Repubblica.it Dove da quattro anni vivono famiglie di ex nomadi
strappate alla miseria dei campi abusivi. Nessuna roulotte o alloggi di fortuna,
stufe a gas e letti improvvisati. Qui tutti hanno il loro appartamento. E una
serie di regole da rispettare: i figli a scuola, un lavoro, essere alla larga
della criminalità. Un patto di cittadinanza con i volontari dell'Associazione
Terra del Fuoco
di LORENZA CASTAGNERI
TORINO - Un condominio dalla facciata gialla alla periferia di Settimo
Torinese. Un'altalena, uno scivolo e qualche altra giostrina per bambini nel
piazzale davanti all'ingresso. Qui, da quattro anni, vivono famiglie Rom
strappate alla miseria dei campi abusivi. Niente più roulotte o alloggi di
fortuna, stufe a gas e letti improvvisati. Qui tutti hanno il loro appartamento.
E una serie di regole da rispettare: mandare i figli a scuola, trovare un
lavoro, tenersi lontani dalla criminalità, pulire gli spazi comuni. Diritti e
doveri. E' questo il patto di cittadinanza con i volontari dell'Associazione
Terra del Fuoco.
L'inizio della storia. Tutto comincia poco più di cinque anni fa a Borgaro,
altro centro della cintura torinese a pochi chilometri da Settimo. In una fredda
giornata di metà novembre, va a fuoco un campo nomadi. Centinaia di persone si
ritrovano senza un posto in cui andare. Di loro si prende cura Terra del Fuoco.
E' allora che nasce l'idea del Dado. I volontari bussano alle porte dei Comuni
della zona: serve uno stabile non utilizzato che i rom possano ristrutturare per
poi andarci a vivere. Si chiama autorecupero. E' una soluzione abitativa
sostenibile molto diffusa all'estero ma poco in Italia. Dopo tanti no, arriva la
prima risposta affermativa: è quella del sindaco di Settimo Aldo Corgiat.
L'edificio di via Milano viene dato in concessione ai volontari. Il sogno
diventa realtà e per tanti inizia una nuova vita. Oggi al Dado vivono 5 famiglie
rom e 9 rifugiati politici.
Le testimonianze. Violeta, 22 anni, è lì da quattro. Con lei ci sono il padre,
la madre, i due fratelli e la figlia più piccola. Prima stavano al campo di
Borgaro. "Io non c'ero il giorno dell'incendio - ricorda - mi telefonò mia
madre. Piangeva. Avevamo perso tutto". I suoi genitori ora sono commercianti
ambulanti, i fratelli adolescenti vanno a scuola. Anche lei studia: "Sto
cercando di prendere la licenza media". Nel frattempo si occupa della casa e
della sua piccola di un anno e mezzo. L'altra, tre anni, è rimasta in Romania.
"La lontananza è terribile ma qui mi trovo bene - continua - siamo perfettamente
integrati". E' tranquilla Violeta, anche se sa che non potrà rimanere al Dado
per sempre. Una volta raggiunta la stabilità economica il regolamento prevede
infatti che le famiglie trovino un'altra sistemazione per permettere a nuovi
inquilini di intraprendere il percorso di allontanamento dalle baraccopoli.
Si è riacceso il dibattito. Da qualche settimana a Torino si è riacceso il
dibattito sulla condizione dei nomadi in città. Una ragazzina inventa di essere
stata violentata da due Rom. E una fiaccolata di solidarietà si trasforma in un
raid punitivo contro gli abitanti del campo della Continassa. Roulotte, tende,
vestiti. Tutto viene dato alle fiamme. Un fatto di cronaca che ha riproposto il
Dado come un esempio di buona integrazione. "All'inizio non è stato facile.
Abbiamo dovuto affrontare le reticenze dei cittadini di Settimo. La gente non
riusciva ad accettare che una parte di città venisse regalata agli zingari",
spiega Oliviero Alotto, presidente di Terra del Fuoco. Ma loro, i volontari, non
si sono arresi. E per fare breccia nel muro di ostilità che si sono trovati di
fronte hanno chiesto aiuto alla vicina parrocchia di san Vincenzo Dè Paoli e
alle insegnanti delle scuole cittadine. I bambini del Dado sono stati seguiti
nell'apprendimento e per loro si sono aperte le porte dell'oratorio. "Poco a
poco siamo riusciti a dimostrare che i rom non sono un problema ma una risorsa.
Il clima è cambiato. Oggi c'è davvero integrazione".
Il Dado un modello replicabile? "Io credo di sì - risponde Alotto - E' l'unico
modo per superare il problema dei campi rom abusivi. A Torino se ne parla da
anni. Edifici non più utilizzati che si potrebbero ristrutturare usando l'autorecupero
ce ne sono. Quello che serve è una forte volontà politica". Ma anche il coraggio
di fare scelte criticabili dai cittadini può non bastare. "Perché progetti di
questo tipo abbiano successo e il rispetto della legalità si accompagni alla
pura integrazione servono grandi risorse economiche e una forte collaborazione
tra più soggetti istituzionali. Gli enti locali non possono agire da soli",
spiega Elide Tisi, assessore alle Politiche Sociali del Comune di Torino.
Questioni complesse. Che, chi vive al Dado non conosce. Qui però miracolo di
un'integrazione possibile continua.
(09 gennaio 2012)