Osservatorio Balcani e Caucaso Cornel Ban 25 marzo 2011
Romania rurale - Adam Jones, Ph.D./flickr
Negli anni passati, per molti romeni (provenienti soprattutto dalle zone
rurali) l'emigrazione ha rappresentato un'occasione di riscatto economico e
sociale. Oggi la crisi ha cambiato le prospettive, ma il ritorno in Romania non
sembra una strada percorribile, e il futuro appare pieno di incognite
"Č davvero dura qui. Lavoriamo di più e siamo pagati di meno... turni di
tredici e quattordici ore in lavori di ristrutturazione sono diventati la norma.
Mio fratello ed io siamo fortunati a trovare ancora lavoro qua e là a Madrid. Ma
penso che quest'estate non potremo permetterci di tornare a casa. Č la prima
volta in sette anni che non lo facciamo. Abbiamo sempre mantenuto le spese al
minimo, abbiamo comprato il cibo più scadente e non abbiamo acquistato un'auto
vistosa, anche quando i tempi erano migliori. Abbiamo risparmiato per costruire
una casa in Romania e avere dei soldi per i tempi difficili. Ma adesso
guadagniamo a malapena per un appartamento sovraffollato, il cibo e duecento
euro al mese da spedire alla nostra famiglia in Romania".
Miti logori
Nicu Pop è sempre stato un inguaribile ottimista, ed è evidente che questa
triste conversazione non è da lui. I suoi colleghi lo hanno sempre preso in giro
per il ottimismo sconfinato. Ma la situazione, oggi, è abbastanza cupa da
oscurare le aspettative anche dei più resistenti tra i lavoratori romeni
impiegati nel settore edilizio spagnolo ed irlandese, un tempo in forte
espansione. E con questi Paesi che scricchiolano sotto l'austerità fiscale e con
i loro paesaggi urbani pieni di case vuote di recente costruzione, è chiaro che
i posti di lavoro nell'edilizia, la nicchia di mercato di lavoro preferita dai
lavoratori immigrati romeni, non torneranno mai più.
"Per anni ho fatto gli straordinari, ed ero disposto a mettere le mani sul fuoco
se il datore di lavoro lo avesse chiesto. Ora però tutto sta cadendo a pezzi, e
non ho idea di cosa fare. Alcuni dicono che dovremmo andare altrove in Europa,
ma i miei unici contatti sono a Dublino. E nemmeno lì c'è lavoro. Forse
dovrebbero radunarci tutti e spedirci a casa, così non avremmo più illusioni sul
fatto che qui contiamo qualcosa".
I miti sulle ricompense del duro lavoro fisico sono crollati tra i romeni
emigrati in questi anni, in gran parte giovani uomini provenienti da zone
rurali, la cui unica esperienza lavorativa prima dell'emigrazione era stata la
massacrante attività agricola in un villaggio della Transilvania o lunghi
spostamenti per lavorare in fabbrica, spesso con turni duri e bassa
retribuzione.
Tuttavia, la diminuzione delle opportunità lavorative in Spagna ed Irlanda non
ha provocato una massiccia emigrazione di ritorno verso la Romania. Al
contrario, secondo le statistiche del governo di Bucarest, quasi mezzo milione
di romeni ha presentato domanda e 140.000 hanno ottenuto un contratto di lavoro
in Europa occidentale attraverso l'agenzia di collocamento governativa. Mentre
Italia e Spagna sono state le destinazioni preferite durante l'ultimo decennio,
nel 2010 la maggior parte di coloro che sono partiti hanno fatto ingresso nel
mercato britannico e tedesco, con l'agricoltura ad assorbire la maggior parte
dell'afflusso.
Niente ritorno a casa
Perché i romeni continuano a partire e perché gli immigrati disoccupati e
sottoccupati non hanno fatto ritorno? In primo luogo, la maggioranza degli
emigranti sono partiti da regioni rurali, dove si trovavano di fronte alla
prospettiva di un'agricoltura di sussistenza, a sussidi di disoccupazione
estremamente bassi ed a breve termine, con difficoltà d'accesso ai servizi
pubblici e un'estrema scarsità di lavoro salariato. Per quanto possa essere
difficile la vita nelle case popolari degli immigrati a Barcellona o Dublino,
almeno ci sono i recenti ricordi del successo economico a cui gli immigrati
possono attingere per mantenere la propria capacità di resistere durante la
crisi.
Oltretutto, in Europa occidentale gli immigrati possono restare a galla durante
la crisi grazie ad una combinazione di livelli accettabili di sussidi di
disoccupazione e un ottimo accesso all'assistenza sanitaria, elementi questi
molto insoddisfacenti in Romania. Inoltre, decine di migliaia di famiglie di
immigrati hanno bambini che sono nati nei Paesi di destinazione o sono andati a
scuola lì.
Per questi bambini la lingua romena è la lingua che parlano a casa con genitori
e fratelli, magari in forma dialettale, piuttosto che la lingua della maggior
parte delle loro attività quotidiane. Senza un'esposizione al sistema scolastico
romeno, dove è insegnato il romeno standard, è probabile che questi bambini
incontrerebbero difficoltà a scuola se fossero "riportati" al sistema
d'istruzione romeno.
Al contrario, pur essendo socialmente gratificante, la vita di villaggio in
Romania offre poco in termini di speranza. Durante l'ultimo decennio,
l'interazione tipica tra lavoratori emigranti e le loro comunità d'origine
avvenuta durante le vacanze di agosto e alla fine di dicembre, quando i villaggi
ritornano alla vita con gli emigranti che riempiono i pub, lavorano alla
costruzione di grandi case e sfoggiano auto semi-nuove.
Ritornare nello stesso posto a metà novembre o all'inizio di febbraio è una cosa
diversa. Come dice scherzando Tabara Marin, un camionista licenziato che ha
trascorso cinque mesi in disoccupazione in Spagna, "mia moglie ed io vivevamo in
un'angusta casa popolare ad Almeria (Spagna), orari di lavoro pazzeschi e così
via. Poi entrambi abbiamo perso il lavoro e non trovavamo nulla, non importa
quanto cercassimo, e abbiamo anche pensato di superare i tempi duri,
approfittando dei sussidi, e di tornare a vivere nel nostro villaggio natio.
Dopo un mese, però, mi volevo suicidare...Fango sulle strade, età media sui
settant'anni... Il miglior lavoro che puoi trovare è fare il contadino per un
delinquente del posto, che paga sei euro al giorno. Quindi abbiamo deciso,
ritorneremo in Spagna. Almeno lì possiamo sperare che la crisi passerà e che
troveremo un lavoro, mentre qui, anche quando ritorneranno i tempi buoni, i
lavori resteranno malpagati, l'ospedale sarà sempre un buco e la scuola
continuerà a cadere a pezzi".
Prospettive grigie
Fin dall'inizio della modernizzazione economica della Romania nel XIX
secolo, l'industria e i servizi potevano contare su un esercito di manodopera a
basso costo, proveniente dai villaggi. Questo è stato il caso soprattutto
durante l'esperienza romena di sviluppo economico (neo)stalinista, quando la
crescita a rotta di collo nell'industria ha lasciato nelle campagne quasi metà
della popolazione.
Durante gli ultimi dieci anni è stato il boom immobiliare dell'Europa
meridionale e dell'Irlanda a beneficiare dell'afflusso di quasi due milioni di
giovani romeni, la maggior parte dei quali proveniente dai villaggi, ma disposta
a lavorare in cambio di salari bassi e munita di almeno dieci anni d'istruzione
e di una certa esposizione alle competenze di formazione professionale.
Adesso che la bolla immobiliare è scoppiata e il loro Paese d'origine offre loro
ben poco, oltre a salari molto bassi e uno smantellamento sistematico dei
diritti dei lavoratori, la più dinamica gioventù rurale della Romania affronta
una lunga e scoraggiante traversata verso un'incertezza e precarietà ancora
maggiori.
Come dice Nicu Pop con un sorriso sarcastico, "dopo che i lavori e i sussidi di
disoccupazione saranno finiti e quando saranno esauriti i nostri risparmi, non
avremo altra scelta che tornare a casa, senza illusioni, e lavorare la terra,
come i nostri nonni. Non è proprio quello che avevamo in mente in tutti questi
anni, ma almeno mangeremo pomodori biologici e carne senza additivi chimici,
cosa che nemmeno i ricchi di Madrid possono permettersi".