di Ombretta Rossi (x)
Le rappresentazioni degli Zingari nella tradizione locale sono state espresse
attraverso storie che hanno le caratteristiche della leggenda o dei proverbi,
attraverso i quali le popolazioni contadine hanno elaborato l'immagine dell'
"altro", che non necessariamente doveva essere lo straniero, ma anche l'abitante
del villaggio vicino.
Emblematica è una leggenda esistente sulla nascita di Frontale:
"Riguardo all'origine dell'abitato di Frontale la tradizione orale parla di un
gruppo di nomadi che, in epoca imprecisata, stava risalendo la Valtellina per
recarsi verso il nord. Non potendo proseguire oltre la chiusa di Serravalle a
causa dell'ostilità della popolazione del bormiese, essi decisero di transitare
per la Val di Rezzalo per aggirare l'ostacolo, attraverso il Passo dell'Alpe e
il Gavia. Sopraggiunse l'inverno e la neve caduta in abbondanza impedì loro di
proseguire il viaggio. Si stanziarono così sul pianoro che domina la valle in
posizione soleggiata, attendendo l'arrivo della bella stagione.
Quando la primavera coprì i prati di fiori e le giornate si fecero più lunghe e
calde, i nomadi pensarono che non avrebbero potuto trovare altrove un luogo così
bello e decisero dunque di stabilire lì, per sempre, la loro residenza.
Il soprannome scherzoso che i sondalini usano per i indicare gli abitanti di
Frontale è sc'troelech che, tradotto, significa "nomade"." 1
Un tempo, al bambino curioso di Frontale desideroso di sapere com'era venuto al
mondo, gli adulti rispondevano di averlo trovato perché era stato abbandonato
dagli Zingari!
Come mi è stato suggerito da Gabriele Antonioli, Zìnghen è anche il soprannome
degli abitanti di Le Prese, tuttavia non se ne conosce il motivo.
A Sondalo era diffuso un proverbio riguardante gli abitanti di Grosotto,
ritenuti poco ospitali, in cui si diceva : a Grosót al se férma gnènca i zìnghen.
Il termine "Zingaro" viene attribuito all'"altro" e utilizzato come un aggettivo
dispregiativo, ad indicare le caratteristiche negative di chi non fa parte della
comunità; richiama la sfera della diversità, è "l'altro" per eccellenza ed è
considerato un personaggio socialmente pericoloso, per la sua vita
caratterizzata dal vagabondare, soprattutto in una realtà contadina come quella
valtellinese.
Nelle inchieste napoleoniche condotte in tutto il regno italico nel 1811, nel
paragrafo riguardante i pregiudizi e le credenze diffusi nei territori del
"Dipartimento dell'Adda", Giovanni Tassoni riporta una certa attitudine degli
abitanti della Valtellina alla superstizione e a credere nella fattucchieria.
Si legge: "Diversi sono i pregiudizi, e varie le superstizioni [che] tormentano
ed avviliscono lo spirito di queste popolazioni. Dipendono in gran parte dalla
natura del paese che abitano. Lo spettacolo della natura fra i monti,
particolarmente nella notte ha sempre qualche cosa di grande e di terribile,
capace a scuotere non solo le menti de' deboli e degli ignoranti, ma pur anche
talora quelle degli uomini colti ed illuminati. (…) Di qui nasce che
generalmente si crede ai fattucchieri, alla malignità ed invidia, de' quali
vengono attribuiti i fascini, le malattie e le disgrazie d'ogni genere. Anche i
saltimbanchi, i ballerini da corda e qualunque giocolare vengono annoverati
nella classe degli stregoni, e se il loro arrivo venisse accompagnato da qualche
meteora, si vedrebbero esposti in qualche luogo a gravi dispiaceri." 2
Nel testo, come vediamo, non vengono citati esplicitamente gli Zingari, ma le
figure a cui si fa riferimento evocano gli stessi: è infatti probabile che i
saltimbanchi di cui parla il Tassoni fossero proprio loro. Si legge che essi
erano considerati alla pari di stregoni ed era credenza che, se il loro
passaggio fosse avvenuto in concomitanza di eventi atmosferici rari avrebbe
portato disagi e sarebbe stato segnale di un brutto presagio.
In un altro documento, citato da Remo Bracchi ne: Nomi e volti della paura nelle
valli dell'Adda e della Mera, come Anonimo foglio manoscritto bormino3, è
presente una descrizione degli Zingari che richiama la sfera del mito più che
quella della realtà.
Tale documento è stato fatto risalire ai primi anni del XIX secolo o alla fine
del precedente e di provenienza dalla zona di Valfurva.
Il contenuto non fa pensare ad un documento istituzionale, bensì ad uno scritto
personale, ad una sorta di diario delle "memorie", in cui l'autore scrive con
l'intento di tramandare ai posteri alcuni insegnamenti.
Sugli Zingari si legge così: "Gli zingari non ponno stare più di tre giorni per
ogni paese, per maledizione della Vergine da essi mal accettata in Egitto. Loro
si permetta di applicare il fuoco alle paglie che non si accendono. Lontani però
da loro i soldi, che qual calamita li attraggono. Del resto acontentali e fuge a
facie eorum quasi di stregoni."4
Anche qui ritroviamo l'accostamento fra Zingari e il mondo della stregoneria "e fuge a facie eorum quasi di stregoni": "e fuggì da loro come se si trattasse di
stregoni".
Attorno alla valle chiamata li Valmani d'Aprica vi sono delle credenze in cui la
figura della zingara coincide con quella della strega: "I più anziani hanno
sentito parlare, nella loro lontana giovinezza della dòna dal gioech, una strega
che scorrazzava nella valle, apparendo e scomparendo improvvisamente. Inoltre i
vicini abitanti di Corteno, per indicare la stessa valle oltre il loro crinale,
la definivano al Canàl de la zìnghena, ossia "il canale della zingara", in
pratica un sinonimo di strega."5 È da notare come in quest'ultimo caso il
termine zingara richiami la sfera dell'alterità: infatti gli abitanti di Corteno
collegano, alla figura della zingara, la zona della valle al dì là del loro
crinale.
"L'equazione fra ‘zingara' e ‘strega', attraverso l'accezione di ‘vagabonda' si
coglie ancora nella voce ogolina sc'trigòza ‘ragazza leggera, da poco, (Rini,64),
tart. Strigòz (z) a ‘ragazza, donna leggera, sventata, scriteriata, che suscita
pettegolezzi sulla sua condotta' (DVT, 1209)."
"A Livigno ‘il vento che soffia dal Passo del Foscagno (da sud) verso Trepalle,
e porta pioggia' viene stigmatizzato come la zìngana, ossia ‘la zingara'.
(Emanuele Mambretti). Nel suo capriccioso manifestarsi gli alpigiani
sospettavano sempre qualcosa di cupamente disordinato."6
Ne La nascita e l'infanzia, il primo volume de Il ciclo della vita di Marcello
Canclini7, dove viene riportata una raccolta di tradizioni popolari dell'Alta
Valle, troviamo radicato il noto stereotipo che rappresenta gli Zingari e gli
ambulanti in generale come rapitori di bambini: " Radicato nei fanciulli era
anche il timore nei confronti degli zingari, i sc'plèngher, o degli ambulanti in
genere, che già a partire dalla più tenera infanzia erano descritti dai genitori
come rapitori di bambini. Il nome deriva quasi certamente dal termine
professionale tedesco Spengler, lattoniere ambulante. A Piatta, in modo
parallelo, era al magnàn, lo stagnino, l'uomo nero che rapiva i piccoli
capricciosi. Quando il 19 giugno, festa di San Gervasio e Protasio, patroni di
Bormio, ci si recava alla fiera, si insegnava ai ragazzi a stare ben aggrappati
ai calzoni del papà o alla gonna della mamma, perché c'erano i sc'tròlich che i portàen ìa i bagón e i bagonìn, gli zingari che rapivano piccolini e grandicelli
senza troppe distinzioni. Ne La leggenda della zingara del Sass de Scegn,
trascritta dal professore Alfredo Martinelli, si narra che la zingara più
vecchia del gruppo venne buttata, dagli altri componenti, in un dirupo formato
dal Sass de Scegn ad Isolaccia e prima di morire lanciò loro una maledizione.
Appena la zingara cadde, dove scorre il torrente Viola, si aprì una fenditura
che inghiottì gli altri Zingari e li buttò nel fondo.
Secondo l'autore, da quel momento, il luogo divenne impenetrabile per gli
abitanti, perché ancora frequentato dagli spiriti degli Zingari che, nelle notti
di luna piena, si aggirano minacciosi e con intenti malvagi.
In Valtellina, soprattutto nella zona dell'Alta Valle, vediamo come, nonostante
la bassa frequenza di passaggi di Zingari documentata, siano presenti delle
cristallizzazioni, degli stereotipi fissi che connotano tali figure. Lo zingaro
richiama la sfera del magico: "Sospeso tra terrore e poesia (…) è un' immagine
piuttosto che un uomo concreto". 8
(x) (Estratto dalla tesi di laurea "Da Egiziani a banditi. Il transito degli
Zingari in Valtellina nell'Età moderna" premiata al concorso in ricordo di Lisa
Garbellini con la seguente motivazione: "La tesi della dott.ssa Rossi è un
lavoro originale, che affronta una tematica insolita ma stimolante: la presenza
di popolazioni zingare in Valtellina tra 16esimo e 18esimo secolo, attraverso
una capillare rassegna bibliografica e un notevole lavoro di archivio. Il
lettore viene accompagnato in un immaginario viaggio tra i secoli attraverso le
differenti modalità di comportamento delle istituzioni nei confronti delle
comunità zingare di passaggio sul nostro territorio".
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