Tratta dalla raccolta
Fiabe
Zingare di Alberto Melis
La versione originale di questa breve fiaba dei Boyàs argentini (i Ludar),
raccontata da Jorge Emilio Nedich, è stata pubblicata su "Lacio Drom". Nello
stesso numero della rivista è presente anche la versione in lingua boyàs, cioè
in rumaneàste, e una breve nota di Jorge M.F. Bernal (Lolo).
QUESTA È UNA STORIA molto triste, ma è una storia vera. Così raccontava mio
nonno, perché lui c'era.
C'era dunque una volta, in un paese lontano lontano, una famiglia di Ludari a
cui nacque un bambino. Ma era così piccolo e malaticcio, uno scricciolino tutto
occhi e niente ciccia, che i suoi genitori temevano morisse prima ancora di
mettere i primi denti e prima ancora di masticare il primo pane.
Il padre allora chiamò una vecchia, una di quelle che vedono le cose che devono
restare nascoste (come le maledizioni dette sottovoce o le disgrazie tra capo e
collo), per capire se c'era una possibilità che sopravvivesse.
La donna, dopo aver preso in braccio il piccolo, scosse il capo e disse: –
Vostro figlio morirà.
Il padre però non volle rassegnarsi.
– C'è qualcosa che io possa fare – chiese – qualsiasi cosa, per impedire che
muoia?
– Forse sì – rispose la vecchia. – Prendi uno stivale di pelle di capra e
riempilo di tè. Poi prendi uno degli stampi con i quali fabbrichi i tuoi mattoni
e mettici dentro lo stivale. Riempilo d'argilla e mettilo a cuocere al sole.
Quando il sole l'avrà indurito metti il mattone con dentro lo stivale di pelle
di capra pieno di tè nella culla del bambino.
Il padre seguì il consiglio della vecchia. Prese lo stivale di capra più ampio e
robusto che riuscì a trovare e lo riempì di tè. Poi mise lo stivale dentro uno
stampo per costruire i mattoni (il più ampio e robusto che riuscì a trovare) e
coprì tutto con l'argilla. Lo mise al sole, e quando il sole l'ebbe indurito per
bene, lo infilò dentro la culla del bambino.
Proprio come aveva detto la vecchia la magia funzionò. Perché il piccolo zingaro
non solo non morì, ma crescendo divenne anche un ragazzo bello e intelligente.
La famiglia di Ludari riprese così a viaggiare per il mondo, e viaggiando
viaggiando capitò in un deserto molto grande e caldo, dove non cresceva un filo
d'erba, e dove non scorreva un filo d'acqua.
Sotto il sole che batteva e batteva, un accidente di sole tondo e sordo, il
ragazzo cadde ammalato, dicendo che se non avesse bevuto almeno un po', di
sicuro sarebbe morto.
Il padre e la madre, al suo capezzale, piansero a lungo e si disperarono.
– Cosa possiamo fare? – chiese l'uomo a sua moglie.
– Dovremmo dargli un po' d'acqua chiara e dolce…
– Ma la nostra provvista d'acqua è finita – ribatté sconsolato l'uomo.
– Allora di certo morirà.
Fu solo in quel momento che l'uomo si ricordò dello stivale di pelle di capra
pieno di tè.
Cercò il mattone d'argilla e lo spezzò. Ma lo stivale di pelle di capra, che
ormai era tanto vecchio e rinsecchito, si polverizzò nelle sue mani: e il tè si
disperse nella sabbia del deserto.
Fu così che il ragazzo morì e la sua famiglia lo pianse.
Però il terreno dove era caduto il tè rimase umido e fresco. I Ludari scavarono
un pozzo e trovarono una sorgente d'acqua.
E ancora oggi, quando una famiglia di Ludari passa per quei luoghi, racconta la
storia del ragazzo e dello stivale di pelle di capra pieno di tè.
Anche mio nonno c'è passato, e così mi ha raccontato: «Qui un giovane Ludar ha
smarrito la vita, ma al suo posto ha lasciato la sorgente d'acqua più chiara e
dolce del mondo».