sospettavano sempre qualcosa di cupamente disordinato."6

Ne La nascita e l'infanzia, il primo volume de Il ciclo della vita di Marcello Canclini7, dove viene riportata una raccolta di tradizioni popolari dell'Alta Valle, troviamo radicato il noto stereotipo che rappresenta gli Zingari e gli ambulanti in generale come rapitori di bambini: " Radicato nei fanciulli era anche il timore nei confronti degli zingari, i sc'plèngher, o degli ambulanti in genere, che già a partire dalla più tenera infanzia erano descritti dai genitori come rapitori di bambini. Il nome deriva quasi certamente dal termine professionale tedesco Spengler, lattoniere ambulante. A Piatta, in modo parallelo, era al magnàn, lo stagnino, l'uomo nero che rapiva i piccoli capricciosi. Quando il 19 giugno, festa di San Gervasio e Protasio, patroni di Bormio, ci si recava alla fiera, si insegnava ai ragazzi a stare ben aggrappati ai calzoni del papà o alla gonna della mamma, perché c'erano i sc'tròlich che i portàen ìa i bagón e i bagonìn, gli zingari che rapivano piccolini e grandicelli senza troppe distinzioni. Ne La leggenda della zingara del Sass de Scegn, trascritta dal professore Alfredo Martinelli, si narra che la zingara più vecchia del gruppo venne buttata, dagli altri componenti, in un dirupo formato dal Sass de Scegn ad Isolaccia e prima di morire lanciò loro una maledizione. Appena la zingara cadde, dove scorre il torrente Viola, si aprì una fenditura che inghiottì gli altri Zingari e li buttò nel fondo.

Secondo l'autore, da quel momento, il luogo divenne impenetrabile per gli abitanti, perché ancora frequentato dagli spiriti degli Zingari che, nelle notti di luna piena, si aggirano minacciosi e con intenti malvagi.

In Valtellina, soprattutto nella zona dell'Alta Valle, vediamo come, nonostante la bassa frequenza di passaggi di Zingari documentata, siano presenti delle cristallizzazioni, degli stereotipi fissi che connotano tali figure. Lo zingaro richiama la sfera del magico: "Sospeso tra terrore e poesia (…) è un' immagine piuttosto che un uomo concreto". 8

(x) (Estratto dalla tesi di laurea "Da Egiziani a banditi. Il transito degli Zingari in Valtellina nell'Età moderna" premiata al concorso in ricordo di Lisa Garbellini con la seguente motivazione: "La tesi della dott.ssa Rossi è un lavoro originale, che affronta una tematica insolita ma stimolante: la presenza di popolazioni zingare in Valtellina tra 16esimo e 18esimo secolo, attraverso una capillare rassegna bibliografica e un notevole lavoro di archivio. Il lettore viene accompagnato in un immaginario viaggio tra i secoli attraverso le differenti modalità di comportamento delle istituzioni nei confronti delle comunità zingare di passaggio sul nostro territorio".

[...]

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